Powered By Blogger

giovedì 10 marzo 2022

Mussolini colse la necessità di portare a estreme conseguenze la condotta antisemita della RSI


Gli ebrei fermati il 12 settembre nelle vallate cuneesi, condotti a Borgo San Dalmazzo, il 21 novembre 1943 vennero deportati da lì ad Auschwitz/Birkenau dopo un lungo viaggio via Nizza e Drancy, il più importante centro di internamento francese. Il gruppo di Borgo San Dalmazzo costituì il terzo convoglio in partenza dall’Italia verso i campi della morte; in precedenza, il 9 novembre, era partito un convoglio formato da circa 400 persone arrestate in Toscana e nel Bolognese, mentre il 18 ottobre 1943, furono deportati il migliaio di ebrei rastrellati nella retata tedesca di Roma avvenuta due giorni prima.
Fino a questo avvenimento, arresti e violenze nei confronti degli ebrei presenti nell’Italia centro-settentrionale (secondo le stime più accurate essi erano circa 43000 individui, di cui almeno un sesto erano stranieri <14) come ha scritto Michele Sarfatti, si erano svolti in maniera «disorganica» e con «motivazioni diversificate» <15.
In Italia nei primi quattro mesi di occupazione, si misero a punto tutte le basi necessarie per l’avvio della risoluzione del problema ebraico. In principio - si è già avuto modo di sottolinearlo - , la metodologia delle azioni tedesche contro gli ebrei non furono omogenee: mentre le azioni nel Cuneese e in Alto Adige (a Bolzano vennero arrestati una trentina di ebrei stranieri e italiani) si conclusero con arresti e deportazioni, i soldati del 1° battaglione SS del 2° reggimento della divisione corazzata “Leibstandarte Adolf Hitler”, l’11 ottobre 1943, presso Meina e altri piccoli paesi sul Lago Maggiore, depredarono e uccisero barbaramente 54 ebrei gettandone i corpi nel lago. Particolarmente efferate furono le uccisioni degli ebrei che alloggiavano all’Hotel Meina: gli ultimi ad essere assassinati, Giovanni, Roberto e Bianca Fernandez Diaz, ragazzi di 15, 12 e 8 anni, insieme al loro nonno, legati alle mani e ai piedi con il fil di ferro vennero affogati nel Lago Maggiore a forza di colpi di remo. <16
Cinque giorni dopo l’eccidio di Meina, avvenne la razzia del ghetto di Roma. Essa rappresentò un salto di qualità dell’azione tedesca nella penisola. L’operazione fu la prima (e la più ampia) organizzata in Italia dagli “specialisti” dell’ufficio di Eichmann (l’ufficio 4 B IV della polizia di sicurezza, la Sicherheitspolizei-Sicherheitsdientnst detta nel nome abbreviato anche SIPO-SD) nella Reichsicherheitshauptanmt, Direzione generale per la sicurezza del Reich (RSHA), al comando dell’ Hauptsturmführer SS Theo Dannecker.
Il 18 ottobre, partito il convoglio verso Auschwitz con più di mille ebrei romani, Dannecker risalì verso il nord d’Italia, organizzando nei primi giorni di novembre due considerevoli rastrellamenti a Firenze e Bologna, insediando infine il proprio centro operativo a Verona.
La libertà d’azione dell’ufficio IV B 4 sarebbe stata illimitata se il neonato Stato fascista, la Repubblica Sociale Italiana, sostenendo gli stessi intenti persecutori, non si fosse intromesso nella gestione della questione ebraica.
In questo caso, Mussolini fu supportato dallo stesso Ministero degli Esteri del Reich che, per motivi politici, era interessato a non esautorare del tutto «l’alleato occupato» <17.
Poiché ora l’autorità del dittatore fascista dipendeva nei fatti dai piani tedeschi, Mussolini colse la necessità di portare a estreme conseguenze la condotta antisemita della nuova compagine statale che lo vedeva al vertice.
Come era capitato in Germania, pure agli israeliti italiani vennero tolti quei pochi diritti di uguaglianza che ancora possedevano: «Cittadini nemici, gli ebrei erano privati di qualsiasi tutela giuridica da parte dello Stato italiano ed erano pertanto consegnati alla mercé dei tedeschi» <18. Infatti, dall’assemblea di Verona del 14 novembre 1943 in cui si approvò il manifesto programmatico del nuovo Partito Fascista Repubblicano, il fascismo di Salò diede il via al suo contributo alla «persecuzione delle vite», affiancando, e a volte sostituendo, le stesse autorità tedesche negli arresti e nella detenzione degli ebrei.
