"Milano o la memoria" è un breve testo datato «Lugano 1944»; rimasto a lungo inedito allo stato di manoscritto, è stato recentemente pubblicato a cura di Marco Vigevani. <168 I motivi di interesse di queste pagine sembrano soprattutto risiedere nel fatto che esse testimoniano, anche a questa altezza cronologica, il riaffiorare della personale poetica della città, inaugurata da Alberto Vigevani con "Ricordo per l’Olona"; proprio questo testo è significativamente ripubblicato ancora nel giugno del 1945, con il titolo "L’Olona di Milano". <169 Ne consegue dunque la conferma del fatto che questi elementi rimangono continuamente al centro degli interessi dello scrittore, anche se in questi anni si mantengono più sotterranei rispetto ai più pressanti temi legati alla guerra.
"Dal centro di Milano, ora quasi completamente distrutto, sia dai bombardamenti dell’agosto 1943, sia dal piano regolatore che aveva voluto fare della mia città una metropoli, mi tornano non di rado alla mente alcune vie, che mi addolora poi non ritrovare quando, giunto sul limite o nei paraggi dove ci si entrava, mi scontro in un palazzo moderno, o nello scheletro grigio d’un cantiere". <170
L’immagine di Milano è dunque rappresentata sulla base dell’esperienza soggettiva (il «vissuto») e attraverso il filtro della memoria di un io narrante assimilabile all’autore stesso. Questo «promemoria narrativo su Milano vista attraverso gli occhi dello scrittore» <171 è dunque pienamente riconducibile al modello della letteratura «frutto» della memoria di Vigevani; si avvicina in particolare a quella tipologia di testi in cui è più forte la componente autobiografica: "Talora è un sogno che mi richiama quella via, o un’immagine: quella di mio padre, per esempio. Lui sorge in mezzo a una Milano fantastica, di cui ho conosciuto i relitti solamente: perché quando arrivò a Milano con la sua laurea in tasca, questa doveva essere del tutto differente da come la conobbi io - e già essa mi sembra ora tanto cambiata. Un’idea di come poteva essere mi è rimasta impressa, quasi l’avessi conosciuta io da bambino, in un’infanzia remota alla mia stessa dalle immagini sfogliate allora con una mente tanto accesa, che chiudeva in sé, come proprie, le rappresentazioni da una fotografia o una illustrazione, sbiadita come una larva ai miei occhi, tenuti nelle palpebre abbassate, neanche fossero due cani al guinzaglio. <172
Il testo è composto da una serie di immagini cittadine; la voce narrante le rappresenta con un atteggiamento quasi contemplativo, <173 venato di nostalgia per un tempo e una città ormai trascorsi e mutati. <174 In questa occasione, «Vigevani ventiseienne, nella piena stagione dell’impegno politico e a guerra non ancora conclusa, anticipa compiutamente i temi centrali e la prospettiva di 'All’ombra di mio padre'», <175 il libro pubblicato nel 1984. <176 È qui, in sostanza, in massimo risalto il dato della continuità dell’opera di Vigevani, e del radicamento della sua produzione, anche della maturità, nel modello di letteratura che egli inizia a praticare sin dagli esordi.
