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martedì 27 agosto 2024

Qualunquismo, populismo, antipolitica in Italia dal 1945 al 1970


In realtà Guglielmo Giannini non fu mai un vero nostalgico: riuscì invece a tradurre con grande abilità questo malcontento attraverso epiteti dissacranti e una satira feroce, procurandosi notevoli consensi. Tuttavia quando fondò il Fronte dell'Uomo Qualunque la sua originale idea subì continue oscillazioni e forti cambiamenti. In partenza la sua idea vedeva la “Folla”, insieme di individui di buonsenso, buon cuore e buona fede, sempre sotto scacco dei “Capi”, degli “Uomini Politici Professionali” che la sfruttavano e la sacrificavano per pura sete di potere. Aspirava quindi ad uno “Stato amministrativo” gestito da un buon ragioniere, che lasciasse ad ognuno la propria tranquillità nella vita e nel lavoro. La sua era «una difesa iperbolica della società civile e soprattutto dell'individuo» <124. Il qualunquismo divenuto partito politico «insabbierà le tinte anarcoidi che costituivano la genuina essenza del pensiero del suo capo, metterà da parte l'agnosticismo ideologico dandosi vesti liberali e cattoliche, rifiuterà di considerare sullo stesso spregevole piano tutti gli uomini politici e tutti i partiti cercando alleanze e intese in funzione antimarxista, con monarchici, liberali, democristiani» <125.
I qualunquisti non furono i soli a tentare di interpretare il rifiuto del nuovo sistema: i monarchici insistettero nella loro propaganda sul ruolo della Corona come istituzione al di sopra delle divisioni e garante dell'interesse nazionale <126. Neanche la Chiesa, secondo Truffelli fu esente da sentimenti antipolitici, retaggio di una avversione alla modernità e alla democrazia che non riconosceva alla politica la capacità di individuare i bisogni reali della collettività e che in molti ambienti ecclesiastici non era ancora stata superata <127. La Confindustria dal canto suo espresse una visione negativa della politica come incompetente e lontana dai veri problemi, sempre sul punto di soffocare la libera iniziativa imprenditoriale <128. Vittorio Valletta espresse alla Costituente queste aspirazioni tecnocratiche con l'idea di affidare l'industria e l'economia ad alti commissari tecnici sottraendole al controllo di ministeri politici <129. Infine non mancarono partigiani delusi dalle miserie della neonata repubblica contrapposte all'eroismo della Resistenza: questo accadde a personalità diverse, di tutte le forze, dagli azionisti ai marxisti fino ai liberali <130. Edgardo Sogno si dipingeva così in quel periodo: "Io, idealista, pensavo che, finita la guerra, dovesse cominciare il lavoro, mi nauseava che tanta gente attorno a me non pensasse più alla politica, se non come strumento per fare soldi, accumulare potere. Erano arrivati i professionisti della politica, della raccomandazione, dell'arricchimento personale. Così sono tornato all'amministrazione dello stato per andare in un posto pulito". <131
Di forte carica antipolitica e più propriamente populista, furono la figura e l'opera di Achille Lauro, monarchico ex qualunquista, «plebeo nello stile e autoritario nel temperamento» <132 che fu eletto sindaco di Napoli la prima volta nel 1952. La sua retorica privilegiò al massimo la personalizzazione. Prima ancora che per un clientelismo estremo la sua affermazione si fondò sulla ostentazione delle capacità imprenditoriali come armatore di successo. A questa immagine il “comandante” affiancò quella di sciupafemmine, meridionale che avrebbe vendicato i torti dell'Unità, uomo ricco abbastanza da non dover rubare e da poter pagare di tasca propria opere pubbliche costruite al di là dei regolamenti, in spregio alle istituzioni e al mondo politico professionale da cui pretendeva di essere estraneo. Inoltre ascoltava i poveri in Comune come Evita Peron, trovando magari un posto nella sua azienda per i disoccupati più disperati. Non guastava che fosse presidente della squadra di calcio cittadina e fra i maggiori finanziatori delle feste popolari <133.
