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domenica 6 novembre 2022

Circa il convegno della Destra all'Hotel Parco dei Principi di Roma nel 1965


Il 3, 4 e 5 maggio 1965 l’Istituto di studi militari Alberto Pollio organizzò a Roma all’Hotel Parco dei Principi un convegno dal titolo 'La guerra rivoluzionaria' <449. Come venne detto nella relazione inaugurale del presidente Gianfranco Finaldi, non si trattava di un convegno politico, ma di un convegno “di studio”, finalizzato a “definire l’argomento, ad impostarlo, a delinearne i contorni, sul terreno storico, sul terreno dottrinario, sul terreno tecnico”. I relatori furono ventidue “studiosi, esponenti del mondo economico e imprenditoriale, intellettuali, giornalisti e osservatori militari”: Enrico de Boccard (Lineamenti ed interpretazione storica della guerra rivoluzionaria), Eggardo Beltrametti (La guerra rivoluzionaria: filosofia, linguaggio e procedimenti. Accenni ad una prasseologia per la risposta); Vittorio de Biasi (Necessità di un’azione concreta contro la penetrazione comunista); Pino Rauti (La tattica della penetrazione comunista in Italia); Renato Mieli (L'insidia psicologica della guerra rivoluzionaria in Italia); Marino Bon Valsassina (L'aggressione comunista all'economia italiana); Carlo de Risio (Lenin, primo dottrinario della guerra rivoluzionaria), Giorgio Pisanò (Guerra rivoluzionaria in Italia 1943-1945), Giano Accame (La controrivoluzione degli ufficiali greci), Gino Ragno (I giovani patrioti europei), Alfredo Cattabiani (Un’esperienza controrivoluzionaria dei cattolici francesi), Guido Giannettini (La varietà delle tecniche nella condotta della guerra rivoluzionaria), Giorgio Torchia (Dalla guerra d'Indocina alla guerra del Vietnam); Giuseppe Dall’Ongaro (Tre esperienze: la lezione di Berlino, Congo, Vietnam), Vanni Angeli (L'azione comunista nel campo dell'informazione), Fausto Gianfranceschi (L’arma della cultura nella guerra rivoluzionaria), Ivan Matteo Lombardo (Guerra comunista permanente contro l'occidente), Vittorio De Biasi (La guerra politica, strumento dell'espansionismo sovietico. Il poliformismo dell'infiltrazione), Dorello Ferrari (Aspetti della guerra rivoluzionaria in Europa), Osvaldo Ronconi (L'aggressione comunista vista da un combattente), Pio Filippani Ronconi (Ipotesi per una controrivoluzione), Adriano Mai Braschi (Spoliticizzare la guerra). Per evitare di redigere una relazione degli Atti, si è ritenuto opportuno trarre dagli stessi alcuni stralci di interventi ritenuti particolarmente rilevanti per l’argomento analizzato in questa sede.
Il pamphlet di Clemente Graziani e soprattutto il convegno a Parco dei Principi costituirono un salto di qualità nella trattazione di molti aspetti della guerra rivoluzionaria (con un accenno alla guerra controrivoluzionaria), rischiarando in Italia, attraverso una rielaborazione incentrata principalmente su aspetti militari, una nebulosa semantica che durava da inizio Novecento. L’ingresso dei socialisti al governo fu la scintilla che portò gli intellettuali (soprattutto di destra, ma anche socialdemocratici come Ivan Matteo Lombardo) ad interrogarsi su un tema scottante quale era la guerra rivoluzionaria. Ora che il “santuario” politico europeo, dove si trovava il Partito comunista più forte dell’Occidente, veniva “assaltato” silenziosamente dal Cremlino, una “definizione” del problema era funzionale alla definizione di una pronta risposta controrivoluzionaria. Nel suo intervento De Boccard così si esprimeva in merito alla questione:
'Ma ne risulta, ugualmente, che qualsiasi violazione compiuta dai comunisti nel quadro della loro guerra rivoluzionaria nei riguardi del “santuario” come, per esempio, il riuscire, da parte loro, sfruttando opportunità d’eventi e debolezza di governi, di inserirsi in una “nuova maggioranza” o peggio ancora a penetrare, non fosse che con un sottosegretario alla PP.TT., in un gabinetto ministeriale, costituirebbe un atto di aggressione talmente grave contro “lo spazio politico” vitale dello Stato, da rendere necessaria l’attuazione nei loro confronti di un piano di difesa totale' <450.
