Nel 1922 venne fondata l’Opera nazionale contro l’analfabetismo <1298. Voluta dal presidente del Consiglio Boselli e dal ministro dell’istruzione Orso Mario Corbino per «combattere l’analfabetismo degli adulti e della popolazione sparsa e fluttuante» (pastori, pescatori, minatori, braccianti, ecc.) <1299, l’Opera si configurava come un ente misto pubblico privato, finanziato dall’amministrazione centrale e gestito sul territorio dagli enti che per tradizione storica avevano fatto dell’emigrazione uno dei loro centri di interesse. Il Commissariato, che era uno degli «enti sovventori», interruppe il progetto autonomo delle scuole serali ed elementari per gli emigranti avviato nell’anno precedente. La capacità di azione dell’Opera era infatti molto più vasta. Dal punto di vista finanziario disponeva di un fondo di 5.700.000 lire, a cui si aggiungevano «la somma che verrà annualmente stanziata dal Commissariato dell’emigrazione» e «le somme destinate allo scopo da altri Enti sovventori» <1300: una cifra più che doppia rispetto a quella di cui il Commissariato aveva disposto l’anno prima. Dal punto di vista operativo poi l’Opera agiva attraverso l’intermediazione di strutture già radicate sul territorio, vale a dire la Società Umanitaria (in Puglia), l’Associazione per gli interessi del Mezzogiorno (in Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna), il Consorzio nazionale emigrazione e lavoro (in Campania e Molise) e infine l’Istituto fondato da Giovanni Cena per i contadini dell’agro romano e delle paludi pontine (in Abruzzo, Lazio, Marche, Toscana meridionale, Umbria).
L’azione di contrasto all’analfabetismo avveniva per mezzo scuole diurne, serali e festive. Le scuole diurne erano destinate ai figli dei lavoratori itineranti, avevano sede nelle campagne o vicino agli opifici dove fosse possibile accogliere almeno 20 alunni dai 6 ai 14 anni e constavano di 180 lezioni continuative di cinque ore al giorno «nell’epoca più indicata dell’anno in relazione alle locali esigenze di lavoro e vita». Le scuole serali (per operai, contadini, pastori, ecc.) erano destinate agli analfabeti o semianalfabeti che avessero superato il 12° anno di età. Potevano essere istituite nelle città, vicino agli opifici, laboratori, cantieri ecc., per un minimo di 15 allievi. Due ore di lezione al giorno coprivano il programma di 1a elementare e conducevano l’alunno analfabeta a leggere e scrivere. Al pubblico femminile e al complemento delle scuole diurne e serali erano destinati i corsi festivi, con un programma basato sull’acquisizione di cognizioni utili alla vita pratica e professionale: tra gli strumenti didattici erano compresi anche il cinematografo, gli esperimenti pratici, le letture, le conferenze.
L’Opera non parlava più di scuole speciali per gli emigranti, brevi e “specialistiche”, ma di un’azione generalizzata per consentire agli adulti, emigranti e non, di apprendere le basi culturali minime utili in ogni occasione della loro vita.
Grazie alla consistente disponibilità di fondi, il numero degli interventi realizzati nel primo anno fu davvero notevole (nella sola Sicilia le scuole aperte furono circa 370 <1301) e l’azione didattica impartita «ebbe un peso significativo nella stesura della riforma dei programmi della scuola primaria che in quegli anni si andava delineando» <1302: a Lombardo Radice infatti era stata assegnata la direzione didattica e culturale delle scuole delegate all’ANIMI, dove ebbe modo di sperimentare sul campo alcune linee didattiche che sarebbero poi entrate nei programmi ufficiali nazionali.
15. I corsi magistrali per i maestri degli emigranti
Intanto, liberato dall’impegno delle scuole serali per analfabeti, nel 1922 il Commissariato preferì destinare i fondi disponibili all’istituzione di corsi magistrali per gli insegnanti.
"Il Commissariato, essendosi liberato [...] del compito dell’istruzione alfabetica delle masse emigranti, volse le sue cure ad un’altra utilissima iniziativa: quella dell’istruzione dei maestri diplomandi o diplomati intorno alle necessità e alle caratteristiche del nostro movimento emigratorio" <1303.