Un pensiero antipolitico fu espresso negli anni Cinquanta e Sessanta da alcuni scrittori e giornalisti. Primo fra tutti Giovanni Guareschi, che ne diede prova nei racconti di “Don Camillo” già alla fine degli anni Quaranta. Il “Mondo piccolo” vagheggiato dallo scrittore era una società semplice e solidale, governata da una codice di onestà e dalla saggezza popolare, senza ricorrere alla politica <134. Che persone come Don Camillo e il sindaco Peppone esistessero veramente da qualche parte è improbabile e irrilevante: la cosa significativa è che la loro esistenza paradossale fosse accettata dai lettori <135. Il frequente scontro fisico fra i due personaggi (e le idee che rappresentano) non è mai determinante, «non perché le forze siano pari ma perché davanti all'essenziale, le forze degli avversari si congiungono» <136. Secondo Gian Franco Vené, Guareschi voleva comporre "un piccolo borghese ideale che ora ha la faccia di Don Camillo, ora di Peppone, e che pur politicizzato in un senso o nell'altro è equidistante dall'astrazione schematica e dottrinaria dei due opposti schieramenti. La politica in sé non vive è antiumana; esiste e vive solo nel momento in cui è adeguata alle circostanze contingenti, che possono essere controllate direttamente dagli uomini che fanno politica. L'impegno politico reale, per Guareschi, e per i suoi piccoli borghesi, non va mai al di là delle possibilità di ottenere un risultato immediato e concreto". <137 L'obiettivo polemico dello scrittore è la “troppa cultura” che sottintende all'equazione: troppa cultura-macchinismo-industria-vita di città-politica astratta. Questa è incarnata, indipendentemente dalla condizione sociale e dall'appartenenza ideologica, da “quelli di città” <138. Sono spesso citati come pervasi da un sentimento antipolitico anche Leo Longanesi, Edilio Rusconi e Indro Montanelli. Riguardo a quest'ultimo, viene ricordato come si fosse messo in luce già nel 1945 con il libro "Qui non riposano", sorta di autobiografia romanzata in cui si esaltava lo stare alla finestra e il diritto di non pensare alla politica <139. Più duri altri giudizi che identificano l'opera di Montanelli e Longanesi come espressione di un anticomunismo viscerale proveniente «dalle acque profonde di una politica di destra, poco visibile ma ben presente sulla scena italiana una cultura che è, più in generale, quella dell'antipolitica» <140. Nicola Tranfaglia, in maniera ancora più netta, dice che i due giornalisti sarebbero stati portatori di «una cultura antidemocratica legata al fascismo» <141.
Anche intellettuali più raffinati affrontarono questi temi. Giuseppe Maranini, politologo di formazione liberale, si lanciò in una battaglia culturale contro la partitocrazia (termine la cui invenzione pare vada attribuita proprio a lui). Panfilo Gentile che pure era stato un antifascista liberale si allontanò dalla politica denunciando la trasformazione dei sistemi politici in “democrazie mafiose”, regimi nei quali la scelta popolare ricadeva sul gruppo dirigente più demagogico e più imperioso <142.
Nel contrastare un sistema dei partiti ritenuto inefficiente e dannoso per le istituzioni, un gruppo tutto sommato ristretto fu affascinato dalla svolta presidenzialista della Quinta Repubblica francese. Fra questi sostenitori del gollismo il più eminente fu Randolfo Pacciardi che ruppe con il PRI per fondare l'Unione Democratica per la Nuova Repubblica, diretta a raccogliere consensi a destra come a sinistra. L'esperimento non decollò, mentre sul fondatore pesarono accuse di golpismo che ne mirarono la credibilità. La sua branca giovanile “Primula goliardica”, fu quasi un caso a sé, facendo concorrenza a destra alle organizzazioni universitarie missine <143. Non mancarono ammiratori del generale francese anche nel campo degli eredi del fascismo. Almirante ebbe una certa simpatia per una repubblica presidenziale, Giorgio Pisanò se ne fece entusiasta propugnatore con il suo "Secolo XX". Altri invece come Ordine Nuovo, legati all'oltranzismo algerino, erano nemici di De Gaulle <144.
Discusso è il carattere populista che viene contestato al MSI, soprattutto nel periodo della lunga segreteria Almirante. Su questo Tarchi è scettico, affermando con un’ottica di lungo periodo che questa connotazione era «fin dalle origini, e resterà sino alla trasformazione in Alleanza Nazionale, parziale e intermittente, comunque assai ridotta rispetto alla sua matrice fascista». Tuttavia ci sono da considerare che non solo l'eredità degli spunti antipolitici del fascismo corporativista e “sociale”; ma, soprattutto nel decennio '70, l'insistenza di toni ribellistici al Sud, sulla scorta delle posizioni conquistate nella Rivolta di Reggio Calabria, e le proposte di legge di iniziative popolare come quella sulla pena di morte. Del resto era quello il tempo della politica almirantiana del doppio binario: «populista nel Sud dove il malcontento è meno facilmente gestibile dai sindacati a causa della peculiare atomizzazione del tessuto sociale,[...] partito d'ordine al Centro-Nord, saldando la sua politica solo nei confronti delle riforme.» <145. Piero Ignazi non solo concorda sul fondo populista della “alternativa al sistema” e sulle modalità della ricerca del consenso nelle regioni meridionali <146, ma trova sentori di qualunquismo nell'idea di destra che propose Armando Plebe come retroterra culturale della nuova Destra Nazionale <147.
