Grazie all'incontro con la De Giorgi Calvino poté avvicinarsi al teatro: "Io siedo alla mia scrivaniuccia del ginnasio, del liceo, dove ho cominciato a quindici-sedici anni a imbrattare carta di versi e scene di commedia - il teatro cui tu vuoi ricondurmi - e prima ancora fin da bambino di disegni, montagne di fogli di carta disegnata con figure grottesche di cui ancora qualche cosa conservo". <98
Alcune riflessione sul teatro che Calvino sviluppò in quegli anni andarono a confluire nella concezione di struttura del romanzo maturata nel tempo. Il teatro lo divertiva ("sì questo teatro è una cosa divertente. Il pubblico è un fatto che solo il teatro dà ed è insostituibile." [HPT pag. 91]) e sviluppava delle capacità che non riusciva a trovare in se stesso e in quello che faceva; quella capacità ‘contemplativa' che invece riscontrava nella De Giorgi e che le veniva esclusivamente dal suo essere attrice: "Tu guardi un quadro con passione e curiosità, senza essere uno storico dell'arte. Così fai quando leggi. Non pensi che puoi scrivere tu stessa. Sei sempre fuori dall'impegno diretto. Così acuisci la facoltà contemplativa. Io penso ormai editorialmente a cosa possono pensare i critici che conosco, quelli che stimo e quelli che non stimo". [HPT pag. 84]
La De Giorgi padroneggiava quell'arte di esprimersi in modo teatrale, riusciva a prendere atto delle cose senza altre vie: interpretava il personaggio per quello che diceva, che agiva. "L'ispirazione nasce dal coinvolgimento col personaggio" diceva l'attrice, e c'era una tecnica per questo: essere altro da sé e questo si può immaginarlo anche con la letteratura. Per la De Giorgi scrivere equivaleva ad agire, per Calvino scrivere equivaleva dunque ad immaginare, era un "un modo di evitare l'azione, restarci sotto o sopra, far vivere, seguire quella degli altri", un po' quello che aveva scelto di far fare a Cosimo nel "Barone".
Nella primavera-estate del 1956 Calvino scrisse una lettera alla De Giorgi, la lettera 2,8 il cui incipit è: "Ti mando una scena del mio libretto d'opera". Grazie al saggio "Due inediti sulla Panchina di Italo Calvino (una lettera e una scena)" a cura di Nicoletta Trotta in "Autografo 36" (1998), "Suggestive voci di Pavese e Calvino" nel Fondo Manoscritti, si può dedurre che il libretto d'opera a cui si riferisce Calvino in questa lettera è il testo teatrale "La Panchina" (opera in un atto di Italo Calvino, musica di Sergio Liberovici), messo in scena al teatro Donizetti di Bergamo la sera del 2 ottobre 1956. Nel saggio è offerto, come prima cosa, un brano tratto dalla lettera che Calvino mandò a Maria Corti, il 5 luglio del 1976, in cui lo scrittore tratta di vari argomenti e offre, tra l'altro, il manoscritto della "Speculazione edilizia" per il Fondo pavese. In questo brano Calvino, a detta della Trotta, offre una testimonianza risolutiva per il rapporto cronologico tra la versione teatrale de "La Panchina" e i due racconti, "La Panchina" e "Una villeggiatura in panchina".
A proposito del debutto a Bergamo della sua prima operina, Calvino racconta alla Corti un po' quello che scrisse alla De Giorgi: all'attrice disse che fu eccitato dai fischi e che il musicista, poverino, non se lo aspettava ed era rimasto tramortito: "ce n'è voluta per tirarlo un po' su e fargli capire che i fischi erano il segno della vitalità della sua opera".
Riguardo ai giornali scrisse "Divertenti i giornali di Bergamo; se la prendono con la censura perché ha permesso la rappresentazione e dicono che per fortuna il loggione ha pensato a far giustizia".
