L’organizzazione della persecuzione, della depredazione e della deportazione degli ebrei in Italia andò di pari passo con l’occupazione tedesca e l’organizzazione dell’amministrazione fascista repubblicana. Se certamente nella caccia agli ebrei i tedeschi ebbero, a partire già dai primi giorni dopo l’8 settembre, un ruolo di indiscutibili protagonisti, si deve sottolineare tuttavia che la loro capacità di organizzare in poco tempo una rete capillare ed efficiente per l’individuazione, il concentramento e la deportazione degli ebrei fu resa possibile grazie a condizioni preesistenti <290.
Informatori tedeschi erano presenti nella penisola già prima della firma dell’armistizio, ma soprattutto era funzionante un sistema fascista che dal 1938 si era occupato di individuare, discriminare e perseguire gli ebrei. Enzo Collotti ha individuato almeno tre condizioni preesistenti alla Shoah italiana: un apparato propagandistico, che aveva diffuso un sentimento antisemita nell’opinione pubblica e che aveva intimidito e discriminato la popolazione ebraica tra il 1938 e il 1943; un sistema amministrativo che aveva redatto una serie di strumenti importanti ai fini del reperimento e della individuazione degli ebrei che si trovavano sul territorio italiano, a partire dai dati del censimento degli ebrei ripetutamente aggiornato dopo la prima schedatura del 1938 e depositati presso le prefetture, i comuni, le questure, in taluni casi presso le stesse federazioni fasciste, presso i vecchi centri per lo studio del problema ebraico; l’esistenza di strutture materiali come istituti carcerari presenti in tutto il territorio nazionale, che rappresentarono il luogo di custodia più ovvio delle persone incriminate subito dopo l’arresto, ma anche e soprattutto i campi di concentramento aperti in Italia dalla primavera-estate 1940 <291.
Parallelamente al sistema tedesco inoltre anche la Rsi aveva riorganizzato un sistema per la caccia agli ebrei. Anzi, la Rsi, come sottolinea ancora Collotti, nel “vuoto di altri valori” aveva fatto dell’antiebraismo non solo un “collante ideologico come strumento di aggregazione e di consenso”, ma finanche un suo fondamento spirituale, uno dei suoi tratti identitari <292. Già nel manifesto di Verona del 14 novembre 1943 infatti, al punto 7, si stabiliva che “gli appartenenti alla razza ebraica [erano] stranieri” e venivano assimilati a persone di “nazionalità nemica” <293. Successivamente il Ministro degli Interni Buffarini Guidi emanava l’ordine di polizia n. 5 del 30 novembre 1943, con il quale si disponeva l’arresto di tutti gli ebrei, di qualunque nazionalità, il loro internamento in campi di concentramento provinciali in attesa di essere riuniti in campi speciali appropriatamente attrezzati, il sequestro dei loro beni e l’adozione di una speciale vigilanza di polizia nei confronti dei figli nati da matrimonio misto <294. La normativa antiebraica veniva infine completata dal decreto legislativo n. 2 del 4 gennaio 1944, con il quale si disponeva la confisca dei beni ebraici. La realizzazione di queste normative faceva capo quindi al Ministero degli Interni, che a livello territoriale si serviva dei Capi delle province (ex prefetti), che emanavano gli avvisi per l’intercettazione degli ebrei, attraverso il controllo dei soggiorni nell’area di loro pertinenza. La loro opera era integrata poi dall’intervento delle questure che coordinavano le forze di polizia che dovevano eseguire arresti, perquisizioni, sequestri <295. Inoltre anche altri organismi territoriali e bande autonome legate a personalità carismatiche, come il caso della banda Carità o della banda Koch, si impegnarono nell’attività criminale contro gli ebrei.
In Italia dunque si sviluppò un doppio canale della Shoah, facente capo agli occupanti e alla Rsi. Anche diverse donne si inserirono in questo sistema, impiegate in alcuni di questi uffici riservati agli affari ebraici o direttamente alle dipendenze delle SS, o “donne comuni” che, per scopi diversi, ideologia, opportunismo e voluttà di guadagno, denunciarono gli ebrei alle autorità competenti. Dalle carte processuali possiamo ricostruire alcune delle vicende di cui esse furono responsabili.
La prima grande azione contro gli ebrei operata dai tedeschi fu la grande razzia di Roma, la tragica Judenaktion del 16 ottobre. Roma era la città con la popolazione ebraica più numerosa del territorio occupato, perciò i tedeschi operarono un grande rastrellamento in seguito al quale vennero arrestati 1259 ebrei, di cui 1023 deportati ad Auschwitz due giorni dopo <296.
