Nel dibattito sull’Unione Sovietica, alla descrizione promossa negli ambienti comunisti, volta all’assoluta esaltazione e alla totale cancellazione di ogni aspetto negativo, corrispondeva un’immagine nettamente contrapposta, in cui tali problemi sociali erano messi in evidenza al massimo grado. Per un apparente paradosso, proprio l’assenza di un’ammirazione totale ed incondizionata nelle prese di posizione più favorevoli alla società americana contribuiva a rendere più difficile, per le centrali propagandistiche del campo avverso, la strutturazione di un discorso fondato su un atteggiamento di rifiuto radicale dell’American way of life.
Stando ai primi schemi di argomentazione presentati agli attivisti comunisti dalla redazione di "Propaganda" <1732, dalla campagna elettorale del 1948 in poi, gli Stati Uniti furono posti al centro dell’universo di simboli negativi della sinistra marxista <1733; la propaganda di ostilità era portata avanti dal PCI e dal PSI secondo un modello ripetutamente suggerito a tutto il comunismo internazionale dal Cominform, e di cui erano consapevoli anche gli addetti ai lavori del controspionaggio americano <1734. Nell’ottica della strutturazione della lotta di classe sul piano dei rapporti internazionali, gli Stati Uniti erano considerati il modello di una società capitalistica matura, nella quale si stavano palesando tutti i limiti di un sistema socio-economico destinato ad essere soppiantato dal socialismo <1735. Un editoriale dell’Avanti!, alcuni anni dopo, avrebbe reso esplicito un simile concetto:
"È proprio negli Stati Uniti d’America che oggi l’organizzazione sociale a tipo capitalistico mostra - con palmare evidenza - le proprie insanabili contraddizioni. […] Lo sfrenato individualismo è accoppiato alla più colossale irregimentazione di uomini ridotti sempre più, dalle esigenze di una produzione standardizzata e dalle necessità dello sfruttamento, ad una continua alienazione della propria persona umana". <1736
Il primo spunto polemico, naturalmente, riguardava il limite principale rilevato dal pensiero socialista nel modo di produzione capitalistico: la formazione ed il continuo acuirsi delle disuguaglianze sociali. Quotidiani e periodici di area comunista che si occupavano degli Stati Uniti spesso contrapponevano le figure dei «re della repubblica stellata», come Henry Ford e i magnati dell’industria e della carta stampata, alla vita degli slums, che prima della gentryfication degli anni Sessanta coprivano una buona parte del territorio di Manhattan, il quartiere più famoso del mondo <1737.
In America, però, le sperequazioni di classe erano profondamente intrecciate con le frizioni tra i gruppi etnici e i problemi della discriminazione razziale, spesso sminuiti dagli autori maggiormente affascinati dagli States. Alla fine del 1947, sull’Unità, un simile tema fu trattato attraverso una serie di interventi che insinuavano la presenta del celebre Ku Klux Klan al massimo livello; si parlava addirittura dell’appartenenza all’organizzazione del presidente Truman, e la polemica fu coronata da un assai poco credibile fotomontaggio, pubblicato in prima pagina e descritto dalla didascalia: «un dirigente del Ku-Klux-Klan esce dalla Casa Bianca: chi sarà?» <1738. Successivamente, simili temi furono ripresi in maniera meno eclatante, soprattutto nei servizi fotografici e nelle rubriche di "Vie Nuove": dapprima, individui incappucciati pronti al linciaggio apparvero in alcune vignette, ad esempio mentre si lamentavano con Truman del fatto che armi come la bomba H sterminassero gli esseri umani senza tenere conto della razza <1739; poi le fotografie disponibili di riunioni del KKK furono affiancate da crude immagini di afro-americani impiccati e malmenati, mentre nelle didascalie si ricordava che il Klan era legale negli USA, e che le sue malefatte non trovavano grande rilievo nell’opinione pubblica1740; infine le prese di posizione del Klan, come ad esempio quella che nel 1953 si opponeva alla fine della segregazione scolastica negli stati del Sud, divennero il punto di riferimento per mostrare ai lettori quanto fossero radicati negli Stati Uniti atteggiamenti razzisti, di cui gli episodi di violenza costituivano solo l’aspetto di maggiore risonanza internazionale <1741. Negli anni Cinquanta non mancavano neppure accenni alla discriminazione culturale di altri gruppi etnici, in particolare degli italo-americani, vittime di stereotipi sulla loro scarsa onestà che animavano numerosi film <1742.
