Non ci sono segnali di una presenza attiva d’iniziative organizzate nell’Italia occupata da parte del Regno del Sud sino alla fine di novembre, primi giorni di dicembre, 1943. Infatti, risale ai primi giorni di dicembre la definizione dei comandi regionali nella Z.O. (Zona Operativa) <85 e anche il distintivo che i patrioti dovevano apporre al bavero della giubba (sic!). L’idea che dei combattenti clandestini si aggiustassero un distintivo (doppio nastro trasversale tricolore) in modo che la loro posizione fosse internazionalmente chiara e che le bande fossero gestite da un «comandante militare eventualmente appoggiato, per la parte relativa (sic!) agli elementi civili immessi […] dai comitati locali dei partiti» <86 rende evidente come sia lontano non solo il concetto della guerra per bande, ma anche la conoscenza della situazione. A questa incoscienza situazionale, si affiancano una confusione organizzativa e una mancanza di prospettive. L’iniziativa del Regno del Sud è minata all’origine non solo dalla non esaltante messa in scena della fuga da Roma, ma è il comportamento complessivo della casta militare sul campo di battaglia che ha lasciato un segno indelebile negli uomini che sono rientrati dai vari fronti: si arena in un serie di vorrei ma non posso che rendono ancor più diffidenti i comandi alleati <87. Sono i singoli uomini che prendono in mano la situazione, a un Umberto Utili nel Sud che riesce a farsi accettare dagli Alleati, corrisponde un Jerzy Sas Kulczycki che nel Nord tenta di tirare le fila di una rete dei militari.
I militari di professione però, non riescono a comprendere che si è innescato un movimento che li relega nelle retrovie. Non si tratta solo di riprendere in mano la situazione ante - 1923, l’Esercito e il suo ceto ha indissolubilmente legato i propri destini a quelli del fascismo, difficile ora separarli, anche perché i comandanti raramente comprendono il cambio di passo. Questo non vuole assolutamente dire che i militari, che hanno condiviso anni di vita, fatiche, anche sogni e sconfitte con i soldati che ora sono sui monti, non costruiscano e organizzino delle bande, è il passo successivo che non riescono a compiere, è il coinvolgimento diretto del Regno del Sud che viene a mancare.
Anche perché per arrivare in Z.O., per far pervenire materiali e risorse occorre appoggiarsi agli alleati i quali a loro volta si trovano in concorrenza tra loro: da una parte l’Oss americano e dall’altra il Soe inglese. Alla normale differenza di vedute, ora si debbono aggiungere le simpatie repubblicane e quelle monarchiche che ci sono in entrambi i campi ma soprattutto la diffidenza nei confronti di un Governo che oltretutto ha gestito in modo misero l’armistizio. Insomma ha dell’ingenuo pensare di riuscire ad accreditarsi come combattenti antifascisti quando fino il giorno prima si era alleati con i tedeschi, gli inglesi non dimenticano certo i loro morti in Africa del Nord, la disastrosa gestione poi dell’armistizio non ha certo contribuito a far aumentare l’attendibilità dei realisti di casa Savoia. Scarsa, se non nulla, è l’affidabilità che hanno i generali che supinamente hanno trascinato nel disastro gli italiani, il ceto militare è legato a casa Savoia e conseguentemente il Governo del Sud fatica a essere preso in considerazione dagli Alleati. Ne è un espressivo esempio la sconfitta del progetto del gen. Giuseppe Pavone <88 relativo ai Gruppi Combattenti Italia e le difficoltà che incontra il gen. Utili nel costruire forze combattenti che si affianchino all’esercito degli alleati che sale verso il nord.
Ha molto più buon gioco Sogno che, dopo aver attraversato il fronte verso il sud, progetta il suo ritorno al nord come collaboratore del Soe. È lui che diventa il raccordo con le bande badogliane, è presente nel Cln di Torino come rappresentante del Pli, in altre parole è la sua organizzazione, La Franchi, che è portatrice di un progetto politico ben più radicato nel quotidiano che quello propugnato dallo Stato Maggiore dell’Esercito del Sud.
La ripresa dell’organizzazione in alta Valtellina nella primavera del 1944 non trova più sul terreno una struttura che aveva se non stimolato speranze suscitato interessamento da parte dei militari valtellinesi: la struttura dei Volontari armati d’ Italia. Quest’organizzazione non è più presente dall’aprile del 1944 in concomitanza con la cattura di parecchi suoi uomini compreso il comandante, Kulczycki che è catturato a Genova il 15 aprile.
La scomparsa del Vai (Volontari Armati Italiani) rende evidente la difficoltà del Regno del Sud nel costituire le strutture armate di resistenza nella Z.O. I militari dell’ex regio esercito non si sono trovati a lavorare in un ambiente adatto, lo sfacelo dell’8 settembre, la vigliaccheria o, nel migliore dei casi, la pusillanimità dei comandanti ha fatto il paio con i morti provocati dal governo Badoglio durante i 45 giorni. La mancanza d’idee, il banale adesso cosa facciamo, la ritrosia ad armare i civili ha messo tutto il peso dell’organizzazione sulle spalle di pochi militari animati da spirito di sacrificio e disposti al combattimento; la cattura di questi militari taglia le gambe ad una organizzazione che aveva i piedi di argilla e lascia aperta la strada a forme di combattimento che troveranno la loro dimensione sia nelle bande autonome, i fazzoletti azzurri e verdi, che nelle bande garibaldine o di Giustizia e Libertà.