[NOTE]
124 M. Truffelli, L'ombra della politica, cit., p.53
125 S. Setta, L'Uomo Qualunque. 1944-1948, Roma-Bari, Laterza, 1975, p.50
126 M. Truffelli, L'ombra della politica, cit., p.54
127 Ivi, p.57
128 A. Agosti, B. Bongiovanni, “Traiettorie dell'anticomunismo”, in Quaderno di storia contemporanea, n.38, Recco, Le Mani, 2005, p.19
129 M. Truffelli, L'ombra della politica, cit.,, pp.56 e 99
130 Ivi, p.58
131 E. Sogno, A. Cazzullo, Testamento di un anticomunista, Milano, Mondadori, 2000, p.89
132 M. Tarchi, L'Italia populista, cit, p.95
133 Ivi, pp.96-99; M. Truffelli, L'ombra della politica, cit., pp.48 e 99
134 M. Truffelli, L'ombra della politica, cit., p.47
135 G. F. Vené, L'ideologia piccolo borghese. Riformismo e tentazioni conservatrici di una non classe dell'Italia repubblicana, Venezia, Marsilio, 1980, p.44
136 Ivi, p.57
137 Ivi, p.59
138 Ivi, pp.91-92
139 M. Truffelli, L'ombra della politica, cit., p.51
140 A. Agosti, B. Bongiovanni, “Traiettorie dell'anticomunismo”, in cit, p.18
141 N. Tranfaglia, “Come nasce la Repubblica”, in Quaderno di storia contemporanea, n.38, Recco, Le Mani, 2005, pp.22-23
142 M. Truffelli, L'ombra della politica, cit., pp.49-50; M. Tarchi, L'Italia populista, cit, p.102
143 M. Tarchi, L'Italia populista, cit, p.103
144 P. Ignazi, Il polo escluso: profilo del Movimento Sociale Italiano, Bologna, Il Mulino, 1989, pp.104-105; M. Tarchi, L'Italia populista, cit, p.103
145 G. S. Rossi, Alternativa e doppiopetto. Il MSI dalla contestazione alla destra nazionale 1968-1973, Roma, ISC, 1992, p.191
146 P. Ignazi, Il polo escluso, cit., p.163
147 Ivi, p.155
Alberto Libero Pirro, La “maggioranza silenziosa” nel decennio '70 fra anticomunismo e antipolitica, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Roma "La Sapienza", Anno Accademico 2013-2014

mercoledì 21 agosto 2024

Il mattone, a Milano, in fondo paga sempre


L’eccezionalità della pandemia ha costretto Milano a fermarsi, benché la sua classe dirigente non ne volesse sapere. D’altronde, nessuno poteva sospettare l’enormità di quel che poi sarebbe accaduto. Il 27 febbraio 2020, a 4 giorni dall’annuncio del primo caso di contagio da covid-19 in Lombardia, sui canali social del Sindaco di Milano Beppe Sala628 comparve un video di 38 secondi corredato dal messaggio Milano non si ferma! e dal relativo hashtag #milanononsiferma. Lo script del video, che ha fatto il giro del mondo ed è stato visto da milioni di persone, recitava: «Milano. Milioni di abitanti. Facciamo miracoli ogni giorno. Abbiamo ritmi impensabili ogni giorno. Portiamo a casa risultati importanti ogni giorno. Perché ogni giorno non abbiamo paura. Milano non si ferma». Seguiva una sequenza in cui i nomi delle principali città italiane (in minuscolo) si alternavano nell’hashtag, con una chiusura a effetto: l’italianonsiferma che subito si trasformava in #milanononsiferma.
Ecco, basterebbero questi 38 secondi per identificare i tratti essenziali della cultura milanese: il culto dell’efficienza, del pragmatismo, della professionalità, il mito della velocità, nonché l’esaltazione della propria tradizione civica e la rivendicazione del proprio ruolo di capitale economica che può fregiarsi del titolo di metropoli globale. Tratti che vengono rilevati pressoché immutati nei secoli dai vari osservatori e che nell’Ottocento, come abbiamo visto, erano alla base mito della capitale morale.
Cosa potrà accadere nel medio-lungo periodo è quasi impossibile da prevedere, a causa della natura stessa di questa crisi economica, che dipende da fattori non economici. Se lo chiedono anche gli ‘ndranghetisti, che sono divenuti più prudenti rispetto allo «shopping selvaggio» in città che tutti si aspettavano: la domanda è diventata anche per loro «ma ci conviene?» <629. Dalle indagini in corso emergerebbe un dato controintuitivo, cioè che quello shopping «matto e disperato» di imprese, esercizi commerciali e immobili non sarebbe in corso nella capitale economica d’Italia. Il condizionale è naturalmente d’obbligo, perché le indagini sono in corso, però dai discorsi degli uomini delle ‘ndrine emergerebbe una stasi momentanea degli investimenti in città in attesa di capire il futuro dell’economia milanese.
Uno scenario quindi non molto diverso da quello degli investitori tradizionali e legali dei due settori trainanti dell’economia milanese. In un’intervista al Corriere della Sera <630 l’immobiliarista Manfredi Catella, allievo di Salvatore Ligresti <631, a luglio 2020 ha fatto sapere che i principali investitori internazionali istituzionali, come i fondi sovrani di Singapore e Abu Dhabi, hanno deciso di sospendere qualsiasi operazione in qualsiasi parte del mondo fosse stata pensata.
Nel 2020 Milano è la città che ha perso più di tutti, con un calo del PIL pari al 10%, un dato allarmante se si pensa che con i suoi 367 miliardi di dollari l’area metropolitana del capoluogo lombardo è la prima in Italia e l’undicesima al mondo per prodotto interno lordo, nonché il sesto polo in Europa per investimenti stranieri <632. La città, complice anche il dilagare dello smart working, a giugno 2020 è tornata poi sotto quota 1 milione e 400mila abitanti <633.