Come diretta conseguenza del punto 7 della “Carta di Verona” («Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica» <19), il 30 novembre 1943, il Ministro degli Interni della Repubblica Sociale, Guido Buffarini Guidi, diramò alle Prefetture repubblicane la disposizione di polizia n. 5 con la quale comandò il fermo, l’internamento in campi di concentramento di tutti gli ebrei e il sequestro dei beni mobili e immobili di loro proprietà.
Tale ordine fu l’atto decisivo che, insieme alla fine della “discriminazione” (che da un certo punto di vista, aveva garantito per qualche benemerito l’attenuazione della «persecuzione dei diritti»), «rese ogni ebreo passibile di arresto da parte delle autorità italiane» <20.
Da questo momento le autorità della Repubblica Sociale Italiana emanando l’ordine di arresto generale per gli ebrei di tutte le nazionalità, compresa quella italiana, legarono indissolubilmente tutti gli aderenti alla Repubblica di Salò alle responsabilità tedesche dello sterminio ebraico.
L’annuncio dei nuovi accorgimenti contro gli ebrei comparve il 1° dicembre 1943 in un trafiletto sulla prima pagina dei giornali, quasi nascosto dalle altre notizie del giorno. Le circostanze per cui il provvedimento di Buffarini Guidi venne trasmesso agli organi di informazione e quindi diffuso sin dal giorno dopo dalla Radio e da tutti i quotidiani, non sono ancora state chiarite. Sta di fatto che se da una parte la notizia fece sprofondare tutti nello sconforto più nero, dall’altra tolse ogni dubbio sul da farsi.
A Torino, secondo il Questore, la maggioranza dei 2787 ebrei rimasti dopo le leggi razziali si era dispersa «cercando riparo in ogni direzione sin dai primi di settembre al primo annuncio dell’arrivo delle truppe germaniche lasciando le rispettive abitazioni». Nei confronti degli ebrei scomparsi vennero comunque diramate ricerche per la cattura e l’internamento mentre per gli «ebrei misti e appartenenti a famiglie miste furono disposte adeguate misure di vigilanza»; rimasero solo poche persone «incapaci per tarda età o per infermità ad affrontare disagi» <21.
In quei primi giorni di dicembre, gli ordini di cattura vennero diramati in tutte le stazioni di polizia delle province della Repubblica Sociale Italiana.
Ad Aosta le autorità fermarono 27 persone, (17 ebrei stranieri e 10 italiani) che, come previsto dalle circolari ministeriali, furono prima tradotti in carcere e poi nel campo di concentramento provinciale, dislocato nella città.
Dall’arresto per il momento erano esclusi gli anziani che superavano il 70° anno di età, i minori di 16 anni e i malati intrasportabili. In ogni caso, essi rimanevano «attentamente vigilati e sottoposti a regime di internamento nelle rispettive abitazioni» <22.
La Questura di Torino, nell’ultimo rapporto per l’anno 1943 sulla situazione dell’ordine e dello spirito pubblico nella provincia, sottolineò che «le misure di rigore» verso gli ebrei non erano state «in genere giudicate sfavorevolmente, specialmente dopo le eccezioni stabilite nei riguardi degli ultrasettantenni e dei malati gravi» <23. L’esclusione dall’arresto di tali tipologie di persone era stata comunicata da Tamburini il 10 dicembre e fu l’unica che le autorità saloine concessero agli ebrei «puri».
Come però ben presto dimostrarono i fatti, la deroga non avrebbe impedito che si procedesse al loro arresto in un secondo momento <24.
[NOTE]
14 K. Voigt, Il rifugio precario (Vol. II) cit., p. 252.
15 M. Sarfatti, La Shoah in Italia, cit., p. 99.
16 L. Picciotto, Gli ebrei in provincia di Milano: 1943-1945. Persecuzione e deportazione, Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea, Milano 2004, p. 23 (prima ed. 1992). Sull’eccidio del Lago Maggiore si veda anche M. Nozza. Hotel Meina. La prima strage di ebrei in Italia, Mondadori, Milano 1993.
17 L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia cit., p. 401.
18 E. Collotti, Il fascismo e gli ebrei, p. 129.
19 I primi otto punti del Manifesto del Partito Fascista Repubblicano sono citati in M. Sarfatti, La Shoah in Italia cit., p. 153.