Dell’incapacità dei militari nel muoversi, in Lombardia, sul terreno delle organizzazioni armate di montagna è sintomo il fatto che sia nel bresciano, sia nella bergamasca, è il clero che fornisce o direttamente, il comandante, don Antonio Milesi, o la direzione politica, don Carlo Comensoli; è illuminante invece l’indecisione, per non dire di peggio, del Comandante dei Carabinieri di Sondrio Edoardo Alessi.
Eppure la rete dei militari che nella regione a nord di Milano fa riferimento al Regio Governo del Sud <89 non è poca cosa: a Lecco troviamo i colonnelli Umberto Morandi e Alberto Prampolini affiancati dal capitano Guido Brugger; a Mandello del Lario c’è il colonnello Galdino Pini mentre a Bellano il referente è Umberto Osio, salendo nella Valsassina Mario Cerati e il dott. Pietro Magni; nella zona della valle Taleggio Piero Pallini cerca di tessere una rete di collegamenti in contatto con il gruppo di Carlo Basile mentre un altro militare, Davide Paganoni di Lenna assume una posizione più distaccata. Nella stessa zona si muove uno strano prete-combattente che abbiamo già incontrato, don Antonio Milesi che a fine guerra esibirà il suo legame con il Soe, nella zona della Valcamonica i vari militari che daranno poi vita alle Fiamme Verdi e che avranno nel generale Luigi Masini il loro referente <90.
I militari trovano il loro terreno, quello delle armi, conteso da forme organizzative che, o disprezzano come le bande infestate dal comunismo o che fanno fatica a comprendere: i civili armati. Forse frastornati dall’apparire di questi nuovi soggetti, le ombre che raccolgono le armi che i militari abbandonano, coscienti di un loro ruolo e legati a un giuramento che sembra restare l’unica cosa certa, questi uomini che fanno parte della rete dei militari in Spe che non aderiscono alla Rsi spesso vanno incontro a un tragico destino. Ne è un esempio, il generale di brigata Giuseppe Robolotti nato a Cremona il 27 dicembre 1885. Comandante della Zona militare di Trieste nell'aprile del 1943, dopo l'armistizio ha tentato di opporre resistenza alle truppe tedesche. Sfuggito alla cattura e riparato a Milano, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia gli affidò il comando militare della Piazza nel capoluogo lombardo. Assolse l’incarico fino al 25 maggio 1944, quando fu arrestato a Milano col generale Bortolo Zambon e altri resistenti, nell’ambito di una operazione tesa alla cattura dei militari che collaboratori del Cln. Robolotti fu incarcerato a San Vittore sino al mese di giugno, quando è deportato nel campo di transito di Fossoli. All'alba del 12 luglio i nazisti lo fucilarono nel Poligono di tiro nella frazione Cibeno con altri 66 resistenti <91.
La condizione di debolezza nella costruzione di una Resistenza monarchica non vuole però significare che i militari, e comunque casa Savoia e il Regno del Sud, non siano poi in grado di recuperare il terreno e presentarsi,
all’appuntamento del 25 aprile 1945 con molte cartucce nelle giberne <92.
Diversa è la storia delle migliaia di militari che salgono sui monti dal Piemonte al Friuli attraversando gli Appennini e, stante una dura revisione del proprio ruolo, combatteranno nelle bande partigiane. Di questa evanescente
organizzazione, il Vai, si conosce poco: a Milano è Maria Bottoni che catturata dallo Sd e incarcerata a San Vittore il 15.03.1944 (mat. 1678) viene ricondotta al Vai. Era la segretaria di Parri nella ditta Edison e, secondo quanto afferma Antonio Colognese, aveva documenti che si riferiscono alla rete dell’organizzazione <93.
Tra la fine dell’aprile e il maggio 1944 si può con certezza affermare che un buon numero degli uomini del Vai si ritrova nel campo di Fossoli, compreso il comandante Kulczycki, il responsabile politico della Liguria Filippo Gramatica, il suo sostituto Renato Piccinino e Giuseppe Palmero un membro della Giovane Italia <94. Un’operazione di polizia ha portato all’arresto di diciannove persone a Milano, tra le quali gli uomini ai vertici dell’organizzazione resistenziali. Sono incarcerati a San Vittore il 25 maggio 19454: Enrica Caserini Bassi mat. 2175, Alessandro Beltracchini mat. 2176, Giuseppe Robolotti mat. 2177, Gino Marini mat. 2178, Bortolo Zambon mat. 2179, Mario Benedetto mat. 2180, Ida Bevali mat. 2181, Agata Carletti mat. 2182, Primo Maggiori mat. 2183, Ettore Nulli mat. 2184, Decio Nulli mat. 2185, Carlo Granelli mat. 2186, Margherita Della Negri Baggini mat. 2187, Elvira Robolotti Dal Col mat. 2188, Giovanni Robolotti mat. 2189, Vittorio Castelli mat. 2190, Agnese Borgonovo Scurati mat. 2191, Leonida Bellini mat. 2192, Vittorio Gasparini mat. 2193.
