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venerdì 1 dicembre 2023

Circa i primi tentativi di epurazione del fascismo


Il tentativo di defascistizzazione del Paese si dispiegò attraverso anni di produzione legislativa e mediante la creazione di istituzioni deputate alla messa in atto pratica di questo processo. Tale fenomeno partì ben prima del termine delle ostilità, anzi cominciò quando gran parte del territorio nazionale era ancora sottoposto all'occupazione nazifascista e, almeno nei decreti iniziali, sembrava chiaramente voler far rientrare nell'opera di giustizia ed epurazione non solo il recente fascismo repubblicano ma il fascismo tutto, mettendo dunque sotto giudizio l'intero sistema di potere che aveva controllato il paese nel ventennio precedente.
Il 28 dicembre 1943 il Regio decreto legge 29/B <506, prevedeva di sottoporre a giudizio chi avesse ricoperto cariche e ruoli partitici durante il Ventennio, ovvero chi avesse partecipato alla marcia su Roma, chi fosse stato squadrista, chi avesse ricoperto cariche nel partito ad alto ma anche al medio e al basso livello <507.
Il periodo badogliano dell'epurazione, ovvero quello del primo governo del maresciallo d'Italia Pietro Badoglio, rimasto in carica fino alla svolta di Salerno dell'aprile 1944 <508, certo sembra essersi contraddistinto per una tendenza generale caratterizzata dalla volontà di eliminare le peggiori escrescenze fasciste e i personaggi maggiormente compromessi per mantenere, in realtà, la maggiore continuità possibile con il vecchio sistema di potere <509.
In particolare durante i «quarantacinque giorni», ovvero il periodo intercorso tra la caduta del fascismo il 25 luglio e l'armistizio dell'8 settembre 1943, gli Alleati al centro sud mostrarono maggiore decisione nell'opera di defascistizzazione di quanto non facessero le autorità italiane <510.
Dall'armistizio alla primavera-estate del 1944, la linea generale non sembrò cambiare più di tanto. Il 13 aprile del 1944 intervenne il Regio decreto n. 110 che istituiva un Alto commissariato per la epurazione nazionale del fascismo, prima istituzione centrale ufficialmente deputata all'applicazione del principio epurativo e punitivo <511. Esso veniva affidato a Tito Zaniboni <512, l'antifascista socialista che aveva tentato il primo fallito attentato contro Mussolini nel 1925. Poco più di un mese dopo, tuttavia, sotto il secondo governo Badoglio formatosi il 22 aprile, l'ordinamento veniva già modificato con la creazione di un Alto commissariato per la punizione dei delitti e degli illeciti del fascismo (R.d.l. del 26 maggio 1944 n. 134, «Punizione dei delitti e degli illeciti del fascismo»): agli inizi di giugno il conte Carlo Sforza <513 era nominato Alto commissario e Mario Berlinguer <514, del Partito d'azione, Alto commissario aggiunto. Se è vero che il decreto innestava accanto e assieme al problema dell'epurazione quello della punizione dei delitti, prevedendo anche la pena di morte per i reati più gravi e decretando l'annullamento delle amnistie emesse durante il fascismo, altrettanto vero è che si manifestava una caratteristica e un limite che avrebbero contraddistinto tutta la legislazione in materia: l'avvicendamento continuo degli organi preposti all'epurazione, primo e decisivo «elemento di disfunzione tecnica e organizzativa» <515, certo imputabile anche alla concomitanza e alle implicazioni del contesto bellico. Dopo la liberazione di Roma, il passaggio dal secondo governo Badoglio a quello di Ivanoe Bonomi <516, il 18 giugno 1944, con la creazione di un esecutivo guidato dai partiti del Comitato di liberazione nazionale, portò l'istanza e il disegno della defascistizzazione