La vicenda di Flora A. è legata a questa triste data. Mentre infatti il fratello di Flora, Angelo A., si trovava in carcere perché aveva diffuso una falsa notizia sulla presunta uccisione di Hitler, il resto della famiglia veniva informato che i tedeschi avrebbero effettuato un grande rastrellamento di ebrei. La moglie del fratello insieme con i tre figli, lasciava l’abitazione per nascondersi e sfuggire alla cattura, affidando la custodia dell’appartamento alla cognata. Scampati al rastrellamento, i fuggiaschi rientravano in casa, ma Flora non voleva cedere l’appartamento e dunque inviava una lettera ai tedeschi in cui denunciava la cognata e i nipoti. La lettera non sortiva però alcun effetto, poiché veniva intercettata da un membro del Cln e non giungeva a destinazione <297. In questo, come in altri casi, quindi gli ebrei venivano denunciati da persone che conoscevano bene o dagli stessi familiari, a causa di rancori privati o per interessi economici.
Talvolta, come nel caso tristemente famoso di Celeste D., furono gli stessi correligionari a denunciare gli ebrei, spesso nella speranza che la collaborazione avrebbe comportato la propria salvezza. Difficile ricostruire le motivazioni che portarono Celeste D. a segnalare numerosi ebrei, certo è che all’epoca dei fatti, appena diciottenne, si era fidanzata con un milite fascista repubblicano, Vincenzo A., aderente alla banda facente capo a Giovanni C., addetta alle requisizioni e agli arresti di ebrei, dotata di grande autonomia rispetto a tedeschi e autorità della Rsi <298. La giovane ebrea, soprannominata prima “Stella”, per la sua bellezza, e poi “Pantera nera”, per la scaltrezza con la quale compieva i crimini, abitava nel cuore del ghetto e conosceva personalmente molti suoi correligionari. Si aggirava per le vie di Roma facendo catturare decine di ebrei dagli agenti, pronti ad intervenire ad ogni suo cenno di saluto. Per ogni persona che faceva catturare sembra ricevesse un premio di 5000 lire. Tra gli altri riuscì a far catturare anche alcuni componenti della sua stessa famiglia. Il suo nome è legato inoltre al massacro delle Fosse Ardeatine, poiché denunciò ventisei ebrei che furono uccisi in quell’occasione. È il caso di Lazzaro A., segnalato da Mimmo Franzinelli, che scrisse in un biglietto prima di essere portato sul luogo dell’esecuzione: “Se non rivedrò la mia famiglia, è colpa di quella venduta di Celeste. Vendicatemi” <299. Non siamo a conoscenza delle precise motivazioni che portarono la donna a scegliere di dare il suo contributo alla causa antiebraica. Nell’interrogatorio rilasciato agli alleati che
la catturarono il 25 luglio 1944, riportato da Roberta Cairoli, Celeste D. negava le accuse che le venivano addebitate, ricordando che l’unica “colpa” di cui si era macchiata era quella di frequentare uomini esterni alla comunità ebraica, dalla cui relazione aveva ottenuto diversi vantaggi, non ultimo la sua scarcerazione, dopo che, il 3 marzo 1944, era stata arrestata <300. Di fronte agli alleati tuttavia mostrava già un certo disprezzo verso i suoi correligionari ed esprimeva l’intenzione di rinunciare alla propria fede a favore del cattolicesimo <301. Il 16 settembre 1944 gli alleati però la rilasciarono e di lei si persero le tracce finché venne catturata nuovamente a Napoli, il 16 maggio 1945, tradotta nuovamente nella città in cui aveva compiuto gravi crimini, e infine processata dalla Cas di Roma <302. Tra i moventi della sua attività probabilmente anche il suo acceso temperamento di giovane irruenta e poco incline al rispetto delle regole, come dimostrato da numerose note del carcere di Roma, in cui si segnalava che aveva provocato diversi disordini con altre detenute [...]
[NOTE]
90 Continuità e discontinuità della Rsi riguardo alla questione ebraica sono sottolineate da Enzo Collotti nell’introduzione a E. Collotti (a cura di), Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e Rsi. Persecuzione, depredazione, deportazione (1943-1945), vol. 1, Roma, Carocci, 2007. Sugli ebrei nell’Italia fascista dal 1938 al 1945, si vedano anche, senza pretesa di esaustività, M. Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell'elaborazione delle leggi del 1938, Torino, Zamorani, 1994; M. Sarfatti, Gli ebrei nell'Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, Torino, Einaudi, 2000; E. Collotti, Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia, Roma-Bari, Laterza, 2003; M. Sarfatti, La repubblica sociale italiana a Desenzano: Giovanni preziosi e l'Ispettorato generale per la razza, Firenze, Giuntina, 2008.
