[...] quanto è stato scritto dal giornalista-scrittore Dino Buzzati, dai cronisti del quotidiano “La Sicilia” e dal giornalista-scrittore Antonio Prestinenza, sul caso Rina Fort, chiamata anche "belva friulana", che alla fine del 1946 uccise la moglie ed i figli del suo amante catanese. Dall’analisi degli articoli di Buzzati e di quelli presenti sul quotidiano “La Sicilia” è emerso il contributo originale che la letteratura può offrire alla cronaca nera. Infatti, proprio la scrittura di Buzzati e quella di Prestinenza ci permettono di andare oltre l’accaduto scavando dentro l’animo umano e facendoci riflettere. Ciò marca la differenza dal giornalismo di cronaca nera tradizionale che si limita a narrare i fatti accaduti. La curiosità verso questo preciso caso di studio mi ha portato a fare anche una visita a Milano nei luoghi della tragedia ed a intervistare una anziana signora molto gentile e disponibile che fu testimone dei fatti.
[...] Nell’incipit dell’articolo, pubblicato il 3 dicembre 1946 su “Il Nuovo Corriere della Sera” ed intitolato “Un’ombra gira tra di noi”, Buzzati scrive: «Una specie di demonio si aggira dunque per la città, invisibile, e sta forse preparandosi a nuovo sangue» <12. Si evince che l’autore vuole mostrarci la paura di ogni individuo di poter trovare di fronte a sé un serial killer che potrebbe commettere nuovamente il reato. Interessante notare come questo incipit ci immerge direttamente in una situazione di tensione che provoca ansia e terrore e colpisce il lettore che si trova davanti ad una donna che uccide la sua «rivale e i suoi tre figlioletti» <13.
L’autore descrive poi una situazione di spensieratezza raccontando cosa accadeva nelle case degli italiani nella vita quotidiana: al momento del rientro a casa, della cena, ed infine, del mettersi a letto e spegnere le luci.
Leggendo queste poche righe è come se ci si trovasse in una narrazione di eventi abitudinari, della quotidianità. Ad un tratto nella narrazione si legge dell’improvviso risveglio della città: “D’improvviso però la città si svegliò”. Particolare rilievo assume questo svegliarsi; infatti a mio modesto parere, andando oltre il possibile significato dell’alzarsi dal letto, questa locuzione può benissimo riferirsi al rendersi conto di quanto fosse accaduto la sera prima.
Nell’articolo non viene narrato pedissequamente quanto accaduto ma vengono sottolineate le paure della gente: prima fra tutte la paura che quanto successo la sera prima possa avvenire a qualcun altro; infatti l’autore scrive: «[...] un sottile impalpabile panico si è irradiato dal sinistro numero 40 di via San Gregorio. Noi siamo ben chiusi in casa con le porte sprangate, eppure lo sentiamo vagare intorno, nelle ore alte della notte, e strisciare lungo le trombe della scala. [...]» <14; ma a sottolineare la paura e la volontà di “scovare” quest’ombra è la chiusura dell’articolo dove leggiamo: «[...] Egli gira invisibile, covando il male, e non sarà mai stanco. Bisogna scovarlo. Occorre togliergli l’aria, incalzarlo oltre i confini estremi della città [...]» <15.
In questo passo è possibile proprio vedere la volontà di trovare quest’ombra, che altro non è se non una metafora per identificare il killer, e catturarlo così che non possa più compiere altri delitti.
[NOTE]
12 Lorenzo Viganò (a cura di), La «nera» di Dino Buzzati.., cit., p. 45.
13 Ibidem.
14 Lorenzo Viganò (a cura di), La «nera» di Dino Buzzati..., cit., p. 47.
15 Ibidem.
Rosa Maria Carmela Spanò, La Cronaca nera raccontata da un giornalista-scrittore: il caso della "Belva friulana" (1946), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Catania, Anno Accademico 2017/2018
[...] Nell’incipit dell’articolo, pubblicato il 3 dicembre 1946 su “Il Nuovo Corriere della Sera” ed intitolato “Un’ombra gira tra di noi”, Buzzati scrive: «Una specie di demonio si aggira dunque per la città, invisibile, e sta forse preparandosi a nuovo sangue» <12. Si evince che l’autore vuole mostrarci la paura di ogni individuo di poter trovare di fronte a sé un serial killer che potrebbe commettere nuovamente il reato. Interessante notare come questo incipit ci immerge direttamente in una situazione di tensione che provoca ansia e terrore e colpisce il lettore che si trova davanti ad una donna che uccide la sua «rivale e i suoi tre figlioletti» <13.