Milano, ferita dai bombardamenti, fa da sfondo anche a "Memoria improbabile", pubblicato nello stesso 1944. <177 Questo testo potrebbe essere accostato a quelli pubblicati da Vigevani su rivista negli anni precedenti, che sembrano risentire di più dell’influenza della prosa d’arte. L’io narrante (con cui l’autore stabilisce un’identificazione attraverso alcuni indizi, quali l’indirizzo di residenza) descrive qui in prima persona un sogno, che riguarda l’evento della distruzione della propria abitazione; la scelta di rappresentare questo fatto in chiave onirica potrebbe derivare dalla volontà dello scrittore di sottolinearne con maggior forza le implicazioni e il drammatico impatto sul vissuto intimo del soggetto, in una maniera che dunque prefigura qualche tratto di "La fidanzata". All’inizio del sogno raccontato, il protagonista rientra nella propria dimora milanese di via della Spiga: "la voce narrante insiste sulla presenza, qui, degli oggetti della vita quotidiana, molti dei quali connotati soprattutto secondo il loro valore affettivo". <178
Nell’attacco del racconto, l’immagine della città dipende ancora una volta della stessa poetica che è alla base di "Milano o la memoria": "Abitavo in via Spiga e per giungervi percorrevo la contrada di vie silenziose e severe, dai grandi palazzi difesi dal flusso esterno e rado dei passanti con quei lucidi cancelli di legno, odorosi di cera, che fin dall’infanzia cercavo di sorpassare per sorprendere chissà quali romantici e polverosi recessi dell’ottocento, intime e comode poltrone in cuoio verde, grandi sveglie in porcellana avorio, vasi sassoni e trofei d’armi disposti sul velluto nelle sale fasciate di quercia e guarnite da soffitti a cassettoni". <179
[...] Il sogno termina. Nel testo si dice che esso aveva avuto luogo a una settimana di distanza da un bombardamento della città. Nel finale del racconto, la voce narrante insiste ancora più esplicitamente sulla propria nostalgia e sulla propria amarezza per la distruzione degli oggetti e dei luoghi legati al proprio vissuto, e per questo tanto cari. <183
In "Milano o la memoria" e in "Memoria improbabile", la Milano dell’esperienza di Vigevani compare dunque sfregiata dalla violenza della guerra e dei bombardamenti. "Rapporto agli angeli ossia annali della nostra città" prende in una certa misura le mosse dallo stesso nucleo narrativo, all’origine chiaramente autobiografico. Nel testo - conservato in archivio allo stato di manoscritto e incompleto - <184 Vigevani raccoglie i temi della propria origine, della propria infanzia e giovinezza, e quelli dell’affermazione della dittatura e della guerra, che ne hanno determinato l’esilio all’estero. Lo scrittore affida il racconto a una voce narrante che, in prima persona, narra questi fatti come accaduti in un tempo e in uno spazio che non corrispondono a quelli della storia reale, ma che sono collocati in una dimensione mitica. La rappresentazione del reale è così sottoposta, nel "Rapporto agli angeli", a una più evidente trasfigurazione letteraria, rispetto a quanto non accada negli altri due testi di cui si è detto. Inoltre, curiosamente, Vigevani - che al tempo della scrittura (1944) è ancora in Svizzera - fa avanzare in questo testo il racconto fino al rientro del protagonista in patria dopo molti anni di assenza; qui egli, amaramente, si rende conto del cambiamento dei costumi avvenuto, e si sente inserito in una realtà sociale nuova, non più completamente libera e serena. Nella finzione narrativa, questo testo avrebbe la funzione appunto di un «rapporto agli angeli», per denunciare la condizione di dolore dell’uomo di fronte a tale realtà. Tutti questi fatti, temi e motivi, oltre ad essere trasportati dallo scrittore in una dimensione mitica, sono narrati con un tono evocativo e sospeso, accordato a tale ambientazione.
[NOTE]
168 A. VIGEVANI, Milano o la memoria, in appendice a ID., All’ombra di mio padre, cit., pp. 173-180.
169 T. RIGHI, L’Olona di Milano, in «Corriere del Ticino», 22 giugno 1945.
170 A. VIGEVANI, Milano o la memoria, cit., p. 175.
171 MARCO VIGEVANI, nota in A. VIGEVANI, Milano o la memoria, cit., p. 173.
172 A. VIGEVANI, Milano o la memoria, cit., p. 175-176.
173 «C’era come prima immagine, a colori, Piazza del Duomo con i tramvai in carosello, dipinti di giallo-crema, e le aiole pompose, animate di rossi e celesti squillanti. La cattedrale, in mezzo, aveva l’aria d’un dolce o di un trofeo di tonno» (ivi, p. 176).