291 E. Collotti (a cura di), Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e Rsi, cit., pp. 11-12.
292 E. Collotti, Il fascismo e gli ebrei, cit., p. 128.
293 Cit. in M. Sarfatti, Gli ebrei nell'Italia fascista, cit. p. 247.
294 Ivi, p. 248.
295 E. Collotti (a cura di), Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e Rsi, cit., p. 26.
296 M. Sarfatti, Gli ebrei nell'Italia fascista, cit. p. 243; sul rastrellamento di Roma si veda F. Coen, 16
ottobre 1943. La grande razzia degli ebrei di Roma, Firenze, La Giuntina, 1993.
297 Asro, Cas Roma, sezione istruttoria, fasc. 383 Flora A. Il fascicolo viene chiuso in istruttoria il 1 luglio
1946 perché il reato è estinto per amnistia.
298 A. Osti Guerrazzi, Caino a Roma. I complici romani della Shoah, Roma, Cooper, 2006, p. 107.
99 M. Franzinelli, Delatori, cit., p. 189.
300 R. Cairoli, Dalla parte del nemico, cit., p. 93.
301 In stato di detenzione poi chiedeva di essere battezzata e il Ministero di Grazia e Giustizia accordava il permesso con una nota in cui si diceva: “Non consta a questa direzione che altri abbiano influito sulla sua decisione, ma che questa sia maturata durante il periodo di detenzione per essere stata costantemente in contatto di compagne cattoliche. Si attendono disposizioni perché essa possa essere battezzata”, cfr. M. Firmani, Per la patria a qualsiasi prezzo, cit., p. 146. Si convertì infine al cattolicesimo, subito dopo la sua scarcerazione, avvenuta il 21 marzo 1948, ricevendo il battesimo, la comunione e la cresima nella basilica di S. Franceso ad Assisi. Cfr. R. Cairoli, Dalla parte del nemico, cit. p. 93.
302 Il fascicolo processuale di Celeste D. è conservato presso l’Archivio di stato di Roma, cfr. Asro, Cas Roma, fasc. 97. Con sentenza del 7 luglio 1947 veniva condannata a soli 12 anni di reclusione, venivano poi però condonati 5 anni della pena e infine scarcerata il 21 marzo 1948.
Francesca Gori, Ausiliarie, spie, amanti. Donne tra guerra totale, guerra civile e giustizia di transizione in Italia. 1943-1953, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013
Informatori tedeschi erano presenti nella penisola già prima della firma dell’armistizio, ma soprattutto era funzionante un sistema fascista che dal 1938 si era occupato di individuare, discriminare e perseguire gli ebrei. Enzo Collotti ha individuato almeno tre condizioni preesistenti alla Shoah italiana: un apparato propagandistico, che aveva diffuso un sentimento antisemita nell’opinione pubblica e che aveva intimidito e discriminato la popolazione ebraica tra il 1938 e il 1943; un sistema amministrativo che aveva redatto una serie di strumenti importanti ai fini del reperimento e della individuazione degli ebrei che si trovavano sul territorio italiano, a partire dai dati del censimento degli ebrei ripetutamente aggiornato dopo la prima schedatura del 1938 e depositati presso le prefetture, i comuni, le questure, in taluni casi presso le stesse federazioni fasciste, presso i vecchi centri per lo studio del problema ebraico; l’esistenza di strutture materiali come istituti carcerari presenti in tutto il territorio nazionale, che rappresentarono il luogo di custodia più ovvio delle persone incriminate subito dopo l’arresto, ma anche e soprattutto i campi di concentramento aperti in Italia dalla primavera-estate 1940 <291.
