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martedì 19 novembre 2024

Pertini tenne, il 6 marzo 1929, il suo ultimo discorso pubblico da esule in Francia, allo Sporting Bar di Mentone


Con la fuga di Filippo Turati nel novembre 1926 prese il via a Savona la più nota emigrazione legata a Sandro Pertini <174. L’attività dei socialisti locali si era concretizzata soprattutto all’indomani del delitto Matteotti, attorno a Alessandro Pertini e all’amico Giovanni Battista Pera <175: due avvocati rappresentanti di una sinistra di estrazione medio-borghese, attivi negli ambienti intellettuali e politici di Torino, Firenze, Milano. Proprio Milano fu la città in cui si ideò la fuga, mobilitando attraverso Pertini i socialisti di Savona.
Si organizzava una rete mista di solidarietà, regionalismo e obiettivi politici che condusse i capofila del socialismo savonese tra Nizza, Tolone e Marsiglia, seguiti da tutta una serie di militanti minori. Essi furono coinvolti nelle strutture antifasciste franco-italiane, nella Concentrazione Antifascista, nella prestigiosa Lega dei Diritti dell’Uomo <176 capeggiata da Luigi Campolonghi e, più tardi, con la sua fondazione, nel movimento di “Giustizia e Libertà” <177. Si creò un flusso di socialisti in movimento sotto le direttive del partito, che mantenevano i contatti tra Parigi e il Sud-Est della Francia <178.
La figura di Sandro Pertini assunse in queste filiere migratorie un ruolo tutelare più che da protagonista, data anche la sua fugace esperienza francese per finire nelle carceri fasciste. Il legame tra gli “uomini di Pertini” determinò la formazione di un milieu antifascista, costellato di personaggi apparentemente uniti da rapporti personali più che da vere e proprie reti, che pure invece esistettero e si crearono attorno ad essi: l’ambiente socialista che si definì fra Tolone e Marsiglia nel corso degli anni Venti conferma, nella sua strutturazione, l’assenza di vere e proprie Petites Italies in Francia, come è stato notato nel volume curato da Bechelloni, Blanc-Chaléard, Deschamps, Dreyfus e Vial <179, ma piuttosto una presenza dispersa e intrecciata con il tessuto locale, con le reti della colonia italiana, del socialismo francese, delle conoscenze del paese d’origine coese nella fiducia riposta nel maestro Pertini.
Sandro Pertini, com’è noto, giunse a Calvi il mattino del 12 dicembre 1926 assieme al suo mentore Filippo Turati, su un motoscafo guidato da Italo Oxilia, Lorenzo Da Bove e da un giovane meccanico coinvolto suo malgrado nell’impresa, Emilio Ameglio, assistito da Giacomo Oxilia, fratello di Italo, Carlo Rosselli, Ferruccio Parri. Da lì, accolto dalle autorità corse, Pertini assieme a Turati si diresse a Nizza per poi partire in treno alla volta di Parigi, dove arrivò il 15 dicembre.
Se Turati fu accolto con grandi benemerenze dalle autorità dell’antifascismo all’estero, nella casa di Bruno Buozzi, Pertini trovava una sistemazione temporanea in un albergo e cominciava a conoscere la dirigenza dei partiti ricostituiti nella capitale francese, incontrando fin dal principio del suo arrivo una certa ostilità verso il suo carattere scontroso e un disagio nella sua incapacità di inserirsi in un ambiente che giudicava mondano e improduttivo, troppo distante dalla sua mentalità solitaria ma concreta del contadino ligure.
L’unico rapporto d’amicizia che riuscì a stringere nella capitale fu quello di antica data che ritrovò con l’avvocato Pera, con il quale aveva collaborato nella sua Savona, che era allora ancora solo poiché non era riuscito a ricongiungersi con la moglie e la figlioletta. Frequentava poi spesso Fernando Schiavetti e la “Popote”, la mensa popolare, della rue de la Tour d’Auvergne gestita da Vera Modigliani e Nina Coccia, punto di riferimento dell’antifascismo di sinistra non comunista.
