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mercoledì 26 ottobre 2022

A Forlì si deve affrontare seriamente il problema della lotta partigiana in montagna

Primi giorni di novembre 1944. Meldola. Il Comandante Ilario Tabarri al centro. Fonte: Friuli Occidentale cit. infra

Di mio padre Ilario Tabarri so che, nei primi giorni del dicembre ’43, partecipa, a Forlì, a un incontro alla presenza di Dario (Ilio Barontini) responsabile del Comando regionale dei partigiani. Vengono prese delle decisioni pratiche: il Comando militare romagnolo diventa il Comando dei partigiani romagnoli con Orsi (Antonio Carini) comandante; un partigiano di Ravenna (Angelo Guerra) commissario politico; e che lui stesso, con il nome di battaglia Pietro Mauri, assume la funzione di organizzatore delle formazioni militari.
Dario fa applicare le direttive del Comando Generale delle formazioni partigiane, sulla base del programma del Comitato di Liberazione Nazionale, già riunitosi a Milano sotto la direzione di Luigi Longo. Direttive che danno le linee per organizzare i gruppi sorti spontaneamente in più parti d’Italia. I criteri sono rigidi e da rispettare: si rifanno alla guerriglia secondo la tradizione dei garibaldini del Risorgimento e delle Brigate Garibaldi in Spagna. Tra le prerogative di questi gruppi c’è che devono essere aperti a tutti i patrioti senza tener conto della loro fede politica o religiosa; la garanzia richiesta è quella di un provato antifascismo.
Le direttive dicono che i distaccamenti non devono avere più di 40 o 50 elementi articolati in 4 o 5 squadre di 2 nuclei di 5 uomini ciascuno. Devono estendersi su un vasto territorio, spostarsi continuamente, rendersi presenti dappertutto e rendersi inafferrabili perché principio essenziale è quello della mobilità, della sorpresa e dell’audacia. Devono giocare d’astuzia, cercare il nemico e tendergli agguati senza mai dare tregua. Devono attaccare solo in condizioni di vantaggio e sfuggire il combattimento se le forze nemiche sono superiori. Le direttive dicono anche che all’interno dei distaccamenti la disciplina deve avere il più ampio consenso, così come gli obiettivi della lotta, e questo richiede un’educazione politica adeguata, priva di settarismo e nel rispetto degli interessi della gente del posto e degli altri combattenti.
Accanto al Comandante del distaccamento ci deve essere il Commissario Politico che è colui che si occupa delle questioni politiche, umane e sociali. Più di altri a lui spetta curare e mantenere buoni rapporti con la popolazione, convincerla alla lotta comune, curare l’aspetto politico dei partigiani, spiegare cos’è il nazifascismo e che si sta combattendo per costruire una nuova società; è vietato compiere atti che possano danneggiare i civili, si devono evitare le requisizioni e al contadino va pagato tutto ciò che si compera.
Bruna Tabarri, Il comandante Pietro Mauri e l’8ª Brigata Garibaldi in Romagna, Friuli Occidentale. La storia, le storie

In maggio [1944], dopo i rastrellamenti, si riorganizza lʼ8.a Brigata Garibaldi romagnola. Ilario Tabarri (“Pietro”), comandante, e il riminese Guglielmo Marconi (“Paolo”), vice comandante, ricostituiscono la formazione selezionando gli uomini e ristrutturando tutto lʼapparato militare. Anche nella nostra zona si procede ad una forzata riorganizzazione delle varie formazioni partigiane, necessaria dopo gli arresti che da febbraio hanno scompaginato una parte dellʼattività patriottica. Celestino Giuliani uscirà dal carcere solo il 6 giugno (con la corruzione dei carcerieri da parte dei familiari, come lui stesso ricorderà); Innocenzo Monti ed un intero gruppo di patrioti riccionesi rimangono in carcere sino ai primi di luglio; uno dei più attivi gappisti, Silvio Cenci, cade in uno scontro a fuoco il 10 maggio; a fine maggio-inizio giugno è arrestato anche Decio Mercanti. Questi eventi hanno una ripercussione anche sullʼattività di alcuni gruppi antifascisti; ad esempio lʼincarcerazione di