Alla Corti disse: "Fu un fiasco clamoroso. Venne giù il teatro dai fischi. Più ancora con la musica di Liberovici (che era un ragazzino appena diplomato al Conservatorio e faceva, a quel che posso capirne io, musica abbastanza convenzionale) ce l'avevano con i "contenuti prosaici", neorealistici, un ubriaco, due passeggiatrici…" <99
È stato possibile rintracciare la scena inedita della "Panchina" proprio grazie a una lettera inedita di Calvino, la 2,8, priva di data, ma collocata approssimativamente nella primavera-estate del 1956. Si tratta di una prima stesura della Quinta scena "tagliata via" perché l'opera doveva essere abbreviata, come spiega l'autore nella lettera di accompagnamento scritta a mano di seguito al testo, parzialmente edita nel volume della De Giorgi, "Ho visto partire il tuo treno". La De Giorgi racconta infatti che Calvino le aveva inviato la quinta scena del libretto "La Panchina o degli amanti", tagliata via perché doveva abbreviarlo e nella stesura finale sostituita con la "Quinta scena (passanti e strillone)": "La storia della Panchina fu sofferta, posto come si trovò di fronte a difficoltà classiche del teatro: le incomprensioni tra autore e autore, musicista che fosse per la lirica, regista per la prosa". Calvino era contrariato perché il musicista giovane ed inesperto non aveva capito niente; aveva creduto che fosse da fare in chiave parodistica mal interpretando le sue intenzioni che invece erano quelle di fare una scena sentita ed autobiografica. Lo scrittore aveva quindi cassato a penna le didascalie che Liberovici stesso aveva apposto, perché descrivevano i personaggi in chiave comica, ma così facendo aveva tolto una parte di dialogo autobiografico con la De Giorgi, e di questo si dispiaceva. Nel testo definitivo c'era rimasta la scena degli innamorati che è tutta in chiave scherzosa, ma arricchita dallo spunto di un piccolo litigio: "l'accusa da parte di lei a lui di baciarla a occhi aperti, e una discussione sull'amare a occhi aperti e occhi chiusi" che era stata una divertita polemica tra gli amanti reali.
Una lettura della scena può comunque rievocare, a ben vedere, l'amore drammatico tra Calvino e la De Giorgi che altro non è che una "linciotta" e che insieme altro non sono che "amanti inconfessati", "corpi insaziati" e che altro non devono che "nascondere l'amore".
Lui:- Tra risvegli struggenti innanzi l'alba,
e addii strappati quando si è tutt'uno,
i corpi fiduciosi ed insaziati,
i cuori straripanti,
così vivono gli amanti inconfessati
che devono nascondere l'amore
come lontan dal sole si rimpiatta
una morbida lince una tana. <100
Si è detto quindi che l'inedito de "La Panchina" lo si ricava dalla lettera 2,8 che risale alla primavera-estate del 1956; tuttavia, la Trotta ravvisa che una prima testimonianza epistolare sull'opera si ricava da un'altra lettera inedita (con la sola indicazione di "mercoledì ore 14,30" [1956]) che, come precedentemente detto, potrebbe essere la n° 2,9. Si ricorda che Calvino disse a Maria Corti che il Festival di Bergamo poteva benissimo essere quello del settembre 1956 e che il libretto lo scrisse nei mesi immediatamente precedenti il Festival, incalzato da Liberovicini che non gli dava tregua. Concordemente a questo, nella lettera scritta "mercoledì ore 14.30" - che per congettura poniamo essere la 2.9 - Calvino avverte per l'appunto, di essere stato in mattinata dal suo amico musicista che ha terminato di musicare l'operina e scrive così alla De Giorgi: "Ha dei punti che mi sembrano molto felici, un po' russi (questo giovane è figlio di un ebreo russo di Odessa). Vorrebbe presentarla al Festival di Bergamo di quest'anno. Non capisce molto del mio libretto, ma ha una certa grazia di "divertimento" che gli permette di muovere con abbastanza allegria il canovaccio piuttosto statico che gli ho buttato giù, mezzo per scherzo". <101 Del teatro aveva preso anche ad affascinarlo il senso del "testo pretesto", come racconta la De Giorgi, ovvero l'opera non compiuta dalla scrittura alla rappresentazione, e rimase spiazzato dallo spettacolo somapsichico che fu "Porgy and Bess" (un'opera musicata da George Gershwin, per il libretto di DuBose Heyward, e testi di Ira Gershwin e Heyward). La storia è basata sul romanzo di Heyward "Porgy" e sull'omonimo lavoro teatrale che egli scrisse con la moglie Dorothy, che descrive la vita degli afroamericani nell'immaginaria strada di Catfish Row a Charleston, South Carolina all'inizio degli anni Trenta. Alla Scala di Milano il 22 febbraio 1955 avvenne la prima rappresentazione diretta da Smallens e nel 1959 uscì il film omonimo.