Dopo aver lavorato come laveur de taxis nel quartiere di Levallois-Perret, tipico impiego per gli italiani a Parigi, grazie all’interessamento di Oddino Morgari, decise di ritornare a Nizza, accettando l’offerta di un lavoro come muratore <180.
Fu Carlo Angella, cognato di Umberto Marzocchi, a ospitare Sandro Pertini nella propria affollata casa di Nizza, dove nel frattempo era giunto Marzocchi con la moglie Elvira e le figlie, e ad offrirgli un impiego presso la sua impresa edile. Era il febbraio ‘27 quando Pertini arrivò in Costa Azzurra. L’edilizia era una delle industrie più sviluppate a Nizza assieme al settore alberghiero e turistico e vi erano assunti in special modo gli italiani, non tanto i manovali, che pure erano impiegati come giornalieri e temporanei, quanto i muratori e gli operai specializzati, particolarmente apprezzati per le loro capacità, e molti di loro avrebbero infatti racimolato piccole fortune e aperto una propria impresa. Ben presto Pertini si inserì nell’ambiente politico militando attivamente, nella Lidu e scrivendo sui giornali simpatizzanti per i fuoriusciti come La France de Nice et du Sud Est dove i Campolonghi, come spiegato più sopra, gestivano “La Pagina italiana”, mentre si offriva come consulente legale per gli operai italiani immigrati nel dipartimento insieme all’ex deputato Dino Rondani, concorrendo con l’offerta fornita dal Consolato.
Frattanto Pertini trovava una sistemazione autonoma in una pensione poco distante dalla famosa Place Garibaldi <181.
Frequenti ed estenuanti furono i cambiamenti di alloggio e di mestiere, che videro ad esempio nel Pertini nei panni di peintre en bâtiment, impiego che egli non sopportava tradurre in italiano come “imbianchino”, ma che teneva particolarmente a descrivere come “pittore e decoratore su legno”, nel quale si riteneva peraltro molto capace.
Egli aveva frattanto assunto il nome fittizio di Jacques Gavin, e si era trasferito in un quartiere un po’ decentrato, vicino all’attuale università di Sophia Antipolis, pasteggiando al famigerato Bar du Sud in rue Clément Roassal, considerato covo di sovversivi dalle autorità locali, gestito da liguri e frequentato da comunisti e anarchici <182.
Pertini non aveva mai smesso di mantenere rapporti con la famiglia, con la fidanzata Matilde di Ferrania, valbormidese, con la cara sorella “Marion” emigrata a Rotterdam con il marito che lavorava al Consolato italiano, e soprattutto con l’amata madre a Stella San Giovanni, suo paese natale. Proprio la madre gli aveva fatto visita a Nizza nel ‘27 e insieme avevano discusso dell’eredità paterna e della vendita di una parte delle masserizie spettanti a Sandro, che egli decise presto di investire in un progetto politico.
Con l’aiuto di un ingegnere polacco e di un meccanico elettricista italiano, Arturo Lucchetti, genovese emigrato nel 1925 a Cap d’Ail, Pertini allestì infatti una stazione radio in una villa abbandonata nel paese di Éze, nei pressi di Nizza, per mettersi in contatto con i compagni antifascisti italiani. Nell’ottobre ‘28 l’impianto radiotelegrafico sarebbe stato scoperto dalla polizia francese, che arrestò Pertini con l’accusa di spionaggio politico, temendo un legame tra l’iniziativa pertiniana e l’oscuro affare Garibaldi. Gli interventi di Turati, dell’allora ministro dell’Educazione nazionale Édouard Herriot, la mediazione dell’amico savonese “Achille” Boyancé e dall’Italia dell’avvocato Giacomo Rolla, e infine la difesa al processo di Dino Rondani e Francesco Ciccotti valsero a Pertini una blanda condanna, di un solo mese di carcere, che lo assolse dalle più gravi accuse e accrebbe la sua fama nel mondo dell’antifascismo in esilio. Frattanto, nel corso del 1928, licenziato, fu assunto ancora come peintre en bâtiment in una ditta gestita da un italiano, e lavorò anche come comparsa cinematografica per sbarcare il lunario, dal momento che a Nizza aveva aperto una filiale della casa americana “Paramount” <183.
