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martedì 27 agosto 2024

Qualunquismo, populismo, antipolitica in Italia dal 1945 al 1970


In realtà Guglielmo Giannini non fu mai un vero nostalgico: riuscì invece a tradurre con grande abilità questo malcontento attraverso epiteti dissacranti e una satira feroce, procurandosi notevoli consensi. Tuttavia quando fondò il Fronte dell'Uomo Qualunque la sua originale idea subì continue oscillazioni e forti cambiamenti. In partenza la sua idea vedeva la “Folla”, insieme di individui di buonsenso, buon cuore e buona fede, sempre sotto scacco dei “Capi”, degli “Uomini Politici Professionali” che la sfruttavano e la sacrificavano per pura sete di potere. Aspirava quindi ad uno “Stato amministrativo” gestito da un buon ragioniere, che lasciasse ad ognuno la propria tranquillità nella vita e nel lavoro. La sua era «una difesa iperbolica della società civile e soprattutto dell'individuo» <124. Il qualunquismo divenuto partito politico «insabbierà le tinte anarcoidi che costituivano la genuina essenza del pensiero del suo capo, metterà da parte l'agnosticismo ideologico dandosi vesti liberali e cattoliche, rifiuterà di considerare sullo stesso spregevole piano tutti gli uomini politici e tutti i partiti cercando alleanze e intese in funzione antimarxista, con monarchici, liberali, democristiani» <125.
I qualunquisti non furono i soli a tentare di interpretare il rifiuto del nuovo sistema: i monarchici insistettero nella loro propaganda sul ruolo della Corona come istituzione al di sopra delle divisioni e garante dell'interesse nazionale <126. Neanche la Chiesa, secondo Truffelli fu esente da sentimenti antipolitici, retaggio di una avversione alla modernità e alla democrazia che non riconosceva alla politica la capacità di individuare i bisogni reali della collettività e che in molti ambienti ecclesiastici non era ancora stata superata <127. La Confindustria dal canto suo espresse una visione negativa della politica come incompetente e lontana dai veri problemi, sempre sul punto di soffocare la libera iniziativa imprenditoriale <128. Vittorio Valletta espresse alla Costituente queste aspirazioni tecnocratiche con l'idea di affidare l'industria e l'economia ad alti commissari tecnici sottraendole al controllo di ministeri politici <129. Infine non mancarono partigiani delusi dalle miserie della neonata repubblica contrapposte all'eroismo della Resistenza: questo accadde a personalità diverse, di tutte le forze, dagli azionisti ai marxisti fino ai liberali <130. Edgardo Sogno si dipingeva così in quel periodo: "Io, idealista, pensavo che, finita la guerra, dovesse cominciare il lavoro, mi nauseava che tanta gente attorno a me non pensasse più alla politica, se non come strumento per fare soldi, accumulare potere. Erano arrivati i professionisti della politica, della raccomandazione, dell'arricchimento personale. Così sono tornato all'amministrazione dello stato per andare in un posto pulito". <131
Di forte carica antipolitica e più propriamente populista, furono la figura e l'opera di Achille Lauro, monarchico ex qualunquista, «plebeo nello stile e autoritario nel temperamento» <132 che fu eletto sindaco di Napoli la prima volta nel 1952. La sua retorica privilegiò al massimo la personalizzazione. Prima ancora che per un clientelismo estremo la sua affermazione si fondò sulla ostentazione delle capacità imprenditoriali come armatore di successo. A questa immagine il “comandante” affiancò quella di sciupafemmine, meridionale che avrebbe vendicato i torti dell'Unità, uomo ricco abbastanza da non dover rubare e da poter pagare di tasca propria opere pubbliche costruite al di là dei regolamenti, in spregio alle istituzioni e al mondo politico professionale da cui pretendeva di essere estraneo. Inoltre ascoltava i poveri in Comune come Evita Peron, trovando magari un posto nella sua azienda per i disoccupati più disperati. Non guastava che fosse presidente della squadra di calcio cittadina e fra i maggiori finanziatori delle feste popolari <133.