Non stupisce, quindi, che i principali investitori legali e illegali siano in attesa, benché sul fronte grandi eventi emerga dalle indagini in corso un interesse delle organizzazioni mafiose per le opere connesse alle Olimpiadi 2026 che partiranno a breve <634. Il mattone, a Milano, in fondo paga sempre e gli investimenti immobiliari importanti, soprattutto quelli legati alle cosiddette rigenerazioni urbane degli ex-Scali ferroviari, non sembrano volersi fermare, ad oggi. Anzi, nota Peroni sul Sole 24 Ore:
«Milano intanto vive di pensieri, progetti verticali. Anche quando la stagnazione economica farebbe pensare a rielaborazioni orizzontali. Cioè manutenzione del preesistente, pragmatismo, cautela sui grandi investimenti sfidanti ed imponderabili» <635.
Stefano Boeri, l’architetto che ha realizzato i grattacieli green di Bosco Verticale e ora ha firmato il progetto del nuovo Pirellino di Catella che divide la politica milanese <636, lega proprio l’uscita dalla crisi economica alla realizzazione di questi imponenti investimenti immobiliari <637. Che rischiano tuttavia, in una città senza certezze, di fare la fine dei grandi non-luoghi partoriti negli anni ’80, soprattutto se lo smart working diventerà un elemento strutturale della nuova economia post-covid.
Per l’Avvocato Isolabella «il covid è arrivato a puntino» nello svelare che in realtà a Milano «stanno arruffianando la facciata» <638, cioè stanno facendo «un po’ come i russi ai tempi del viaggio della grande Caterina di Russia verso il Mar Nero: lungo tutto il viaggio prepararono una serie di facciate di legno di finti palazzi per mostrare alla sovrana che il suo paese era pieno di città e palazzi». Allo stesso modo, il covid ha smascherato l’inconsistenza politica e culturale dell’idea di città portata avanti negli ultimi trent’anni. Il punto, ragiona Umberto Ambrosoli, sarà riuscire a condividere in maniera più efficace i valori storici alla base della convivenza civile milanese che hanno fatto grande la città:
«Se non saremo nelle condizioni di condividere in una maniera più efficace i valori della nostra convivenza, le tipologie di danno che ne possono derivare sono enormi. Se nei valori della nostra convivenza passerà in secondo piano quello dell’interesse collettivo e del rapporto tra l’interesse individuale e quello collettivo, o meglio dell’esigenza di un’armonia tra questi due, e passerà l’idea che si è liberi di coltivare il proprio interesse individuale a prescindere da tutto, è ovvio che poi sarà molto più facile che qualcuno sfrutti l’innovazione (dalle cripto-valute alla blockchain) per farsi gli affari propri, a danno degli altri» <639.
Su un punto concordano i vari osservatori intervistati: la forza di Milano risiede nel fatto che ha sempre saputo attrarre, assorbire e valorizzare il resto d’Italia. E la sua storia, come abbiamo visto, ci insegna che è sempre stata in grado di ripartire prima, facendo di un volano di crescita quella concezione «antica» dell’impresa che affondava le sue radici nell’illuminismo lombardo.
L’Avvocato Isolabella lo ha potuto constatare direttamente con l’evoluzione della composizione del suo studio: su una ventina di avvocati, solo 4 sono «milanesi doc», e si tratta, ci tiene a precisarlo, «di avvocati penalisti, cioè di persone che affrontano o imparano ad affrontare la realtà più cruda della società. Milanese, ma non solo milanese, che però ha un riferimento a Milano» <640. I «nuovi milanesi», cioè quelle persone originarie di altre regioni che hanno studiato e attualmente lavorano a Milano, si sentono più milanesi che italiani, perché Milano ha una grande vis attractiva e storicamente deve la sua forza propria alla contaminazione di idee e persone diverse.
Sotto questo punto di vista, emblematica è l’intervista rilasciata l’11 giugno 2020 da Andrée Ruth Shammah, che nel 1972 a Milano fondò una delle istituzioni cittadine, il teatro Pier Lombardo, oggi intitolato alla memoria del suo compagno di una vita, Franco Parenti, che nel gennaio 1983 raccolse in una sei giorni di dibattiti, film e spettacoli migliaia di studenti contro la mafia:
«Di colpo durante il lockdown mi sono chiesta chi sono veramente. Io vengo dalla Siria, i miei genitori sono scappati sui tetti di Aleppo quando nel 1948 è nato Israele. Sono nata a Milano ma mio padre poteva scappare in Giappone. Ebrea, ho studiato in una scuola francese cattolica. Non ho mai fatto i conti con questo casino. È stata Milano a darmi un’identità che ha coinciso con il fare teatro. Facevo e dunque ero. Quando il fare si è interrotto di colpo, è diventato lampante che quando penso a Milano penso a delle persone che fanno delle cose, che occupano delle posizioni. Forse la novità sta proprio qui: non chiedere alle persone solo cosa fai ma avere la curiosità di capire cosa sente, chi è. Milano a differenza di altre città ha costruito cose che durano, ha costruito dei muri. Ma i muri non servono a niente se non hanno dei contenuti vivi» <641.