Fu nella primavera del 1929, durante i suoi viaggi di propaganda in Costa Azzurra in favore della Lidu al fianco di Alceste De Ambris, suo presidente, che Pertini tenne, il 6 marzo, il suo ultimo discorso pubblico da esule in Francia, allo Sporting Bar di Mentone. Allora egli aveva già risolutamente deciso di ritornare in Italia, deluso dall’immobilismo della Concentrazione e dal distacco della vita dell’esule dalla situazione italiana. Desiderava tornare nel suo Paese per riprendere l’azione concreta, ripartendo dall’amata Savona in cui aveva cominciato la propria attività militante.
Anticipando dunque di una decina d’anni una tendenza che sarebbe divenuta un fenomeno di massa, Sandro Pertini rientrò in Italia nel marzo ‘29 attraverso la Svizzera, ponendo fine al suo progetto migratorio e dando inizio a un nuovo disegno prettamente politico <184.
Sarebbe stato arrestato a Pisa, durante uno dei suoi viaggi clandestini di propaganda per l’Italia, riconosciuto da un concittadino savonese, che si trovava nella cittadina toscana in occasione della partita di calcio Pisa-Savona. A novembre il Tribunale Speciale avrebbe condannato Pertini a dieci anni di reclusione e tre di vigilanza, al termine dei quali gli sarebbe stata comminata anche la sentenza del tribunale di Genova del ‘26, risalente al celebre processo di Savona: a cinque anni di confino per l’espatrio clandestino con Filippo Turati. Pertini sarebbe stato liberato da Ventotene solamente nell’estate 1943, alla caduta del fascismo <185.
[NOTE]
174. Sulla figura di Pertini in esilio: Aldo Chiarle, Sandro Pertini, Ars graphica, Savona 1978; Mario Zino, La fuga da Lipari, Nicola, Milano 1968; Luca Di Vito, Michele Gialdroni, Lipari 1929: fuga dal confino, Laterza, Roma-Bari 2009; Rino Di Stefano, Mia cara Marion…: 1926-1949: dal carcere alla Repubblica: gli anni bui di Sandro Pertini nelle lettere alla sorella, De Ferrari, Genova 2004; Vico Faggi, Il processo di Savona. Dagli atti processuali del 1927. Due tempi di Vico Faggi, Edizioni del Teatro Stabile di Genova, Genova 1965.
175. Giovanni Battista Pera: imprenditore antifascista cit.; Cpc: b. 3847, f. Giovanni Battista Pera.
176. Vial, Une organisation antifasciste en exil cit.
177. Giovana, Giustizia e Libertà in Italia cit.
178. Cfr. Milza, Voyage en Ritalie cit., pp. 194-210, 227-230; Cpc: b. 801, ff. Emanuele Boyancé, Emilio Boyancé, Giuseppe Boyancé; b. 1568, f. Lorenzo Da Bove; b. 3627, f. Italo
Oxilia; b. 3847, f. Giovanni Battista Pera; b. 3881, f. Alessandro Pertini.