Un pensiero antipolitico fu espresso negli anni Cinquanta e Sessanta da alcuni scrittori e giornalisti. Primo fra tutti Giovanni Guareschi, che ne diede prova nei racconti di “Don Camillo” già alla fine degli anni Quaranta. Il “Mondo piccolo” vagheggiato dallo scrittore era una società semplice e solidale, governata da una codice di onestà e dalla saggezza popolare, senza ricorrere alla politica <134. Che persone come Don Camillo e il sindaco Peppone esistessero veramente da qualche parte è improbabile e irrilevante: la cosa significativa è che la loro esistenza paradossale fosse accettata dai lettori <135. Il frequente scontro fisico fra i due personaggi (e le idee che rappresentano) non è mai determinante, «non perché le forze siano pari ma perché davanti all'essenziale, le forze degli avversari si congiungono» <136. Secondo Gian Franco Vené, Guareschi voleva comporre "un piccolo borghese ideale che ora ha la faccia di Don Camillo, ora di Peppone, e che pur politicizzato in un senso o nell'altro è equidistante dall'astrazione schematica e dottrinaria dei due opposti schieramenti. La politica in sé non vive è antiumana; esiste e vive solo nel momento in cui è adeguata alle circostanze contingenti, che possono essere controllate direttamente dagli uomini che fanno politica. L'impegno politico reale, per Guareschi, e per i suoi piccoli borghesi, non va mai al di là delle possibilità di ottenere un risultato immediato e concreto". <137 L'obiettivo polemico dello scrittore è la “troppa cultura” che sottintende all'equazione: troppa cultura-macchinismo-industria-vita di città-politica astratta. Questa è incarnata, indipendentemente dalla condizione sociale e dall'appartenenza ideologica, da “quelli di città” <138. Sono spesso citati come pervasi da un sentimento antipolitico anche Leo Longanesi, Edilio Rusconi e Indro Montanelli. Riguardo a quest'ultimo, viene ricordato come si fosse messo in luce già nel 1945 con il libro "Qui non riposano", sorta di autobiografia romanzata in cui si esaltava lo stare alla finestra e il diritto di non pensare alla politica <139. Più duri altri giudizi che identificano l'opera di Montanelli e Longanesi come espressione di un anticomunismo viscerale proveniente «dalle acque profonde di una politica di destra, poco visibile ma ben presente sulla scena italiana una cultura che è, più in generale, quella dell'antipolitica» <140. Nicola Tranfaglia, in maniera ancora più netta, dice che i due giornalisti sarebbero stati portatori di «una cultura antidemocratica legata al fascismo» <141.
Anche intellettuali più raffinati affrontarono questi temi. Giuseppe Maranini, politologo di formazione liberale, si lanciò in una battaglia culturale contro la partitocrazia (termine la cui invenzione pare vada attribuita proprio a lui). Panfilo Gentile che pure era stato un antifascista liberale si allontanò dalla politica denunciando la trasformazione dei sistemi politici in “democrazie mafiose”, regimi nei quali la scelta popolare ricadeva sul gruppo dirigente più demagogico e più imperioso <142.
Nel contrastare un sistema dei partiti ritenuto inefficiente e dannoso per le istituzioni, un gruppo tutto sommato ristretto fu affascinato dalla svolta presidenzialista della Quinta Repubblica francese. Fra questi sostenitori del gollismo il più eminente fu Randolfo Pacciardi che ruppe con il PRI per fondare l'Unione Democratica per la Nuova Repubblica, diretta a raccogliere consensi a destra come a sinistra. L'esperimento non decollò, mentre sul fondatore pesarono accuse di golpismo che ne mirarono la credibilità. La sua branca giovanile “Primula goliardica”, fu quasi un caso a sé, facendo concorrenza a destra alle organizzazioni universitarie missine <143. Non mancarono ammiratori del generale francese anche nel campo degli eredi del fascismo. Almirante ebbe una certa simpatia per una repubblica presidenziale, Giorgio Pisanò se ne fece entusiasta propugnatore con il suo "Secolo XX". Altri invece come Ordine Nuovo, legati all'oltranzismo algerino, erano nemici di De Gaulle <144.