ad avere un peso e una decisività che prima non avevano avuto. Uno dei maggiori momenti di svolta per la storia della legislazione e dell'applicazione di epurazione e punizione è infatti il Decreto legislativo luogotenenziale del 27 luglio 1944 n. 159, «Sanzioni contro il fascismo». È stato scritto che tale provvedimento, definito da Hans Woller «la Magna Charta dell'epurazione politica» <517, fu «il cardine principale di tutta la costruzione che, attraverso le sanzioni contro il fascismo, tentava di precostruire le coordinate su cui edificare il nuovo stato democratico» <518. Il decreto agiva in due direzioni principali. Da un lato con il Titolo II regolava, per la prima volta compiutamente, l'epurazione dell'amministrazione: l'articolo 12 stabiliva la dispensa dal servizio «per coloro che, specialmente in alti gradi, col partecipare attivamente alla vita politica del fascismo o con manifestazioni ripetute di apologia fascista, si [erano] mostrati indegni di servire lo stato», ma anche per «coloro che, anche nei gradi minori, [avevano] conseguito nomine ed avanzamenti per il favore del partito o dei gerarchi fascisti». Con gli articoli successivi, l'allontanamento dal servizio era previsto anche per coloro che avessero aderito attivamente alla Repubblica Sociale tra il 1943 e il 1945. Il giudizio di epurazione era affidato, con l'articolo 18, a Commissioni di primo grado costituite presso ogni ministero o amministrazione, ente autonomo, comune, provincia. Queste commissioni avrebbero dovute essere costituite da un magistrato, un funzionario dell'amministrazione o della prefettura, e un terzo membro designato dall'Alto commissario per le sanzioni. Il testo in oggetto sarà la base per la istituzione delle Commissioni provinciali di epurazione (in seguito, Delegazioni provinciali dell'Acsf). Il Titolo V regolava compiutamente le nuove funzioni dell'Alto commissario, cui veniva affidata l'opera di controllo e direzione dell'applicazione di tutta la materia trattata dal decreto in oggetto <519. Pochi giorni dopo l'emanazione del decreto, il conte Sforza veniva confermato Alto commissario, affiancato da quattro alti commissari aggiunti, uno per ogni ramo riconosciuto come parte del processo di defascistizzazione (punizione penale dei delitti, epurazione, liquidazione dei beni fascisti e avocazione dei profitti di regime); tra questi, si sceglieva il comunista Mauro Scoccimarro <520 per l'epurazione dell'amministrazione e veniva confermato l'azionista Mario Berlinguer per la punizione dei delitti.
L'altra direzione in cui agiva, in modo decisivo, il decreto, era infatti quello della punizione dei delitti in sede penale. L'articolo 2 del decreto istituiva un'Alta Corte di giustizia, composta «da un presidente e da otto membri, nominati dal Consiglio dei Ministri fra alti magistrati, in servizio o a riposo, e altre personalità di rettitudine intemerata»; ad essa veniva affidato il compito di perseguire i gerarchi del regime precedente <521. All'Alta Corte veniva assegnato anche il compito di decidere dell'eventuale decadenza dalla carica per i membri di Assemblee legislative (principalmente, i Senatori del regno) «che con i loro voti [avessero contribuito] al mantenimento del regime fascista e a rendere possibile la guerra» <522. L'articolo 3 del Dll permetteva di portare a processo coloro che avessero organizzato squadre fasciste, coloro che avevano promosso o diretto la salita al potere del fascismo nel 1922, coloro che avessero promosso o diretto, tra 1925 e 1926, la trasformazione del fascismo in regime e coloro che avessero contribuito, con «atti rilevanti» - una dicitura che, come sarà possibile vedere in seguito, generò non