Eggardo Beltrametti, che, come si è visto in parte nel secondo capitolo di questo elaborato, fu tra l’altro uno scrittore prolifico in più riviste di destra degli anni ‘50 e ‘60, esperto qual era di politica estera, nella sua relazione descriveva dettagliatamente la figura del contemporaneo soldato politico della guerra rivoluzionaria:
'(…) il soldato di oggi, ed intendo quello della guerra non ortodossa, deve essere un soldato di elite, un individuo preparato anche culturalmente, dai riflessi sia pronti per sottrarsi al nemico che gli tiene il fucile puntato sulla schiena, sia per comprendere all’istante dove si cela l’insidia morale. Il soldato della guerra non ortodossa se vuole raggiungere la coscienza del pericolo, deve essere convinto della propria giusta causa e deve essere ideologicamente preparato per comprendere il valore politico del suo dovere. Perciò egli deve essere informato degli scopi strategici e tattici che vogliono raggiungere onde avere sempre coscienza delle sue azioni e delle iniziative. Egli deve essere e sentirsi un protagonista cosciente e non uno strumento cieco di guerra. Ed in ciò sta l’essenziale della differenza che passa tra il soldato della libertà e l’agente della guerra rivoluzionaria' <451.
Pino Rauti, all’epoca membro del Centro Studi Ordine Nuovo, si concentrava sull’analisi della “penetrazione comunista in Italia”. Secondo lo studioso la “tecnica per la conquista del potere” <452 in Italia, all’epoca paese industrializzato, ubbidiva a leggi completamente diverse rispetto alle guerre di guerriglia, come quella condotta anni prima da Mao Tse Tung. Per Rauti ora il nemico, fattosi invisibile ma onnipresente, si stava infiltrando “nei gangli dello Stato” senza ricorrere alla violenza, ma conducendo, con “la fredda, la scientifica, la razionale continuità” <453 dovuta, una capillare azione politica:
'Oggi per il PCI (…) è più importante, è infinitamente più importante disporre del posto di capo servizio alla radio e alla televisione, là dove si manipolano i programmi, che disporre di cinquecento attivisti in piazza, perché i cinquecento attivisti in piazza ne possono mobilitare altri cinquemila avversi, contrari e decisi a menare le mani. Inoltre cinquecento attivisti comunisti non si fanno vivi che in determinate occasioni, mentre lo sconosciuto signore che, nel chiuso di una stanza, sceglie un’opera teatrale invece di un’altra, mette in onda una certa commedia invece di un’altra, procede all’indottrinamento, al condizionamento psicologico, all’avvelenamento invisibile delle coscienze e delle volontà di centinaia di migliaia, di milioni di persone. Ecco la tecnica comunista per la conquista dello Stato. La quale tecnica, quindi, si contraddistingue per il tentativo di sfruttare per linee interne l’apparato dello Stato e, soprattutto, i suoi mezzi informativi, in attesa di poter conquistare ed utilizzare anche i mezzi repressivi dello Stato' <454.
Il successivo intervento del neofascista Guido Giannettini <455 rappresentava una sintesi del pamphlet sul quale aveva lavorato dal 1964 e che, pubblicato all’inizio del 1965, costituiva una pietra miliare del pensiero strategico italiano relativamente alla guerra rivoluzionaria. Converrà ora richiamare alcuni tratti salienti del pamphlet che verranno da lui discussi al convegno.
Nell’introduzione del libretto, diviso in tre parti, metteva a fuoco la novità e le “forme inconsuete”456 del nuovo tipo di guerra avviata da Mosca e Pechino, “le centrali della sovversione” <457. Si trattava sostanzialmente di una guerra non dichiarata rispondente a criteri propri basata su una “mobilitazione generale dei propri quadri e dei propri gregari” e volta a distruggere la società del nemico dall’interno attraverso cinque metodi principali, ovvero “la propaganda”, “l’azione psicologica”, “la minaccia”, “l’attentato” e “il ricatto” <458.