L’autore descrive poi una situazione di spensieratezza raccontando cosa accadeva nelle case degli italiani nella vita quotidiana: al momento del rientro a casa, della cena, ed infine, del mettersi a letto e spegnere le luci.
Leggendo queste poche righe è come se ci si trovasse in una narrazione di eventi abitudinari, della quotidianità. Ad un tratto nella narrazione si legge dell’improvviso risveglio della città: “D’improvviso però la città si svegliò”. Particolare rilievo assume questo svegliarsi; infatti a mio modesto parere, andando oltre il possibile significato dell’alzarsi dal letto, questa locuzione può benissimo riferirsi al rendersi conto di quanto fosse accaduto la sera prima.
Nell’articolo non viene narrato pedissequamente quanto accaduto ma vengono sottolineate le paure della gente: prima fra tutte la paura che quanto successo la sera prima possa avvenire a qualcun altro; infatti l’autore scrive: «[...] un sottile impalpabile panico si è irradiato dal sinistro numero 40 di via San Gregorio. Noi siamo ben chiusi in casa con le porte sprangate, eppure lo sentiamo vagare intorno, nelle ore alte della notte, e strisciare lungo le trombe della scala. [...]» <14; ma a sottolineare la paura e la volontà di “scovare” quest’ombra è la chiusura dell’articolo dove leggiamo: «[...] Egli gira invisibile, covando il male, e non sarà mai stanco. Bisogna scovarlo. Occorre togliergli l’aria, incalzarlo oltre i confini estremi della città [...]» <15.
In questo passo è possibile proprio vedere la volontà di trovare quest’ombra, che altro non è se non una metafora per identificare il killer, e catturarlo così che non possa più compiere altri delitti.
[NOTE]
12 Lorenzo Viganò (a cura di), La «nera» di Dino Buzzati.., cit., p. 45.
13 Ibidem.
14 Lorenzo Viganò (a cura di), La «nera» di Dino Buzzati..., cit., p. 47.
15 Ibidem.
Rosa Maria Carmela Spanò, La Cronaca nera raccontata da un giornalista-scrittore: il caso della "Belva friulana" (1946), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Catania, Anno Accademico 2017/2018
In questo paragrafo metterò a confronto l’articolo 'Un’ombra gira tra di noi', pubblicato su «Il Nuovo Corriere della Sera» il 3 dicembre 1947, e il racconto 'Il lupo', pubblicato sempre sul «Corriere» il 18 dicembre 1947 e inserito da Claudio Marabini nella raccolta postuma "Bestiario".
L’intervallo di tempo è molto breve e, seguendo la logica di questo capitolo, il racconto dovrebbe esser stato scritto da Buzzati poco dopo la stesura dell’articolo affidatogli.
Se anche il racconto precedesse l’articolo, i legami presenti tra i due testi risulterebbero comunque altrettanto validi.
Buzzati in entrambi gli scritti cerca di dare forma a quella sensazione di disagio, che caratterizza anche la raccolta "Paura alla Scala", percepibile nella situazione dell’immediato dopoguerra in Italia. L’incipit del racconto "Il lupo" parte proprio da queste considerazioni:
"Per una ragione o per l’altra nella città non si vive mai tranquilli. Finite le paure della guerra, scomparsi chissà dove i briganti, cessate le pestilenze, si sperava di poter stare per qualche tempo in pace". <1
Lo spaesamento dopo gli orrori della guerra non è stato ancora riassorbito e il risveglio della criminalità cittadina appare surreale dopo le atrocità vissute nel corso di tutto il conflitto.
