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venerdì 4 agosto 2023

Com’era possibile che un ragazzino di sedici anni avesse scelto di aderire alla Resistenza?

Il valdobbiadenese Italo Crivellotto all’età di circa dieci anni. (Archivio privato della famiglia Crivellotto). Fonte: Luca Nardi, Op. cit. infra

Tra gli otto partigiani della Brigata Mazzini che perirono in Cansiglio vi erano due valdobbiadenesi: Italo Crivellotto (Italo), nato a Valdobbiadene il 23 febbraio 1928, e Giovanni Giacometti (Nani), nato a San Pietro di Barbozza il 27 gennaio 1926 e residente a Guia di Valdobbiadene.
Prendendo come riferimento la documentazione resistenziale, il sedicenne Crivellotto risulta essere deceduto in combattimento l’8 settembre 1944 a Campon di Tambre, Giacometti, invece, è stato classificato come «partigiano disperso in località imprecisata il 10 settembre 1944» <113.
Approfondendo la vicenda personale di Italo Crivellotto a partire dalla consultazione di fonti diverse da quelle resistenziali (amministrative e orali), come in altre occasioni, ci si è trovati di fronte a due ricostruzioni inconciliabili. A questo punto, sono sorte spontanee delle domande: com’era possibile che un ragazzino di sedici anni avesse scelto di aderire alla Resistenza? Se era un partigiano, perché non rimase a casa, come qualche altro, invece di recarsi in Cansiglio? In quali circostanze trovò la morte? Per quali ragioni la famiglia ed altre persone non credono alla versione della storiografia resistenziale? Italo, garzone presso il panificio principale di Valdobbiadene, era abbastanza grande per decidere da che parte bisognasse schierarsi nell’estate 1944?
Ad alcune domande si può rispondere obiettando che molti ragazzini si arruolarono di propria iniziativa nelle formazioni della Rsi o nella fila della Resistenza; gli esempi non mancano anche nel Comune di Valdobbiadene: basti pensare a Giovanni Baldotto (Mascotte), il più giovane partigiano combattente della Brigata Mazzini (nato nel 1927), oppure ai tanti ragazzi minorenni che facevano parte della Decima Mas, alcuni dei quali furono uccisi nel maggio 1945 a Saccol e a Miane.
A questo punto, viene da chiedersi: su quali basi si fondano i dubbi iniziali?
In primo luogo, Italo Crivellotto non aveva un titolare qualunque, ma Italo dei “Coci” Geronazzo, il segretario del Fascio repubblicano di Segusino e di Valdobbiadene; in secondo luogo, la madre del ragazzino, essendo una fascista convinta, era uno dei tanti obiettivi che i partigiani locali volevano punire o eliminare; in terzo luogo, il sedicenne uscì di casa per una consegna il 19 agosto 1944 e non vi fece più ritorno <114; in quarto luogo, solo alla fine della guerra i genitori appresero che il loro primogenito era morto nei pressi di Tambre d’Alpago durante il grande rastrellamento del Cansiglio; infine, i registri cimiteriali del Comune di Valdobbiadene ed un testimone chiave, che assistette agli ultimi attimi di Italo Crivellotto, affermano che le circostanze che portano alla morte del ragazzino furono diverse da quelle rese note dalla storiografia resistenziale.
Mentre si recava a fare delle consegne in bicicletta nella zona di Miane, pare che il giovane sia stato prelevato e trattenuto per due ragioni: in primis, i partigiani erano venuti a conoscenza che Italo Geronazzo aveva scelto come spia un ragazzino apparentemente innocuo; in secundis, tenendo in ostaggio il figlio primogenito, i partigiani erano quasi certi che sua madre, Maria Goggi, sarebbe facilmente caduta nella loro trappola. Il piano non funzionò: la donna non si recò dal figlio, ma mandò la sorella, la quale nulla poté per ottenere la liberazione del nipote; Italo Geronazzo non si preoccupò della vicenda ed, infatti, nel corso del processo che si svolse nel settembre 1946 presso la Corte d’Assise straordinaria di Treviso venne accusato da Eugenio Crivellotto di essere il principale responsabile della morte del suo primogenito <115; infine, come visto in precedenza, alla fine di agosto del 1944 nel Quartier del Piave ebbe inizio il grande rastrellamento nazifascista e, probabilmente, i partigiani della Mazzini furono costretti a condurre con loro anche il giovane ostaggio.