Nella prima parte del pamphlet passava poi ad analizzare i “concetti fondamentali”. Contrariamente a quanto aveva fatto Graziani nel 1963, che aveva usato come espressioni sinonimiche “guerra rivoluzionaria” e “guerra sovversiva”, Giannettini differenziava e definiva separatamente “guerra psicologica”, “guerriglia”, “guerra sovversiva” e “guerra rivoluzionaria”. Si potrebbe immaginare l’ultimo tipo di guerra come una sorta di matrioska che “può dunque comprendere in sé stessa tutti gli altri tipi di guerra”: essa infatti si avvaleva di “tecniche psicologiche e sovversive, spesso della guerriglia, qualche volta della guerra convenzionale” <459. Inoltre, la guerra rivoluzionaria oltre a differenziarsi dai suddetti tipi di conflitto nei metodi, lo faceva anche nei fini, “non solo nella tattica, ma anche nella strategia”. Infatti se la guerra psicologica, quella sovversiva e la guerriglia miravano a imporre un nuovo stato di cose, la guerra rivoluzionaria attuale aveva come fine la rivoluzione, stabilendo “una sorta di moto perpetuo in costante divenire” <460, e la “conquista delle popolazioni” <461, funzionale ad alimentare il tremendo circolo vizioso del processo rivoluzionario. Per combattere questa guerra l’Occidente doveva al più presto infervorarsi di una “ideologia attiva” che giustificasse una “lotta dura, difficile, talvolta anche assurda” <462, e, evitando una “difesa passiva”, procedere ad una controffensiva nella forma di “una guerra rivoluzionaria totale” <463.
La seconda parte del libello passa in analisi le quattro “fasi classiche” della guerra rivoluzionaria: 1) preparazione, 2) propaganda, 3) infiltrazione, 4) azione. Denso di spunti di analisi è quanto viene scritto riguardo alla seconda fase. Giannettini, dopo aver suddiviso tre tipologie classiche di propaganda, ovvero “parlata” (comizi, conferenze, discorsi, lezioni, interviste), “visiva” (scritte sui muri, pubblicazioni periodiche, opere pittoriche, manifesti, volantini) e “audiovisiva” (televisione e cinema) <464, ne introduce una “non convenzionale”, presa in analisi anche da Graziani: il terrorismo, sia quello “indiscriminato” sia quello “selettivo” <465, da attuarsi tenendo sempre a mente il detto di Pascal secondo il quale “per convertire un incredulo, bisogna cominciare col metterlo in ginocchio” <466. In seguito l’autore accenna anche a “colpi bassi” che favoriscano indirettamente l’efficacia di tali tipologie. Un esempio di “colpo basso” avvenne, secondo Giannettini, con i fatti di Genova del 1960:
'Un esempio solo, italiano, è sufficiente: dopo l’insurrezione dei portuali genovesi del luglio 1960, che rovesciava il governo Tambroni iniziando l’apertura a sinistra, il governo sovietico affidava ai cantieri di Genova la commessa per la costruzione di alcune petroliere di grosso tonnellaggio (sei, se ben ricordiamo). In questo modo, i lavoratori del locale porto vedevano crescere le loro possibilità di lavoro e quindi di guadagno: era il premio concesso agli uomini-arma consci o inconsci della guerra rivoluzionaria. Il premio concesso apertamente da una Potenza straniera a operai italiani che avevano rovesciato un governo italiano. Beneficiati non erano poi soltanto i portuali, ma tutta la popolazione, che traeva vantaggio dall’aumento di lavoro nei propri cantieri, e perfino le grosse industrie navali, cioè gli “odiati capitalisti”, favoriti in questo modo dalla “patria di tutti i lavoratori”.' <467.