Riguardo all'opera teatrale la De Giorgi riporta una conversazione che ebbe con Calvino, il quale più volte espresse il suo entusiasmo: "Ho visto ieri sera Porgy and Bess e sono impressionato da quel polipaio di vita, da quell'aggrumarsi di cose facili, intrise di volgarità umana che diventano stile, spettacolo esattissimo mai volgare, di quella intensità raggiunta sul piano della massima elementarità e di quel senso di fatalità nel bene e nel male che c'è dentro tra protestante, ebreo e pagano". [HPT pag. 106]
Lei gli rispondeva che quell'America che reagisce allo stimolo dei suoi innesti più provocanti non era un polipaio di cose facili e primitive, ma era sospinto da ritmi segreti, leggi di sesso, d'orgoglio e di morte. Calvino allora conveniva con lei: "Hai ragione. Tutto conviene e separa. Quei tre modi di arrendersi all'amore di Bess; la prima a Porgy, alla rivelazione di una generosità e forza morale, la seconda a Crown, alla forza, al richiamo bruto, la terza a Sportin' Life, all'amore come vizio e inferno, è di una verità che scavalca il melodrammaticismo di cui queste situazioni sono intrise" [HPT pag. 107].
Ecco che da queste considerazioni, lo scrittore riconosce il fatto che "l'amore ha mille volti, che la sua esperienza non ha mai fine, che l'unica vittoria su di esso è lasciarsi vincere" per poi confessarle: "Da anni m'andavo consolidando in una polemica antivitalistica, andavo difendendomi da ogni suggestione che non fosse controllata e razionale e adesso, da quando sono preso da questo nuovo amore che ci scatena come una forza della natura, sono invece più che mai partecipe di ogni manifestazione che gusti un sapore di vita il più possibile concitato, di note alte, di frenesia, di passione". [HPT pag. 107]
Si esprime così, nel '55, in una prima elaborazione di quello che solo negli anni dopo capirà a pieno, con le "Fiabe" e con il "Barone rampante", ovvero che la fantasia di queste opere discende molto più dall'esprit de géométrie che da quello di finesse. Calvino razionalista odia il disordine continuo dei fatti e dei moti del cuore ed ora che si trova di fronte a questo amore travolgente si impegna a trovare un modo per domare un'assurdità pura con una razionalità assoluta, ma c'è da dire che questa razionalità risulta capovolta.
Nella lettera 2,24 Calvino fa alcune considerazioni sul "Visconte dimezzato", ma prosegue dicendo: "Da quando parliamo di teatro capisco perché ti piace il mio primo libro più di tutti gli altri. Là c'è quella temperatura di vita brulicante fra l'attrazione e la repulsione, quel desiderio di immergersi e d'uscire da se stessi che poi non ho più conosciuto, che reputavo una conquista aver superato. Ero in un momento di crisi esistenziale della mia vita. Non ben sicuro ancora di esserci, di esistere. Oggi ancora mi governa un non riposato ordine di pensiero, ma il dramma di esistere di fronte a una esperienza assoluta. Un amore che spezza il cuore e m'esalta fino al parossismo. Ma non è il vitalismo tumultuoso e irrazionale che mi interessa: non scriverò più 'Il sentiero dei nidi di ragno' né 'Porgy and Bess'. Non lo struggimento dell'infanzia né quello dell'ossessione pansessuale. Un'aspirazione alla totalità. Sono lontano da questo. Voglio arrivare al clima dell'uomo, del vero uomo e della vera donna, in cui la ragione non è rinuncia, ma volontà, i cui sentimenti e sensi fanno parte della sfera più alta di sé, non della più debole, e dilatano un ritmo alla vita, danno intensità e respiro alla loro integrazione nel mondo e nella storia, non s'annullano bruciando della loro stessa fiamma". [2,24: Estate 1957, dopo il 4.6.57]
[NOTE]
98 M. Corti, Un eccezionale epistolario d'amore di Italo Calvino in G. Bertone, Italo Calvino: a Writer for the Next Millennium. Atti del Convegno Internazionale di Studi, pag. 143