Un altro elemento che caratterizzava la degenerazione del capitalismo americano era la diffusione della malavita e del crimine organizzato. Alla fine del 1947, durante la campagna contro Truman, oltre alla sua appartenenza al Ku Klux Klan si ipotizzò un suo contatto con la Mano Nera, potente associazione a delinquere. Nel 1949 sugli organi di stampa comunisti fu ripreso l’argomento, soprattutto per opera di Ezio Taddei. Quest’ultimo condusse un’inchiesta, pubblicata sul periodico giovanile del PCI "Pattuglia", sulla malavita organizzata negli Stati Uniti; in particolare, egli si concentrò sul gruppo controllato da Tom Pandergast, che era attivo in Missouri, lo stato da cui proveniva Truman, e che secondo l’autore ebbe un ruolo di primo piano nel controllo delle dinamiche elettorali <1743. La presunta amicizia tra Pandergast e Truman fu oggetto, in seguito, di alcuni articoli di Taddei sull’Unità, in cui l’operato criminale del boss del Missouri era collegato all’eliminazione di alcuni elementi dei circoli che avversavano il presidente <1744. Oltre a trattare delle implicazioni dei vertici governativi in affari di gangster, Ezio Taddei prendeva in considerazione alcuni indizi sulla preoccupante diffusione dei fenomeni criminali negli USA, in particolare su un aspetto dell’immagine degli USA che già preoccupava i propagandisti americani:
"Vedendo i films americani spesso ci si chiede come mai i registi e i soggettisti holliwoodiani siano ossessionati dai “gangsters”. In realtà il gangsterismo è un tema dominante nel cinema americano semplicemente perché lo è anche nella realtà americana. […] In ogni città c’è una gang. O meglio una “macchina”. Queste sono dei grandi apparati criminali, ognuno posto sotto la protezione di un uomo politico che la “macchina” stessa ha fatto eleggere. Aggiungete a tutto questo la connivenza della polizia, quasi sempre corrotta e prezzolata, la protezione palese dei grandi “trusts” e delle coalizioni bancarie ed industriali […]". <1745
Probabilmente, l’elemento destinato a divenire il simbolo più comune e longevo della pretesa incompatibilità del modello sociale americano con quello che i comunisti immaginavano per l’Italia, e del rifiuto di ogni forma di penetrazione culturale “a stelle e strisce”, fu la coca-cola. La bibita iniziò ad essere distribuita fuori dagli USA fin dagli anni Trenta, ma soltanto con il dopoguerra, in seguito al contatto diretto della popolazione europea con i soldati americani, essa impiantò un solido mercato nella parte occidentale del vecchio continente. Il successo fu tale che tra i produttori locali di bevande iniziò a serpeggiare una certa inquietudine. Laddove i partiti comunisti avevano forza <1746, essi supportarono le lamentele dei commercianti italiani in vino ed arance per una concorrenza ritenuta non solo catastrofica per un importante settore del mercato <1747, ma pure sleale perché supportata dalla pubblicità originariamente destinata al piano Marshall <1748; gli organi di stampa di sinistra, inoltre, aiutarono a diffondere le insinuazioni circa i problemi di salute che potevano essere collegati al consumo di coca-cola <1749.
Fu proprio in questi articoli presentati dalla stampa comunista che iniziò ad essere usato, senza però prendere particolarmente piede in Italia, il termine coca-colonizzazione, poi ripreso anni dopo per definire il processo di omologazione culturale iniziato nei primi anni Cinquanta <1750, e in molte occasioni gli scritti furono accompagnati da illustrazioni destinate ad essere riprese sulla stampa locale, come la vignetta in cui il protagonista del manifesto pubblicitario della coca-cola prendeva vita per mandare un ragazzino a comperargli del Frascati; l’aspetto più singolare di simili polemiche fu però il fatto che neppure i più irriverenti autori satirici di orientamento anticomunista, come Guareschi, misero in ridicolo una campagna così impegnativa per un tema apparentemente privo di importanza, quasi a dimostrare che l’appoggio offerto dalle categorie sociali più preoccupate dalla concorrenza americana non poteva essere sottovalutato <1751.
Come ha osservato Philippe Roger nella sua ricerca sull’antiamericanismo francese, i sentimenti di ostilità verso gli Stati Uniti si manifestano attraverso un discorso che raggruppa posizioni ed argomentazioni assai distanti, ed apparentemente opposte dal punto di vista ideale, al punto che spesso sono comuni a culture politiche diverse <1752. Anche secondo la Nacci, l’antiamericanismo di natura prettamente anticapitalista, diffuso da PCI e PSI, era collegato a «giudizi impliciti» che andavano al di là «della coppia capitalismo/socialismo».