Giuseppe Babbi e di Rino Molari interrompe una delle principali centrali dellʼattività cattolica, unʼattività quasi solamente propagandista perdurando lʼastensione dalla resistenza attiva (e le riserve morali) da parte delle organizzazioni cattoliche. Giuliani e Arpesella, arrestati il 2 febbraio, i principali esponenti del partito dʼazione, in questo momento sono entrambi inattivi; Arpesella è stato liberato ai primi di aprile ma da allora si mantiene prudentemente in disparte. Alcuni repubblicani e socialisti continuano ad impegnarsi ma quasi a titolo personale non esistendo ancora in queste aree politiche delle vere strutture partitiche organizzate. Quello comunista è lʼunico partito veramente operante e solido nella sua struttura clandestina tanto da resistere a colpi come lʼarresto di Decio Mercanti, segretario della federazione. Malgrado questi disagi i mesi di maggio e giugno segnano lʼavvio di una fase importante per la Resistenza e lʼantifascismo romagnolo e riminese: si comincia a concretizzare un rapporto a lungo cercato con le masse contadine e con gli operai; riprendono le azioni sindacali e gli scioperi nelle fabbriche e nei cantieri; si moltiplicano le azioni militari, tanto che in questi due mesi nella provincia si registrano ben 61 azioni armate effettuate dai GAP, con un bilancio di 4 tedeschi e 4 fascisti uccisi, 4 aerei bruciati allʼaeroporto di Forlì, 14 autocarri danneggiati o distrutti, decine di linee telefoniche ed elettriche demolite e decine di interruzioni ferroviarie tra Cesena e Rimini con deragli di vagoni.
Maurizio Casadei, La Resistenza nel Riminese. Una cronologia ragionata, Istituto per la Storia della Resistenza e dell'Italia contemporanea della Provincia di Rimini, 2005

I confinati hanno saputo organizzare anche un efficiente organizzazione per la ricezione di notizie e per l’eventuale trasmissione di messaggi al di fuori dell’isola. La notizia della caduta di Mussolini quindi, il 25 luglio 1943, arriva anche a Ventotene <42 e viene festeggiata con gioia. A partire da quella data i prigionieri sono liberi, ma il 26 luglio il piccolo postale che collega l’isola alla terraferma è affondato da quattro aereosiluranti inglesi e ci vorranno ancora alcune settimane per andarsene.
Ilario è rilasciato il 10 di agosto 1943 e in base alle disposizioni ricevute, si dirige verso Cesena. Arriva a fine del mese e si mette subito a disposizione del Partito Comunista, che lo associa al comitato comunale  <43 e fa in modo di farlo assumere al lavoro presso l’Arrigoni, la fabbrica più importante della città, dove diviene membro del comitato di fabbrica. Dell’organizzazione locale del partito ha una cattiva impressione <44 e di lì a poco, ne ha conferma quando, alla notizia dell’armistizio <45, ci si trova impreparati al recupero delle armi abbandonate dai militari e necessarie ad un eventuale proseguimento della lotta. La Federazione provinciale del PCI non emana nessun ordine in proposito e le direzioni locali del partito non se la sentono di prendere un’iniziativa così importante senza ordini superiori. È così che Ilario, insieme ad altri compagni (fra cui Berto Alberti (Battaglia) anche lui ex volontario in Spagna), incomincia ad insistere con il comitato di Zona perché si esca velocemente da questo impasse e si incominci a prendere sul serio la situazione, soprattutto riguardo al problema della lotta armata.
A testimonianza della sua convinzione, il 10 settembre Ilario, in qualità di delegato del Partito Comunista all’interno del comitato di Fronte nazionale cesenate (FN) <46, propone di forzare la mano al comandante del presidio <47, per impegnarlo nella difesa armata della città. I rappresentanti degli altri partiti, dell’ULI <48 in particolare, affermano di averlo già contattato e di essere già stati rassicurati in proposito. In realtà, il comandante è in attesa di ordini e si limita a prendere tempo e al momento dell’ingresso dei tedeschi in città, i suoi uomini si daranno alla fuga.
