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martedì 12 luglio 2022

Alla Fortezza del Priamar in Savona furono fucilati per rappresaglia sei patrioti

Fonte: Pietre della Memoria

L'estate è ormai finita, commciano le piogge e il freddo. Occorre pensare all'equipaggiamento invernale. Nel N. 14 de «LA VOCE DEI GIOVANI» parlando dei partigiani, si invita alla solidarietà: «vivono sotto le tende e in capanne mal riparate. Chi può doni indumenti di lana, scarpe, coperte».
Nella seconda metà di ottobre 1944 viene lanciata la «Settimana del Partigiano», che ottiene una larghissima adesione.
Oltre alle SAP vi partecipano intensamente il Fronte della Gioventù e i «Gruppi di difesa della Donna».
Intanto entra in funzione il Comando sottozona di Savona e l'Intendenza, diretta da «Ernesto» (Edoardo Zerbino), organizza un accurato servizio di staffette per la circolazione della corrispondenza tra le famiglie e i giovani che sono  in montagna.
Fanno parte di questa rete di collegamento donne, giovani, sacerdoti, boscaioli, contadini, commercianti.
La Questura e la Brigata Nera si rendono conto del fermento che serpeggia nella popolazione ed effettuano appostamenti, perquisizioni e arresti.
Franca Lanzoni viene sorpresa mentre al Santuario sta cercando di convincere un gruppo di San Marco a unirsi ai patrioti; in casa di Paola Garelli la polizia scopre del materiale destinato ai partigiani e viene imprigionata.
Riescono fortunosamente a sottrarsi alla cattura la responsabile dei Gruppi di Difesa della Donna, Teresa Vibeni (Luciana), e uno dei responsabili del Fronte della Gioventù, Francesco Vigliecca (Kamo), mentre Giaela Lombardi (Giuditta),  delegata del Partito Repubblicano ai collegamenti, viene catturata nella casa della Viberti dove si era recata ignara del suo arresto: sarà rilasciata solo dopo tre mesi di detenzione e di continui, infruttuosi interrogatori.
Emma Giribone muore strangolata dalle Brigate Nere sulla soglia della propria abitazione in via Veneto.
In pieno giorno, all'inizio della centrale Via Poggi, i sappisti uccidono il Maggiore della G.N.R. Giorgio Massabò addetto al reclutamento di lavoratori da inviare in Germania.
Il partigiano Stefano Rossi, infermiere, appartenente al forte gruppo di Resistenza dei Vigili del Fuoco, assieme ad un compagno raccoglie il corpo dell'ufficiale e lo trasporta nella vicina Caserma dei Pompieri.
Intervengono militari fascisti i quali circondano la caserma e minacciano di fucilare otto vigili attribuendo loro l'uccisione.
Dall'esame delle ferite che viene svolto dal Tenente medico della Brigata Nera Giacomo Negro appare evidente che i colpi sono stati sparati dall'alto in basso, con un fucile, quindi presumibilmente da uno dei caseggiati circostanti, e  ciò esclude le responsabilità dei vigili.
Per questo fatto vengono arrestate numerose persone tra cui Luigia Comotto, settantenne, abitante in un appartamento da dove potrebbero essere partite le fucilate.
L'Ufficio Politico Investigativo sottopone l'anziana patriota a terribili interrogatori, senza tuttavia riuscire ad ottenere alcuna indicazione sui partigiani che hanno compiuto l'azione.
Il 3 novembre 1944 la popolazione viene a conoscenza che, per rappresaglia all'attentato subito dal Maggiore della San Marco Giorgio Massabò, in Via Poggi, sono state fucilate 6 persone.
Il comunicato dice:
«IL TRIBUNALE MILITARE DI DIFESA HA CONDANNATO ALLA PENA CAPITALE:
- Paola GARELLI - alias Mirka - in Gasperini, di anni 28 da Mondovì, colpevole di appartenenza ad una organizzazione antinazionale, ingaggiatrice di elementi femminili ai fini cospirativi, distributrice di manifestini sobillatori e disfattivi, colpevole di disarmo di militari, colpevole di incitamento alla diserzione di soldati repubblicani;
- Giuseppe BALDASSARE - alias Fedo - di anni 26 da Savona, colpevole di affiliazione a bande di fuorilegge, trovato in possesso di arma automatica, sorpreso nell'atto di accompagnare alla diserzione tre soldati repubblicani.
- Stefano PELUFFO - alias Mario - di anni 18, da Savona, colpevole di appartenere ad una organizzazione cospirativa, reclutatore di elementi femminili per propaganda sobillatrice e disfattista.
- Franca LANZONI - alias Tamara - di anni 25 da Savona, colpevole di appartenenza ad una organizzazione cospirativa, di propaganda anti-italiana, di incitamento alla diserzione di tre soldati repubblicani.
- Pietro CASSANI, di anni 39 da Genova, ex carabiniere, disertore, affiliato a banda di ribelli, saccheggiatore di casa di proprietà di un ufficiale repubblicano, attentatore alla vita di un fascista repubblicano.
- Luigia COMOTTI, da Savona, colpevole di favoreggiamento all'assassinio di un ufficiale superiore dell'esercito repubblicano.
LA SENTENZA E' STATA ESEGUITA»
All'alba del 1 novembre sono stati condotti alla fortezza del Priamar dopo una settimana di detenzione nella torre della casa littoria, durante la quale si è accanito invano su di loro il cieco livore fascista per strappare con la  tortura una confessione, dei nomi.
Scendono dal carrozzone e Franca Lanzoni che non ha avuto un attimo di smarrimento quando le viene offerta la libertà, a testa alta e con voce ferma dice: «facciamo vedere che anche le donne sanno morire con serenità».
Anche Paola Garelli, fino al momento estremo, mantiene un atteggiamento di ammirevole fermezza. Allo sgherro che le chiede se, prima dell'esecuzione, ha qualcosa da dire, risponde semplicemente: «Ho freddo» e domanda di potersi scaldare al fuoco del bivacco che i soldati hanno acceso nel cortile.
Rodolfo Badarello - Enrico De Vincenzi, Savona insorge, Ars Graphica, Savona, Terza edizione, 1978