Sono giudizi che riguardano […] il modo tradizionale di vivere rispetto a un modo che si può definire moderno, urbano, avanzato, industriale, sviluppato, […]. Su questi giudizi impliciti, […] che sono assai chiari ad esempio nella contrapposizione fra realtà americana disumana e umanesimo socialista, poteva esserci accordo con un ventaglio di opinioni molto ampio, che andava dai reazionari ai liberali più avanzati passando per i conservatori. <1753
Sviluppando l’idea di base, radicata nella cultura e nell’universo di comportamenti della base comunista, secondo la quale la deviazione dalla moralità comunemente accettata costituiva un sintomo della degenerazione della società capitalistica, nella stampa di sinistra dei primi anni Cinquanta furono sempre più numerose le critiche alla leggerezza morale diffusa negli Stati Uniti. Non mancavano accenni critici al perbenismo di facciata che sembrava così diffuso negli States, e che portava alla condanna senza appello dell’unione extraconiugale tra Rossellini ed Ingrid Bergman da parte delle stesse persone che plaudivano al linciaggio dei neri <1754; in generale, però, i toni dimostravano una comprensione assai minore di quella degli scrittori di estrazione liberale per comportamenti non canonici.
[NOTE]
1732 Cfr. la rubrica “Vera democrazia, falsa democrazia”, Propaganda, 1-2, 5/XII/1947, p. 11.
1733 Cfr. D. Kertzer, Politics and Symbols cit., pp. 17 e ss. e 41, e F. Andreucci, Falce e martello cit., pp. 188-189.
1734 cfr. F. Bowen Evans (ed.), Worldwide Communism Propaganda Activities, New York, MacMillan Company, 1955, pp. 43 e ss.
1735 Il riferimento più autorevole è ancora una volta A. Zdanov, “Politica e ideologia” cit., pp. 29 e ss.
1736 L. Matteucci, “Il ballo sulla corda”, Avanti!, 8/VI/1950, p. 1.
1737 Cfr. Epoca Americana, supplemento a Vie Nuove, VI, 4, 29/I/1951, pp. 2 e 11.
1738 L’Unità, 15/X/1947, p. 1.
1739 Vie Nuove, V, 17, 23/IV/1950, p. 15.
1740 Epoca Americana cit.,pp. 22-23.
1741 C. Cafiero, “Scuola con le sbarre”, Vie Nuove, IX, 1, 4/I/1953, pp. 10-11.
1742 cfr. ad es. la raccolte di immagini sul film La casa degli stranieri, Vie Nuove, V, 2, 8/I/1950, p. 20.
1743 Cfr. “Mano nera e casa bianca”, Pattuglia, IV, 4, 6-20/III/1949, p. 4.
1744 Cfr. ad es. “Truman dedicò la sua foto al ‘camerata e consigliere Pandergast’”, L’Unità, 11/IV/1950, p. 3.
1745 E. Taddei, “Elezioni di Sangue”, Pattuglia, IV, 5, 8/IV/1949, p. 4. Cfr. anche Epoca americana cit., passim.
1746 Per quanto riguarda il caso francese, cfr. R.F. Kuisel, Seducing the French cit., pp. 52-54.
1747 Cfr. ad es. G. Doria, “Vino e arance battuti dal coca-cola”, Vie Nuove, V, 7, 12/II/1950, p. 5.
1748 F. Funghi, “Il generale Marshall sferra l’offensiva del coca-cola”, Vie Nuove, III, 12, 21/III/1948, p. 10.
1749 F. r. “Veleni nel cibo”, Vie Nuove, V, 13, 26/III/1950, p. 17.
1750 Il caso forse più noto di ripresa di tale gioco di parole è il già citato lavoro di R. Wagneiter, Coca-colonization and the Cold War.
1751 Sulla campagna comunista contro la coca-cola messa in atto all’inizio degli anni Cinquanta, cfr. G. Guareschi, “Nunc est bibendum”, Candido, VI, 21, 21/V/1950, p. 1.
1752 P. Roger, L’ennemi américain. Généalogie de l’antiaméricanisme français, Paris, Seuil, 2002.
1753 “Contro la civiltà dell’abbondanza…”, pp. 242-243.