Nella terza parte del pamphlet Giannettini proponeva dei “lineamenti di contro guerra rivoluzionaria”: ovvero delle indicazioni per l’Occidente, che doveva intraprendere con le “stesse tecniche” utilizzate dai comunisti una guerra “non meno rivoluzionaria” <468. A condurre lo scontro doveva essere una “direzione centralizzata mista, composta da elementi civili e militari” <469, che inizialmente doveva preparare il terreno con una capillare “lotta propagandistica”. Giannettini indicava poi diversi principi ai quali doveva rispondere l’azione propagandistica: individuare il nemico e “denunciarlo all’opinione pubblica, farlo odiare e disprezzare come un essere che va schiacciato”; saturare continuamente di informazioni l’opinione pubblica, in modo da rendere “difficile il formarsi di voci e dicerie favorevoli alla propaganda avversaria”; deformare quanto più possibile “fatti, situazioni, slogans e simboli dell’avversario” tramutandoli in qualcosa di assurdo, odioso e stupido, seguendo il detto “il ridicolo uccide” <470. Per svolgere al meglio tali compiti, un’operazione imprescindibile era quella di “controinfiltrazione”, da condursi principalmente con due metodi: l’allontanamento dalla stampa e da ogni altro organo di informazione di ogni influenza comunista e l’eliminazione di tutti gli organi “legali o illegali” di cui il nemico si serviva “con scopi sovversivi” <471. Giannettini esponeva poi dei lineamenti di guerra rivoluzionaria di carattere prettamente militare inerenti alla controguerriglia. Gli attori di tale controguerriglia erano l’esercito e la polizia, ma anche “gruppi paramilitari tratti dalle popolazioni stesse” <472 che si dovevano occupare di scompaginare l’organizzazione di guerriglia avversaria attraverso “attentati, colpi di mano, agguati” e l’eliminazione dei maggiori leader guerriglieri <473. Alludendo ad uno dei principi generali della guerra rivoluzionaria delineati da Mao, secondo il quale alla fase difensiva doveva subito seguire una fase offensiva, Giannettini proponeva di contrattaccare duramente secondo una o più direttive strategiche qualora l’avversario tenti di colpire il cuore dell’Occidente: portando la guerra rivoluzionaria “in casa sua”; portandola “nei suoi Stati satelliti”; colpendolo “con atti di ostilità, fredda o calda”; colpendo un suo satellite “allo stesso modo” <474. In sostanza il pamphlet di Giannettini si configurava come una sorta di prontuario di tecniche di guerra controrivoluzionaria che, in caso di attacco, dovevano attuarsi prontamente e sistematicamente ai fini non di una battaglia difensiva, che allontanasse il pericolo temporaneamente, ma di una guerra basata sull’offensiva strategica.
Tornando ora al convegno al Parco dei Principi, Giannettini, alla conclusione della sua relazione basata su un’esposizione sintetica dei contenuti presenti nel suo pamphlet, esortava a “reagire in misura adeguata” e velocemente, dal momento che, secondo lui e gli altri relatori, i comunisti italiani, manovrati dal Cremlino, avevano già avviato una “silenziosa” guerra rivoluzionaria. Per il relatore era rimasto veramente poco tempo per rendere operativi i fondamenti di una guerra controrivoluzionaria. <475
[NOTE]
449 Il documento degli Atti del convegno 'La guerra rivoluzionaria' è stato consultato in rete. Tale documento non è provvisto di numeri di pagina e, perciò, essi non potranno essere riportati nelle note. 'La guerra rivoluzionaria: atti del primo Convegno di studio' promosso ed organizzato dall'Istituto Alberto Pollio di studi storici e militari svoltosi a Roma nei giorni 3, 4 e 5 maggio presso l'Hotel Parco dei Principi, Roma, G. Volpe, 1965
450 Enrico Boccard, Lineamenti ed interpretazione storica della guerra rivoluzionaria, in La guerra rivoluzionaria. Atti…, op.cit.
451 Eggardo Beltrametti, Filosofia, linguaggio e procedimenti. Accenni ad una prasseologia per la risposta, in La guerra rivoluzionaria. Atti…, op.cit.
452 Pino Rauti, La tattica della penetrazione comunista in Italia, in La guerra rivoluzionaria. Atti…, op.cit.
453 Ivi.
454 Ivi.
455 Guido Giannettini, La varietà delle tecniche nella condotta della guerra rivoluzionaria, in Atti…, op.cit..
456 Guido Giannettini, Tecniche della guerra rivoluzionaria, Roma, I gialli politici, 1965, p.II.
457 Ivi, p.I.
458 Ivi, p.II.
459 Ivi, p.6.
460 Ivi, p.8.
461 Ivi, p.11.
462 Ivi, p.13.
463 Ivi, p.15.
464 Ivi, pp.30-31.
465 Ivi, p.53.
466 Ivi, p.36.
467 Ivi, p.49.
468 Ivi, p.65.
469 Ivi, p.66.
470 Ivi, pp.67-68.
471 Ivi, p.71.
472 Ivi, p.71.
473 Ivi, p.72.
474 Ivi, p.74.
475 Guido Giannettini, La varietà delle tecniche…, in Atti…, op.cit.
Pier Paolo Alfei, La guerra rivoluzionaria nella Destra italiana (1950-1969), Tesi di Laurea, Università di Macerata, Anno Accademico 2015/2016