Milano grande perché a farla grande non sono tanto i milanesi, ma la loro capacità di dare identità attraverso il fare e il saper fare alle persone, valorizzandole. All’ombra di una narrazione che ha sempre puntato sugli elementi di successo, che indubbiamente ci sono e ci sono stati, cresceva e cresce però l’anima nera di Milano, come la definisce Antonio Calabrò, di cui si trova traccia oggi solo nella letteratura, in particolare nei noir dei vari Robecchi, Biondillo e Colaprico:
«Tutti i luoghi di accelerazione della ricchezza hanno un’anima nera, da New York a Londra, fino a Milano. Il problema è la consapevolezza della sua esistenza, dietro lo scintillio della città e l’enfasi sui grattacieli peraltro pienamente fondata. Vi è un’accelerazione della frenesia del vivere, dove conta il consumo di cocaina. Questo significa che esiste un nesso di causalità stretto tra successo, cocaina e criminalità organizzata? No, però nell’accelerazione si aprono spazi per il mondo della cocaina e quindi della criminalità organizzata. È un ragionamento che vale per tutte le grandi metropoli oggi. È vero però che non è più un problema di magistratura, ma di coscienza civile. Sarebbe utile che più gente leggesse Robecchi» <642.
Assistiamo oggi quindi a un processo simile a quello del 1881, quando venne fondato il mito della capitale morale che oscurò la «Milano in ombra» che emergeva nelle inchieste giornalistiche di Ludovico Corio, Francesco Giarrelli, Paolo Valera. È sicuramente in corso un nuovo scontro tra le due anime della borghesia milanese, quella democratico-repubblicana e quella reazionaria-conservatrice: dall’esito dipenderà la forma che assumerà l’habitus milanese e il modello di sviluppo post-covid. Nonché la capacità di reazione alle organizzazioni mafiose nella futura economia.
[NOTE]
629 Il dato è emerso nell’intervista alla dott.ssa Alessandra Dolci all’autore, 15 febbraio 2021.
630 Dario Di Vico, La nuova edilizia cambia le città e traina tutto il Pil, Corriere della Sera, 20 luglio 2020.
631 Nel 2010 dichiarò in un’intervista: «dopo la scomparsa di mio padre, sei anni fa, mi sono rimasti tre mentori: mia moglie, Gerald Hines e Ligresti», salvo dichiarare quattro anni dopo «con Ligresti c'è stato un rapporto limitato e puntuale». Citato in Vittorio Malagutti, Renzi, Ligresti e il nuovo che avanza, Espresso Online, link: http://malagutti.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/11/06/renzi-ligresti-e-il-nuovo-che-avanza/. Per approfondire, si veda anche STEFANONI, F. (2014). Le mani su Milano, Milano, Laterza.
632 Citato in Giulio Peroni, Il dilemma del nuovo San Siro nella Milano ferita dal Covid, Il Sole 24 Ore, 7 febbraio 2021.
633 Alessia Gallione, Milano, la metropoli si spopola. Dopo anni di record, arriva la frenata, La Repubblica, 16 luglio 2020.
634 Il dato è emerso nell’intervista alla dott.ssa Alessandra Dolci all’autore, 15 febbraio 2021.
635 Giulio Peroni, Il dilemma del nuovo San Siro nella Milano ferita dal Covid, Il Sole 24 Ore, 7 febbraio 2021.
636 Francesco Floris, I grattacieli “green” di Catella spaccano la politica milanese a pochi mesi dalle elezioni: tutti contro tutti sull’aumento delle volumetrie, Il Fatto Quotidiano, 4 febbraio 2021.
637 Intervista rilasciata a Fabio Massa, nel suo libro Fuga dalla Città, Chiarelettere, pp. 102-103.
638 Lodovico Isolabella, intervista all’autore, 6 giugno 2021.
639 Umberto Ambrosoli, Intervista all’autore, 4 febbraio 2021.
640 Lodovico Isolabella, intervista all’autore, 6 giugno 2021.
641 Maurizio Giannattasio, Andrée Ruth Shammah e «un Canto per Milano»: «Lavoro per fare spazio a persone e volti nuovi», Corriere della Sera, 13 luglio 2020.
642 Antonio Calabrò, Intervista all’autore, 3 febbraio 2021.

Pierpaolo Farina, Le affinità elettive. Il rapporto tra mafia e capitalismo in Lombardia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2019-2020 

domenica 11 agosto 2024

Rientrati vittoriosi in Popoli, i partigiani della banda vennero organizzati in pattuglie

Popoli Terme (PE). Fonte Wikipedia

Il mese di giugno 1944 si aprì con l’uccisione da parte dell’Orsini e del Sanvitale di un ufficiale tedesco che fu privato dell’arma e poi seppellito in una buca da mina nel tratto di strada Raiano-Castelvecchio <1400; e la cattura di un sergente tedesco operata da Renzo Della Rocca <1401 e da Arsenio Fracasso nella notte tra il 9 ed il 10 giugno <1402. Fu portato anche a termine un intervento contro i tedeschi razziatori che coadiuvati da carabinieri locali stavano procedendo al rastrellamento di parecchi capi di bestiame; buona parte di questi vennero liberati dai partigiani e riconsegnati ai legittimi proprietari <1403.