179. Les Petites Italies dans le monde cit.
180. Andrea Gandolfo, Sandro Pertini. Dalla nascita alla resistenza 1896-1945, Aracne, Roma 2010, pp. 132-144, 159-164.
181. Intervista ad Adria Marzocchi cit.; Gandolfo cit., pp. 165-168.
182. Ibidem, pp. 173-174.
183. Ibidem, pp. 179-204.
184. Ibidem, pp. 205-209. Cpc: b. 3881, f. Alessandro Pertini.
185. Cpc: b. 3881, f. Alessandro Pertini.
Emanuela Miniati, La Migrazione Antifascista dalla Liguria alla Francia tra le due guerre. Famiglie e soggettività attraverso le fonti private, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Genova in cotutela con Université Paris X Ouest Nanterre-La Défense, anno accademico 2014-2015

Costretto a rifugiarsi a Milano, Sandro Pertini è ospite di Carlo Rosselli e insieme progettano la fuga di Turati in Francia. Condannato, in contumacia, a 10 mesi di carcere e 5 anni di confino, si stabilì a Nizza assumendo subito, per il suo passato e per la clamorosa impresa che aveva organizzato, un ruolo di primo piano tra i fuoriusciti, continuando a svolgere una intensa attività politica contro il regime fascista.
Arrestato dalle autorità francesi per aver impiantato a sue spese, vendendo una masseria ricevuta in eredità, una stazione radiotelegrafica clandestina colla quale comunicava e riceveva notizie di carattere politico, Pertini trasformò il processo in un atto di accusa contro il fascismo, inducendo il pubblico ministero a rinunziare alla sua requisitoria e venendo condannato a un solo mese di prigionia con la condizionale.
Ma la dimensione dell’esilio non era fatta per Pertini. Scriveva a Turati, da Nizza, il 15 dicembre 1927: "Sì - Maestro - anche a me sembra “inutile” l’esilio. Da molto - anzi potrei dire sino dai primi giorni ho avuto questa dolorosa impressione, che in seguito si è trasformata in un vero tormento. Anche per questo lasciai Parigi. E venni qui a lavorare. Il lavoro manuale in un primo tempo mi donò lo stesso sollievo, che danno gli stupefacenti. La fatica materiale continua abbrutisce un po’ l’uomo, non lo lascia pensare. Ma questo benefico abulimento durò poco. Man mano che il fisico andava abituandosi alla fatica, lo spirito riprendeva i suoi diritti - e allora ecco ritornare l’idea ossessionante: dare una ragione alla nostra vita. E tale era l’avvilimento e la tristezza di vivere così inutilmente, che più di una volta pensai di lasciare questa terra di esilio, per ritornare in Italia" <11.
La nostalgia della patria e il richiamo della lotta erano evidentemente troppo forti: il 14 aprile 1929 Pertini fu arrestato a Pisa.
11 Pertini, Carteggio: 1924-1930, op. cit., pp. 51-54. Tra le testimonianze sulla vita di Pertini in Francia, significativa quella di Vera Modigliani (Esilio, Garzanti, Milano, 1946, p. 82): “Non volle ricevere aiuti da nessuno. Si piegò a fare il pulitore di automobili. Lavoro di notte, e faticoso, che lo estenuava. Era in lui un’impossibilità quasi irosa e romantica ad accomodarsi alla vita incolore dell’esilio, ad essere un ‘milite ignoto’ dell’antifascismo; un bisogno di uscire ad ogni costo dall’anonimato, di eccellere in qualche modo, sia pure col sacrificio di sé”.