Disporre di istituzioni scolastiche senza insegnanti adeguatamente preparati spinse il Commissariato a intervenire a supporto dei maestri.
Non si trattava di una novità: basti pensare ai primi tentativi dell’Umanitaria e del Ministero dell’istruzione tra il 1912 e l’inizio della guerra. Un’organizzazione, quella degli anni pionieristici che avevano preceduto il conflitto, rudimentale e utile tuttalpiù, lo ammetteva «La Coltura popolare», per «saggiare l’ambiente e per sapere […] fino a qual punto si poteva contare nella volenterosa collaborazione dei maestri vecchi e giovani» <1304. Le prove di età giolittiana avevano dato segnali incoraggianti e - è sempre «La Coltura popolare» a parlare - «fecero sorgere l’evidente desiderio di qualche cosa di più saldo e di più continuativo». Ora, a guerra finita, quel «qualcosa di più saldo e continuativo» veniva attualizzato dal Commissariato, che tornava all’opera anche in questa direzione.
Per la verità, negli anni del dopoguerra la necessità di una riforma complessiva della formazione magistrale era sotto gli occhi di tutti ed era stata messa in luce senza troppi giri di parole anche da Giuseppe Lombardo Radice. Un suo intervento uscito su «La Coltura popolare» nel 1922 con il titolo "Che cosa vuole il Mezzogiorno per la sua scuola e la sua cultura popolare" <1305 denunciava l’abbassamento del livello culturale dei docenti che la guerra aveva portato con sé. Una causa, forse la principale, andava rintracciata nella liberalità con cui le abilitazioni all’insegnamento elementare erano state concesse durante il conflitto.
Quando presentava le condizioni dell’istruzione nel Mezzogiorno, lo studioso siciliano annotava infatti:
Non che manchino nuovi maestri […]; tutt’altro. I licenziati delle Scuole Normali e dai Corsi Magistrali si contano a migliaia. Le facilitazioni concesse per i combattenti, veramente eccessive, delle quali hanno approfittato moltissimi falliti dalle più diverse carriere, i quali in generale non avevano nulla da vedere colla guerra, o non erano stati combattenti, hanno portato la cifra dei diplomati ad altezze spaventose <1306.
Ad abbassare il livello erano i “maestri di guerra”: "gente che pur non essendo priva di intelligenza, è di una meravigliosa rozzezza di cultura; che dopo una lunga interruzione di studi, in due o tre mesi ha fatto una preparazione d’esame - ognuno immagini quale -; che spesso ha appena la cultura d’un antico licenziato di scuola tecnica; gente che entrando a scuola nella qualità di supplente, per solito non sa da che parte rifarsi e forma la disperazione di chi dirige le scuole" <1307.
Il dopoguerra soffriva dunque lo scarso livello qualitativo della professionalità docente, con ricadute sulla gestione delle attività didattiche ordinarie. Ciò che valeva per le scuole elementari “istituzionali” non poteva che risultare amplificato nel settore dell’istruzione per gli emigranti, che si configurava come un ambito altamente specialistico, perché rivolta a un pubblico adulto e circoscritta a periodo molto limitato.
Per questa ragione, dovendo accingersi all’organizzazione dei nuovi corsi magistrali, negli anni Venti il Commissariato scartò l’idea di una formazione “a posteriori” attraverso l’aggiornamento professionale di chi era già inserito in organico, idea di formazione che era stata realizzata fino al 1915, mentre preferì collocare i corsi di specializzazione all’interno delle scuole normali governative, rivolgendoli di preferenza agli studenti e alle studentesse del terzo anno, oltre che agli insegnanti disoccupati o «già esercenti» <1308. L’obiettivo fu quello di aprire un corso di specializzazione in emigrazione, facoltativo in ogni Scuola Normale italiana.
Per questa ragione (è sempre «La Coltura popolare» a informarcene), il Commissariato interpellò i direttori delle 150 Scuole Normali, lasciando a essi la scelta «dell’epoca più adatta per l’inizio eventuale delle lezioni» <1309. La maggioranza preferì «senz’altro di aprire il Corso in modo di terminalo per il 15 giugno, 42 preferirono rinviarlo in autunno prossimo, e uno soltanto mancò di dare alcuna risposta» <1310.