20 L. Picciotto, Il libro della memoria, cit., p. 892.
21 ACS, MI, DGPS, Div. Aff. Gen. e Ris., RSI 1943-1945, Ivi, b. 7 fasc. Torino, Situazione politica nelle provincie 1943-1944: «R. Prefettura di Torino, L’ispettore di P.S. di Zona (1^ Zona), Torino 1° gennaio 1944». L’irreperibilità degli ebrei torinesi sin dal mese di settembre è riconducibile al fatto che molte famiglie, sfollate già da tempo dalla città in seguito alle massicce incursioni aeree degli alleati, avevano trovato ancora più prudente, dopo l’arrivo dei tedeschi, rimanere lontano dalle proprie abitazioni originarie. Circa lo sfollamento delle famiglie ebraiche da Torino si vedano gli accenni presenti in B. Guglielmotto-Ravet, M. Periotto, Dalla Villeggiatura alla clandestinità. Presenze ebraiche nelle Valli di Lanzo tra metà Ottocento e seconda guerra mondiale, Società storica delle Valli di Lanzo, Lanzo Torinese 2002.
22 ACS, MI, DGPS, Div. Aff. Gen. e Ris., RSI 1943-1945, b. 2, f. Aosta Situazione politica nelle provincie 1943-1944: «R. Prefettura di Torino, L’ispettore di P.S. di Zona (1^ Zona), Torino 1° gennaio 1944».
23 Ivi, b. 7 fasc. Torino, Situazione politica nelle provincie 1943-1944: «R. Prefettura di Torino, L’ispettore di P.S. di Zona (1^ Zona), Torino 1° gennaio 1944». Circa le disposizioni di esenzione, che talora portarono a un braccio di ferro con i tedeschi sulla competenza della sorte degli ebrei si veda M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista cit., pp. 279-279.
24 Giusto per fare un esempio: il 17 agosto 1944, ventuno ultrasettantenni vennero prelevati dai tedeschi dalla Casa di ricovero di Venezia e poi deportati nei campi di sterminio, senza che fossero sollevati ricorsi da parte delle autorità italiane. R. Segre (a cura di), Gli ebrei a Venezia 1938-1945. Una comunità tra persecuzione e rinascita, Comunità Ebraica di Venezia, Venezia 2001, p. 160.
Paolo Tagini, "Le prefazioni di una vita". I bambini ebrei nascosti in Italia durante la persecuzione nazi-fascista, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Verona, 2011


L'istituzione della Repubblica Sociale Italiana porta in tempi brevi all'inasprimento della politica persecutoria fascista, in un'accelerazione drammatica verso l'annientamento totale degli ebrei. Per comprendere appieno le cause di questo mutamento bisogna soffermarsi brevemente sulle caratteristiche della RSI, sulla sua azione di governo e sugli ideali che la sostengono.
[...] È a questo punto che la parabola della Repubblica Sociale Italiana ha inizio, nei giorni che seguono la liberazione di Mussolini: portato in salvo in Germania, incontra Hitler e accetta di prendere la guida del nuovo governo, pur trovandosi di fronte un progetto già definito da altri e con pochi margini di autonomia.
[...] L'odio feroce per il nemico interno, che emerge con crudezza nella repressione degli antifascisti, ha il suo ruolo nella svolta politica fascista verso un inasprimento della politica antiebraica. La politica opera per l'annientamento totale e l'espulsione dal corpo sociale della comunità ebraica, in quanto sul piano ideologico l'ebreo è diventato il nemico per antonomasia. Gli atti di persecuzione del governo saloino hanno anche motivazioni
squisitamente politiche: rappresentano il costante tentativo di conquistare spazi di autonomia dall'alleato-invasore. Le truppe tedesche all'indomani dell'8 settembre hanno iniziato la loro personale caccia all'ebreo sul territorio italiano: stragi tristemente note come quella presso l'hotel Meina, sul Lago Maggiore, o la deportazione degli ebrei di Merano, hanno luogo entro la metà di settembre, quando il governo repubblichino è ancora da venire. Queste azioni sono caratterizzate da un'estrema efferatezza; per i soldati che le mettono in atto, «tornati dal fronte orientale e condizionati da più di un decennio
di propaganda antisemita, si trattava di azioni banali; per loro la caccia agli ebrei e i saccheggi erano pratiche ordinarie di conquista del territorio. Nel corso dei due anni di occupazione più di 320 ebrei morirono in occasione di massacri del genere <65».
Il governo della RSI non è interessato a una tutela degli ebrei, nemmeno di quelli di cittadinanza italiana (cosa che accade invece nel regime di Vichy per gli ebrei francesi): tenta meramente di mantenere la politica antiebraica nella sua area di competenza.