Sfumata questa possibilità Ilario continua comunque il suo lavoro all’interno del FN, senza però smettere di sollecitare il Federale del partito sul problema lotta armata e sulla necessità di creare un organismo, interno al partito stesso, che se ne possa occupare adeguatamente. Dichiara anche apertamente, sia all’interno del FN, che al partito, i propri dubbi sull’efficacia del lavoro svolto dal FN, dove, secondo lui, si dà troppo credito agli ex militari <49 che vi prendono parte, i quali non hanno un’idea chiara del tipo di guerra che si dovrà combattere in montagna, né del tipo di organizzazione che questa comporti, per non parlare degli obiettivi.
A Cesena il FN cessa di funzionare già il 12 settembre, perché l’ULI, rifiutando di partecipare alla lotta armata, se ne tira fuori <50. Lo stesso, più o meno, accade anche nella altre località <51 della Romagna.
Il 13 settembre Ilario è nominato, dal Federale, responsabile militare per la zona di Cesena e di lì a poco è delegato dal comitato di Zona di Cesena per cercare, in montagna, una località adatta per creare una base partigiana. Un’altra base era già stata individuata per Forlì, nella zona di Monte Guffone, dove erano già stati inviati anche alcuni uomini e un’altra, ancora da trovare, era prevista per la zona di Rimini. Dal 30 settembre all’8 di ottobre, Ilario si reca in montagna per avere un quadro preciso della situazione e al suo ritorno, si decide per la costituzione di una base nella zona di Pieve di Rivoschio, dove viene distaccato il compagno Salvatore Auria (Giulio) <52, per prendere i primi contatti con la popolazione e preparare il luogo dove accogliere gli uomini. Al 20 ottobre alla base di Pieve di Rivoschio sono presenti venti partigiani, provenienti da Forlì, da Cesena e da Ravenna e alcuni inglesi e jugoslavi.
Ilario continua ad insistere presso la Federazione, che senza buoni quadri militari e soprattutto politici, è inutile pensare di organizzare una formazione partigiana e chiede che vengano inviate presso la base le persone giuste <53. Nel frattempo diviene membro della Federazione provinciale del PCI, dove riesce meglio a far sentire la propria voce. Alla fine di ottobre le cose sembrano cambiare con la venuta in Romagna di Antonio Carini (Orsi) <54, inviato da quello che, di lì a breve sarà noto come Comando generale delle Brigate Garibaldi <55, con lo scopo di creare un comitato militare indipendente dalla altre forze politiche <56 e che risulterà composto da: Antonio Carini (Orsi), Ilario Tabarri (Pietro Mauri), Luigi Fuschini (Savio) e Oddino Montanari (Lino) come commissario politico. Ilario è chiamato a farne parte come responsabile <57 e per lui, da questo momento, si tratterà di organizzare la resistenza in tutta la Romagna.
Tutto sembra ancora da fare: a Ravenna l’organizzazione militare che si è creata, a suo parere, non è adatta ad operare in quel territorio e per quanto possibile, va trasformata in Gap; a Forlì si deve affrontare seriamente il problema della lotta partigiana in montagna ed i Gap restano ancora da organizzare; a Rimini non è stato fatto ancora nulla.