174 «C’era un costume, un accento e persino un rumore diverso, che gli anni hanno affievolito e infine il peso di due guerre ha ridotto a un ricordo da vetrina: che non metterebbe in bacheca - vicino alle pendole monumentali con trombe e arcangeli - una carrozza verde, col mantice nero e le ruote dipinte di rosso, e i vetturini con la “stadera” screpolata e la pellegrina foderata di montone» (ivi, p. 178); «Quando mio padre arrivò a Milano gli affari erano gli affari... I suoi coetanei hanno tutti una storia bizzarra: Rizzoli e Bianchi, forse erano ancora dei trovatelli; Ernesto Breda, Alberto Pirelli, Augusto Stigler uscivano appena dalla preistoria artigiana e sul mondo di speculatori, avidi commercianti, usurai e ruffiani, primeggiava ancora la figura del “patron” balzacchiano» (ivi, p. 178-179).
175 M. VIGEVANI, nota in A. VIGEVANI, Milano o la memoria, cit., p. 173.
176 A. VIGEVANI, All’ombra di mio padre, Milano, Mondadori, 1984.
177 B. VANI, Memoria improbabile, in «Almanacco letterario della collana di Lugano», 1944, pp. 50-56.
178 «Ogni scaffale mi ricordava luoghi, letture, volti di amici per una dedica che nobilitava l’occhietto del libro di Carlo Emilio o quello di Vittorio o di Gilberto o perchè i libri che ospitava li avevo acquistati in una botteguccia odorosa di muffa e di carta brunita nelle strade silenziose del Quartiere latino che discendono al purgatorio del Boul Mich e nelle contrade romane, che sanno di travertino sfaldato e d’erba salvia, dietro le palazzine barocche di Via dei Brurrò» (ivi, p. 52).
179 Ivi, p. 50.
183 «Seppi dunque dopo valutare la perdita subita, dei luoghi e dei costumi cari alla mia adolescenza e mi rassegnai ad una memoria avvilita e devastata in cui la rappresentazione del passato si connetteva ancora con l’aiuto di oggetti ormai inesistenti, come nulla fosse avvenuto, e in tal misura da indurmi sovente a rivolgermi con angoscia la domanda se tutto, e non soltanto i sentimenti - la cui probabilità passata si è troppo spesso e leggermente disposti a mettere in dubbio - non era stato che un incubo, una fantasia troppo a lungo durata» (ivi, p. 55).
Marco Fumagalli, Una collocazione problematica. La narrativa di Alberto Vigevani e il suo spazio nel sistema letterario (1943-1969), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2009-2010
"Dal centro di Milano, ora quasi completamente distrutto, sia dai bombardamenti dell’agosto 1943, sia dal piano regolatore che aveva voluto fare della mia città una metropoli, mi tornano non di rado alla mente alcune vie, che mi addolora poi non ritrovare quando, giunto sul limite o nei paraggi dove ci si entrava, mi scontro in un palazzo moderno, o nello scheletro grigio d’un cantiere". <170
L’immagine di Milano è dunque rappresentata sulla base dell’esperienza soggettiva (il «vissuto») e attraverso il filtro della memoria di un io narrante assimilabile all’autore stesso. Questo «promemoria narrativo su Milano vista attraverso gli occhi dello scrittore» <171 è dunque pienamente riconducibile al modello della letteratura «frutto» della memoria di Vigevani; si avvicina in particolare a quella tipologia di testi in cui è più forte la componente autobiografica: "Talora è un sogno che mi richiama quella via, o un’immagine: quella di mio padre, per esempio. Lui sorge in mezzo a una Milano fantastica, di cui ho conosciuto i relitti solamente: perché quando arrivò a Milano con la sua laurea in tasca, questa doveva essere del tutto differente da come la conobbi io - e già essa mi sembra ora tanto cambiata. Un’idea di come poteva essere mi è rimasta impressa, quasi l’avessi conosciuta io da bambino, in un’infanzia remota alla mia stessa dalle immagini sfogliate allora con una mente tanto accesa, che chiudeva in sé, come proprie, le rappresentazioni da una fotografia o una illustrazione, sbiadita come una larva ai miei occhi, tenuti nelle palpebre abbassate, neanche fossero due cani al guinzaglio. <172
Il testo è composto da una serie di immagini cittadine; la voce narrante le rappresenta con un atteggiamento quasi contemplativo, <173 venato di nostalgia per un tempo e una città ormai trascorsi e mutati. <174 In questa occasione, «Vigevani ventiseienne, nella piena stagione dell’impegno politico e a guerra non ancora conclusa, anticipa compiutamente i temi centrali e la prospettiva di 'All’ombra di mio padre'», <175 il libro pubblicato nel 1984. <176 È qui, in sostanza, in massimo risalto il dato della continuità dell’opera di Vigevani, e del radicamento della sua produzione, anche della maturità, nel modello di letteratura che egli inizia a praticare sin dagli esordi.