Esautorata da un vero potere sovrano, umiliata dall'alleato con la creazione delle zone di operazione e dalla richiesta di esorbitanti spese di occupazione, la Repubblica sociale cerca di ritagliarsi margini di manovra anche in un ambito come quello razziale, in cui non può che assecondare i piani di deportazione decisi dall'alleato. Nel periodo che precede l'occupazione e il governo saloino, alla popolazione ebraica già presente sul territorio si sono aggiunti profughi dai Balcani, dalla Grecia e dalla Libia.
Liliana Picciotto ha calcolato che nel settembre 1943 gli ebrei italiani e stranieri sul territorio nazionale sono 38.857: tra questi, circa seimila persone riusciranno a fuggire in Svizzera nel corso dei mesi successivi.
Saranno quindi in 32 mila a subire l'azione <66 persecutoria italiana e tedesca.
[NOTE]
65 M.A. Matard-Bonucci, L'Italia fascista e la persecuzione degli ebrei, Il Mulino, Bologna 2008, p. 354.
66 L. Picciotto, Il libro della memoria, cit., p. 857.
Sara Garbarino, La Repubblica sociale italiana e la persecuzione degli ebrei, Tesi di Laurea, Università Ca' Foscari, Venezia, Anno accademico 2016/2017

Mappa del rastrellamento da parte tedesca degli ebrei di Roma - Fonte: Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma

La vicenda del 16 ottobre mi sembra un caso emblematico di come opinioni e convinzioni sedimentate nel tempo spesso si trasformino in verità considerate quasi banali. L’équipe che ha lavorato su questo programma di ricerca, ha dovuto constatare con sorpresa che molte delle affermazioni che venivano ripetute sulla tragica vicenda della deportazione degli ebrei romani, non avevano nessun fondamento. A cominciare dalla localizzazione dei luoghi di arresto. Che la zona del «ghetto» sia stata l’epicentro dell’azione nazista è indubbio. Ma oggi sappiamo con certezza che la maggior parte dei razziati fu presa fuori dal «ghetto ». A dire il vero questa è stata la nostra prima ipotesi di lavoro, ma non potevamo immaginare che venisse confermata in modo così evidente. A questo luogo comune ne era legato un altro: dato che la maggior parte degli ebrei del «ghetto» era di bassa estrazione sociale, anche la maggior parte dei razziati doveva essere di bassa estrazione sociale. Anche qui è arrivata la smentita della ricerca. Oggi siamo in grado di affermare che poco più della metà dei nuclei familiari colpiti dalla razzia era di contribuenti. Con tutto questo non si vuole affermare, come è stato fatto in passato, che la fonte principale su cui hanno lavorato i nazisti per la compilazione delle liste usate il 16 ottobre, sia stato il registro dei contribuenti rapinato insieme al resto della documentazione presente negli uffici della Comunità di Roma il 29 settembre 1943, poiché Dannecker, da esperto qual era, per il suo lavoro avrà usato come fonte di base un elenco completo degli ebrei romani e non uno parziale, com’era il registro dei contribuenti. Anzi abbiamo visto che tramite questo registro, solo una piccola parte degli ebrei arrestati sarebbe stata raggiunta dai nazisti. Come abbiamo già detto, possiamo ipotizzare che la fonte principale utilizzata sia stata messa a disposizione dalla Questura, che aveva comandato presso il distaccamento di Dannecker una squadra di agenti per agevolare il lavoro organizzativo propedeutico alla razzia.
I risultati, in un certo senso sorprendenti, di questa ricerca, sono stati raggiunti grazie a un certosino lavoro di ricostruzione dell’elenco degli arrestati, successivamente deportati, accompagnato dall’individuazione dei dati anagrafici, dei nuclei familiari e della loro posizione contributiva. L’autore di questo saggio, inoltre, sta raccogliendo ulteriore documentazione, tramite testimonianze personali e lo spoglio della memorialistica, per ricostruire la mappa degli indirizzi a cui i tedeschi si sono presentati non trovando nessuno, o dove comunque non siano riusciti ad operare arresti. Questo ci permetterebbe di riprodurre la «mappa di Dannecker», identificando il maggior numero di indirizzi toccati dai nazisti. Allo stesso tempo sarebbe importante anche avere un elenco dei liberati il 16 ottobre sera che si avvicini il più possibile alla cifra indicata nella relazione a firma di Kappler, cioè 252.
Gabriele Rigano, «16 ottobre 1943: accadono a Roma cose incredibili» in (a cura di) Silvia Haia Antonucci, Claudio Procaccia, Gabriele Rigano, Giancarlo Spizzichino, Roma, 16 ottobre 1943. Anatomia di una deportazione, Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma, Edizioni Angelo Guerini e Associati SpA, 2006