«La Coltura popolare» riporta i dati dei corsi attivati dal Commissariato nel 1922 ripartiti su base regionale (dati che, occorre segnalarlo, non collimano con quelli del «Bollettino dell’emigrazione» <1311):
L’azione di contrasto all’analfabetismo avveniva per mezzo scuole diurne, serali e festive. Le scuole diurne erano destinate ai figli dei lavoratori itineranti, avevano sede nelle campagne o vicino agli opifici dove fosse possibile accogliere almeno 20 alunni dai 6 ai 14 anni e constavano di 180 lezioni continuative di cinque ore al giorno «nell’epoca più indicata dell’anno in relazione alle locali esigenze di lavoro e vita». Le scuole serali (per operai, contadini, pastori, ecc.) erano destinate agli analfabeti o semianalfabeti che avessero superato il 12° anno di età. Potevano essere istituite nelle città, vicino agli opifici, laboratori, cantieri ecc., per un minimo di 15 allievi. Due ore di lezione al giorno coprivano il programma di 1a elementare e conducevano l’alunno analfabeta a leggere e scrivere. Al pubblico femminile e al complemento delle scuole diurne e serali erano destinati i corsi festivi, con un programma basato sull’acquisizione di cognizioni utili alla vita pratica e professionale: tra gli strumenti didattici erano compresi anche il cinematografo, gli esperimenti pratici, le letture, le conferenze.
L’Opera non parlava più di scuole speciali per gli emigranti, brevi e “specialistiche”, ma di un’azione generalizzata per consentire agli adulti, emigranti e non, di apprendere le basi culturali minime utili in ogni occasione della loro vita.
Grazie alla consistente disponibilità di fondi, il numero degli interventi realizzati nel primo anno fu davvero notevole (nella sola Sicilia le scuole aperte furono circa 370 <1301) e l’azione didattica impartita «ebbe un peso significativo nella stesura della riforma dei programmi della scuola primaria che in quegli anni si andava delineando» <1302: a Lombardo Radice infatti era stata assegnata la direzione didattica e culturale delle scuole delegate all’ANIMI, dove ebbe modo di sperimentare sul campo alcune linee didattiche che sarebbero poi entrate nei programmi ufficiali nazionali.
15. I corsi magistrali per i maestri degli emigranti
Intanto, liberato dall’impegno delle scuole serali per analfabeti, nel 1922 il Commissariato preferì destinare i fondi disponibili all’istituzione di corsi magistrali per gli insegnanti.
"Il Commissariato, essendosi liberato [...] del compito dell’istruzione alfabetica delle masse emigranti, volse le sue cure ad un’altra utilissima iniziativa: quella dell’istruzione dei maestri diplomandi o diplomati intorno alle necessità e alle caratteristiche del nostro movimento emigratorio" <1303.
Disporre di istituzioni scolastiche senza insegnanti adeguatamente preparati spinse il Commissariato a intervenire a supporto dei maestri.
Non si trattava di una novità: basti pensare ai primi tentativi dell’Umanitaria e del Ministero dell’istruzione tra il 1912 e l’inizio della guerra. Un’organizzazione, quella degli anni pionieristici che avevano preceduto il conflitto, rudimentale e utile tuttalpiù, lo ammetteva «La Coltura popolare», per «saggiare l’ambiente e per sapere […] fino a qual punto si poteva contare nella volenterosa collaborazione dei maestri vecchi e giovani» <1304. Le prove di età giolittiana avevano dato segnali incoraggianti e - è sempre «La Coltura popolare» a parlare - «fecero sorgere l’evidente desiderio di qualche cosa di più saldo e di più continuativo». Ora, a guerra finita, quel «qualcosa di più saldo e continuativo» veniva attualizzato dal Commissariato, che tornava all’opera anche in questa direzione.
Per la verità, negli anni del dopoguerra la necessità di una riforma complessiva della formazione magistrale era sotto gli occhi di tutti ed era stata messa in luce senza troppi giri di parole anche da Giuseppe Lombardo Radice. Un suo intervento uscito su «La Coltura popolare» nel 1922 con il titolo "Che cosa vuole il Mezzogiorno per la sua scuola e la sua cultura popolare" <1305 denunciava l’abbassamento del livello culturale dei docenti che la guerra aveva portato con sé. Una causa, forse la principale, andava rintracciata nella liberalità con cui le abilitazioni all’insegnamento elementare erano state concesse durante il conflitto.