99 Da Due inediti sulla Panchina di Italo Calvino (una lettera e una scena) in Autografo 36 (1998) Suggestive voci di Pavese e Calvino nel Fondo Manoscritti, pag. 109
100 Da Due inediti sulla Panchina di Italo Calvino (una lettera e una scena) in Autografo 36 (1998) Suggestive voci di Pavese e Calvino nel Fondo Manoscritti, pag. 111
101 Da Due inediti sulla Panchina di Italo Calvino (una lettera e una scena) in Autografo 36 (1998) Suggestive voci di Pavese e Calvino nel Fondo Manoscritti, pag. 112
Eugenia Petrillo, Italo Calvino ed Elsa De Giorgi: l'itinerario di un carteggio, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2014-2015
Alcune riflessione sul teatro che Calvino sviluppò in quegli anni andarono a confluire nella concezione di struttura del romanzo maturata nel tempo. Il teatro lo divertiva ("sì questo teatro è una cosa divertente. Il pubblico è un fatto che solo il teatro dà ed è insostituibile." [HPT pag. 91]) e sviluppava delle capacità che non riusciva a trovare in se stesso e in quello che faceva; quella capacità ‘contemplativa' che invece riscontrava nella De Giorgi e che le veniva esclusivamente dal suo essere attrice: "Tu guardi un quadro con passione e curiosità, senza essere uno storico dell'arte. Così fai quando leggi. Non pensi che puoi scrivere tu stessa. Sei sempre fuori dall'impegno diretto. Così acuisci la facoltà contemplativa. Io penso ormai editorialmente a cosa possono pensare i critici che conosco, quelli che stimo e quelli che non stimo". [HPT pag. 84]
La De Giorgi padroneggiava quell'arte di esprimersi in modo teatrale, riusciva a prendere atto delle cose senza altre vie: interpretava il personaggio per quello che diceva, che agiva. "L'ispirazione nasce dal coinvolgimento col personaggio" diceva l'attrice, e c'era una tecnica per questo: essere altro da sé e questo si può immaginarlo anche con la letteratura. Per la De Giorgi scrivere equivaleva ad agire, per Calvino scrivere equivaleva dunque ad immaginare, era un "un modo di evitare l'azione, restarci sotto o sopra, far vivere, seguire quella degli altri", un po' quello che aveva scelto di far fare a Cosimo nel "Barone".
Nella primavera-estate del 1956 Calvino scrisse una lettera alla De Giorgi, la lettera 2,8 il cui incipit è: "Ti mando una scena del mio libretto d'opera". Grazie al saggio "Due inediti sulla Panchina di Italo Calvino (una lettera e una scena)" a cura di Nicoletta Trotta in "Autografo 36" (1998), "Suggestive voci di Pavese e Calvino" nel Fondo Manoscritti, si può dedurre che il libretto d'opera a cui si riferisce Calvino in questa lettera è il testo teatrale "La Panchina" (opera in un atto di Italo Calvino, musica di Sergio Liberovici), messo in scena al teatro Donizetti di Bergamo la sera del 2 ottobre 1956. Nel saggio è offerto, come prima cosa, un brano tratto dalla lettera che Calvino mandò a Maria Corti, il 5 luglio del 1976, in cui lo scrittore tratta di vari argomenti e offre, tra l'altro, il manoscritto della "Speculazione edilizia" per il Fondo pavese. In questo brano Calvino, a detta della Trotta, offre una testimonianza risolutiva per il rapporto cronologico tra la versione teatrale de "La Panchina" e i due racconti, "La Panchina" e "Una villeggiatura in panchina".
A proposito del debutto a Bergamo della sua prima operina, Calvino racconta alla Corti un po' quello che scrisse alla De Giorgi: all'attrice disse che fu eccitato dai fischi e che il musicista, poverino, non se lo aspettava ed era rimasto tramortito: "ce n'è voluta per tirarlo un po' su e fargli capire che i fischi erano il segno della vitalità della sua opera".
Riguardo ai giornali scrisse "Divertenti i giornali di Bergamo; se la prendono con la censura perché ha permesso la rappresentazione e dicono che per fortuna il loggione ha pensato a far giustizia".