Intanto - scrisse il Camarra - «gli eventi precipitavano» tanto da convincere i due capi della formazione a radunare tutti i G.A.P. in previsione di un’azione di massa su Popoli <1404. Due però i dati di fatto che gli consigliarono cautela: l’inadeguato rapporto tra partigiani ed armamenti «le armi conservate in località Fossa non erano sufficienti per l’armamento di tutti gli uomini, [della] deficienza di armi pesanti» <1405 e la presenza di due compagnie tedesche attestate nella gola di Popoli a difesa dei guastatori già in azione contro obiettivi civili e logistici <1406. Orsini e Sanvitale decisero quindi di posporre l’attacco, fino a che «almeno fossero saltati i ponti» <1407, condizione questa che a loro parere avrebbe reso impossibile il rientro delle autoblinde tedesche nell’abitato di Popoli, lasciando così ai partigiani libertà d’azione e ponendo al sicuro la popolazione da possibili rappresaglie <1408.
All’alba del 10 giugno <1409 pattuglie d’avanguardia della banda si «attestarono sul fiume Pescara [agganciando] le retroguardie nemiche», mentre il grosso della formazione penetrò in paese occupandolo in breve tempo senza incontrare nessuna resistenza <1410. Per prima cosa i partigiani assaltarono la locale caserma dei carabinieri repubblichini impossessandosi tra l’altro di due mitragliatori Breda 37 <1411, quindi si occuparono dell’arresto «di collaborazionisti e fascisti pericolosi o ritenuti tali» <1412. Preso possesso del paese, si divisero in due squadre formate ciascuna da 12 elementi e con in dotazione un fucile mitragliatore: la prima, al comando di Nicola Fistola e si pose a difesa dell’abitato, mentre la seconda guidata da Giuseppe Orsini e Alfredo Caramante <1413 si diresse alla volta di Bussi con l’ordine di attaccare il presidio tedesco ancora colà distaccato <1414. La missione non ebbe successo: il violento fuoco «di altre armi tedesche già in postazione sull’altro versante della collina» costrinse il gruppo a ritirarsi <1415. Di fronte al posizionamento del nemico disposto «in maniera da poter battere tutto il terreno scoperto della valle, allo scopo di poter mantenere il più a lungo possibile il controllo della importante posizione strategica della gola dei Tremonti» <1416, il comando della banda inviò immediatamente rinforzi proprio in quell’area. Ne seguirono quasi cinque ore di combattimento decisamente impari se si considera che il battaglione della Wehrmacht colà distaccato, fu stimato nella relazione De Feo-Salvadori di «una forza di 120 armati, con mitragliatrici ed un mortaio» <1417, mentre i partigiani popolesi, benché coadiuvati da elementi di formazioni viciniori di cui a breve si dirà, erano nel complesso ben inferiori sia numericamente che in equipaggiamento. Al termine dei combattimenti «il nemico veniva costretto ad abbandonare le posizioni ritirandosi verso Bussi-Capestrano, lasciando sul terreno quattro morti ed una mitragliatrice» <1418. Tra i partigiani furono registrati sette feriti di cui uno, il Brenno Berluti Lorenzini <1419, morto successivamente in seguito alle lesioni riportate <1420.
Agli scontri di quel giorno parteciparono anche partigiani di altre formazioni già in rapporti con la banda Popoli ed ora accorsi a sostenere lo sforzo bellico dei compagni: la banda Conca di Sulmona inviò 20 uomini armati alle dipendenze di Ercole Pizzoferrato, e tutte le squadre che Claudio Di Girolamo e Enzo Sciuba riuscirono a formare nella difficile congiuntura <1421; stesso dicasi per le bande G.A.P. Aterno <1422 e Santa Croce di Corfinio <1423 quest’ultima con 21 partigiani attivatisi in seguito alle notizie portate dal partigiano Luigi Giulio Masella <1424. Anche da Castelvecchio Subequeo si mosse in direzione Popoli una squadra di partigiani su richiesta di Felice Arquilla del G.A.P. raianese, ma giunse solo ad attacco completato <1425.
Mentre ancora era in atto lo scontro tra partigiani e tedeschi, a Popoli venne affisso in diverse copie un manifesto a nome del Comitato Nazione di Liberazione e firmato da Nicola Sanvitale:
«POPOLESI
Il Comitato locale di Liberazione Nazionale, costituito da un gruppo di patrioti, vostri concittadini, alle dipendenze del Centro Militare di Roma e già da tempo operante con atti di sabotaggio ed azioni di molestia contro le belve nazi-fasciste
ASSUME
da oggi, fino ad eventuali altre disposizioni, il Comando Militare del territorio del paese come l’unica forza armata riconosciuta legale dal Governo dell’Italia Libera e dal Comando Alleato
INVITA
tutti i cittadini a ritornare calmi e fiduciosi alla proprie ordinarie occupazioni ed a collaborare attivamente per la tutela dell’ordini e per la consegna alla giustizia di tutti coloro i quali, approfittando della protezione del nemico che ora fugge, hanno contribuito, con il tradimento e con l’opera nefasta, a peggiorare la già grave situazione cittadina
AVVERTE
Che l’ordine pubblico sarà tutelato dagli uomini armati alle dipendenze del Comitato stesso i quali saranno riconoscibili dal bracciale bianco con la sigla C.L.N. Ogni infrazione da parte di elementi facinorosi verrà inesorabilmente e severamente repressa.