poche questioni di interpretazione - a mantenere in vita, dopo il 1925, lo stesso regime. Ancora: lo stesso articolo, al suo ultimo comma, rendeva punibili - potenzialmente, almeno - anche tutti quei delitti commessi durante il fascismo «per motivi fascisti o valendosi della situazione creata dal fascismo»; fatti e reati che magari non erano stati precedentemente perseguiti perché, appunto, commessi all'ombra e grazie al clima favorevole del regime <523. È importante quindi evidenziare come, inizialmente, i decreti della transizione prevedessero la possibilità di portare a processo, in sede penale, anche i delitti del fascismo monarchico, del Ventennio di regime, e non solo quelli commessi, nell'ambito del collaborazionismo con i tedeschi occupanti, nel corso del ‘43-‘45. L'articolo 4 stabiliva che i delitti previsti in questi articoli venissero giudicati «dalle Corti d'assise, dai Tribunali e dai Pretori». Le Corti d'assise avrebbero dovuto essere composte da due magistrati e da cinque giudici popolari estratti a sorte da appositi elenchi di cittadini «di condotta morale e politica illibata» <524. Inoltre, con l'articolo 6 del decreto, veniva prevista la possibilità di riaprire casi processuali legati a fatti di violenza che, tra anni Venti e Trenta, avessero visto assoluzioni in favore di squadristi, casi per i quali venisse riconosciuto che tali assoluzioni erano state causate dall'influenza, diretta ma anche indiretta, esercitata dal clima illiberale determinato dal fascismo al potere <525. L'art. 5 del decreto costituiva poi la base giuridica delle imputazioni per il reato di collaborazionismo con il tedesco invasore, per i fatti verificatisi nel contesto della guerra in Italia durante il ‘43-‘45: "Chiunque, posteriormente all'8 settembre 1943, abbia commesso o commetta delitti contro la fedeltà e la difesa militare dello Stato, con qualunque forma di intelligenza o corrispondenza o collaborazione col tedesco invasore, di aiuto o di assistenza ad esso prestata, è punito a norma delle disposizioni del Codice penale militare di guerra. Le pene stabilite per i militari sono applicate anche ai non militari. I militari saranno giudicati dai Tribunali militari, i non militari dai giudici ordinari <526.
[NOTE]
506 Cfr. Regio decreto legge 28 dicembre 1943 n. 29/B, «Defascistizzazione delle Amministrazioni dello Stato, degli Enti locali e parastatali, degli Enti comunque sottoposti a vigilanza o tutela dello Stato e delle aziende private esercenti servizi pubblici o di interesse nazionale».
507 Cfr. Marcello Flores, L'epurazione, in L'Italia dalla liberazione alla repubblica, (Atti del Convegno di Firenze-1976), Regione Toscana, Feltrinelli, Milano 1977, p. 413.
508 Il primo governo del Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio rimase in carica dalla caduta di Mussolini, il 25 luglio 1945, fino alla fine di aprile del 1944 (passando per l'8 settembre e per lo spostamento provvisorio della capitale al Sud). L'iniziativa di Togliatti e la svolta di Salerno dell'aprile 1944 portarono, in cambio del rinvio della questione istituzionale monarchia-repubblica, all'ingresso dei partiti del Cln all'interno dell'esecutivo e alla formazione del II governo Badoglio. Quest'ultimo, rimasto in carica fino alla liberazione di Roma nel giugno 1944, la quale sancì la definitiva leadership del Cln a capo dell'esecutivo, con il governo di Ivanoe Bonomi.
509 M. Flores, L'epurazione, p. 413.
510 Hans Woller, I conti con il fascismo. L'epurazione in Italia 1943-1948, il Mulino, Bologna 1997, p. 55.
511 Cfr. Regio decreto legge (Rdl) 13 aprile 1944, n. 110, «Istituzione di un Alto commissario per la epurazione nazionale dal fascismo».