"Perché agli spettacoli più fantasiosi di morte violenta la gente aveva fatto negli ultimi anni un allenamento senza pari, e la vendetta - che ad onta dei millenari miti e della triste favola dell’onore è pur sempre uno dei sentimenti più abietti - aveva negli ultimi anni celebrato dovunque sagre di incomparabile potenza, e un morto ammazzato, o due, o cento in un colpo solo non riuscivano più a far vacillare l’irrobustita sensibilità dei nostri cuori. <2
Ma l’eccidio di via San Gregorio, compiuto da Rina Fort, ha dell’incredibile: è inspiegabile come una donna accecata dalla gelosia abbia potuto uccidere brutalmente a sangue freddo una donna e tre bambini piccoli. L’opinione pubblica rimase sconvolta di fronte a un delitto così efferato e infatti Buzzati nel suo articolo prosegue così:
"Ma questa volta il massacro conteneva una oscura inverosimiglianza che la cattiveria, la gelosia, l’avidità, la bassezza d’animo non bastavano, neppure assommate, a spiegare". (A, 46)
Per Buzzati l’unica spiegazione è che un’entità malvagia abbia agito e usato una donna corrotta per compiere la sua missione.
Tutta la produzione buzzatiana è ricca di figure diaboliche, molte più di quelle angeliche, che spingono gli esseri umani verso il peccato e la dannazione. In effetti, Buzzati confessò a Panafieu, in una delle interviste contenute in Un autoritratto, di essere rimasto terribilmente affascinato dall’idea cristiana dell’Inferno. <3
Buzzati, di fronte a gesti tanto estremi da non poterli credere veri, si serve della personificazione del male per dare spiegazione di così tanta crudeltà.
"Qualcun altro, diverso da noi, era necessariamente intervenuto l’altra sera, un personaggio delle tenebre vogliamo dire, proprio come in certe storie antiche, il medesimo forse che da troppo tempo va infestando le nostre contrade". (A, 46)
Si tratterebbe di un’entità che vive nell’oscurità della notte, o nel profondo fitto della boscaglia, come il misterioso lupo che si aggira per le strade di Milano:
"Poi le enigmatiche impronte divennero sempre più frequenti. E non sempre nelle stesse zone. Le segnalazioni venivano dai più disparati quartieri, tutte singolarmente concordi. In alcuni casi furono trovate in corrispondenza con le orme, larghe chiazze di sangue". (R, 72)
C’è inoltre da considerare che l’oscurità da cui proviene il male, in entrambi i casi, permea il testo anche dal punto di vista temporale, poiché l’ambientazione è notturna.
Il delitto, infatti, è avvenuto nel cuore della notte:
"L’altra sera noi eravamo a tavola per il pranzo quando poche case più in là una donna ancora giovane massacrava con una spranga di ferro la rivale e i suoi tre figlioletti". (A, 45)
Mentre nel racconto, il lupo, che è cacciatore notturno, lascia delle impronte che verranno scoperte solo la mattina dopo: «All’alba i guardiani, i portieri, gli addetti alla nettezza urbana si chineranno sulla fanghiglia, incuriositi: la belva è passata di là». <4
Allo stesso modo anche i cadaveri delle povere vittime sono stati ritrovati alle nove del mattino seguente.
L’atmosfera in entrambi i testi è cupa, ma per quel che riguarda il colore nero, questo compare solo in due casi, in azioni durative: nell’articolo il colore del sangue, che abbandona i corpi, da inizialmente brillante, nel corso della notte, diventa nero; nel racconto, invece, sono le strade, per chi si attarda alla sera, a diventare sempre più «deserte e nere».
La concezione del male, come entità misteriosa e furtiva che si aggira per la città di Milano, è uno dei temi che questi testi hanno quindi in comune.