In quegli stessi giorni i sedici uomini della base di Monte Guffone, organizzata dal PCI forlivese, sono attaccati di sorpresa e fortunatamente, pur dovendo abbandonare la gran parte del materiale, riescono a ritrarsi senza subire perdite. Quella di Pieve di Rivoschio resta l’unica base disponibile e assieme a quelli di Monte Guffone che non si sono sbandati, ora conta trenta uomini ed altri ne stanno per arrivare dalla pianura. Il problema urgente è quello di trovare un comandante affidabile, ma, a suo parere, non ci sono gli uomini adatti e i tentativi fatti nel frattempo per trovarne uno,  non hanno dato buoni risultati. Il 16 novembre anche Pieve di Rivoschio è attaccata dai tedeschi, che non vi trovano quasi nessuno <58 ed anche i pochi che sono rimasti riescono a sfuggire all’accerchiamento. Al comando resta Giulio, che non è in grado di coprire efficacemente un ruolo militare e ne è consapevole. Gli uomini, anche perché è siciliano, di lui non si fidano completamente. A questo si aggiungono le difficoltà con gli slavi, che non riescono a legare con gli altri e ad un certo punto, vengono allontanati dal gruppo. La situazione sta degenerando e se non si riesce ad individuare qualcuno capace di tenere in mano il gruppo, è destinata a peggiorare. A fine novembre Ilario si incontra a Forlì con Riccardo Fedel (Libero Riccardi) <59, che gli viene presentato come un ex capitano dell’esercito che ha combattuto in Jugoslavia e con esperienza di guerra partigiana, per aver combattuto con i partigiani jugoslavi e contro i tedeschi, in Veneto. Arrigo Boldrini (Bulow) <60, che lo ha conosciuto nell’esercito, sembra garantirne la serietà. Di lui si dice che è un compagno e che ha capacità militari e coraggio. Potrebbe essere la persona giusta. Ilario gli spiega chiaramente la situazione e le difficoltà che si troverà ad affrontare in montagna. Soprattutto la mancanza di quadri e la necessità di doverne formare immediatamente sul posto. Gli parla della presenza di Giulio, con cui dovrà collaborare e gli spiega chiaramente come si intende che vengano organizzati gli uomini e come si vuole che agiscano. Libero sembra comprendere i problemi che si dovrà trovare ad affrontare e l’impressione che Ilario ne ricava, dal punto di vista militare, è abbastanza buona. Politicamente però, per quanto l’altro affermi il contrario, si rende conto di non avere di fronte un vero “compagno”. In ogni caso, se affiancato da un commissario politico capace di tenergli testa, che non può essere Giulio, Libero potrebbe essere l’uomo giusto. Ilario espone queste sue considerazioni, alla presenza di Orsi, ad una riunione del Federale. La persona da mettere a fianco di Libero non si trova e il problema rimarrà insoluto ancora per diverso tempo. Il 1° dicembre Libero prende ufficialmente il comando dei partigiani romagnoli, a Pian del Grado. Alla stessa data il Comitato militare ha un incontro con Ilio Barontini (Dario) <61, funzionario inviato dal Comando generale delle Brigate Garibaldi, per metterlo al corrente della situazione della resistenza in Romagna. In quell’incontro il Comitato militare viene trasformato in Comando militare. Comando che viene affidato ad Orsi, che dal quel momento è l’effettivo comandante di tutte le forze partigiane presenti in Romagna. Ad Ilario viene assegnata la direzione dei Gap. La collaborazione tra Ilario ed Orsi resta comunque strettissima, perché il lavoro da svolgere in pianura in favore della nascente brigata partigiana: l’invio di uomini, armi e rifornimenti, è tutto svolto dai Gap.
[NOTE]
42  «Dopo l’occupazione tedesca della Francia, negli anni 1940-41 ed ancora nel 1942, giunsero a gruppi a Ventotene numerosi garibaldini di Spagna. Tra essi ricordiamo […] Ilario Tabarri […]. Essi diedero un efficace e concreto contributo alla nostra scuola militare» (PIETRO SECCHIA, Il Partito comunista italiano e la guerra di Liberazione 1943–1945. Ricordi, documenti inediti e testimonianze, Feltrinelli, Milano, 1973, p. 47).
43  Il comitato di Zona.
44  «Non si poteva avere una guida per giudicare l’entità dell’organizzazione dal numero dei suoi iscritti, tanto è vero che ad una riunione dei capi gruppo di un settore di Cesena campagna (ovest) uno che doveva essere capogruppo (erano cinque in tutto) non era membro del Partito e un altro disse che più che organizzazione di partito il gruppo che lui toccava si chiamava tale perché i suoi membri davano qualche cosa ogni tanto per le vittime politiche [...] Ciò dimostra una mancanza quasi assoluta di vita politica in cellule che avrebbero dovuto essere vivissime. A Cesena città non esistevano, ancora all’8 settembre, più di quattro o cinque gruppi di compagni» (Rapporto generale del comandante dell’8a brigata Romagna, Pietro Mauri, sull’attività militare in Romagna fino al 15 maggio 1944. In: Istituto storico provinciale della resistenza, Forlì, L’8a brigata Garibaldi nella Resistenza. Vol. 1, Milano, La Pietra, 1981, pp. 35-36).