Ma le polizie nazifasciste vigilavano, e verso la fine di ottobre, dopo accurate indagini, furono in grado di mettere le mani su alcuni dei principali responsabili del Fronte della Gioventù e dei Gruppi di Difesa della Donna, il cui attivismo non era sfuggito alle autorità. Vennero così arrestati in pochi giorni Stefano Peluffo, organizzatore del FdG, Franca Lanzoni, Paola Garelli e Giaela Lombardi, mentre alcuni altri, tra cui Francesco Vigliecca “Kamo”, evitarono l’arresto per una serie di coincidenze fortunate. La Lombardi, delegata del Partito Repubblicano per i contatti con il CLN, fu catturata in casa di Teresa Viberti, attivista dei Gruppi di Difesa della Donna sfuggita fortunosamente all’arresto; tornò in libertà dopo tre mesi di carcere senza aver rivelato elementi utili agli inquirenti. Franca Lanzoni era stata arrestata mentre tentava di far disertare alcuni “marò” nella frazione di Santuario, mentre ad incastrare la Garelli era stato invece il materiale destinato ai partigiani rinvenuto nella sua abitazione. Così, quando i sapisti uccisero in pieno giorno il maggiore della GNR Giorgio Massabò, responsabile dell’arruolamento di lavoratori da inviare in Germania, si scatenò una nuova rappresaglia. Dopo aver minacciato di morte i pompieri (noti fiancheggiatori della Resistenza), che avevano trasportato il corpo dell’ufficiale nella vicina caserma, sulla base dell’autopsia che chiariva come Massabò fosse stato ucciso da alcune fucilate sparate dall’alto, i fascisti arrestarono alcune persone tra cui la settantenne Luigia Comotto, residente in un appartamento da cui si sospettava fossero partiti i colpi. Sottoposta a violenti interrogatori, l’anziana donna non parlò. Così, il 1° novembre, alla Fortezza del Priamar furono fucilati per rappresaglia Paola Garelli, Franca Lanzoni, Luigia Comotto, Stefano Peluffo, il sapista Giuseppe Baldassarre e l’ex carabiniere Pietro Cassani.
Stefano d’Adamo, “Savona Bandengebiet. La rivolta di una provincia ligure (’43-’45)”, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000