1754 Un simile tema fu sviluppato in numerose vignette pubblicate su Vie Nuove nella seconda parte del 1947.
Andrea Mariuzzo, Comunismo e anticomunismo in Italia (1945-1953). Strategie comunicative e conflitto politico, Tesi di Perfezionamento, Scuola Normale Superiore - Pisa, 2006
Stando ai primi schemi di argomentazione presentati agli attivisti comunisti dalla redazione di "Propaganda" <1732, dalla campagna elettorale del 1948 in poi, gli Stati Uniti furono posti al centro dell’universo di simboli negativi della sinistra marxista <1733; la propaganda di ostilità era portata avanti dal PCI e dal PSI secondo un modello ripetutamente suggerito a tutto il comunismo internazionale dal Cominform, e di cui erano consapevoli anche gli addetti ai lavori del controspionaggio americano <1734. Nell’ottica della strutturazione della lotta di classe sul piano dei rapporti internazionali, gli Stati Uniti erano considerati il modello di una società capitalistica matura, nella quale si stavano palesando tutti i limiti di un sistema socio-economico destinato ad essere soppiantato dal socialismo <1735. Un editoriale dell’Avanti!, alcuni anni dopo, avrebbe reso esplicito un simile concetto:
"È proprio negli Stati Uniti d’America che oggi l’organizzazione sociale a tipo capitalistico mostra - con palmare evidenza - le proprie insanabili contraddizioni. […] Lo sfrenato individualismo è accoppiato alla più colossale irregimentazione di uomini ridotti sempre più, dalle esigenze di una produzione standardizzata e dalle necessità dello sfruttamento, ad una continua alienazione della propria persona umana". <1736
Il primo spunto polemico, naturalmente, riguardava il limite principale rilevato dal pensiero socialista nel modo di produzione capitalistico: la formazione ed il continuo acuirsi delle disuguaglianze sociali. Quotidiani e periodici di area comunista che si occupavano degli Stati Uniti spesso contrapponevano le figure dei «re della repubblica stellata», come Henry Ford e i magnati dell’industria e della carta stampata, alla vita degli slums, che prima della gentryfication degli anni Sessanta coprivano una buona parte del territorio di Manhattan, il quartiere più famoso del mondo <1737.
In America, però, le sperequazioni di classe erano profondamente intrecciate con le frizioni tra i gruppi etnici e i problemi della discriminazione razziale, spesso sminuiti dagli autori maggiormente affascinati dagli States. Alla fine del 1947, sull’Unità, un simile tema fu trattato attraverso una serie di interventi che insinuavano la presenta del celebre Ku Klux Klan al massimo livello; si parlava addirittura dell’appartenenza all’organizzazione del presidente Truman, e la polemica fu coronata da un assai poco credibile fotomontaggio, pubblicato in prima pagina e descritto dalla didascalia: «un dirigente del Ku-Klux-Klan esce dalla Casa Bianca: chi sarà?» <1738. Successivamente, simili temi furono ripresi in maniera meno eclatante, soprattutto nei servizi fotografici e nelle rubriche di "Vie Nuove": dapprima, individui incappucciati pronti al linciaggio apparvero in alcune vignette, ad esempio mentre si lamentavano con Truman del fatto che armi come la bomba H sterminassero gli esseri umani senza tenere conto della razza <1739; poi le fotografie disponibili di riunioni del KKK furono affiancate da crude immagini di afro-americani impiccati e malmenati, mentre nelle didascalie si ricordava che il Klan era legale negli USA, e che le sue malefatte non trovavano grande rilievo nell’opinione pubblica1740; infine le prese di posizione del Klan, come ad esempio quella che nel 1953 si opponeva alla fine della segregazione scolastica negli stati del Sud, divennero il punto di riferimento per mostrare ai lettori quanto fossero radicati negli Stati Uniti atteggiamenti razzisti, di cui gli episodi di violenza costituivano solo l’aspetto di maggiore risonanza internazionale <1741. Negli anni Cinquanta non mancavano neppure accenni alla discriminazione culturale di altri gruppi etnici, in particolare degli italo-americani, vittime di stereotipi sulla loro scarsa onestà che animavano numerosi film <1742.