45  8 settembre 1943.
46  Subito dopo l’8 settembre a Forlì, a Cesena e a Ravenna, si organizzarono dei Comitati di Fronte Nazionale (FN), di cui facevano parte principalmente esponenti del Partito comunista e dell’Unione dei lavoratori italiani (ULI), che, a quella data, erano le uniche forze organizzate. Con loro operarono, a livello personale, anche alcuni vecchi esponenti dei partiti locali, democratici, repubblicani e liberali. A livello interprovinciale (Forlì-Ravenna) la prima riunione di coordinamento del FN fu a Milano Marittima, il 13 settembre 1943.
47  Il colonnello del 27° fanteria Rolando Giacomo in quei giorni di estrema incertezza era in attesa di ordini e aspettandosi una proposta del genere, quando fu contattato da alcuni esponenti dell’ULI, li rassicurò affermando che, se fosse stato possibile, avrebbe provveduto lui stesso ad organizzare la difesa della città e altrimenti, avrebbe provveduto ad organizzare i suoi soldati per la resistenza in montagna. Sicuramente la prima di queste affermazioni non era vera, perché, forse conoscendo i tedeschi molto meglio dei rappresentanti del Fronte Nazionale di Cesena, era in grado di rendersi conto dell’assurdità della proposta che, se messa in atto, tenendo conto della rappresaglia tedesca, si sarebbe trasformata in una tragedia. Quindi, al contrario di quanto affermato, dispose per far allontanare i propri soldati al più presto, inviandoli, per quanto possibile, in località distanti dalla città. Se poi avesse voluto veramente organizzare una qualche forma di resistenza in montagna, non possiamo saperlo. Probabilmente no. La fuga in massa di tutti i suoi soldati nel giro di pochi giorni, lo tolse comunque dall’imbarazzo.
48  Vedi nota 46.
49  Fra cui il maggiore Giusto Tolloy.
50  «Il Fronte Nazionale ebbe vita breve. Un primo contrasto sorse quando all’interno del PCI vene a prevalere l’idea della guerriglia, che si poneva in contraddizione con l’impostazione proposta dall’Esecutivo [militare] e sostenuta dall’ULI. Apertamente ostile alla monarchia, l’ULI rifiutava la lotta armata in quanto allineamento sulla posizione degli Alleati che sostenevano la monarchia». (M. BALESTRA, [voce] Unione dei Lavoratori Italiani. In: Enciclopedia dell’antifascismo e della resistenza. Vol. VI (T-Z) e appendice, La Pietra; Walk Over, Milano, 1989, p. 215-216.)
51  «Di Forlì si sapeva [che alla fine di ottobre] tiravano avanti il sempre più defunto esecutivo militare del FN perdendosi in molte chiacchiere e credendo che fosse una vittoria (per diversi compagni dello stesso federale) il solo fatto di averlo mantenuto in vita anche quando bisognava dargli una spinta perché morisse prima» (Rapporto generale del comandante dell’8a brigata Romagna, Pietro Mauri, cit., p. 45).
52  Salvatore Auria, di Benedetto e di Nunzia Ribellino, nato a Sommatino (CL), il 18 ottobre 1916, residente a Sommatino, celibe, seconda classe elementare, falegname, comunista. Arrestato il 15 settembre 1936 perché accusato di aver creato una cellula comunista, i cui aderenti si riunivano nell’osteria gestita dal padre e nella sua bottega. Scoperta, la cellula di Sommatino i suoi aderenti, vengono arrestati il 6 settembre 1936. Salvatore si dà alla fuga ma è preso dopo pochi giorni e  arrestato. Il 29 dicembre 1936 è condannato a cinque anni di confino da scontare sull’Isola di San Nicola, nelle Tremiti. Dove è nuovamente condannato a due anni e quattro mesi di reclusione e a dieci mesi di arresto, per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, istigazione a delinquere e violazione degli obblighi di confino. È liberato il 22 agosto 1943 in seguito alla caduta del fascismo e non riuscendo a ritornare in Sicilia, raggiunge la Romagna insieme ad alcuni compagni di prigionia, fra cui Adamo Zanelli. Partigiano e commissario politico di quella che poi diverrà l’8a Brigata Garibaldi, con il nome di battaglia di Giulio, muore in combattimento il 21 aprile 1944, durante il grande rastrellamento tedesco che portò alla pressoché totale distruzione della Brigata.