Di altri militari e civili non siamo in grado di definirne con certezza un’appartenenza organizzativa: sono il tenente Antonio Manzi che è incarcerato il 20.04.1944 a San Vittore mat. 1954, era stato preceduto dalla ligure Annamaria Martini il 16.04.1944 mat. 1937. Manzi è catturato a Lenna in val Brembana, Martini in Liguria, altri lo sono a Torino. Lo sguardo sugli effetti della repressione che abbraccia l’intero nord dell’Italia occupata c’è utile per comprendere
l’estensione della reta e la caparbietà con cui i fascisti e i tedeschi perseguono la repressione.
Tutti i militari sono membri del Vai? Crediamo proprio di no: essere militare in un paese in guerra diventa un elemento normale per gli uomini dai 18 ai 40 anni, è anche ovvio che conseguentemente all’armistizio dell’otto settembre ci sia stato il tentativo di organizzare i militari fuori da una rete informativa. Sono altrettanto naturali le sovrapposizioni tra le organizzazioni: membri del Vai e nello stesso tempo legami con i Cln o con reti d’informazioni
come il gruppo Otto, l’Ori <95 e anche il Sim. Chiarisce quanto si vuole qui affermare il percorso di Aminta Migliari, Giorgio, promotore e comandante del Servizio informazioni patrioti (Sip), costituito nella primavera del 1944. Inizialmente la rete informativa è costruita localmente per il gruppo partigiano (autonomo) di Alfredo Di Dio dopo il 13 febbraio 1944. Nel marzo 1945 diventa Servizio informazioni militari Nord Italia (Simni), che vede ampliata la rete di agenti e informatori dalla zona novarese, originaria, a quasi tutte le regioni dell'Italia settentrionale. Migliari è stato altresì commissario di guerra del raggruppamento divisioni Alfredo Di Dio, in stretti rapporti con la missione dell'Oss Chrysler, paracadutata nella zona del Mottarone nel settembre 1944, e in stretti rapporti con la Democrazia Cristiana.
Si stabilizzano una serie di rapporti tra i militari che non sempre trovano la loro naturale conclusione in una struttura organizzativa che fa riferimento a brigate combattenti anche se la memorialistica tenderà a definire comandi e formazioni dopo il 25 aprile. Nell’inverno 1943-1944 la ricerca di una via d’uscita alle semplici rete informative trova nei militari gli uomini che hanno avuto esperienze contigue e hanno certamente sviluppato anche quello che si chiama Spirito di Corpo.
Umberto Osio e Galdino Pini provengono dalla Grande Guerra ed hanno maturato una avversione ai tedeschi che si riattiva vedendoli invadere l’Italia, altri hanno combattuto assieme in Jugoslavia, magari passando prima dalla esperienza della guerra di Russia. L’esperienza del generale Masini è indicativa: è stato con la 8a Divisione nella campagna di Russia poi con la III Brigata è inviato a Bergamo. Nell'aprile 1943 la brigata è posta a disposizione del XXIII Corpo d'Armata e, nell’ambito della Difesa Territoriale delle provincie di Gorizia e Trieste, è impiegata in azioni di controguerriglia nella zona di confine con la Jugoslavia (Tolmino - Circhina). Il Comando di brigata e tre reggimenti
sono sciolti il 31 agosto 1943; il personale dei reparti è utilizzato per la ricostituzione delle Divisioni Alpine «Julia», «Tridentina» e «Cuneense» rientrate dal fronte russo. Masini è stato il comandante della III Brigata dal 20 dicembre 1942, ai suoi ordini Alberto Prampolini è stato uno dei comandanti del 6° reggimento alpini. Sono uomini che si conoscono e che professano le stesse idee, militari che hanno fatto il giuramento al re e che si sentono a esso legati. Naturale quindi che questo gruppo si senta spinto ad attuare una sorta di rete di collegamento e a ridefinire le proprie funzioni. Quelli che sono stati impegnati in Jugoslavia o in Russia in operazioni contro i partigiani sanno come questi si muovevano, hanno acquisito un’esperienza di cosa sono la guerriglia e la controguerriglia. Sono uomini importanti e per questo saranno anche cercati e ambiti dalle nascenti formazioni militari sia in montagna ma anche in città.
[NOTE]
85 MINISTERO DELLA DIFESA, STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, UFFICIO STORICO, L'azione dello Stato Maggiore Generale per lo sviluppo del movimento di liberazione, cit., p. 15.
86 «Le direttive per l’organizzazione e la condotta della guerriglia Stato Maggiore Generale per lo sviluppo del movimento di liberazione, cit., p. 15. (Riservate alla persona dei Comandanti militari regionali e dei loro più immediati collaboratori).» sono in data 10 dicembre 1943: Ivi, p. 149-154.
87 Sull’evoluzione dei contatti con gli alleati si rimanda a: T. PIFFER, Gli alleati e la Resistenza italiana, cit.
88 Cfr. A. ALOSCO, Il Partito d'Azione nel 'Regno del Sud', Alfredo Guida, Napoli, 2002, pp. 61-63.
89 Una sintesi della presenza delle formazioni militari che fanno riferimento al Regno del Sud la si trova in C. CERNIGOI, ALLA RICERCA DI NEMO una spy-story non solo italiana, dossier n. 46, Supplemento al n. 303 - 1/5/13 de La Nuova Alabarda e la Coda del Diavolo”, Trieste 2013. Per una analisi più articolata, Cfr. G. PERONA (a cura di), Formazioni autonome nella Resistenza, documenti, cit., p. 19-31.