Un altro elemento che caratterizzava la degenerazione del capitalismo americano era la diffusione della malavita e del crimine organizzato. Alla fine del 1947, durante la campagna contro Truman, oltre alla sua appartenenza al Ku Klux Klan si ipotizzò un suo contatto con la Mano Nera, potente associazione a delinquere. Nel 1949 sugli organi di stampa comunisti fu ripreso l’argomento, soprattutto per opera di Ezio Taddei. Quest’ultimo condusse un’inchiesta, pubblicata sul periodico giovanile del PCI "Pattuglia", sulla malavita organizzata negli Stati Uniti; in particolare, egli si concentrò sul gruppo controllato da Tom Pandergast, che era attivo in Missouri, lo stato da cui proveniva Truman, e che secondo l’autore ebbe un ruolo di primo piano nel controllo delle dinamiche elettorali <1743. La presunta amicizia tra Pandergast e Truman fu oggetto, in seguito, di alcuni articoli di Taddei sull’Unità, in cui l’operato criminale del boss del Missouri era collegato all’eliminazione di alcuni elementi dei circoli che avversavano il presidente <1744. Oltre a trattare delle implicazioni dei vertici governativi in affari di gangster, Ezio Taddei prendeva in considerazione alcuni indizi sulla preoccupante diffusione dei fenomeni criminali negli USA, in particolare su un aspetto dell’immagine degli USA che già preoccupava i propagandisti americani:
"Vedendo i films americani spesso ci si chiede come mai i registi e i soggettisti holliwoodiani siano ossessionati dai “gangsters”. In realtà il gangsterismo è un tema dominante nel cinema americano semplicemente perché lo è anche nella realtà americana. […] In ogni città c’è una gang. O meglio una “macchina”. Queste sono dei grandi apparati criminali, ognuno posto sotto la protezione di un uomo politico che la “macchina” stessa ha fatto eleggere. Aggiungete a tutto questo la connivenza della polizia, quasi sempre corrotta e prezzolata, la protezione palese dei grandi “trusts” e delle coalizioni bancarie ed industriali […]". <1745
Probabilmente, l’elemento destinato a divenire il simbolo più comune e longevo della pretesa incompatibilità del modello sociale americano con quello che i comunisti immaginavano per l’Italia, e del rifiuto di ogni forma di penetrazione culturale “a stelle e strisce”, fu la coca-cola. La bibita iniziò ad essere distribuita fuori dagli USA fin dagli anni Trenta, ma soltanto con il dopoguerra, in seguito al contatto diretto della popolazione europea con i soldati americani, essa impiantò un solido mercato nella parte occidentale del vecchio continente. Il successo fu tale che tra i produttori locali di bevande iniziò a serpeggiare una certa inquietudine. Laddove i partiti comunisti avevano forza <1746, essi supportarono le lamentele dei commercianti italiani in vino ed arance per una concorrenza ritenuta non solo catastrofica per un importante settore del mercato <1747, ma pure sleale perché supportata dalla pubblicità originariamente destinata al piano Marshall <1748; gli organi di stampa di sinistra, inoltre, aiutarono a diffondere le insinuazioni circa i problemi di salute che potevano essere collegati al consumo di coca-cola <1749.
Fu proprio in questi articoli presentati dalla stampa comunista che iniziò ad essere usato, senza però prendere particolarmente piede in Italia, il termine coca-colonizzazione, poi ripreso anni dopo per definire il processo di omologazione culturale iniziato nei primi anni Cinquanta <1750, e in molte occasioni gli scritti furono accompagnati da illustrazioni destinate ad essere riprese sulla stampa locale, come la vignetta in cui il protagonista del manifesto pubblicitario della coca-cola prendeva vita per mandare un ragazzino a comperargli del Frascati; l’aspetto più singolare di simili polemiche fu però il fatto che neppure i più irriverenti autori satirici di orientamento anticomunista, come Guareschi, misero in ridicolo una campagna così impegnativa per un tema apparentemente privo di importanza, quasi a dimostrare che l’appoggio offerto dalle categorie sociali più preoccupate dalla concorrenza americana non poteva essere sottovalutato <1751.
Come ha osservato Philippe Roger nella sua ricerca sull’antiamericanismo francese, i sentimenti di ostilità verso gli Stati Uniti si manifestano attraverso un discorso che raggruppa posizioni ed argomentazioni assai distanti, ed apparentemente opposte dal punto di vista ideale, al punto che spesso sono comuni a culture politiche diverse <1752. Anche secondo la Nacci, l’antiamericanismo di natura prettamente anticapitalista, diffuso da PCI e PSI, era collegato a «giudizi impliciti» che andavano al di là «della coppia capitalismo/socialismo».