Giovanni Scirocco, “Questo socialismo, questa Resistenza, questa continua lotta politica”: Sandro Pertini dall’antifascismo alla Resistenza in Pertini… uno di noi, ILSREC, Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, 2017

Parri e Rosselli rientrarono in Italia, dove furono arrestati, quindi vi fu il famoso processo di Savona, mentre io con Turati riparai a Parigi. Naturalmente io ero avvocato e mi ero portato con me un po' di denaro. Ma i giorni passavano e mi accorsi una bella sera, tornando in albergo, che ormai non avevo pi soldi a sufficienza per tirare avanti, me ne restava solo per qualche giorno ancora, non per dei mesi. Allora andai da Morgari... Mi trovò nei pressi di Parigi un posto come lavatore di taxi. Mi alzavo all'una di notte e dall'albergo modesto dove abitavo, e che ospitava gente modesta, operai soprattutto, andavo in questo garage dove arrivavano dall'una di notte in poi tutti i taxi di piazza. Ed io dovevo lavare queste macchine. Mi avevano insegnato come si faceva. Non ci voleva molto per imparare. Bastava, direi, un po' di buona volontà. La persona addetta mi spiegò come dovevo adoperare l'acqua e la spugna. Però mi davano 20 franchi al giorno. Rimasi là circa un mese a fare quel mestiere, quando Zannerini, che era a Nizza Marittima e che era stato segretario del partito socialista dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti, mi disse: "Se vieni qui c'è un posto di manovale muratore". Io accettai subito. Perché? Prima di tutto perché laggiù i 20 franchi al giorno che mi davano non erano sufficienti per vivere: dovevo infatti saltare un pasto per poter far quadrare la spesa dell'albergo con il secondo pasto e le altre spese. Tanto più che in quel garage al mattino mi davano al mattino un'abbondante colazione di caffellatte e qualche fetta di prosciutto.
Allora accettai di andare a fare il manovale muratore. Anche per fare il manovale muratore non c'è da imparare molto, basta che tu lo faccia. Andai sul posto e Zannerini mi disse: "Se vuoi fra due giorni puoi cominciare a lavorare come manovale muratore". Io avevo già la tuta che avevo acquistato per fare il lavatore di taxi. E così cominciai a fare questo nuovo lavoro. La prima volta, per imprudenza, non sapevo che bisognava stare attenti a toccare la calce viva per fare l'impasto di calce normale, mi ritrovai con le dita scoppiate. Dovetti ricorrere alla glicerina, alla vasellina e ad altre medicine per curarmele. Finché riuscii ad adattarmi ed imparai molto bene il mio lavoro: divenni uno zelantissimo manovale muratore...
Mi aiutava un certo Zuccalà, calabrese, un pezzo di giovanotto robusto, quando si trattava di portare le travi per fare i ponti, altrimenti non ce l'avrei fatta da solo. Allora non c'erano le attrezzature moderne di oggi. Rammento che quando andavo sui ponti per portare un sacco di cemento o della calce cercavo di camminare su queste plance con un passo lento ma sicuro, come fanno i marinai quando camminano sulle plance delle navi, perché altrimenti andavo a finire giù.
Bene, io feci per parecchi mesi questo lavoro. Stavamo costruendo una villa per una profuga russa, una principessa. Difatti lo stile architettonico era di tipo bizantino, con finestre e porte particolari. Io servivo un muratore che era di Modena, Poltronieri si chiamava, il quale era sordo e quando aveva bisogno di qualche cosa mi gridava dai ponti: "Avvocato, l'articolo 5 del Codice Penale... un secchio di malta!". Ed io mi caricavo un secchio di malta e la portavo su. E ancora: "l'articolo 10 del Codice Penale... un secchio d'acqua!". Ed io portavo su l'acqua. Un mattino la proprietaria della casa in costruzione, una bella signora, elegantissima, si era fermata ad assistere ai lavori della sua villetta: "Avvocato...  - parlava molto bene l'italiano perché era stata a Siena e come tutti i russi aveva una grande facilità ad apprendere le lingue - ma siete proprio avvocato?". "No - le risposi - mi chiamano avvocato perché sono un chiacchierone". "Ah, bene - dice ancora la signora - io penso che potreste anche essere un avvocato, non mi stupirei che lo foste veramente. Io ho denaro, sto bene, ma altri miei compatrioti che si trovano qui sono invece in una situazione finanziaria di miseria. Per sopravvivere hanno dovuto fare, e stanno facendo, tutti i mestieri. Se voi andate nel tal ristorante vedrete tre cameriere, ma sono contesse, sono nobili, però senza soldi...