Parallelamente al sistema tedesco inoltre anche la Rsi aveva riorganizzato un sistema per la caccia agli ebrei. Anzi, la Rsi, come sottolinea ancora Collotti, nel “vuoto di altri valori” aveva fatto dell’antiebraismo non solo un “collante ideologico come strumento di aggregazione e di consenso”, ma finanche un suo fondamento spirituale, uno dei suoi tratti identitari <292. Già nel manifesto di Verona del 14 novembre 1943 infatti, al punto 7, si stabiliva che “gli appartenenti alla razza ebraica [erano] stranieri” e venivano assimilati a persone di “nazionalità nemica” <293. Successivamente il Ministro degli Interni Buffarini Guidi emanava l’ordine di polizia n. 5 del 30 novembre 1943, con il quale si disponeva l’arresto di tutti gli ebrei, di qualunque nazionalità, il loro internamento in campi di concentramento provinciali in attesa di essere riuniti in campi speciali appropriatamente attrezzati, il sequestro dei loro beni e l’adozione di una speciale vigilanza di polizia nei confronti dei figli nati da matrimonio misto <294. La normativa antiebraica veniva infine completata dal decreto legislativo n. 2 del 4 gennaio 1944, con il quale si disponeva la confisca dei beni ebraici. La realizzazione di queste normative faceva capo quindi al Ministero degli Interni, che a livello territoriale si serviva dei Capi delle province (ex prefetti), che emanavano gli avvisi per l’intercettazione degli ebrei, attraverso il controllo dei soggiorni nell’area di loro pertinenza. La loro opera era integrata poi dall’intervento delle questure che coordinavano le forze di polizia che dovevano eseguire arresti, perquisizioni, sequestri <295. Inoltre anche altri organismi territoriali e bande autonome legate a personalità carismatiche, come il caso della banda Carità o della banda Koch, si impegnarono nell’attività criminale contro gli ebrei.
In Italia dunque si sviluppò un doppio canale della Shoah, facente capo agli occupanti e alla Rsi. Anche diverse donne si inserirono in questo sistema, impiegate in alcuni di questi uffici riservati agli affari ebraici o direttamente alle dipendenze delle SS, o “donne comuni” che, per scopi diversi, ideologia, opportunismo e voluttà di guadagno, denunciarono gli ebrei alle autorità competenti. Dalle carte processuali possiamo ricostruire alcune delle vicende di cui esse furono responsabili.
La prima grande azione contro gli ebrei operata dai tedeschi fu la grande razzia di Roma, la tragica Judenaktion del 16 ottobre. Roma era la città con la popolazione ebraica più numerosa del territorio occupato, perciò i tedeschi operarono un grande rastrellamento in seguito al quale vennero arrestati 1259 ebrei, di cui 1023 deportati ad Auschwitz due giorni dopo <296.
La vicenda di Flora A. è legata a questa triste data. Mentre infatti il fratello di Flora, Angelo A., si trovava in carcere perché aveva diffuso una falsa notizia sulla presunta uccisione di Hitler, il resto della famiglia veniva informato che i tedeschi avrebbero effettuato un grande rastrellamento di ebrei. La moglie del fratello insieme con i tre figli, lasciava l’abitazione per nascondersi e sfuggire alla cattura, affidando la custodia dell’appartamento alla cognata. Scampati al rastrellamento, i fuggiaschi rientravano in casa, ma Flora non voleva cedere l’appartamento e dunque inviava una lettera ai tedeschi in cui denunciava la cognata e i nipoti. La lettera non sortiva però alcun effetto, poiché veniva intercettata da un membro del Cln e non giungeva a destinazione <297. In questo, come in altri casi, quindi gli ebrei venivano denunciati da persone che conoscevano bene o dagli stessi familiari, a causa di rancori privati o per interessi economici.
Talvolta, come nel caso tristemente famoso di Celeste D., furono gli stessi correligionari a denunciare gli ebrei, spesso nella speranza che la collaborazione avrebbe comportato la propria salvezza. Difficile ricostruire le motivazioni che portarono Celeste D. a segnalare numerosi ebrei, certo è che all’epoca dei fatti, appena diciottenne, si era fidanzata con un milite fascista repubblicano, Vincenzo A., aderente alla banda facente capo a Giovanni C., addetta alle requisizioni e agli arresti di ebrei, dotata di grande autonomia rispetto a tedeschi e autorità della Rsi <298. La giovane ebrea, soprannominata prima “Stella”, per la sua bellezza, e poi “Pantera nera”, per la scaltrezza con la quale compieva i crimini, abitava nel cuore del ghetto e conosceva personalmente molti suoi correligionari. Si aggirava per le vie di Roma facendo catturare decine di ebrei dagli agenti, pronti ad intervenire ad ogni suo cenno di saluto. Per ogni persona che faceva catturare sembra ricevesse un premio di 5000 lire. Tra gli altri riuscì a far catturare anche alcuni componenti della sua stessa famiglia. Il suo nome è legato inoltre al massacro delle Fosse Ardeatine, poiché denunciò ventisei ebrei che furono uccisi in quell’occasione. È il caso di Lazzaro A., segnalato da Mimmo Franzinelli, che scrisse in un biglietto prima di essere portato sul luogo dell’esecuzione: “Se non rivedrò la mia famiglia, è colpa di quella venduta di Celeste. Vendicatemi” <299. Non siamo a conoscenza delle precise motivazioni che portarono la donna a scegliere di dare il suo contributo alla causa antiebraica. Nell’interrogatorio rilasciato agli alleati che
la catturarono il 25 luglio 1944, riportato da Roberta Cairoli, Celeste D. negava le accuse che le venivano addebitate, ricordando che l’unica “colpa” di cui si era macchiata era quella di frequentare uomini esterni alla comunità ebraica, dalla cui relazione aveva ottenuto diversi vantaggi, non ultimo la sua scarcerazione, dopo che, il 3 marzo 1944, era stata arrestata <300. Di fronte agli alleati tuttavia mostrava già un certo disprezzo verso i suoi correligionari ed esprimeva l’intenzione di rinunciare alla propria fede a favore del cattolicesimo <301. Il 16 settembre 1944 gli alleati però la rilasciarono e di lei si persero le tracce finché venne catturata nuovamente a Napoli, il 16 maggio 1945, tradotta nuovamente nella città in cui aveva compiuto gravi crimini, e infine processata dalla Cas di Roma <302. Tra i moventi della sua attività probabilmente anche il suo acceso temperamento di giovane irruenta e poco incline al rispetto delle regole, come dimostrato da numerose note del carcere di Roma, in cui si segnalava che aveva provocato diversi disordini con altre detenute [...]