53  «Almeno, dicevo, bisogna creare la testa e questa penserà anche a formare nuovi quadri sul posto. Era fin dall’inizio una questione senza risolvere la quale non si poteva avere in mente di organizzare saldi gruppi partigiani» (Rapporto generale del comandante dell’8a brigata Romagna, Pietro Mauri, cit., p. 44).
54  Antonio Carini nasce a San Nazzaro D'Ongina, in provincia di Piacenza. Di professione barcaiolo sul Po, sin da giovane aderisce al neonato Partito comunista. Nel 1924, dopo il servizio militare, emigra in Argentina, ove risulta inserito nella lista della polizia delle persone da sorvegliare quale sovversivo e comunista. Nel novembre 1936 si imbarca per partecipare come volontario alla guerra di Spagna. Tra il giugno 1937 e l'agosto1938, è ferito tre volte in combattimento. All'interno della Brigata Garibaldi assume incarichi di sempre maggiore rilievo, sino a diventare Commissario politico addetto all'intendenza dell'intera brigata, in occasione della difesa di Barcellona nel gennaio del 1939. Con lo scioglimento delle Brigate internazionali, nel mese di febbraio del 1939, è internato in Francia fino al 9 aprile 1941, quando su sua richiesta viene tradotto in Italia dove è condannato al confino politico, da scontare a Ventotene. Nell’agosto del 1943 Carini è già a Piacenza, per riorganizzarvi il Partito comunista. Dopo l’8 settembre entra nella resistenza con incarichi di alta rilevanza politica, diventando con Luigi Longo, Pietro Secchia, Gian Carlo Pajetta e Giorgio Amendola, uno dei cinque membri del Comando generale delle Brigate Garibaldi. Assunto il nome di Orsi viene designato, ad occuparsi dell’organizzazione delle formazioni partigiane (con il ruolo di ispettore) ed inviato nel gennaio 1944 in Romagna, con lo scopo di coordinare l’organizzazione della resistenza nelle province di Ravenna, Forlì e Rimini. Giunto in Romagna, su sua proposta, viene costituito un Comitato militare con la partecipazione sua, di Ilario Tabarri (Pietro Mauri), Luigi Fuschini (Savio) e Oddino Montanari (Lino). Nei primi due mesi del 1944 si reca in due occasioni in ispezione presso la brigata partigiana operante nell’Appennino romagnolo, comandata di Riccardo Fedel (Libero). Durante il viaggio di ritorno da quest'ultima missione, il 9 marzo 1944, è catturato da militi della Repubblica Sociale Italiana nei pressi di Teodorano e rinchiuso nella Rocca delle Caminate dove, per quattro giorni, è sottoposto ad atroci torture. Tradotto a Meldola, viene finito a pugnalate e sfigurato a colpi di pietra, per poi essere gettato nel fiume Bidente.
55  La prima struttura organizzativa unificata, relativa alla lotta armata, facente capo al Partito comunista è il Comando generale delle Brigate Garibaldi, che si costituirà ufficialmente a Milano nel novembre 1943, con Luigi Longo come responsabile militare e Pietro Secchia come commissario politico. Con loro i componenti iniziali del comando furono Antonio Roasio, Francesco Scotti, Umberto Massola, Antonio Cicalini e Antonio Carini.
56  Comitato militare romagnolo.
57  Resterà tale sino al marzo 1944, mentre «Orsi, rimase in Romagna fino ai primi di dicembre come funzionario al di sopra del Comitato militare» (Rapporto generale del comandante dell’8a brigata Romagna, Pietro Mauri, cit., p. 46).
58  Gli uomini, una quarantina, divisi in quattro squadre, erano stati inviati in azione in zone abbastanza distanti dalla base: il Passo del Carnaio e la strada nazionale Cesena-Casentino.