Discusso è il carattere populista che viene contestato al MSI, soprattutto nel periodo della lunga segreteria Almirante. Su questo Tarchi è scettico, affermando con un’ottica di lungo periodo che questa connotazione era «fin dalle origini, e resterà sino alla trasformazione in Alleanza Nazionale, parziale e intermittente, comunque assai ridotta rispetto alla sua matrice fascista». Tuttavia ci sono da considerare che non solo l'eredità degli spunti antipolitici del fascismo corporativista e “sociale”; ma, soprattutto nel decennio '70, l'insistenza di toni ribellistici al Sud, sulla scorta delle posizioni conquistate nella Rivolta di Reggio Calabria, e le proposte di legge di iniziative popolare come quella sulla pena di morte. Del resto era quello il tempo della politica almirantiana del doppio binario: «populista nel Sud dove il malcontento è meno facilmente gestibile dai sindacati a causa della peculiare atomizzazione del tessuto sociale,[...] partito d'ordine al Centro-Nord, saldando la sua politica solo nei confronti delle riforme.» <145. Piero Ignazi non solo concorda sul fondo populista della “alternativa al sistema” e sulle modalità della ricerca del consenso nelle regioni meridionali <146, ma trova sentori di qualunquismo nell'idea di destra che propose Armando Plebe come retroterra culturale della nuova Destra Nazionale <147.
[NOTE]
124 M. Truffelli, L'ombra della politica, cit., p.53
125 S. Setta, L'Uomo Qualunque. 1944-1948, Roma-Bari, Laterza, 1975, p.50
126 M. Truffelli, L'ombra della politica, cit., p.54
127 Ivi, p.57
128 A. Agosti, B. Bongiovanni, “Traiettorie dell'anticomunismo”, in Quaderno di storia contemporanea, n.38, Recco, Le Mani, 2005, p.19
129 M. Truffelli, L'ombra della politica, cit.,, pp.56 e 99
130 Ivi, p.58
131 E. Sogno, A. Cazzullo, Testamento di un anticomunista, Milano, Mondadori, 2000, p.89
132 M. Tarchi, L'Italia populista, cit, p.95
133 Ivi, pp.96-99; M. Truffelli, L'ombra della politica, cit., pp.48 e 99
134 M. Truffelli, L'ombra della politica, cit., p.47
135 G. F. Vené, L'ideologia piccolo borghese. Riformismo e tentazioni conservatrici di una non classe dell'Italia repubblicana, Venezia, Marsilio, 1980, p.44
136 Ivi, p.57
137 Ivi, p.59
138 Ivi, pp.91-92
139 M. Truffelli, L'ombra della politica, cit., p.51
140 A. Agosti, B. Bongiovanni, “Traiettorie dell'anticomunismo”, in cit, p.18
141 N. Tranfaglia, “Come nasce la Repubblica”, in Quaderno di storia contemporanea, n.38, Recco, Le Mani, 2005, pp.22-23
142 M. Truffelli, L'ombra della politica, cit., pp.49-50; M. Tarchi, L'Italia populista, cit, p.102
143 M. Tarchi, L'Italia populista, cit, p.103
144 P. Ignazi, Il polo escluso: profilo del Movimento Sociale Italiano, Bologna, Il Mulino, 1989, pp.104-105; M. Tarchi, L'Italia populista, cit, p.103
145 G. S. Rossi, Alternativa e doppiopetto. Il MSI dalla contestazione alla destra nazionale 1968-1973, Roma, ISC, 1992, p.191
146 P. Ignazi, Il polo escluso, cit., p.163
147 Ivi, p.155
Alberto Libero Pirro, La “maggioranza silenziosa” nel decennio '70 fra anticomunismo e antipolitica, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Roma "La Sapienza", Anno Accademico 2013-2014