512 Tito Zaniboni (Mantova 1883-Roma 1960). Veterano e decorato della Grande guerra, deputato socialista alla Camera tra 1921 e 1924, è noto per essere stato uno degli artefici del «patto di pacificazione» tra socialisti e fascisti nell'estate del 1921 (sua controparte principale, Giacomo Acerbo) e, soprattutto, per aver organizzato il primo attentato (fallito) contro Benito Mussolini il 4 novembre 1925 a Roma. Arrestato, processato per alto tradimento a trent'anni di reclusione, venne scarcerato soltanto l'8 settembre 1943. Venne nominato dal Presidente del Consiglio Badoglio primo Alto commissario per le sanzioni al fascismo nel febbraio del 1944; tuttavia, le sinistre, e i socialisti in particolare, valutarono la mossa di Badoglio come una manovra per mantenere stabile, in cambio, la marginalizzazione delle sinistre all'interno del governo; già a maggio, venne valutato di sostituire Zaniboni: al suo posto, venne nominato Carlo Sforza. Zaniboni fu poi Alto commissario per i profughi e i reduci.
513 Carlo Sforza (Montignoso, Massa 1872-Roma 1952). Una delle figure più illustri di raccordo culturale e istituzionale tra Italia liberale e Italia repubblicana e una delle poche a poter vantare, al contempo, una totale estraneità al fascismo. Nobile, di un ramo laterale della celebre casata milanese, si formò a Pisa e fece anzitutto carriera come diplomatico: alle soglie della Prima guerra mondiale, era una delle figure diplomatiche e istituzionali più rispettate anche all'estero. Interventista democratico e convinto sostenitore dei diritti territoriali italiani alla fine del conflitto, ebbe il suo primo incarico politico-istituzionale sotto il governo Nitti, con la nomina a sottosegretario agli Esteri (1919); un anno dopo, Giolitti lo nominò invece Ministro degli Esteri, veste nella quale Sforza guidò l'Italia alla firma del Trattato di Rapallo, che sanciva definitivamente i confini del Paese dopo la Grande guerra. Pur essendo una figura di primissimo piano istituzionale e diplomatico, dimostrò fin da subito la propria diffidenza e poi la propria avversione al fascismo, dimettendosi dalla carica di ambasciatore a Parigi il 30 ottobre 1922, due giorni dopo la marcia su Roma. Fu attivo nell'opposizione parlamentare, e fu uno dei pochissimi senatori che denunciarono esplicitamente, nell'aula del Senato, le responsabilità di Mussolini per la morte di Matteotti. L'anno prima, nel 1924, era stato tra coloro (assieme a Meuccio Ruini, Ivanoe Bonomi, Luigi Einaudi, Carlo Rosselli) che avevano seguito Giovanni Amendola nella fondazione della coraggiosa ma effimera dell'esperienza Unione nazionale democratica liberale. Con il consolidarsi del regime, dopo aver subito una serie di minacce e intimidazioni personali, nel 1927 Sforza decise per l'autoesilio all'estero. Rientrò in Italia alla fine del 1943 per prendere parte al governo Badoglio e del re al Sud, ma si dichiarò fin da subito intenzionato a perseguire la strada dell'allontanamento di Vittorio Emanuele III e della soluzione repubblicana. Fu nominato alla Consulta e poi eletto alla Costituente nelle file del Partito Repubblicano. Fu nuovamente Ministro degli Esteri nel terzo governo De Gasperi (febbraio 1947-maggio 1947), e lo rimase, nonostante il cambiamento dei governi, fino al luglio 1951. In questa veste, similmente a quanto successo alla fine della Grande guerra, firmò i trattati di pace per l'Italia ed ebbe un ruolo decisivo nell'ingresso dell'Italia nelle nuove organizzazioni e alleanze internazionali e di integrazione europea.