Per quanto riguarda le cause della morte, la storiografia resistenziale ha affermato che Italo Crivellotto, addetto al servizio vettovagliamento, è stato ucciso in combattimento l’8 settembre 1944, nel corso degli ultimi scontri prima della ritirata. Tuttavia, sulla base dell’ipotesi fin qui sostenuta, queste affermazioni non appaiono comprensibili: Italo, come affermano i familiari ed i vicini di casa, non era né un partigiano né un collaboratore dei partigiani, ma un ragazzino con l’ingenuità dei suoi sedici anni che, senza rendersene conto, fu usato dal suo titolare per finalità politiche; era inoltre un ostaggio che aveva visto troppe cose nel mese più critico per la Resistenza e, quindi, avrebbe dovuto essere eliminato perché testimone pericoloso. Per tutte queste ragioni, è possibile che sia stato ucciso prima dell’inizio della pianurizzazione <116.
Relativamente alle modalità dell’esecuzione, dispongo di una delle testimonianze più preziose tra quelle raccolte: una persona di Valdobbiadene mi ha raccontato che un suo compaesano, ex militare della GNR Forestale fatto prigioniero dai partigiani, gli rivelò di voler condividere il ricordo di un episodio al quale assistette personalmente in Cansiglio e che non era mai riuscito a dimenticare. Alcuni partigiani non locali, uccisero il giovane Crivellotto colpendolo alla testa con colpo di badile: una macabra scena, forse spiegabile per il fatto che in quelle ore di trepidazione non era possibile utilizzare le armi automatiche, in quanto il boato avrebbe vanificato l’effetto a sorpresa della silenziosa ritirata dal Cansiglio <117.
Si tratta di una versione facilmente criticabile; ciononostante, rimane il fatto che quest’episodio pare essere uno di quei casi in cui la memoria è stata “falsata” per nascondere vicende problematiche.
[NOTE]
113 AISRVV, II sez., b. 64, f. 3 sf.1 Pratiche per pensioni di guerra, doc. 36 Crivellotto Italo, doc. 60 Giacometti Giovanni; BRESCACIN, Il sangue che abbiamo dimenticato, vol. I, cit., p. 116 e vol. II, pp. 280-281; Elio FREGONESE, I caduti trevigiani nella guerra di liberazione 1943-1945, Istresco, S.I.T., 1993, p. 68 e p. 104; MASIN, La lotta di liberazione nel Quartier del Piave, cit., p. 124 e pp. 288-289.
114 ASCV, Atti di notorietà (anni 1947-1951), f. anno 1949, sf. Italo Crivellotto.
115 AISTRESCO, f. Corte d’Assise Straordinaria di Treviso, sentenza n. 68, Processo a carico di Migliorati, Geronazzo ed altri (10 settembre 1946), deposizione di Eugenio Crivellotto, p. 13.
116 Testimonianze del nipote e della cognata di Italo Crivellotto (4 e 9 maggio 2015), dei vicini di casa C. C. (3 aprile 2015), N. D. O. (29 marzo 2015), A. D. A. (25 febbraio 2015).
117 Testimonianza del valdobbiadenese A. G., in data 13 maggio 2015.
Essa trova conferme nel registro degli atti di morte del Comune di Valdobbiadene per l’anno 1947, in cui si afferma: «Crivellotto Italo Carlino […] ucciso in località CAMPON del Cansiglio verso la metà di agosto 1944. Lo riferisce il dipendente dell’amministrazione forestale del Cansiglio DAL MOLIN EVELLINO, presente all’esumazione, il quale aggiunge di aver sentito dire dai partigiani che [Crivellotto] era al servizio del segretario politico di Valdobbiadene».
Luca Nardi, Storie di guerra: Valdobbiadene e dintorni dal gennaio 1944 all’eccidio del maggio 1945, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, 2016