Quando presentava le condizioni dell’istruzione nel Mezzogiorno, lo studioso siciliano annotava infatti:
Non che manchino nuovi maestri […]; tutt’altro. I licenziati delle Scuole Normali e dai Corsi Magistrali si contano a migliaia. Le facilitazioni concesse per i combattenti, veramente eccessive, delle quali hanno approfittato moltissimi falliti dalle più diverse carriere, i quali in generale non avevano nulla da vedere colla guerra, o non erano stati combattenti, hanno portato la cifra dei diplomati ad altezze spaventose <1306.
Ad abbassare il livello erano i “maestri di guerra”: "gente che pur non essendo priva di intelligenza, è di una meravigliosa rozzezza di cultura; che dopo una lunga interruzione di studi, in due o tre mesi ha fatto una preparazione d’esame - ognuno immagini quale -; che spesso ha appena la cultura d’un antico licenziato di scuola tecnica; gente che entrando a scuola nella qualità di supplente, per solito non sa da che parte rifarsi e forma la disperazione di chi dirige le scuole" <1307.
Il dopoguerra soffriva dunque lo scarso livello qualitativo della professionalità docente, con ricadute sulla gestione delle attività didattiche ordinarie. Ciò che valeva per le scuole elementari “istituzionali” non poteva che risultare amplificato nel settore dell’istruzione per gli emigranti, che si configurava come un ambito altamente specialistico, perché rivolta a un pubblico adulto e circoscritta a periodo molto limitato.
Per questa ragione, dovendo accingersi all’organizzazione dei nuovi corsi magistrali, negli anni Venti il Commissariato scartò l’idea di una formazione “a posteriori” attraverso l’aggiornamento professionale di chi era già inserito in organico, idea di formazione che era stata realizzata fino al 1915, mentre preferì collocare i corsi di specializzazione all’interno delle scuole normali governative, rivolgendoli di preferenza agli studenti e alle studentesse del terzo anno, oltre che agli insegnanti disoccupati o «già esercenti» <1308. L’obiettivo fu quello di aprire un corso di specializzazione in emigrazione, facoltativo in ogni Scuola Normale italiana.
Per questa ragione (è sempre «La Coltura popolare» a informarcene), il Commissariato interpellò i direttori delle 150 Scuole Normali, lasciando a essi la scelta «dell’epoca più adatta per l’inizio eventuale delle lezioni» <1309. La maggioranza preferì «senz’altro di aprire il Corso in modo di terminalo per il 15 giugno, 42 preferirono rinviarlo in autunno prossimo, e uno soltanto mancò di dare alcuna risposta» <1310.
«La Coltura popolare» riporta i dati dei corsi attivati dal Commissariato nel 1922 ripartiti su base regionale (dati che, occorre segnalarlo, non collimano con quelli del «Bollettino dell’emigrazione» <1311):
L’elevata affluenza di studenti comportò in alcuni casi lo sdoppiamento delle sezioni e l’ipotesi di estendere gli interventi anche alle scuole normali pareggiate e ai ginnasi magistrali («per avere presto circa cento nuovi Corsi con parecchie migliaia di nuovi maestri, addestrati ai nuovi doveri della loro missione» <1312).
A differenza che nel passato, i conferenzieri furono scelti tra i professori di pedagogia, italiano e geografia. Veniva così superata l’approssimazione pedagogica che aveva condizionato come un limite gli interventi degli “esperti”, scelti un tempo tra i tecnici e i giuristi che si occupavano dal punto di vista professionale della tutela sociale degli emigranti. Con un onorario di 800 lire per corso (25 lire all’ora) i relatori erano maggiormente valorizzati e invogliati a preparare le lezioni. Affinché fosse assicurata l’omogeneità dei programmi, i funzionari del Commissariato compilarono 12 Quaderni in accompagnamento dell’azione didattica. Gli argomenti trattati erano i seguenti <1313:
A differenza che nel passato, i conferenzieri furono scelti tra i professori di pedagogia, italiano e geografia. Veniva così superata l’approssimazione pedagogica che aveva condizionato come un limite gli interventi degli “esperti”, scelti un tempo tra i tecnici e i giuristi che si occupavano dal punto di vista professionale della tutela sociale degli emigranti. Con un onorario di 800 lire per corso (25 lire all’ora) i relatori erano maggiormente valorizzati e invogliati a preparare le lezioni. Affinché fosse assicurata l’omogeneità dei programmi, i funzionari del Commissariato compilarono 12 Quaderni in accompagnamento dell’azione didattica. Gli argomenti trattati erano i seguenti <1313:
Non dissimili dai programmi del periodo giolittiano, quelli del 1922 incrementavano le conoscenze di geografia economica a discapito della legislazione sul lavoro.