514 Mario Berlinguer (Sassari 1891 - Roma 1969). Figlio di un avvocato ed esponente repubblicano sassarese - e padre del Berlinguer decisamente più noto, ovvero il leader del Partito Comunista Enrico Berlinguer (Sassari 1922 - Padova 1984) - Mario Berlinguer entrò giovanissimo nella politica sassarese, aderendo al repubblicanesimo, collaborando con «La Nuova Sardegna», fondata dal padre, e partecipando all'attività di una lega contadina. Si laureò in giurisprudenza nel 1913 discutendo una tesi di filosofia giuridica e l'anno successivo divenne procuratore legale. Dopo la Grande guerra, alla quale partecipò come interventista e volontario, aderì alle posizioni demoliberali di Giovanni Amendola: nel 1924, venne eletto alla Camera dei deputati; nel corso della campagna elettorale, subì violenze squadriste e intimidazioni. Nel frattempo, prese le redini del quotidiano «La Nuova Sardegna», dalle pagine del quale condusse una vigorosa campagna antifascista. Dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti, prese parte alla protesta dell'Aventino, fu tra coloro (Meuccio Ruini, Ivanoe Bonomi e altri) che seguirono Giovanni Amendola nella fondazione dell'effimera Unione Democratica Nazionale, nell'autunno 1924, e fu tra i deputati dichiarati decaduti dalla dittatura nel 1926; anche in questo periodo subì aggressioni e intimidazioni da parte dei fascisti. Nel corso degli anni Trenta, si dedicò alla professione forense, costretto ad estraniarsi dalla lotta politica, pur continuando a mantenere contatti clandestini con vari esponenti e anime antifasciste. Riprese la militanza politica, clandestinamente, già dal 1942: non credendo più nell'idea amendoliana di restaurazione liberale, aderì al programma del neonato Partito Sardo d'Azione e poi del Partito d'Azione nazionale. Già prima del 25 luglio 1943, sulle pagine di un nuovo giornale clandestino, «Avanti Sardegna!», invitò la popolazione alla lotta armata contro il fascismo. Fu rappresentante del Comitato di liberazione nazionale della Sardegna al congresso del Cln a Bari nel gennaio 1944. Con la formazione del governo Bonomi (giugno 1944), fu tra coloro chiamati a dirigere l'Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo, con la delega alla Punizione dei delitti in sede penale, ruolo che rivestì per circa un anno fino al luglio 1945. In quei mesi, svolse anche il ruolo di pubblico ministero in alcuni importanti processi celebrati dall'Alta Corte di giustizia, tra cui quello contro il questore di Roma Pietro Caruso o quello contro il generale Mario Roatta. Fu poi membro della Consulta nazionale tra 1945 e 1946 per il Partito d'Azione; non partecipò all'esperienza della Assemblea Costituente, e dopo lo scioglimento del Partito d'Azione aderì al Partito Socialista Italiano, con il quale avrebbe proseguito tutta la carriera politica: nel 1948 fu eletto senatore nella I legislatura e poi alla Camera per altre tre legislature fino al 1968. Tra 1968 e 1969 dovette ritirarsi in seguito al peggioramento del suo stato di salute, afflitto da una lunga malattia. Morì nel luglio 1969, pochi mesi dopo che suo figlio Enrico, destinato a diventare il più importante leader della sinistra italiana tra anni Settanta e Ottanta, era stato eletto vicesegretario generale del Partito Comunista. La bibliografia su Mario Berlinguer non è ampia; cfr. Francesco M. Biscione, «Mario Berlinguer», in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 34, Treccani 1988, ad nomen e, più recentemente, Massimiliano Paniga, Mario Berlinguer. Avvocato, magistrato e politico nell'Italia del Novecento, FrancoAngeli, Milano 2017.