"Una specie di demonio si aggira dunque per la città, invisibile, e sta forse preparandosi a nuovo sangue". (A, 45)
Si tratta di qualcosa di impalpabile che «nelle ore alte della notte» inizia a «strisciare lungo le trombe delle scale», <5 così come «striscia fin qui lentamente la vecchia amica nebbia». <6
La popolazione di Milano non parla d’altro: «Sì, un sottile impalpabile panico si è irradiato dal sinistro numero 40 di via San Gregorio», <7 mentre a causa del lupo «sono là, a centinaia, dietro le porte, le orecchie incollate alla fessura tra i due battenti, curvi, il fiato sospeso, se mai si oda di fuori un fruscio animalesco». <8
È curioso notare come mescolando i testi, essi conservino comunque la loro coerenza, come se si trattasse di un’unica narrazione.
Il secondo elemento che ritengo fondamentale è che, in entrambi i testi, il punto di vista privilegiato è quello di chi osserva dalla strada le abitazioni. Lo sguardo è sempre esterno e arriva sempre dal basso, non si tratta mai di una visione panoramica della città, ma una descrizione dettata dalla totale immersione nelle vie del centro.
"Negli appartamenti vicini continuavano, fra tintinnio di posate e stanchi dialoghi, i pranzi familiari come nulla fosse successo, e poi le luci ad una ad una si spensero, solo rimase accesa nel cortile quell’unica finestra al primo piano, e i ritardatari, passando, pensarono che lassù forse un bambino era malato, o una mamma era rimasta alzata tardi a lavorare, o altra scena, dietro quei vetri, di notturna intimità domestica". (A, 45)
"Camminiamo, e i passi risuonano con echi enormi, e le case intorno fanno finta di dormire, invece sono gremite di creature sveglie che aspettano, come tante sentinelle". (R, 72)
Anche qualora vengano descritti gli interni delle case, Buzzati insiste sempre sulla porta o le finestre, punto di contatto con l’esterno, da dove può appunto giungere il pericolo. Buzzati si mescola alla gente per strada rilevando gli umori della folla, ma allo stesso tempo vuole amalgamarsi anche con l’atmosfera notturna delle vie di Milano, in cui si riversa il crimine. Quest’ultima prospettiva è la stessa degli articoli raccolti in "Le notti bianche del 777", in cui Buzzati avrà modo di sperimentare a pieno esattamente questo tipo di punto di vista.
Prima di concludere mi sembra molto interessante inserire nel confronto un altro racconto buzzatiano, pubblicato il 19 gennaio 1956 su «Il Nuovo Corriere della Sera» e intitolato significativamente L’assassino. Il racconto, inserito da Lorenzo Viganò nel volume "Fantasmi" di "Cronache fantastiche", riporta i pensieri angosciati di un padre di famiglia che vive in una città dove si aggira uno spietatissimo killer. Nonostante nell’epilogo l’assassino venga catturato e ucciso, la morale del racconto esplicita la reale provenienza della paura:
“Non dai labirinti malfamati della Solfiera viene infatti la paura a te, non dall’angolo della strada, non dall’ombra lugubre dell’autorimessa abbandonata, non dalle 2 e dieci della notte, non dal richiamo all’estremità del pantanoso vicolo (simile al verso del piviere) non da ciò che tu puoi vedere e udire. […] Ciò, o colui che ti spaventa, […] non porta nome umano e nemmeno di bestia, né uomo né bestia è. Esso, o egli, sta dentro di te, nelle profondità della tua anima e nessuno potrà mai stanarlo, o abbatterlo a colpi di mitra, o ficcarlo in carcere, neppure quelli di Scotland Yard che sono così bravi”. <9
L’angoscia vissuta dalle possibili vittime unisce in pochi brani le ambientazioni di entrambi i testi qui presi in considerazione:
"Finché io sto in casa, lui non viene. Non perché mi tema. Semplicemente non gli basto. A casa ci sono mia moglie, i miei bambini, i cani. Lui pregusta nel pensiero la scena quando io aprirò la porta e dal cuore dell’appartamento mi verrà incontro il silenzio, quel grande silenzio!" <10
L’atmosfera paradossale dell’atroce ritrovamento della propria famiglia trucidata, come è avvenuto nella realtà dopo l’eccidio Fort, si combina all’asserragliamento in casa delle persone presenti in "Il lupo". L’insistenza sull’uscio da parte del protagonista di L’assassino è patologica: metà del racconto praticamente si svolge nel vestibolo della casa: «“Ma come mai” mi chiedo “mia moglie si trovava in anticamera? Anche lei sa? Anche lei ha paura, dunque? E sta in vedetta?”». <11
Inoltre, nel cuore della notte un richiamo tiene sveglia e in allerta la città:
"Di tanto in tanto passa ululando per le strade a velocità pazza l’autoambulanza (troppo tardi!) a raccogliere l’ultima sua vittima, e tutti tremano non essendosi capito ancora perché uccida". <12
Così in "Il lupo":
"Poi c’è l’ululo. […] Un urlo viene di là delle imposte sbarrate, lungo, modulato; si direbbe che giunga da lontanissimo, come certi fischi di treno nelle umide albe d’estate. È lamentoso e insieme cattivo, non lanciato per capriccio, sembrerebbe, ma con una oscura determinazione, quasi volesse avvertire qualcuno". (R, 73)
Per concludere, l’ultimo elemento, che per quanto minimo, lega "Il lupo" a "Un’ombra gira tra noi", è a mio avviso il più significativo. Nell’epilogo dell’articolo di cronaca nera leggiamo:
"Egli gira invisibile, covando il male, e non sarà mai stanco. Bisogna scovarlo. Occorre toglierli l’aria, incalzarlo oltre i confini estremi della città, respingerlo fino alle lontane foreste del buio da dove è riuscito a sfuggire". (A, 47)
Come non credere che il soggetto di quest’ultimo brano non possa essere il lupo del racconto? Il riferimento a «foreste del buio» rimanda all’habitat naturale del misterioso animale e i termini utilizzati nel testo rinviano al campo semantico della caccia. Rina Fort e il misterioso lupo, dagli «occhi verdi e fosforescenti, coda smisurata, voce sepolcrale», sono dirette personificazioni ed emanazioni del male. Anzi, la stessa Rina Fort verrà paragonata a una famelica fiera, come testimonia il titolo dell’articolo "La belva in gabbia", <13 scritto da Buzzati in occasione del processo tenutosi a conclusione delle indagini nel 1950.
[NOTE]
1 DINO BUZZATI, Bestiario, cit., p. 71. Le prossime citazioni tratte da questo racconto verranno segnalate con la sigla R seguita dal numero di pagina.
2 DINO BUZZATI, La «nera» di Dino Buzzati. Crimini e misteri, cit., p. 46. Le prossime citazioni tratte da questo articolo verranno segnalate con la sigla A seguita dal numero di pagina.
3 YVES PANAFIEU, Dino Buzzati: un autoritratto. Dialoghi con Yves Panafieu, cit., p. 88.
4 DINO BUZZATI, Bestiario, cit., p. 73
5 Ivi, p. 47.
6 Ivi, p. 75.
7 DINO BUZZATI, La «nera» di Dino Buzzati. Crimini e misteri, cit., p. 47
8 DINO BUZZATI, Bestiario, cit., p. 74.
9 DINO BUZZATI, Le cronache fantastiche di Dino Buzzati. Fantasmi, cit., p. 317.
10 DINO BUZZATI, Le cronache fantastiche di Dino Buzzati. Fantasmi, cit., p. 311.
11 Ivi, p. 312.
12 Ibid.
13 DINO BUZZATI, La «nera» di Dino Buzzati. Crimini e misteri, cit., pp. 60-3.
Federica D’Angelo, Dino Buzzati scrittore-giornalista. Le declinazioni di uno stile fantastico, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2014/2015
L’intervallo di tempo è molto breve e, seguendo la logica di questo capitolo, il racconto dovrebbe esser stato scritto da Buzzati poco dopo la stesura dell’articolo affidatogli.
Se anche il racconto precedesse l’articolo, i legami presenti tra i due testi risulterebbero comunque altrettanto validi.