90 Fondo: Morelli Dario, Serie: Forze partigiane e di liberazione, Sottoserie: Cvl - Fiamme verdi, Fascicolo: Cvl - Quartier generale del raggruppamento Fiamme verdi, Busta 31, Fasc. 276.
91 Il 12 luglio del 1944 al poligono del Cibeno presso Carpi vengono fucilati 67 prigionieri del vicino campo di Fossili, tra di essi il col. del Savoia Cavalleria Luigi Ferrighi. Cfr. A. L. CARLOTTI (a cura di) L. MELA, P. CRESPI, Dosvidania, Savoia cavalleria dal fronte russo alla Resistenza : due diari inediti, Vita e pensiero, Milano, 1995; vedi anche: Insmli, fondo Ostéria Luca, Busta 1, Fasc. 8, fasc. "Zambon e C[company]. Gnr di Brescia. 25 - 5 - 1954 [recte 1945]".
92 Nella vicina Como, è il Ten. Col. Giovanni Sardagna ad essere ritenuto legato al Vai. Uomo di fiducia del gen. Cadorna che ricopre la carica di ispetttore generale nel Comitato militare del CLN comasco e che diventa il referente militare nei giorni insurrezionali.
93 A. COLOGNESE, Venti mesi di lotta partigiana, Stab. grafico P. Castaldi, Feltre, 1947, p. 52. Cfr. P. PAOLETTI, Volontari armati italiani (V.A.I) in Liguria (1943-1945), cit., p. 62.
94 Ivi.
95 La Otto prende il nome da Ottorino Balduzzi primario di neuropsichiatria dell’ospedale S. Martino di Genova, comunista. Cfr. Relazione sull’attività dell’Organizzazione Otto, Insmli, fondo CVL, b. 42, fasc. 4, sottofasc. 5; R. CRAVERI, La campagna d’Italia e i servizi segreti: la storia dell’ORI (1943-1945), Genova, 2009.
I militari di professione però, non riescono a comprendere che si è innescato un movimento che li relega nelle retrovie. Non si tratta solo di riprendere in mano la situazione ante - 1923, l’Esercito e il suo ceto ha indissolubilmente legato i propri destini a quelli del fascismo, difficile ora separarli, anche perché i comandanti raramente comprendono il cambio di passo. Questo non vuole assolutamente dire che i militari, che hanno condiviso anni di vita, fatiche, anche sogni e sconfitte con i soldati che ora sono sui monti, non costruiscano e organizzino delle bande, è il passo successivo che non riescono a compiere, è il coinvolgimento diretto del Regno del Sud che viene a mancare.
Anche perché per arrivare in Z.O., per far pervenire materiali e risorse occorre appoggiarsi agli alleati i quali a loro volta si trovano in concorrenza tra loro: da una parte l’Oss americano e dall’altra il Soe inglese. Alla normale differenza di vedute, ora si debbono aggiungere le simpatie repubblicane e quelle monarchiche che ci sono in entrambi i campi ma soprattutto la diffidenza nei confronti di un Governo che oltretutto ha gestito in modo misero l’armistizio. Insomma ha dell’ingenuo pensare di riuscire ad accreditarsi come combattenti antifascisti quando fino il giorno prima si era alleati con i tedeschi, gli inglesi non dimenticano certo i loro morti in Africa del Nord, la disastrosa gestione poi dell’armistizio non ha certo contribuito a far aumentare l’attendibilità dei realisti di casa Savoia. Scarsa, se non nulla, è l’affidabilità che hanno i generali che supinamente hanno trascinato nel disastro gli italiani, il ceto militare è legato a casa Savoia e conseguentemente il Governo del Sud fatica a essere preso in considerazione dagli Alleati. Ne è un espressivo esempio la sconfitta del progetto del gen. Giuseppe Pavone <88 relativo ai Gruppi Combattenti Italia e le difficoltà che incontra il gen. Utili nel costruire forze combattenti che si affianchino all’esercito degli alleati che sale verso il nord.
Ha molto più buon gioco Sogno che, dopo aver attraversato il fronte verso il sud, progetta il suo ritorno al nord come collaboratore del Soe. È lui che diventa il raccordo con le bande badogliane, è presente nel Cln di Torino come rappresentante del Pli, in altre parole è la sua organizzazione, La Franchi, che è portatrice di un progetto politico ben più radicato nel quotidiano che quello propugnato dallo Stato Maggiore dell’Esercito del Sud.
La ripresa dell’organizzazione in alta Valtellina nella primavera del 1944 non trova più sul terreno una struttura che aveva se non stimolato speranze suscitato interessamento da parte dei militari valtellinesi: la struttura dei Volontari armati d’ Italia. Quest’organizzazione non è più presente dall’aprile del 1944 in concomitanza con la cattura di parecchi suoi uomini compreso il comandante, Kulczycki che è catturato a Genova il 15 aprile.