515 M. Flores, L'epurazione, cit. p. 415.
516 Ivanoe Bonomi (Mantova 1873-Roma 1951). Bonomi costituisce una delle figure di maggior raccordo culturale e istituzionale tra Italia liberale e Italia repubblicana con, nel mezzo, una non così tempestiva avversione al fascismo. Iniziò ventenne la sua carriera politica tra le fila del Partito socialista, e nel frattempo si laureò in scienze naturali e in giurisprudenza. Fu deputato per quattro legislature della Camera tra 1909 e 1925, prima con il Partito socialista e poi con il Partito socialista riformista, dopo l'espulsione dell'area riformista dal Psi nel 1912. Dopo una serie di incarichi ministeriali tra anni Dieci e primi anni Venti, dal luglio 1921 al febbraio 1922 fu Presidente del Consiglio. In questa veste, fu piuttosto acquiescente nei confronti delle formazioni paramilitari fasciste e, diversamente, piuttosto duro nel reprimere quelle antifasciste, tra cui gli Arditi del Popolo. Del resto, già come Ministro della guerra, tra 1920 e 1921, aveva invitato le autorità dell'esercito, attraverso il capo di stato maggiore Pietro Badoglio, a tenere «prudenti contatti informativi» con i fascisti, cfr. Luigi Cortesi, «Ivanoe Bonomi», in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 12, Treccani 1971, ad nomen. Nel novembre del 1922, votò la fiducia al primo governo Mussolini. Nel novembre 1924, tuttavia, aderì all'Unione democratica nazionale di Giovanni Amendola, e dopo il 1925 si ritirò a vita privata. Nel settembre 1942 fondò il giornale clandestino «Ricostruzione». Nel corso del 1943, il suo impegno e i suoi contatti con Badoglio e con il re ebbero un certo peso nelle vicende che portarono alla caduta di Mussolini il 25 luglio. Dopo la caduta del fascismo, venne nominato presidente del Comitato di liberazione nazionale. Successivamente fondò la Democrazia del lavoro, partito di ispirazione riformista e liberal-socialista, al quale aderirono personaggi come Meuccio Ruini, Mario Cevolotto, Enrico Molè. Dopo essere stato scelto come Presidente del Consiglio dell'esecutivo a trazione Cln, successivo alla «svolta di Salerno» e alla Liberazione di Roma, mantenne l'incarico dal giugno 1944 al giugno 1945, con due diverse compagini di sei mesi ciascuna (la seconda, priva del Psi e del Partito d'azione). Dal 1947 partecipò alla delegazione italiana agli accordi di pace. Nel frattempo, era passato al Partito socialista democratico italiano, divenendone presidente. Morì rivestendo la carica di Presidente del Senato nel corso della I legislatura.
517 H. Woller, I conti con il fascismo, cit. p. 193.
518 M. Flores, L'epurazione, cit. p. 419.
519 Così l'art. 40 Dll 27 luglio 1944 n.159, «Sanzioni contro il fascismo»: «Ad assicurare l'applicazione del presente decreto è istituito un Alto commissario per le sanzioni contro il fascismo. L'Alto commissario è nominato su deliberazione del Consiglio dei Ministri ed è per la durata della carica equiparato ai magistrati dell'ordine giudiziario di primo grado. Egli è assistito da alti commissari aggiunti per ciascuno dei rami di sua competenza».
520 Mauro Scoccimarro (Udine 1895-Roma 1972). Eroe di guerra nel 1915-18, nel 1917 aderì al Partito socialista per poi partecipare alla scissione del 1921 e alla fondazione del Partito comunista, partito nel quale militò per il resto della vita. Arrestato a Milano nel 1926 per attività antifascista, venne condannato dal Tribunale speciale a vent'anni di carcere, che scontò a Ponza e a Ventotene. Fu liberato soltanto nell'estate del 1943. Successivamente, partecipò ai quadri direttivi comunisti durante la Resistenza. Concluse l'esperienza presso l'Alto commissariato per diventare, nel dicembre 1944, Ministro dell'Italia occupata, fino al giungo 1945. Fu poi Ministro delle Finanze nel governo Parri, conservando il ruolo dal giugno 1945 al 1947. Deputato all'Assemblea Costituente, fu poi senatore nelle prime cinque legislature repubblicane.