Buzzati in entrambi gli scritti cerca di dare forma a quella sensazione di disagio, che caratterizza anche la raccolta "Paura alla Scala", percepibile nella situazione dell’immediato dopoguerra in Italia. L’incipit del racconto "Il lupo" parte proprio da queste considerazioni:
"Per una ragione o per l’altra nella città non si vive mai tranquilli. Finite le paure della guerra, scomparsi chissà dove i briganti, cessate le pestilenze, si sperava di poter stare per qualche tempo in pace". <1
Lo spaesamento dopo gli orrori della guerra non è stato ancora riassorbito e il risveglio della criminalità cittadina appare surreale dopo le atrocità vissute nel corso di tutto il conflitto.
"Perché agli spettacoli più fantasiosi di morte violenta la gente aveva fatto negli ultimi anni un allenamento senza pari, e la vendetta - che ad onta dei millenari miti e della triste favola dell’onore è pur sempre uno dei sentimenti più abietti - aveva negli ultimi anni celebrato dovunque sagre di incomparabile potenza, e un morto ammazzato, o due, o cento in un colpo solo non riuscivano più a far vacillare l’irrobustita sensibilità dei nostri cuori. <2
Ma l’eccidio di via San Gregorio, compiuto da Rina Fort, ha dell’incredibile: è inspiegabile come una donna accecata dalla gelosia abbia potuto uccidere brutalmente a sangue freddo una donna e tre bambini piccoli. L’opinione pubblica rimase sconvolta di fronte a un delitto così efferato e infatti Buzzati nel suo articolo prosegue così:
"Ma questa volta il massacro conteneva una oscura inverosimiglianza che la cattiveria, la gelosia, l’avidità, la bassezza d’animo non bastavano, neppure assommate, a spiegare". (A, 46)
Per Buzzati l’unica spiegazione è che un’entità malvagia abbia agito e usato una donna corrotta per compiere la sua missione.
Tutta la produzione buzzatiana è ricca di figure diaboliche, molte più di quelle angeliche, che spingono gli esseri umani verso il peccato e la dannazione. In effetti, Buzzati confessò a Panafieu, in una delle interviste contenute in Un autoritratto, di essere rimasto terribilmente affascinato dall’idea cristiana dell’Inferno. <3
Buzzati, di fronte a gesti tanto estremi da non poterli credere veri, si serve della personificazione del male per dare spiegazione di così tanta crudeltà.
"Qualcun altro, diverso da noi, era necessariamente intervenuto l’altra sera, un personaggio delle tenebre vogliamo dire, proprio come in certe storie antiche, il medesimo forse che da troppo tempo va infestando le nostre contrade". (A, 46)
Si tratterebbe di un’entità che vive nell’oscurità della notte, o nel profondo fitto della boscaglia, come il misterioso lupo che si aggira per le strade di Milano:
"Poi le enigmatiche impronte divennero sempre più frequenti. E non sempre nelle stesse zone. Le segnalazioni venivano dai più disparati quartieri, tutte singolarmente concordi. In alcuni casi furono trovate in corrispondenza con le orme, larghe chiazze di sangue". (R, 72)
C’è inoltre da considerare che l’oscurità da cui proviene il male, in entrambi i casi, permea il testo anche dal punto di vista temporale, poiché l’ambientazione è notturna.
Il delitto, infatti, è avvenuto nel cuore della notte:
"L’altra sera noi eravamo a tavola per il pranzo quando poche case più in là una donna ancora giovane massacrava con una spranga di ferro la rivale e i suoi tre figlioletti". (A, 45)
Mentre nel racconto, il lupo, che è cacciatore notturno, lascia delle impronte che verranno scoperte solo la mattina dopo: «All’alba i guardiani, i portieri, gli addetti alla nettezza urbana si chineranno sulla fanghiglia, incuriositi: la belva è passata di là». <4
Allo stesso modo anche i cadaveri delle povere vittime sono stati ritrovati alle nove del mattino seguente.
L’atmosfera in entrambi i testi è cupa, ma per quel che riguarda il colore nero, questo compare solo in due casi, in azioni durative: nell’articolo il colore del sangue, che abbandona i corpi, da inizialmente brillante, nel corso della notte, diventa nero; nel racconto, invece, sono le strade, per chi si attarda alla sera, a diventare sempre più «deserte e nere».