La scomparsa del Vai (Volontari Armati Italiani) rende evidente la difficoltà del Regno del Sud nel costituire le strutture armate di resistenza nella Z.O. I militari dell’ex regio esercito non si sono trovati a lavorare in un ambiente adatto, lo sfacelo dell’8 settembre, la vigliaccheria o, nel migliore dei casi, la pusillanimità dei comandanti ha fatto il paio con i morti provocati dal governo Badoglio durante i 45 giorni. La mancanza d’idee, il banale adesso cosa facciamo, la ritrosia ad armare i civili ha messo tutto il peso dell’organizzazione sulle spalle di pochi militari animati da spirito di sacrificio e disposti al combattimento; la cattura di questi militari taglia le gambe ad una organizzazione che aveva i piedi di argilla e lascia aperta la strada a forme di combattimento che troveranno la loro dimensione sia nelle bande autonome, i fazzoletti azzurri e verdi, che nelle bande garibaldine o di Giustizia e Libertà.
Dell’incapacità dei militari nel muoversi, in Lombardia, sul terreno delle organizzazioni armate di montagna è sintomo il fatto che sia nel bresciano, sia nella bergamasca, è il clero che fornisce o direttamente, il comandante, don Antonio Milesi, o la direzione politica, don Carlo Comensoli; è illuminante invece l’indecisione, per non dire di peggio, del Comandante dei Carabinieri di Sondrio Edoardo Alessi.
Eppure la rete dei militari che nella regione a nord di Milano fa riferimento al Regio Governo del Sud <89 non è poca cosa: a Lecco troviamo i colonnelli Umberto Morandi e Alberto Prampolini affiancati dal capitano Guido Brugger; a Mandello del Lario c’è il colonnello Galdino Pini mentre a Bellano il referente è Umberto Osio, salendo nella Valsassina Mario Cerati e il dott. Pietro Magni; nella zona della valle Taleggio Piero Pallini cerca di tessere una rete di collegamenti in contatto con il gruppo di Carlo Basile mentre un altro militare, Davide Paganoni di Lenna assume una posizione più distaccata. Nella stessa zona si muove uno strano prete-combattente che abbiamo già incontrato, don Antonio Milesi che a fine guerra esibirà il suo legame con il Soe, nella zona della Valcamonica i vari militari che daranno poi vita alle Fiamme Verdi e che avranno nel generale Luigi Masini il loro referente <90.
I militari trovano il loro terreno, quello delle armi, conteso da forme organizzative che, o disprezzano come le bande infestate dal comunismo o che fanno fatica a comprendere: i civili armati. Forse frastornati dall’apparire di questi nuovi soggetti, le ombre che raccolgono le armi che i militari abbandonano, coscienti di un loro ruolo e legati a un giuramento che sembra restare l’unica cosa certa, questi uomini che fanno parte della rete dei militari in Spe che non aderiscono alla Rsi spesso vanno incontro a un tragico destino. Ne è un esempio, il generale di brigata Giuseppe Robolotti nato a Cremona il 27 dicembre 1885. Comandante della Zona militare di Trieste nell'aprile del 1943, dopo l'armistizio ha tentato di opporre resistenza alle truppe tedesche. Sfuggito alla cattura e riparato a Milano, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia gli affidò il comando militare della Piazza nel capoluogo lombardo. Assolse l’incarico fino al 25 maggio 1944, quando fu arrestato a Milano col generale Bortolo Zambon e altri resistenti, nell’ambito di una operazione tesa alla cattura dei militari che collaboratori del Cln. Robolotti fu incarcerato a San Vittore sino al mese di giugno, quando è deportato nel campo di transito di Fossoli. All'alba del 12 luglio i nazisti lo fucilarono nel Poligono di tiro nella frazione Cibeno con altri 66 resistenti <91.
La condizione di debolezza nella costruzione di una Resistenza monarchica non vuole però significare che i militari, e comunque casa Savoia e il Regno del Sud, non siano poi in grado di recuperare il terreno e presentarsi,
all’appuntamento del 25 aprile 1945 con molte cartucce nelle giberne <92.
Diversa è la storia delle migliaia di militari che salgono sui monti dal Piemonte al Friuli attraversando gli Appennini e, stante una dura revisione del proprio ruolo, combatteranno nelle bande partigiane. Di questa evanescente
organizzazione, il Vai, si conosce poco: a Milano è Maria Bottoni che catturata dallo Sd e incarcerata a San Vittore il 15.03.1944 (mat. 1678) viene ricondotta al Vai. Era la segretaria di Parri nella ditta Edison e, secondo quanto afferma Antonio Colognese, aveva documenti che si riferiscono alla rete dell’organizzazione <93.
Tra la fine dell’aprile e il maggio 1944 si può con certezza affermare che un buon numero degli uomini del Vai si ritrova nel campo di Fossoli, compreso il comandante Kulczycki, il responsabile politico della Liguria Filippo Gramatica, il suo sostituto Renato Piccinino e Giuseppe Palmero un membro della Giovane Italia <94. Un’operazione di polizia ha portato all’arresto di diciannove persone a Milano, tra le quali gli uomini ai vertici dell’organizzazione resistenziali. Sono incarcerati a San Vittore il 25 maggio 19454: Enrica Caserini Bassi mat. 2175, Alessandro Beltracchini mat. 2176, Giuseppe Robolotti mat. 2177, Gino Marini mat. 2178, Bortolo Zambon mat. 2179, Mario Benedetto mat. 2180, Ida Bevali mat. 2181, Agata Carletti mat. 2182, Primo Maggiori mat. 2183, Ettore Nulli mat. 2184, Decio Nulli mat. 2185, Carlo Granelli mat. 2186, Margherita Della Negri Baggini mat. 2187, Elvira Robolotti Dal Col mat. 2188, Giovanni Robolotti mat. 2189, Vittorio Castelli mat. 2190, Agnese Borgonovo Scurati mat. 2191, Leonida Bellini mat. 2192, Vittorio Gasparini mat. 2193.