Con fervore e serenità, all’opera, per la ricostruzione materiale e morale del nostro martoriato paese.
Viva L’Italia Libera!» <1426.
Rientrati vittoriosi in Popoli, gli uomini della banda vennero organizzati in pattuglie dislocate sia in postazioni fisse che mobili, adibite al controllo del territorio. Fu proprio da una di queste postazioni che il giorno 11 intorno alle ore 10.30, fu fatto fuoco a scopo intimidatorio contro un reparto motorizzato che stava avvicinandosi alla cittadina. Grande sollievo fu provato nell’accorgersi che non si trattava di tedeschi, come inizialmente temuto, bensì «di motociclisti della 134^ Comp. Divisione Nembo al comando del Capitano Nicoletti Altimare» <1427, che fecero il loro ingresso in paese con i partigiani di Popoli tra l’esultanza della popolazione <1428. Segnalato un unico caso di reazione avversa: un tale Luigi Cavalli lanciò da un balcone al primo piano di un’abitazione in via San Rocco due bombe a mano contro i partigiani, ferendo un motociclista. Immediatamente catturato per ordine del capitano Nicoletti, venne fucilato il giorno 12 giugno nella piazza principale del paese <1429.
La banda, messasi quindi a disposizione del Nicoletti, fu organizzata in squadre ed in plotoni: alle prime fu affidato il compito di svolgere i servizi utili alla popolazione <1430, mentre i secondi furono accorpati ad un plotone della Nembo, con cui provvidero a liberare Bussi, arrestando le residue forze repubblichine, e stanziandovi un presidio di partigiani <1431.
Il giorno 13 giugno giunse in paese un plotone della Brigata Maiella comandato da Nicola De Ritis <1432 che circondò la caserma e «ci rese noto che dietro ordine verbale da parte di tale capitano inglese LAMB doveva procedere al nostro disarmo. Malgrado l’ordine intimidatorio venisse fatto in una forma del tutto irregolare, il disarmo avvenne senza incidenti» <1433. Furono lasciati in servizio solo pochi uomini scelti della banda con mansioni provvisorie di polizia <1434 che nulla però poterono fare per frenare gli uomini della Brigata Maiella che - almeno stando a quanto riferito dal Camarra e dal Nuccitelli - si appropriarono delle «armi migliori», e si lasciarono andare a «ruberie varie» <1435. Nel clima non certo di concordia di quei giorni, venne ad inserirsi il 21 un fatto accaduto nella vicina Bussi che convinse i partigiani popolesi a riprendere le attività benché con altro e ben diverso scopo. Secondo quanto riferito sia dal Camarra che dal Nuccitelli - ma si segnala in proposito una diversa versione riportata dalle fonti del Costantino Felice <1436 - i «nuovi Reali Carabinieri» giunti in paese, provvidero a rimettere in libertà i loro commilitoni repubblichini di cui uno schiaffeggiò un patriota <1437. Nonostante la scellerata decisione venisse immediatamente rettificata dagli agenti di F.S.S. di stanza a Popoli che ne riordinarono l’immediato riarresto, il danno alla fiducia era fatto e così il comando della banda provvide al riarmo dei suoi elementi per vigilare a che tali iniziative non potessero essere poste in essere anche nella cittadina <1438. I partigiani popolesi rimasero quindi attivi fino al 23 giugno, giorno in cui consegnarono definitivamente tutte le armi dietro ordine della F.S.S. e dell’ufficiale dell’A.M.G., e la banda venne ufficialmente sciolta <1439. Solo un piccolo contingente di sei elementi rimase «alle dipendenze del Comune in servizio di guardie campestri» <1440. In seguito molti partigiani della banda passarono nella Brigata Maiella e si recarono a Chieti «per essere inquadrati nelle truppe regolari del C.I.L.» <1441.
[NOTE]
1400 Durante la colluttazione il Sanvitale Nicola riportò una ferita al mento, guarita in dieci giorni. Cfr. ivi, certificato del dott. Fracasso Arsenio del 26 novembre 1944.
1401 Nato a Popoli (PE) il 4 dicembre 1924, ha svolto attività partigiana nella banda dal 12/10/43 al 23/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani.
1402 Cfr. ivi, Banda Popoli, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale. Detto sergente, unitamente ad altri tre militi tedeschi furono poi consegnati dal Fracasso, il 10 giugno, ad un ufficiale australiano che rilasciò «ricevuta», ibidem.
1403 Cfr. ibidem.
1404 Cfr. ibidem.
1405 Ibidem.
1406 Cfr. ibidem.
1407 Ibidem.
1408 Cfr. ibidem.
1409 Cfr. Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., p. 198.
1410 Fu riferito di un unico colpo sparato da tal carabiniere Fiore, che sfiorò «la giacca di un partigiano», ACS, Ricompart, Abruzzo, Banda Popoli, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale.
1411 Il numero esatto della armi asportate fu di 2 mitragliatrici Breda mod. 39, n. 100 bombe a mano e n. 15 moschetti. Cfr. ivi, Patrioti Marsicani, relazione Attività Patriottica della Banda Popoli a firma di Nannicelli Pietro, allegato n. 2 della relazione De Feo-Salvadori.