[NOTE]
90 Continuità e discontinuità della Rsi riguardo alla questione ebraica sono sottolineate da Enzo Collotti nell’introduzione a E. Collotti (a cura di), Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e Rsi. Persecuzione, depredazione, deportazione (1943-1945), vol. 1, Roma, Carocci, 2007. Sugli ebrei nell’Italia fascista dal 1938 al 1945, si vedano anche, senza pretesa di esaustività, M. Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell'elaborazione delle leggi del 1938, Torino, Zamorani, 1994; M. Sarfatti, Gli ebrei nell'Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, Torino, Einaudi, 2000; E. Collotti, Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia, Roma-Bari, Laterza, 2003; M. Sarfatti, La repubblica sociale italiana a Desenzano: Giovanni preziosi e l'Ispettorato generale per la razza, Firenze, Giuntina, 2008.
291 E. Collotti (a cura di), Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e Rsi, cit., pp. 11-12.
292 E. Collotti, Il fascismo e gli ebrei, cit., p. 128.
293 Cit. in M. Sarfatti, Gli ebrei nell'Italia fascista, cit. p. 247.
294 Ivi, p. 248.
295 E. Collotti (a cura di), Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e Rsi, cit., p. 26.
296 M. Sarfatti, Gli ebrei nell'Italia fascista, cit. p. 243; sul rastrellamento di Roma si veda F. Coen, 16
ottobre 1943. La grande razzia degli ebrei di Roma, Firenze, La Giuntina, 1993.
297 Asro, Cas Roma, sezione istruttoria, fasc. 383 Flora A. Il fascicolo viene chiuso in istruttoria il 1 luglio
1946 perché il reato è estinto per amnistia.
298 A. Osti Guerrazzi, Caino a Roma. I complici romani della Shoah, Roma, Cooper, 2006, p. 107.
99 M. Franzinelli, Delatori, cit., p. 189.
300 R. Cairoli, Dalla parte del nemico, cit., p. 93.
301 In stato di detenzione poi chiedeva di essere battezzata e il Ministero di Grazia e Giustizia accordava il permesso con una nota in cui si diceva: “Non consta a questa direzione che altri abbiano influito sulla sua decisione, ma che questa sia maturata durante il periodo di detenzione per essere stata costantemente in contatto di compagne cattoliche. Si attendono disposizioni perché essa possa essere battezzata”, cfr. M. Firmani, Per la patria a qualsiasi prezzo, cit., p. 146. Si convertì infine al cattolicesimo, subito dopo la sua scarcerazione, avvenuta il 21 marzo 1948, ricevendo il battesimo, la comunione e la cresima nella basilica di S. Franceso ad Assisi. Cfr. R. Cairoli, Dalla parte del nemico, cit. p. 93.
302 Il fascicolo processuale di Celeste D. è conservato presso l’Archivio di stato di Roma, cfr. Asro, Cas Roma, fasc. 97. Con sentenza del 7 luglio 1947 veniva condannata a soli 12 anni di reclusione, venivano poi però condonati 5 anni della pena e infine scarcerata il 21 marzo 1948.
Francesca Gori, Ausiliarie, spie, amanti. Donne tra guerra totale, guerra civile e giustizia di transizione in Italia. 1943-1953, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013