521 Art. 2 del Dll 27 luglio 1944: «I membri del governo fascista e i gerarchi del fascismo, colpevoli di aver annullato le garanzie costituzionali, distrutte le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesse e tradite le sorti del Paese condotto alla attuale catastrofe, sono puniti con l'ergastolo e, nei casi di più grave responsabilità, con la morte. Essi saranno giudicati da un'Alta Corte di giustizia composta di un presidente e di otto membri, nominati dal Consiglio dei Ministri fra alti magistrati, in servizio o a riposo, e fra altre personalità di rettitudine intemerata». Sull'Alta Corte di giustizia mancano testi e lavori ad essa integralmente dedicati. Recentemente (2015), hanno trattato il tema alcune pagine del già citato saggio di Francesca Tacchi, dedicando tuttavia attenzione soprattutto all'attività dei collegi difensivi impegnati nei processi dell'Alta Corte, cfr. F. Tacchi, Difendere i fascisti? Avvocati e avvocate nella giustizia di transizione, in G. Focardi e C. Nubola (a cura di), Nei Tribunali, cit., pp. 56-62. Tacchi riporta che l'Alta Corte celebrò 27 procedimenti contro 99 imputati (di cui ben 68 prosciolti in Camera di consiglio); dal 21 settembre 1944 all'11 ottobre 1945 l'Alta Corte emise 16 sentenze nei confronti di 31 persone; di queste, quattro a morte, sei all'ergastolo, e tre a 30 anni di reclusione, Ivi, p. 60.
522 La questione era trattata dall'ultimo comma dell'articolo 8 del decreto: «[…] Quanto ai membri di Assemblee legislative o di enti ed istituti che con i loro voti o atti contribuirono al mantenimento del regime fascista ed a rendere possibile la guerra, la decadenza della loro carica sarà decisa dall'Alta Corte di cui all'art. 2, ciò senza pregiudizio delle sanzioni di cui al presente decreto in quanto siano applicabili».
523 Articolo 3 del Dll 27 luglio 1944 n.159: «Coloro che hanno organizzato squadre fasciste, le quali hanno compiuto atti di violenza o di devastazione, e coloro che hanno promosso o diretto l'insurrezione del 28 ottobre 1922 sono puniti secondo l'art. 120 del Codice penale del 1889. Coloro che hanno promosso o diretto il colpo di Stato del 3 gennaio 1925 e coloro che hanno in seguito contribuito con atti rilevanti a mantenere in vigore il regime fascista sono puniti secondo l'art. 118 del Codice stesso. Chiunque ha commesso altri delitti per motivi fascisti o valendosi della situazione politica creata dal fascismo è punito secondo le leggi del tempo».
524 Art. 4 del Dll 27 luglio 1944 n.159: «I delitti preveduti dall'articolo precedente sono giudicati, a seconda della rispettiva competenza, dalle Corti d'assise, dai Tribunali e dai Pretori. Le Corti d'assise sono costituite dai due magistrati, previsti dal Testo unico delle disposizioni legislative sull'ordinamento delle Corti di assise, e da cinque giudici popolari estratti a sorte da appositi elenchi di cittadini di condotta morale e politica illibata».
525 Art. 6 del Dll 27 luglio 1944 n.159: «Non può essere invocata la prescrizione del reato e della pena a favore di coloro che, pur essendo colpevoli dei delitti di cui al presente decreto, sono rimasti finora impuniti per l'esistenza stessa del regime fascista. Per lo stesso motivo le amnistie e gli indulti concessi dopo il 28 ottobre 1922 sono inapplicabili ai delitti di cui al presente decreto e, se sono già stati applicati, le relative declaratorie sono revocate. […] Le sentenze pronunziate per gli stessi delitti possono essere dichiarate giuridicamente inesistenti quando sulla decisione abbia influito lo stato di morale coercizione determinato dal fascismo. La pronuncia al riguardo è affidata ad una Sezione della suprema Corte di Cassazione, designata dal Ministro Guardasigilli».
526 Cit. art. 5 del Dll 27 luglio 1944 n. 159, «Sanzioni contro il fascismo».
Matteo Bennati, Una giustizia in transizione. Trame complesse di giustizia e politica nel passaggio dal fascismo alla Repubblica, Tesi di Perfezionamento, Scuola Normale Superiore - Pisa, Anno accademico 2020-2021