Alla Corti disse: "Fu un fiasco clamoroso. Venne giù il teatro dai fischi. Più ancora con la musica di Liberovici (che era un ragazzino appena diplomato al Conservatorio e faceva, a quel che posso capirne io, musica abbastanza convenzionale) ce l'avevano con i "contenuti prosaici", neorealistici, un ubriaco, due passeggiatrici…" <99
È stato possibile rintracciare la scena inedita della "Panchina" proprio grazie a una lettera inedita di Calvino, la 2,8, priva di data, ma collocata approssimativamente nella primavera-estate del 1956. Si tratta di una prima stesura della Quinta scena "tagliata via" perché l'opera doveva essere abbreviata, come spiega l'autore nella lettera di accompagnamento scritta a mano di seguito al testo, parzialmente edita nel volume della De Giorgi, "Ho visto partire il tuo treno". La De Giorgi racconta infatti che Calvino le aveva inviato la quinta scena del libretto "La Panchina o degli amanti", tagliata via perché doveva abbreviarlo e nella stesura finale sostituita con la "Quinta scena (passanti e strillone)": "La storia della Panchina fu sofferta, posto come si trovò di fronte a difficoltà classiche del teatro: le incomprensioni tra autore e autore, musicista che fosse per la lirica, regista per la prosa". Calvino era contrariato perché il musicista giovane ed inesperto non aveva capito niente; aveva creduto che fosse da fare in chiave parodistica mal interpretando le sue intenzioni che invece erano quelle di fare una scena sentita ed autobiografica. Lo scrittore aveva quindi cassato a penna le didascalie che Liberovici stesso aveva apposto, perché descrivevano i personaggi in chiave comica, ma così facendo aveva tolto una parte di dialogo autobiografico con la De Giorgi, e di questo si dispiaceva. Nel testo definitivo c'era rimasta la scena degli innamorati che è tutta in chiave scherzosa, ma arricchita dallo spunto di un piccolo litigio: "l'accusa da parte di lei a lui di baciarla a occhi aperti, e una discussione sull'amare a occhi aperti e occhi chiusi" che era stata una divertita polemica tra gli amanti reali.
Una lettura della scena può comunque rievocare, a ben vedere, l'amore drammatico tra Calvino e la De Giorgi che altro non è che una "linciotta" e che insieme altro non sono che "amanti inconfessati", "corpi insaziati" e che altro non devono che "nascondere l'amore".
Lui:- Tra risvegli struggenti innanzi l'alba,
e addii strappati quando si è tutt'uno,
i corpi fiduciosi ed insaziati,
i cuori straripanti,
così vivono gli amanti inconfessati
che devono nascondere l'amore
come lontan dal sole si rimpiatta
una morbida lince una tana. <100
Si è detto quindi che l'inedito de "La Panchina" lo si ricava dalla lettera 2,8 che risale alla primavera-estate del 1956; tuttavia, la Trotta ravvisa che una prima testimonianza epistolare sull'opera si ricava da un'altra lettera inedita (con la sola indicazione di "mercoledì ore 14,30" [1956]) che, come precedentemente detto, potrebbe essere la n° 2,9. Si ricorda che Calvino disse a Maria Corti che il Festival di Bergamo poteva benissimo essere quello del settembre 1956 e che il libretto lo scrisse nei mesi immediatamente precedenti il Festival, incalzato da Liberovicini che non gli dava tregua. Concordemente a questo, nella lettera scritta "mercoledì ore 14.30" - che per congettura poniamo essere la 2.9 - Calvino avverte per l'appunto, di essere stato in mattinata dal suo amico musicista che ha terminato di musicare l'operina e scrive così alla De Giorgi: "Ha dei punti che mi sembrano molto felici, un po' russi (questo giovane è figlio di un ebreo russo di Odessa). Vorrebbe presentarla al Festival di Bergamo di quest'anno. Non capisce molto del mio libretto, ma ha una certa grazia di "divertimento" che gli permette di muovere con abbastanza allegria il canovaccio piuttosto statico che gli ho buttato giù, mezzo per scherzo". <101 Del teatro aveva preso anche ad affascinarlo il senso del "testo pretesto", come racconta la De Giorgi, ovvero l'opera non compiuta dalla scrittura alla rappresentazione, e rimase spiazzato dallo spettacolo somapsichico che fu "Porgy and Bess" (un'opera musicata da George Gershwin, per il libretto di DuBose Heyward, e testi di Ira Gershwin e Heyward). La storia è basata sul romanzo di Heyward "Porgy" e sull'omonimo lavoro teatrale che egli scrisse con la moglie Dorothy, che descrive la vita degli afroamericani nell'immaginaria strada di Catfish Row a Charleston, South Carolina all'inizio degli anni Trenta. Alla Scala di Milano il 22 febbraio 1955 avvenne la prima rappresentazione diretta da Smallens e nel 1959 uscì il film omonimo.