Milano, ferita dai bombardamenti, fa da sfondo anche a "Memoria improbabile", pubblicato nello stesso 1944. <177 Questo testo potrebbe essere accostato a quelli pubblicati da Vigevani su rivista negli anni precedenti, che sembrano risentire di più dell’influenza della prosa d’arte. L’io narrante (con cui l’autore stabilisce un’identificazione attraverso alcuni indizi, quali l’indirizzo di residenza) descrive qui in prima persona un sogno, che riguarda l’evento della distruzione della propria abitazione; la scelta di rappresentare questo fatto in chiave onirica potrebbe derivare dalla volontà dello scrittore di sottolinearne con maggior forza le implicazioni e il drammatico impatto sul vissuto intimo del soggetto, in una maniera che dunque prefigura qualche tratto di "La fidanzata". All’inizio del sogno raccontato, il protagonista rientra nella propria dimora milanese di via della Spiga: "la voce narrante insiste sulla presenza, qui, degli oggetti della vita quotidiana, molti dei quali connotati soprattutto secondo il loro valore affettivo". <178
Nell’attacco del racconto, l’immagine della città dipende ancora una volta della stessa poetica che è alla base di "Milano o la memoria": "Abitavo in via Spiga e per giungervi percorrevo la contrada di vie silenziose e severe, dai grandi palazzi difesi dal flusso esterno e rado dei passanti con quei lucidi cancelli di legno, odorosi di cera, che fin dall’infanzia cercavo di sorpassare per sorprendere chissà quali romantici e polverosi recessi dell’ottocento, intime e comode poltrone in cuoio verde, grandi sveglie in porcellana avorio, vasi sassoni e trofei d’armi disposti sul velluto nelle sale fasciate di quercia e guarnite da soffitti a cassettoni". <179
[...] Il sogno termina. Nel testo si dice che esso aveva avuto luogo a una settimana di distanza da un bombardamento della città. Nel finale del racconto, la voce narrante insiste ancora più esplicitamente sulla propria nostalgia e sulla propria amarezza per la distruzione degli oggetti e dei luoghi legati al proprio vissuto, e per questo tanto cari. <183
In "Milano o la memoria" e in "Memoria improbabile", la Milano dell’esperienza di Vigevani compare dunque sfregiata dalla violenza della guerra e dei bombardamenti. "Rapporto agli angeli ossia annali della nostra città" prende in una certa misura le mosse dallo stesso nucleo narrativo, all’origine chiaramente autobiografico. Nel testo - conservato in archivio allo stato di manoscritto e incompleto - <184 Vigevani raccoglie i temi della propria origine, della propria infanzia e giovinezza, e quelli dell’affermazione della dittatura e della guerra, che ne hanno determinato l’esilio all’estero. Lo scrittore affida il racconto a una voce narrante che, in prima persona, narra questi fatti come accaduti in un tempo e in uno spazio che non corrispondono a quelli della storia reale, ma che sono collocati in una dimensione mitica. La rappresentazione del reale è così sottoposta, nel "Rapporto agli angeli", a una più evidente trasfigurazione letteraria, rispetto a quanto non accada negli altri due testi di cui si è detto. Inoltre, curiosamente, Vigevani - che al tempo della scrittura (1944) è ancora in Svizzera - fa avanzare in questo testo il racconto fino al rientro del protagonista in patria dopo molti anni di assenza; qui egli, amaramente, si rende conto del cambiamento dei costumi avvenuto, e si sente inserito in una realtà sociale nuova, non più completamente libera e serena. Nella finzione narrativa, questo testo avrebbe la funzione appunto di un «rapporto agli angeli», per denunciare la condizione di dolore dell’uomo di fronte a tale realtà. Tutti questi fatti, temi e motivi, oltre ad essere trasportati dallo scrittore in una dimensione mitica, sono narrati con un tono evocativo e sospeso, accordato a tale ambientazione.