1412 Ivi, Banda Popoli, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale.
1413 Nato a Napoli il 27 settembre 1921, ha svolto attività partigiana nella banda dal 01/10/43 al 23/06/44. Cfr. ibidem.
1414 Cfr. ivi, Banda Popoli, relazione della banda a firma del responsabile militare e capobanda Camarra Natale.
1415 Cfr. ibidem.
1416 Ibidem.
1417 Ivi, Patrioti Marsicani, relazione De Feo-Salvadori.
1418 Ivi, Banda Popoli, relazione della banda a firma del responsabile militare e capobanda Camarra Natale. La ricostruzione sintetica degli eventi di quel giorno si rinviene anche nella relazione De Feo-Salvadori. Cfr. ivi, Patrioti Marsicani.
1419 Nato a Senigallia (AN) il 1° gennaio 1899, ha svolto attività partigiana nella banda dal 01/10/43 al 23/06/44, ferito il 10 giugno 1944 sulla strada Popoli-Bussi. Morì il 24 luglio 1944 a causa delle ferite riportate. Riconosciuto partigiano combattente caduto per la lotta di Liberazione. Cfr. ivi, schedario partigiani e schedario caduti e feriti. Cfr. ivi, anche Banda Popoli, certificato di morte.
1420 Secondo i certificati medici rilasciati dal dott. Fracasso Nicola, responsabile sanitario della banda, durante l’azione del 10 giugno restarono feriti: Caramante Alfredo, D’Amato Oscar, Orsini Giovanni, Pallotta Armando, Tatangelo Antonio e Visconte Gaetano. Caramante Alfredo, nato a Napoli il 27 settembre 1921, ha svolto attività partigiana nella banda dal 01/10/43 al 23/06/44; D’Amato Oscar, nato a Popoli (PE) il 3 giugno 1910, ha svolto attività partigiana nella banda dal 01/10/43 al 23/06/44; Orsini Giovanni, nato a Popoli (PE) il 30 maggio 1921, ha svolto attività partigiana nella banda dal 01/10/43 al 23/06/44; Visconte Gaetano, nato a Popoli (PE) il 3 giugno 1927, ha svolto attività partigiana nella banda dal 01/10/43 al 23/06/44. Cfr. ivi, schedario partigiani e schedario caduti e feriti.
1421 Cfr. ivi, Banda Conca di Sulmona.
1422 Cfr. ivi, Bande Castelvecchio Subequo, Molina Aterno e S. Croce Corfinio.
1423 Cfr. ibidem.
1424 Cfr. ivi, Banda Popoli, relazione attività di Masella Luigi Giulio.
1425 Cfr. ivi, Bande Castelvecchio Subequo, Molina Aterno e S. Croce Corfinio.
1426 Ivi, Banda Popoli, allegato 5 alla relazione della banda.
1427 Ivi, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale.
1428 Cfr. ibidem. Cfr anche Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., p. 198.
1429 Cfr. ACS, Ricompart, Abruzzo, Banda Popoli, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale e ivi, Patrioti Marsicani, relazione De Feo-Salvadori. Cfr. anche Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., p. 198.
1430 Tra queste, squadre di lavoratori impiegati nello sgombero delle macerie. Va ricordato che Popoli fu infatti uno dei paesi più bombardati della zona e - si legge nella relazione - «tenute presenti le condizioni del paese […] è necessario dire subito che gravi difficoltà si presentano per il riassetto interno malgrado tutti gli sforzi delle nuove Autorità civili e dei membri del Comitato locale», ACS, Ricompart, Abruzzo, Banda Popoli, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale.
1431 Cfr. ibidem.
1432 Cfr. Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., p. 198.
1433 ACS, Ricompart, Abruzzo, Banda Popoli, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale.
1434 Cfr. ibidem.
1435 Ibidem e ivi, Patrioti Marsicani, relazione Attività Patriottica della Banda Popoli a firma di Nannicelli Pietro, allegato n. 2 della relazione De Feo-Salvadori.
1436 Secondo cui: «Al momento della liberazione la piccola pattuglia [di partigiani] procede all’arresto di un paio di centinaia di collaboratori fascisti, tra cui 11 carabinieri. Ma questi ultimi reagiscono arrestando a loro volta i partigiani. La paradossale situazione si risolve grazie a un intervento della banda di Popoli, che riaffida l’ordine pubblico a Pascale e compagni», in Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., p. 198.
1437 ACS, Ricompart, Abruzzo, Patrioti Marsicani, relazione Attività Patriottica della Banda Popoli a firma di Nannicelli Pietro, allegato n. 2 della relazione De Feo-Salvadori e ivi, Banda Popoli, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale.
1438 Cfr. ibidem.
1439 Cfr. ivi, Banda Popoli, relazione della banda a firma del responsabile militare e capo banda Camarra Natale.
1440 Ibidem.
1441 Ibidem.
Fabrizio Nocera, Le bande partigiane lungo la linea Gustav. Abruzzo e Molise nelle carte del Ricompart, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, Anno Accademico 2017-2018