Rivisti con l’aggiunta di alcuni estratti monografici e sfrondati delle parti accessorie, i Quaderni assunsero la loro forma definitiva nel volume Manuale per l’istruzione degli emigranti edito nel 1925, che il commissario generale dell’emigrazione dedicò a Benito Mussolini, in quel momento presidente del Consiglio e ministro degli esteri ad interim. Le poche righe della premessa che trascriviamo rendono conto del clima di quel tempo:
"Nella forma definitiva del volume, che ho l’onore di presentare alla E.V., vengono licenziati i quaderni che, in bozze di stampa, hanno servito a preparare, nel 1922, i maestri degli emigranti, diplomati dai Corsi espressamente istituiti dal Commissariato generale dell’emigrazione. Questi Corsi formarono parte del programma che, all’indomani della Vittoria, il Commissariato si propose di svolgere per la valorizzazione dell’emigrante. Per molto tempo, nel fenomeno dell’emigrazione, non si era visto che uno straripamento demografico da lasciar libero per meglio respirare in Patria, o da incoraggiare specialmente ai fini delle rimesse di denaro; noi volemmo, invece, considerare l’emigrazione per quello che essa è: cioè un grande interesse nazionale, rappresentato da una vera e propria forza economica che allarga all’estero i confini morali e materiali della Patria. Questa forza - come tale - era sempre stata trascurata; noi volemmo conferirle tutto il suo valore, accrescerlo, vivificarlo, mirando, in altre parole, a questa concreta finalità: che la nostra emigrazione non deve più disperdersi per il mondo, amorfa e sparpagliata, ma bensì - abilmente coordinata nei rapporti tra l’offerta e la domanda - divenire un complesso solidamente organico di energia tanto più fruttifera quanto maggiormente valorizzata nel campo morale, intellettuale e tecnico" <1314.
Mussolini sembrò gradire il volume. Scritta a mano sul risguardo, la sua dedica annota: "Questo è il Viatico di Amore e Protezione che la Patria consegna ai suoi figli, perché la ricordino e la onorino sempre e dovunque".
Due anni più tardi però, nel 1927, il Commissariato venne soppresso. Era incominciata una storia diversa.
Rivisti con l’aggiunta di alcuni estratti monografici e sfrondati delle parti accessorie, i Quaderni assunsero la loro forma definitiva nel volume Manuale per l’istruzione degli emigranti edito nel 1925, che il commissario generale dell’emigrazione dedicò a Benito Mussolini, in quel momento presidente del Consiglio e ministro degli esteri ad interim. Le poche righe della premessa che trascriviamo rendono conto del clima di quel tempo:
"Nella forma definitiva del volume, che ho l’onore di presentare alla E.V., vengono licenziati i quaderni che, in bozze di stampa, hanno servito a preparare, nel 1922, i maestri degli emigranti, diplomati dai Corsi espressamente istituiti dal Commissariato generale dell’emigrazione. Questi Corsi formarono parte del programma che, all’indomani della Vittoria, il Commissariato si propose di svolgere per la valorizzazione dell’emigrante. Per molto tempo, nel fenomeno dell’emigrazione, non si era visto che uno straripamento demografico da lasciar libero per meglio respirare in Patria, o da incoraggiare specialmente ai fini delle rimesse di denaro; noi volemmo, invece, considerare l’emigrazione per quello che essa è: cioè un grande interesse nazionale, rappresentato da una vera e propria forza economica che allarga all’estero i confini morali e materiali della Patria. Questa forza - come tale - era sempre stata trascurata; noi volemmo conferirle tutto il suo valore, accrescerlo, vivificarlo, mirando, in altre parole, a questa concreta finalità: che la nostra emigrazione non deve più disperdersi per il mondo, amorfa e sparpagliata, ma bensì - abilmente coordinata nei rapporti tra l’offerta e la domanda - divenire un complesso solidamente organico di energia tanto più fruttifera quanto maggiormente valorizzata nel campo morale, intellettuale e tecnico" <1314.