La concezione del male, come entità misteriosa e furtiva che si aggira per la città di Milano, è uno dei temi che questi testi hanno quindi in comune.
"Una specie di demonio si aggira dunque per la città, invisibile, e sta forse preparandosi a nuovo sangue". (A, 45)
Si tratta di qualcosa di impalpabile che «nelle ore alte della notte» inizia a «strisciare lungo le trombe delle scale», <5 così come «striscia fin qui lentamente la vecchia amica nebbia». <6
La popolazione di Milano non parla d’altro: «Sì, un sottile impalpabile panico si è irradiato dal sinistro numero 40 di via San Gregorio», <7 mentre a causa del lupo «sono là, a centinaia, dietro le porte, le orecchie incollate alla fessura tra i due battenti, curvi, il fiato sospeso, se mai si oda di fuori un fruscio animalesco». <8
È curioso notare come mescolando i testi, essi conservino comunque la loro coerenza, come se si trattasse di un’unica narrazione.
Il secondo elemento che ritengo fondamentale è che, in entrambi i testi, il punto di vista privilegiato è quello di chi osserva dalla strada le abitazioni. Lo sguardo è sempre esterno e arriva sempre dal basso, non si tratta mai di una visione panoramica della città, ma una descrizione dettata dalla totale immersione nelle vie del centro.
"Negli appartamenti vicini continuavano, fra tintinnio di posate e stanchi dialoghi, i pranzi familiari come nulla fosse successo, e poi le luci ad una ad una si spensero, solo rimase accesa nel cortile quell’unica finestra al primo piano, e i ritardatari, passando, pensarono che lassù forse un bambino era malato, o una mamma era rimasta alzata tardi a lavorare, o altra scena, dietro quei vetri, di notturna intimità domestica". (A, 45)
"Camminiamo, e i passi risuonano con echi enormi, e le case intorno fanno finta di dormire, invece sono gremite di creature sveglie che aspettano, come tante sentinelle". (R, 72)
Anche qualora vengano descritti gli interni delle case, Buzzati insiste sempre sulla porta o le finestre, punto di contatto con l’esterno, da dove può appunto giungere il pericolo. Buzzati si mescola alla gente per strada rilevando gli umori della folla, ma allo stesso tempo vuole amalgamarsi anche con l’atmosfera notturna delle vie di Milano, in cui si riversa il crimine. Quest’ultima prospettiva è la stessa degli articoli raccolti in "Le notti bianche del 777", in cui Buzzati avrà modo di sperimentare a pieno esattamente questo tipo di punto di vista.
Prima di concludere mi sembra molto interessante inserire nel confronto un altro racconto buzzatiano, pubblicato il 19 gennaio 1956 su «Il Nuovo Corriere della Sera» e intitolato significativamente L’assassino. Il racconto, inserito da Lorenzo Viganò nel volume "Fantasmi" di "Cronache fantastiche", riporta i pensieri angosciati di un padre di famiglia che vive in una città dove si aggira uno spietatissimo killer. Nonostante nell’epilogo l’assassino venga catturato e ucciso, la morale del racconto esplicita la reale provenienza della paura:
“Non dai labirinti malfamati della Solfiera viene infatti la paura a te, non dall’angolo della strada, non dall’ombra lugubre dell’autorimessa abbandonata, non dalle 2 e dieci della notte, non dal richiamo all’estremità del pantanoso vicolo (simile al verso del piviere) non da ciò che tu puoi vedere e udire. […] Ciò, o colui che ti spaventa, […] non porta nome umano e nemmeno di bestia, né uomo né bestia è. Esso, o egli, sta dentro di te, nelle profondità della tua anima e nessuno potrà mai stanarlo, o abbatterlo a colpi di mitra, o ficcarlo in carcere, neppure quelli di Scotland Yard che sono così bravi”. <9