Di altri militari e civili non siamo in grado di definirne con certezza un’appartenenza organizzativa: sono il tenente Antonio Manzi che è incarcerato il 20.04.1944 a San Vittore mat. 1954, era stato preceduto dalla ligure Annamaria Martini il 16.04.1944 mat. 1937. Manzi è catturato a Lenna in val Brembana, Martini in Liguria, altri lo sono a Torino. Lo sguardo sugli effetti della repressione che abbraccia l’intero nord dell’Italia occupata c’è utile per comprendere
l’estensione della reta e la caparbietà con cui i fascisti e i tedeschi perseguono la repressione.
Tutti i militari sono membri del Vai? Crediamo proprio di no: essere militare in un paese in guerra diventa un elemento normale per gli uomini dai 18 ai 40 anni, è anche ovvio che conseguentemente all’armistizio dell’otto settembre ci sia stato il tentativo di organizzare i militari fuori da una rete informativa. Sono altrettanto naturali le sovrapposizioni tra le organizzazioni: membri del Vai e nello stesso tempo legami con i Cln o con reti d’informazioni
come il gruppo Otto, l’Ori <95 e anche il Sim. Chiarisce quanto si vuole qui affermare il percorso di Aminta Migliari, Giorgio, promotore e comandante del Servizio informazioni patrioti (Sip), costituito nella primavera del 1944. Inizialmente la rete informativa è costruita localmente per il gruppo partigiano (autonomo) di Alfredo Di Dio dopo il 13 febbraio 1944. Nel marzo 1945 diventa Servizio informazioni militari Nord Italia (Simni), che vede ampliata la rete di agenti e informatori dalla zona novarese, originaria, a quasi tutte le regioni dell'Italia settentrionale. Migliari è stato altresì commissario di guerra del raggruppamento divisioni Alfredo Di Dio, in stretti rapporti con la missione dell'Oss Chrysler, paracadutata nella zona del Mottarone nel settembre 1944, e in stretti rapporti con la Democrazia Cristiana.
Si stabilizzano una serie di rapporti tra i militari che non sempre trovano la loro naturale conclusione in una struttura organizzativa che fa riferimento a brigate combattenti anche se la memorialistica tenderà a definire comandi e formazioni dopo il 25 aprile. Nell’inverno 1943-1944 la ricerca di una via d’uscita alle semplici rete informative trova nei militari gli uomini che hanno avuto esperienze contigue e hanno certamente sviluppato anche quello che si chiama Spirito di Corpo.
Umberto Osio e Galdino Pini provengono dalla Grande Guerra ed hanno maturato una avversione ai tedeschi che si riattiva vedendoli invadere l’Italia, altri hanno combattuto assieme in Jugoslavia, magari passando prima dalla esperienza della guerra di Russia. L’esperienza del generale Masini è indicativa: è stato con la 8a Divisione nella campagna di Russia poi con la III Brigata è inviato a Bergamo. Nell'aprile 1943 la brigata è posta a disposizione del XXIII Corpo d'Armata e, nell’ambito della Difesa Territoriale delle provincie di Gorizia e Trieste, è impiegata in azioni di controguerriglia nella zona di confine con la Jugoslavia (Tolmino - Circhina). Il Comando di brigata e tre reggimenti
sono sciolti il 31 agosto 1943; il personale dei reparti è utilizzato per la ricostituzione delle Divisioni Alpine «Julia», «Tridentina» e «Cuneense» rientrate dal fronte russo. Masini è stato il comandante della III Brigata dal 20 dicembre 1942, ai suoi ordini Alberto Prampolini è stato uno dei comandanti del 6° reggimento alpini. Sono uomini che si conoscono e che professano le stesse idee, militari che hanno fatto il giuramento al re e che si sentono a esso legati. Naturale quindi che questo gruppo si senta spinto ad attuare una sorta di rete di collegamento e a ridefinire le proprie funzioni. Quelli che sono stati impegnati in Jugoslavia o in Russia in operazioni contro i partigiani sanno come questi si muovevano, hanno acquisito un’esperienza di cosa sono la guerriglia e la controguerriglia. Sono uomini importanti e per questo saranno anche cercati e ambiti dalle nascenti formazioni militari sia in montagna ma anche in città.
[NOTE]
85 MINISTERO DELLA DIFESA, STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, UFFICIO STORICO, L'azione dello Stato Maggiore Generale per lo sviluppo del movimento di liberazione, cit., p. 15.
86 «Le direttive per l’organizzazione e la condotta della guerriglia Stato Maggiore Generale per lo sviluppo del movimento di liberazione, cit., p. 15. (Riservate alla persona dei Comandanti militari regionali e dei loro più immediati collaboratori).» sono in data 10 dicembre 1943: Ivi, p. 149-154.