Un giorno trovai lavoro come manovale-muratore in un'altra impresa. Lì c'erano dei compagni italiani. Uno di Perugia, che fu poi anche deputato e che si occupava della lavorazione del legno e della relativa pittura, mi propose: "Perché invece di fare il manovale-muratore non impari la pittura su legno?"
- Bene, insegnami!
- Non è una cosa difficile, mi precisò.
E infatti mi insegnò come dare la pittura alle persiane, alle porte. E visto che ci riuscivo mi ingaggiò. "Lascia di fare il manovale-muratore - mi disse - che è un lavoro pesante e fai invece il "peintre en bâtiment"...
A Nizza ed a Cannes l'industria più sviluppata era quella dell'edilizia, ed erano apprezzatissimi non i manovali, ma i veri muratori italiani. Infatti non c'è nessuno che sappia fare l'arco alla perfezione come il muratore italiano. Questo risale ai tempi antichi. Non c'è come i muratori italiani per fare bene questo lavoro. Là si facevano costruzioni con pietre e mattoni, non come si fa adesso con scariche di cemento, ecc., proprio con le pietre. Ed i muratori italiani erano molto stimati... E questi italiani quando sono tornato a Nizza, dopo tanti anni, li ho trovati tutti arricchiti. Da semplici muratori che erano, erano diventati imprenditori. Provenivano la più parte dall'Umbria, dove vi era stata una persecuzione da parte del fascismo. Ed erano tutti fuorusciti che si erano rifugiati in Francia...
Per quanto mi riguarda, comunque, il mestiere che facevo più volentieri era quello di peintre en bâtiment perché mi riusciva facile svolgerlo e i risultati erano ottimi. Dopo tutto bastava avere un po' di intelligenza, molta attenzione e molta cura. Ma per questo io ero molto pignolo...
Ma poi ad un certo punto rimasi disoccupato, come accade. Ed allora si interessarono di me un gruppo di anarchici miei amici che mi dissero: "Senti, alla 'Paramount', in una zona a ponente di Nizza, dove c'erano delle case cinematografiche, stanno girando il film di Rex Ingram "Le tre passioni: il gioco, la politica e la donna". Se ti presenti in tuta da operaio appena aprono ti assumono come comparsa. Ti pagano anche se poi non ti utilizzano". Ci andai subito. Fu la prima volta che vidi un trucco cinematografico: c'era un grande palazzo, ma vi era solo la facciata, dietro non c'era niente, una facciata fatta in fretta e furia. Noi come comparse dovevamo, in finzione, scioperare e durante una manifestazione dovevamo rovesciare dei tram ecc...
Lì mi davano 25 franchi al giorno, ed era già una buona paga. Poi mi accorsi però che ad un altro gli davano 30 franchi. Gli chiesi il perché e questi mi rispose: "Perché io sono entrato con la bicicletta". "Ah, sì, se entri con la bicicletta ti danno 5 franchi in più?". Allora il giorno dopo vado da un amico carissimo, un anarchico, e gli chiedo:
- Hai una bicicletta?
- Sì, ma devo andare a prendere il tram per fare...
- Se mi dai la bicicletta guadagno 5 franchi in più al giorno alla 'Paramount'
- Ah sì? Te la presto.
Gli anarchici sono solidali, sentono la solidarietà umana in modo veramente profondo. Così il giorno dopo arrivai con la bicicletta. E da quel giorno guadagnai 30 franchi. Finché poi un giorno mi dissero: "Se vuoi venire stanno cercando un peintre en bâtiment. Quello era il mio lavoro, guadagnavo di più...
Redazione, Intervista a Sandro Pertini presidente della Repubblica in rivista "Abitare, costruire sempre", Roma, 17 marzo 1983, articolo ripreso da Fondo Pertini