L’angoscia vissuta dalle possibili vittime unisce in pochi brani le ambientazioni di entrambi i testi qui presi in considerazione:
"Finché io sto in casa, lui non viene. Non perché mi tema. Semplicemente non gli basto. A casa ci sono mia moglie, i miei bambini, i cani. Lui pregusta nel pensiero la scena quando io aprirò la porta e dal cuore dell’appartamento mi verrà incontro il silenzio, quel grande silenzio!" <10
L’atmosfera paradossale dell’atroce ritrovamento della propria famiglia trucidata, come è avvenuto nella realtà dopo l’eccidio Fort, si combina all’asserragliamento in casa delle persone presenti in "Il lupo". L’insistenza sull’uscio da parte del protagonista di L’assassino è patologica: metà del racconto praticamente si svolge nel vestibolo della casa: «“Ma come mai” mi chiedo “mia moglie si trovava in anticamera? Anche lei sa? Anche lei ha paura, dunque? E sta in vedetta?”». <11
Inoltre, nel cuore della notte un richiamo tiene sveglia e in allerta la città:
"Di tanto in tanto passa ululando per le strade a velocità pazza l’autoambulanza (troppo tardi!) a raccogliere l’ultima sua vittima, e tutti tremano non essendosi capito ancora perché uccida". <12
Così in "Il lupo":
"Poi c’è l’ululo. […] Un urlo viene di là delle imposte sbarrate, lungo, modulato; si direbbe che giunga da lontanissimo, come certi fischi di treno nelle umide albe d’estate. È lamentoso e insieme cattivo, non lanciato per capriccio, sembrerebbe, ma con una oscura determinazione, quasi volesse avvertire qualcuno". (R, 73)
Per concludere, l’ultimo elemento, che per quanto minimo, lega "Il lupo" a "Un’ombra gira tra noi", è a mio avviso il più significativo. Nell’epilogo dell’articolo di cronaca nera leggiamo:
"Egli gira invisibile, covando il male, e non sarà mai stanco. Bisogna scovarlo. Occorre toglierli l’aria, incalzarlo oltre i confini estremi della città, respingerlo fino alle lontane foreste del buio da dove è riuscito a sfuggire". (A, 47)
Come non credere che il soggetto di quest’ultimo brano non possa essere il lupo del racconto? Il riferimento a «foreste del buio» rimanda all’habitat naturale del misterioso animale e i termini utilizzati nel testo rinviano al campo semantico della caccia. Rina Fort e il misterioso lupo, dagli «occhi verdi e fosforescenti, coda smisurata, voce sepolcrale», sono dirette personificazioni ed emanazioni del male. Anzi, la stessa Rina Fort verrà paragonata a una famelica fiera, come testimonia il titolo dell’articolo "La belva in gabbia", <13 scritto da Buzzati in occasione del processo tenutosi a conclusione delle indagini nel 1950.
[NOTE]
1 DINO BUZZATI, Bestiario, cit., p. 71. Le prossime citazioni tratte da questo racconto verranno segnalate con la sigla R seguita dal numero di pagina.
2 DINO BUZZATI, La «nera» di Dino Buzzati. Crimini e misteri, cit., p. 46. Le prossime citazioni tratte da questo articolo verranno segnalate con la sigla A seguita dal numero di pagina.
3 YVES PANAFIEU, Dino Buzzati: un autoritratto. Dialoghi con Yves Panafieu, cit., p. 88.
4 DINO BUZZATI, Bestiario, cit., p. 73
5 Ivi, p. 47.
6 Ivi, p. 75.
7 DINO BUZZATI, La «nera» di Dino Buzzati. Crimini e misteri, cit., p. 47
8 DINO BUZZATI, Bestiario, cit., p. 74.
9 DINO BUZZATI, Le cronache fantastiche di Dino Buzzati. Fantasmi, cit., p. 317.
10 DINO BUZZATI, Le cronache fantastiche di Dino Buzzati. Fantasmi, cit., p. 311.
11 Ivi, p. 312.
12 Ibid.
13 DINO BUZZATI, La «nera» di Dino Buzzati. Crimini e misteri, cit., pp. 60-3.
Federica D’Angelo, Dino Buzzati scrittore-giornalista. Le declinazioni di uno stile fantastico, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2014/2015