Riguardo all'opera teatrale la De Giorgi riporta una conversazione che ebbe con Calvino, il quale più volte espresse il suo entusiasmo: "Ho visto ieri sera Porgy and Bess e sono impressionato da quel polipaio di vita, da quell'aggrumarsi di cose facili, intrise di volgarità umana che diventano stile, spettacolo esattissimo mai volgare, di quella intensità raggiunta sul piano della massima elementarità e di quel senso di fatalità nel bene e nel male che c'è dentro tra protestante, ebreo e pagano". [HPT pag. 106]
Lei gli rispondeva che quell'America che reagisce allo stimolo dei suoi innesti più provocanti non era un polipaio di cose facili e primitive, ma era sospinto da ritmi segreti, leggi di sesso, d'orgoglio e di morte. Calvino allora conveniva con lei: "Hai ragione. Tutto conviene e separa. Quei tre modi di arrendersi all'amore di Bess; la prima a Porgy, alla rivelazione di una generosità e forza morale, la seconda a Crown, alla forza, al richiamo bruto, la terza a Sportin' Life, all'amore come vizio e inferno, è di una verità che scavalca il melodrammaticismo di cui queste situazioni sono intrise" [HPT pag. 107].
Ecco che da queste considerazioni, lo scrittore riconosce il fatto che "l'amore ha mille volti, che la sua esperienza non ha mai fine, che l'unica vittoria su di esso è lasciarsi vincere" per poi confessarle: "Da anni m'andavo consolidando in una polemica antivitalistica, andavo difendendomi da ogni suggestione che non fosse controllata e razionale e adesso, da quando sono preso da questo nuovo amore che ci scatena come una forza della natura, sono invece più che mai partecipe di ogni manifestazione che gusti un sapore di vita il più possibile concitato, di note alte, di frenesia, di passione". [HPT pag. 107]
Si esprime così, nel '55, in una prima elaborazione di quello che solo negli anni dopo capirà a pieno, con le "Fiabe" e con il "Barone rampante", ovvero che la fantasia di queste opere discende molto più dall'esprit de géométrie che da quello di finesse. Calvino razionalista odia il disordine continuo dei fatti e dei moti del cuore ed ora che si trova di fronte a questo amore travolgente si impegna a trovare un modo per domare un'assurdità pura con una razionalità assoluta, ma c'è da dire che questa razionalità risulta capovolta.
Nella lettera 2,24 Calvino fa alcune considerazioni sul "Visconte dimezzato", ma prosegue dicendo: "Da quando parliamo di teatro capisco perché ti piace il mio primo libro più di tutti gli altri. Là c'è quella temperatura di vita brulicante fra l'attrazione e la repulsione, quel desiderio di immergersi e d'uscire da se stessi che poi non ho più conosciuto, che reputavo una conquista aver superato. Ero in un momento di crisi esistenziale della mia vita. Non ben sicuro ancora di esserci, di esistere. Oggi ancora mi governa un non riposato ordine di pensiero, ma il dramma di esistere di fronte a una esperienza assoluta. Un amore che spezza il cuore e m'esalta fino al parossismo. Ma non è il vitalismo tumultuoso e irrazionale che mi interessa: non scriverò più 'Il sentiero dei nidi di ragno' né 'Porgy and Bess'. Non lo struggimento dell'infanzia né quello dell'ossessione pansessuale. Un'aspirazione alla totalità. Sono lontano da questo. Voglio arrivare al clima dell'uomo, del vero uomo e della vera donna, in cui la ragione non è rinuncia, ma volontà, i cui sentimenti e sensi fanno parte della sfera più alta di sé, non della più debole, e dilatano un ritmo alla vita, danno intensità e respiro alla loro integrazione nel mondo e nella storia, non s'annullano bruciando della loro stessa fiamma". [2,24: Estate 1957, dopo il 4.6.57]
[NOTE]
98 M. Corti, Un eccezionale epistolario d'amore di Italo Calvino in G. Bertone, Italo Calvino: a Writer for the Next Millennium. Atti del Convegno Internazionale di Studi, pag. 143
99 Da Due inediti sulla Panchina di Italo Calvino (una lettera e una scena) in Autografo 36 (1998) Suggestive voci di Pavese e Calvino nel Fondo Manoscritti, pag. 109
100 Da Due inediti sulla Panchina di Italo Calvino (una lettera e una scena) in Autografo 36 (1998) Suggestive voci di Pavese e Calvino nel Fondo Manoscritti, pag. 111
101 Da Due inediti sulla Panchina di Italo Calvino (una lettera e una scena) in Autografo 36 (1998) Suggestive voci di Pavese e Calvino nel Fondo Manoscritti, pag. 112
Eugenia Petrillo, Italo Calvino ed Elsa De Giorgi: l'itinerario di un carteggio, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2014-2015