87 Sull’evoluzione dei contatti con gli alleati si rimanda a: T. PIFFER, Gli alleati e la Resistenza italiana, cit.
88 Cfr. A. ALOSCO, Il Partito d'Azione nel 'Regno del Sud', Alfredo Guida, Napoli, 2002, pp. 61-63.
89 Una sintesi della presenza delle formazioni militari che fanno riferimento al Regno del Sud la si trova in C. CERNIGOI, ALLA RICERCA DI NEMO una spy-story non solo italiana, dossier n. 46, Supplemento al n. 303 - 1/5/13 de La Nuova Alabarda e la Coda del Diavolo”, Trieste 2013. Per una analisi più articolata, Cfr. G. PERONA (a cura di), Formazioni autonome nella Resistenza, documenti, cit., p. 19-31.
90 Fondo: Morelli Dario, Serie: Forze partigiane e di liberazione, Sottoserie: Cvl - Fiamme verdi, Fascicolo: Cvl - Quartier generale del raggruppamento Fiamme verdi, Busta 31, Fasc. 276.
91 Il 12 luglio del 1944 al poligono del Cibeno presso Carpi vengono fucilati 67 prigionieri del vicino campo di Fossili, tra di essi il col. del Savoia Cavalleria Luigi Ferrighi. Cfr. A. L. CARLOTTI (a cura di) L. MELA, P. CRESPI, Dosvidania, Savoia cavalleria dal fronte russo alla Resistenza : due diari inediti, Vita e pensiero, Milano, 1995; vedi anche: Insmli, fondo Ostéria Luca, Busta 1, Fasc. 8, fasc. "Zambon e C[company]. Gnr di Brescia. 25 - 5 - 1954 [recte 1945]".
92 Nella vicina Como, è il Ten. Col. Giovanni Sardagna ad essere ritenuto legato al Vai. Uomo di fiducia del gen. Cadorna che ricopre la carica di ispetttore generale nel Comitato militare del CLN comasco e che diventa il referente militare nei giorni insurrezionali.
93 A. COLOGNESE, Venti mesi di lotta partigiana, Stab. grafico P. Castaldi, Feltre, 1947, p. 52. Cfr. P. PAOLETTI, Volontari armati italiani (V.A.I) in Liguria (1943-1945), cit., p. 62.
94 Ivi.
95 La Otto prende il nome da Ottorino Balduzzi primario di neuropsichiatria dell’ospedale S. Martino di Genova, comunista. Cfr. Relazione sull’attività dell’Organizzazione Otto, Insmli, fondo CVL, b. 42, fasc. 4, sottofasc. 5; R. CRAVERI, La campagna d’Italia e i servizi segreti: la storia dell’ORI (1943-1945), Genova, 2009.
Massimo Fumagalli e Gabriele Fontana, Formazioni Patriottiche e Milizie di fabbrica in Alta Valtellina. 1943-1945, Associazione Culturale Banlieu
Mastino Bachisio fiancheggia i partigiani, compie atti di sabotaggio, fornisce importanti informazioni come si legge dal certificato a firma dal maresciallo inglese Harold Alexander, capo delle truppe alleate nel Mediterraneo centrale.
Tra febbraio e marzo del ’44, infatti, il partigiano con le Fiamme Gialle viene notato da “Giorgio”, nome di battaglia di Aminta Migliari (nella foto ritratto un uno dei suoi numerosi travestimenti. In questo caso da sacerdote). Un giovane di Gozzano che organizza il SIP, il Servizio Informazioni Patrioti. Il SIP, nato con la finalità di segnalare i movimenti dei reparti nazi-fascisti, in maniera tale da proteggere le Brigate partigiane operanti sul confine tra Lombardia e Piemonte, ha un’evoluzione che Bachisio Mastinu vive in pieno. Infatti nel SIP il finanziere sardo entra come semplice “agente”, mantenendo il servizio presso le Fiamme Gialle di Borgomanero, ma sarà costretto ad abbandonare il proprio reparto il 1° di settembre del 1944 per via dell’insicurezza che poteva provocare il suo “doppio gioco”. Il SIP, una volta superata una prima fase evolutiva, dopo la tragica fine del Tenente Di Dio, trucidato nel corso di un’imboscata dei tedeschi il 12 ottobre 1944 a Gola di Finero, “ampliò sensibilmente i propri compiti, estendendo la propria attività ai sabotaggi ed alla segnalazione degli obiettivi per i bombardamenti alleati, fornendo informazioni utili sia ad altre formazioni partigiane, come nel caso della Organizzazione “Franchi” capeggiata da Edgardo Sogno, sia ad alcuni patrioti e capi della Resistenza che si erano rifugiati in Svizzera, come ha modo di spiegare il maggiore Gerardo Severino, Direttore del Museo Storico della Guardia di Finanza di Roma e autore del libro “Una vita per l’Italia” (Delfino Editore).
Il SIMNI era coinvolto in quella che fu denominata “Missione Chrysler” dall’OSS, cioè l’Office of Strategic Service, il servizio segreto americano precursore della CIA, che aiuterà l’Italia e la Resistenza ad arrivare fino all’aprile 1945, cioè alla liberazione. Il SIMNI compì molteplici operazioni di guerra fornendo informazioni, anche attraverso quattro stazioni radio alleate, gestite dai militari Usa, attraverso migliaia di messaggi in codice, in media circa 350 al mese, di cui alcuni davvero delicati e sensibili.