59  Riccardo Giovanni Battista Fedel (Libero Riccardi), nasce a Gorizia il 23 agosto 1906, da una famiglia di origini alto-borghesi. Alla fine del 1920, ancora tredicenne, si iscrive ai Fasci italiani di combattimento di Mestre cui resta iscritto fino al 1923 quando, a 17 anni, cambia idee politiche diventando comunista. Lo stesso anno si arruola volontario nel Regio Esercito e frequenta la scuola allievi sottufficiali a Modena diventando sergente. Scoperto il suo tentativo di sottrarre armi dalla caserma di Ravenna in cui presta servizio, è congedato nel dicembre 1925. Tornato a Mestre, come sospetto sovversivo e "pericoloso comunista", è arrestato dalla polizia politica veneziana con l'accusa di porto abusivo d’arma e condannato a 6 mesi di carcere. Nel frattempo, denunciato per complicità nel primo attentato a Mussolini (4 novembre 1925) è poi prosciolto e liberato. Arrestato nuovamente nell’ottobre del 1926, perché considerato elemento capace di organizzare attentati contro il duce, è condannato a 3 anni di confino. Che sconta prima a Pantelleria dal 22 novembre 1926 al 16 marzo 1927 e poi a Ustica, dove, da alcuni prigionieri, è descritto come una spia. Il 9 ottobre 1927 è rilasciato: per le sue precarie condizioni di salute e in cambio di una falsa testimonianza ad un processo, in cui sono implicati Amedeo Bordiga e altri confinati, accusati di aver tentato di organizzare una rivolta. Tornato in Veneto, in attesa di testimoniare al suddetto processo è "assunto" come confidente della Milizia per la sicurezza nazionale (MVSN) e inviato in servizio a Gorizia. Dimostrandosi non collaborativo viene licenziato dalla MVSN ma a Mestre continua a spacciarsi per agente della Milizia e sotto questa copertura riesce a stampare e a distribuire, a Pordenone, dei manifesti che inneggiano allo sciopero degli operai tessili ed al Partito comunista. Azione che scatena una dura reazione fascista. Considerato un agente comunista che tenta di infiltrarsi nella MVSN, è nuovamente condannato al confino, come "comunista pericolosissimo", per altri tre anni. Inviato a Potenza, fugge, dopo sei mesi, per raggiungere la moglie, che ha dato alla luce il suo primo figlio. Catturato a Sala Consilina è condannato ad altri 14 mesi di carcere da scontare ad Avellino, quindi è trasferito alle isole Tremiti, ove rimane sino al 30 settembre 1931. Tornato in Veneto come sorvegliato, sconta altri sei mesi a Brescia, per contraffazione di documenti. Nel 1940, con l'entrata in guerra dell'Italia, torna nuovamente all’attività politica, come animatore di un gruppo di propaganda antifascista che opera nelle fabbriche e nelle caserme, tra Mestre, Padova e Treviso. Nel 1941 è richiamato alle armi e nel 1942 parte per il Montenegro destinato al 120° Rgt. fanteria della Divisione Emilia. Ad Herceg Novi, alle Bocche di Cattaro, conosce il tenente Arrigo Boldrini (Bulow). Dopo l’8 settembre è segnalato a Ravenna dove prende contatto con Boldrini, già attivo nell’organizzazione della resistenza e viene presentato al Comitato militare del PCI romagnolo, come possibile comandante della costituenda brigata partigiana.
60  Boldrini conobbe Fedel alle Bocche di Cattaro, dove, insieme, prestavano servizio nel 120° Reggimento di fanteria della Divisione Emilia, dove Boldrini, come tenente di complemento, comandava la compagnia reggimentale.
61  Ilio Barontini (Dario) diverrà poi il comandante del CUMER (Comando Unificato Militare dell’Emilia-Romagna), braccio militare del CLN Alta Italia e comando di tutte le formazioni partigiane della Regione, che si costituirà ufficialmente il 9 giugno 1944, con centro operativo a Bologna.

Maurizio Balestra, Ilario Tabarri (Pietro Mauri). Comandante dell'8a Brigata Garibaldi "Romagna", Academia.edu