Mussolini sembrò gradire il volume. Scritta a mano sul risguardo, la sua dedica annota: "Questo è il Viatico di Amore e Protezione che la Patria consegna ai suoi figli, perché la ricordino e la onorino sempre e dovunque".
Due anni più tardi però, nel 1927, il Commissariato venne soppresso. Era incominciata una storia diversa.
[NOTE]
1298 D.L. 28 agosto 1921 n. 1371 che costituisce l’«Opera contro l’analfabetismo», cit.
1299 Orso Mario Corbino (Augusta 1876 - Roma 1936) fu professore di fisica sperimentale all’Università di Catania dal 1905 e all’Università di Roma dal 1908, divenendo direttore dell’istituto di fisica in questa sede dieci anni più tardi. Assunse impegni di carattere pubblico fin dagli anni Dieci; nel 1920 fu nominato senatore e nel 1921 chiamato da Bonomi a dirigere il Ministero dell’istruzione, dopo il veto incrociato dei popolari, dei socialisti e dei democratici contro il progetto crociano di esame di stato. Diresse il Consiglio superiore pubblici nel 1923 su chiamata di Mussolini, e negli anni successivi ricoprì incarichi di amministratore in importanti società elettriche (Edison, S.M.E., ecc.), nell’I.M.I., nel Credito italiano, nella società Pirelli. Per conto del governo esercitò la sua attività anche nel campo delle trasmissioni radiofoniche dal 1931. Si veda la voce Corbino, Orso Mario, in DBI, 28, 1983 a cura di Edoardo Amaldi e Luciano Segreto.
1300 D.L. 28 agosto 1921 n. 1371 che costituisce l’«Opera contro l’analfabetismo», cit., art. 19.
1301 Il dato è desunto da ANIMI, Fondo corrispondenza soci, consiglieri e presidenti, serie A05, cartella UA7, 1921.
1302 F. Mattei, ANIMI. Il contributo dell’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia alla storia dell’educazione (1910-45), Anicia, Roma 2012, p. 98. Sul contributo dell’ANIMI alle vicende dell’Opera si veda anche M. Fusco, L’associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno nella lotta contro l’analfabetismo: 1910-1928 in «Archivio storico per le province napoletane», III, 20, 1981.
1303 La valorizzazione degli emigranti. La preparazione culturale e professionale dell’emigrante in patria, in «Bollettino dell’emigrazione», cit., p. 4.
1304 Per la preparazione degli emigranti, in «La Coltura popolare», XII, 9, 1922, p. 351.
1305 G. Lombardo Radice, Che cosa vuole il Mezzogiorno per la sua scuola e la sua cultura popolare, estratto dalla rivista «La Coltura popolare», anno XII - 1992 - n. 9, Unione italiana sull’educazione popolare, Milano [1922]
1306 Ivi, p. 7.
1307 Ibidem.
1308 I corsi magistrali sull’emigrazione, in «Bollettino dell’emigrazione», 6, 1922, p. 443.
1309 Per la preparazione degli emigranti, in «La Coltura popolare», cit., p. 351.
1310 Ibidem.
1311 Ibidem. In realtà i dati subiscono variazioni anche significative a seconda delle fonti utilizzate. In Corsi agricoli per colonizzatori italiani (1921), in «Bollettino dell’emigrazione», cit., il numero dei corsi è quantificato in 107, con 7404 iscritti e 4672 abilitati. In un altro articolo, sempre pubblicato sul «Bollettino dell’emigrazione» ma nel 1923, il numero delle scuole sale a 124 con 8289 iscritti. Infine, De Michelis nel 1925 parla di 141 scuole con 144 sezioni, 9700 iscritti e 6000 abilitati (in Commissariato generale dell’emigrazione, Manuale per l’istruzione degli emigranti, Sandron, Roma 1925, p. VIII).