Sono giudizi che riguardano […] il modo tradizionale di vivere rispetto a un modo che si può definire moderno, urbano, avanzato, industriale, sviluppato, […]. Su questi giudizi impliciti, […] che sono assai chiari ad esempio nella contrapposizione fra realtà americana disumana e umanesimo socialista, poteva esserci accordo con un ventaglio di opinioni molto ampio, che andava dai reazionari ai liberali più avanzati passando per i conservatori. <1753
Sviluppando l’idea di base, radicata nella cultura e nell’universo di comportamenti della base comunista, secondo la quale la deviazione dalla moralità comunemente accettata costituiva un sintomo della degenerazione della società capitalistica, nella stampa di sinistra dei primi anni Cinquanta furono sempre più numerose le critiche alla leggerezza morale diffusa negli Stati Uniti. Non mancavano accenni critici al perbenismo di facciata che sembrava così diffuso negli States, e che portava alla condanna senza appello dell’unione extraconiugale tra Rossellini ed Ingrid Bergman da parte delle stesse persone che plaudivano al linciaggio dei neri <1754; in generale, però, i toni dimostravano una comprensione assai minore di quella degli scrittori di estrazione liberale per comportamenti non canonici.
[NOTE]
1732 Cfr. la rubrica “Vera democrazia, falsa democrazia”, Propaganda, 1-2, 5/XII/1947, p. 11.
1733 Cfr. D. Kertzer, Politics and Symbols cit., pp. 17 e ss. e 41, e F. Andreucci, Falce e martello cit., pp. 188-189.
1734 cfr. F. Bowen Evans (ed.), Worldwide Communism Propaganda Activities, New York, MacMillan Company, 1955, pp. 43 e ss.
1735 Il riferimento più autorevole è ancora una volta A. Zdanov, “Politica e ideologia” cit., pp. 29 e ss.
1736 L. Matteucci, “Il ballo sulla corda”, Avanti!, 8/VI/1950, p. 1.
1737 Cfr. Epoca Americana, supplemento a Vie Nuove, VI, 4, 29/I/1951, pp. 2 e 11.
1738 L’Unità, 15/X/1947, p. 1.
1739 Vie Nuove, V, 17, 23/IV/1950, p. 15.
1740 Epoca Americana cit.,pp. 22-23.
1741 C. Cafiero, “Scuola con le sbarre”, Vie Nuove, IX, 1, 4/I/1953, pp. 10-11.
1742 cfr. ad es. la raccolte di immagini sul film La casa degli stranieri, Vie Nuove, V, 2, 8/I/1950, p. 20.
1743 Cfr. “Mano nera e casa bianca”, Pattuglia, IV, 4, 6-20/III/1949, p. 4.
1744 Cfr. ad es. “Truman dedicò la sua foto al ‘camerata e consigliere Pandergast’”, L’Unità, 11/IV/1950, p. 3.
1745 E. Taddei, “Elezioni di Sangue”, Pattuglia, IV, 5, 8/IV/1949, p. 4. Cfr. anche Epoca americana cit., passim.
1746 Per quanto riguarda il caso francese, cfr. R.F. Kuisel, Seducing the French cit., pp. 52-54.
1747 Cfr. ad es. G. Doria, “Vino e arance battuti dal coca-cola”, Vie Nuove, V, 7, 12/II/1950, p. 5.
1748 F. Funghi, “Il generale Marshall sferra l’offensiva del coca-cola”, Vie Nuove, III, 12, 21/III/1948, p. 10.
1749 F. r. “Veleni nel cibo”, Vie Nuove, V, 13, 26/III/1950, p. 17.
1750 Il caso forse più noto di ripresa di tale gioco di parole è il già citato lavoro di R. Wagneiter, Coca-colonization and the Cold War.
1751 Sulla campagna comunista contro la coca-cola messa in atto all’inizio degli anni Cinquanta, cfr. G. Guareschi, “Nunc est bibendum”, Candido, VI, 21, 21/V/1950, p. 1.
1752 P. Roger, L’ennemi américain. Généalogie de l’antiaméricanisme français, Paris, Seuil, 2002.
1753 “Contro la civiltà dell’abbondanza…”, pp. 242-243.
1754 Un simile tema fu sviluppato in numerose vignette pubblicate su Vie Nuove nella seconda parte del 1947.
Andrea Mariuzzo, Comunismo e anticomunismo in Italia (1945-1953). Strategie comunicative e conflitto politico, Tesi di Perfezionamento, Scuola Normale Superiore - Pisa, 2006