[NOTE]
168 A. VIGEVANI, Milano o la memoria, in appendice a ID., All’ombra di mio padre, cit., pp. 173-180.
169 T. RIGHI, L’Olona di Milano, in «Corriere del Ticino», 22 giugno 1945.
170 A. VIGEVANI, Milano o la memoria, cit., p. 175.
171 MARCO VIGEVANI, nota in A. VIGEVANI, Milano o la memoria, cit., p. 173.
172 A. VIGEVANI, Milano o la memoria, cit., p. 175-176.
173 «C’era come prima immagine, a colori, Piazza del Duomo con i tramvai in carosello, dipinti di giallo-crema, e le aiole pompose, animate di rossi e celesti squillanti. La cattedrale, in mezzo, aveva l’aria d’un dolce o di un trofeo di tonno» (ivi, p. 176).
174 «C’era un costume, un accento e persino un rumore diverso, che gli anni hanno affievolito e infine il peso di due guerre ha ridotto a un ricordo da vetrina: che non metterebbe in bacheca - vicino alle pendole monumentali con trombe e arcangeli - una carrozza verde, col mantice nero e le ruote dipinte di rosso, e i vetturini con la “stadera” screpolata e la pellegrina foderata di montone» (ivi, p. 178); «Quando mio padre arrivò a Milano gli affari erano gli affari... I suoi coetanei hanno tutti una storia bizzarra: Rizzoli e Bianchi, forse erano ancora dei trovatelli; Ernesto Breda, Alberto Pirelli, Augusto Stigler uscivano appena dalla preistoria artigiana e sul mondo di speculatori, avidi commercianti, usurai e ruffiani, primeggiava ancora la figura del “patron” balzacchiano» (ivi, p. 178-179).
175 M. VIGEVANI, nota in A. VIGEVANI, Milano o la memoria, cit., p. 173.
176 A. VIGEVANI, All’ombra di mio padre, Milano, Mondadori, 1984.
177 B. VANI, Memoria improbabile, in «Almanacco letterario della collana di Lugano», 1944, pp. 50-56.
178 «Ogni scaffale mi ricordava luoghi, letture, volti di amici per una dedica che nobilitava l’occhietto del libro di Carlo Emilio o quello di Vittorio o di Gilberto o perchè i libri che ospitava li avevo acquistati in una botteguccia odorosa di muffa e di carta brunita nelle strade silenziose del Quartiere latino che discendono al purgatorio del Boul Mich e nelle contrade romane, che sanno di travertino sfaldato e d’erba salvia, dietro le palazzine barocche di Via dei Brurrò» (ivi, p. 52).
179 Ivi, p. 50.
183 «Seppi dunque dopo valutare la perdita subita, dei luoghi e dei costumi cari alla mia adolescenza e mi rassegnai ad una memoria avvilita e devastata in cui la rappresentazione del passato si connetteva ancora con l’aiuto di oggetti ormai inesistenti, come nulla fosse avvenuto, e in tal misura da indurmi sovente a rivolgermi con angoscia la domanda se tutto, e non soltanto i sentimenti - la cui probabilità passata si è troppo spesso e leggermente disposti a mettere in dubbio - non era stato che un incubo, una fantasia troppo a lungo durata» (ivi, p. 55).
Marco Fumagalli, Una collocazione problematica. La narrativa di Alberto Vigevani e il suo spazio nel sistema letterario (1943-1969), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2009-2010