1312 Per la preparazione degli emigranti, in «La Coltura popolare», cit., p. 353.
1313 Ibidem.
1314 Commissariato generale dell’emigrazione, Manuale per l’istruzione degli emigranti, cit., p. VII.
1298 D.L. 28 agosto 1921 n. 1371 che costituisce l’«Opera contro l’analfabetismo», cit.
1299 Orso Mario Corbino (Augusta 1876 - Roma 1936) fu professore di fisica sperimentale all’Università di Catania dal 1905 e all’Università di Roma dal 1908, divenendo direttore dell’istituto di fisica in questa sede dieci anni più tardi. Assunse impegni di carattere pubblico fin dagli anni Dieci; nel 1920 fu nominato senatore e nel 1921 chiamato da Bonomi a dirigere il Ministero dell’istruzione, dopo il veto incrociato dei popolari, dei socialisti e dei democratici contro il progetto crociano di esame di stato. Diresse il Consiglio superiore pubblici nel 1923 su chiamata di Mussolini, e negli anni successivi ricoprì incarichi di amministratore in importanti società elettriche (Edison, S.M.E., ecc.), nell’I.M.I., nel Credito italiano, nella società Pirelli. Per conto del governo esercitò la sua attività anche nel campo delle trasmissioni radiofoniche dal 1931. Si veda la voce Corbino, Orso Mario, in DBI, 28, 1983 a cura di Edoardo Amaldi e Luciano Segreto.
1300 D.L. 28 agosto 1921 n. 1371 che costituisce l’«Opera contro l’analfabetismo», cit., art. 19.
1301 Il dato è desunto da ANIMI, Fondo corrispondenza soci, consiglieri e presidenti, serie A05, cartella UA7, 1921.
1302 F. Mattei, ANIMI. Il contributo dell’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia alla storia dell’educazione (1910-45), Anicia, Roma 2012, p. 98. Sul contributo dell’ANIMI alle vicende dell’Opera si veda anche M. Fusco, L’associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno nella lotta contro l’analfabetismo: 1910-1928 in «Archivio storico per le province napoletane», III, 20, 1981.
1303 La valorizzazione degli emigranti. La preparazione culturale e professionale dell’emigrante in patria, in «Bollettino dell’emigrazione», cit., p. 4.
1304 Per la preparazione degli emigranti, in «La Coltura popolare», XII, 9, 1922, p. 351.
1305 G. Lombardo Radice, Che cosa vuole il Mezzogiorno per la sua scuola e la sua cultura popolare, estratto dalla rivista «La Coltura popolare», anno XII - 1992 - n. 9, Unione italiana sull’educazione popolare, Milano [1922]
1306 Ivi, p. 7.
1307 Ibidem.
1308 I corsi magistrali sull’emigrazione, in «Bollettino dell’emigrazione», 6, 1922, p. 443.
1309 Per la preparazione degli emigranti, in «La Coltura popolare», cit., p. 351.
1310 Ibidem.
1311 Ibidem. In realtà i dati subiscono variazioni anche significative a seconda delle fonti utilizzate. In Corsi agricoli per colonizzatori italiani (1921), in «Bollettino dell’emigrazione», cit., il numero dei corsi è quantificato in 107, con 7404 iscritti e 4672 abilitati. In un altro articolo, sempre pubblicato sul «Bollettino dell’emigrazione» ma nel 1923, il numero delle scuole sale a 124 con 8289 iscritti. Infine, De Michelis nel 1925 parla di 141 scuole con 144 sezioni, 9700 iscritti e 6000 abilitati (in Commissariato generale dell’emigrazione, Manuale per l’istruzione degli emigranti, Sandron, Roma 1925, p. VIII).
1312 Per la preparazione degli emigranti, in «La Coltura popolare», cit., p. 353.
1313 Ibidem.
1314 Commissariato generale dell’emigrazione, Manuale per l’istruzione degli emigranti, cit., p. VII.
Alberta Bergomi, "Prima che partano!" Progetti di alfabetizzazione e scuole per emigranti nell'Italia dell'età liberale (1860-1920), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Bergamo, Anno accademico 2015/16