La sua attività presso il SIMNI e a favore degli Alleati è riscontrabile in un documento ufficiale d’archivio datato 15 maggio 1945 (nella foto a destra d’archivio fornita dalla Guardia di Finanza) dal quale si evince, appunto, la promozione al grado di Appuntato di Finanza e, soprattutto, a quella di “Agente Capo” del medesimo Servizio. “Ebbene, l’agente Mastinu verrà trattenuto presso il Comando Centrale del SIMNI anche dopo la Liberazione, come emerge in una lettera che il Comandante “Giorgio” indirizzò al Comando del Circolo della Regia Guardia di Finanza di Novara il 14 di maggio - spiega il maggiore Severino -. In tale documento viene, infatti, indicato che il nostro Bachisio è da considerarsi in servizio attivo con grado di Agente Capo presso la Missione Americana. Erano quelli, infatti, i giorni ed i mesi in cui sia gli agenti segreti italiani che quelli americani davano la caccia alle ultime spie fasciste, ovvero a chi si era fortemente compromesso a favore degli occupanti tedeschi”. Bachisio Mastinu rimarrà in servizio presso il SIM, il Servizio Informazioni Militari, sino al 15 aprile del 1946, data in cui ne fu decretata dal Ministero della Guerra la cosiddetta “smobilitazione” con il conseguente rientro dei vari agenti al proprio reparto.
Tra febbraio e marzo del ’44, infatti, il partigiano con le Fiamme Gialle viene notato da “Giorgio”, nome di battaglia di Aminta Migliari (nella foto ritratto un uno dei suoi numerosi travestimenti. In questo caso da sacerdote). Un giovane di Gozzano che organizza il SIP, il Servizio Informazioni Patrioti. Il SIP, nato con la finalità di segnalare i movimenti dei reparti nazi-fascisti, in maniera tale da proteggere le Brigate partigiane operanti sul confine tra Lombardia e Piemonte, ha un’evoluzione che Bachisio Mastinu vive in pieno. Infatti nel SIP il finanziere sardo entra come semplice “agente”, mantenendo il servizio presso le Fiamme Gialle di Borgomanero, ma sarà costretto ad abbandonare il proprio reparto il 1° di settembre del 1944 per via dell’insicurezza che poteva provocare il suo “doppio gioco”. Il SIP, una volta superata una prima fase evolutiva, dopo la tragica fine del Tenente Di Dio, trucidato nel corso di un’imboscata dei tedeschi il 12 ottobre 1944 a Gola di Finero, “ampliò sensibilmente i propri compiti, estendendo la propria attività ai sabotaggi ed alla segnalazione degli obiettivi per i bombardamenti alleati, fornendo informazioni utili sia ad altre formazioni partigiane, come nel caso della Organizzazione “Franchi” capeggiata da Edgardo Sogno, sia ad alcuni patrioti e capi della Resistenza che si erano rifugiati in Svizzera, come ha modo di spiegare il maggiore Gerardo Severino, Direttore del Museo Storico della Guardia di Finanza di Roma e autore del libro “Una vita per l’Italia” (Delfino Editore).
Il SIMNI era coinvolto in quella che fu denominata “Missione Chrysler” dall’OSS, cioè l’Office of Strategic Service, il servizio segreto americano precursore della CIA, che aiuterà l’Italia e la Resistenza ad arrivare fino all’aprile 1945, cioè alla liberazione. Il SIMNI compì molteplici operazioni di guerra fornendo informazioni, anche attraverso quattro stazioni radio alleate, gestite dai militari Usa, attraverso migliaia di messaggi in codice, in media circa 350 al mese, di cui alcuni davvero delicati e sensibili.
La sua attività presso il SIMNI e a favore degli Alleati è riscontrabile in un documento ufficiale d’archivio datato 15 maggio 1945 (nella foto a destra d’archivio fornita dalla Guardia di Finanza) dal quale si evince, appunto, la promozione al grado di Appuntato di Finanza e, soprattutto, a quella di “Agente Capo” del medesimo Servizio. “Ebbene, l’agente Mastinu verrà trattenuto presso il Comando Centrale del SIMNI anche dopo la Liberazione, come emerge in una lettera che il Comandante “Giorgio” indirizzò al Comando del Circolo della Regia Guardia di Finanza di Novara il 14 di maggio - spiega il maggiore Severino -. In tale documento viene, infatti, indicato che il nostro Bachisio è da considerarsi in servizio attivo con grado di Agente Capo presso la Missione Americana. Erano quelli, infatti, i giorni ed i mesi in cui sia gli agenti segreti italiani che quelli americani davano la caccia alle ultime spie fasciste, ovvero a chi si era fortemente compromesso a favore degli occupanti tedeschi”. Bachisio Mastinu rimarrà in servizio presso il SIM, il Servizio Informazioni Militari, sino al 15 aprile del 1946, data in cui ne fu decretata dal Ministero della Guerra la cosiddetta “smobilitazione” con il conseguente rientro dei vari agenti al proprio reparto.
Fonte: Giorni di Storia cit. infra |
GDS, 10 settembre 1943. La storia di Bachisio Mastinu, il finanziere 007 al servizio della Resistenza, Giorni di Storia, 10 Settembre 2018