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giovedì 28 luglio 2022

Una consistente schiera di storici britannici e statunitensi ha strutturato un impianto analitico tendenzialmente comparativo dei fenomeni fascisti


L’interpretazione sociologica del fascismo vanta una vasta letteratura, all’interno della quale particolare successo e credito ha ottenuto la formulazione della teoria proposta da Karl Mannheim <55.
Muovendo dall’assunto secondo cui il pensiero non può mai essere scisso dal contesto storico di riferimento, per cui gli uomini pensano e agiscono a seconda della situazione storico-sociale in cui sono inseriti, il sociologo tedesco ritiene che questo meccanismo di adattamento del pensiero sia dovuto non solo al processo storico ma anche ad altri fattori, primo fra tutti la mobilità sociale, che può essere analizzata nella sua dimensione orizzontale e verticale: la prima rappresenta un mutamento di posizione o di luogo, ma non di strato sociale; viceversa, la seconda indica uno spostamento tra diversi strati sociali, tale per cui si giunge a un’ascesa o a un declino sociale. Sulla base di questa tesi, Mannheim individua cinque tipi ideali di pensiero storico-politico, a cui corrispondono diversi movimenti politici, che hanno caratterizzato il XIX e il XX secolo: il conservatorismo burocratico, lo storicismo conservatore, il pensiero liberal-democratico, la concezione socialista-comunista e, infine, il fascismo.
Secondo il sociologo tedesco il fascismo rispecchia l’ideologia dei gruppi rivoluzionari che, guidati da intellettuali estranei al gruppo dei leaders liberali-borghesi e socialisti, sperano di conquistare il potere, sfruttando le continue crisi che insidiano le società moderne nel loro processo di trasformazione. Infatti, questo percorso verso la modernità presenta spesso delle opportunità per manifestare sentimenti violenti e rivoluzionari <56. Questi gruppi rivoluzionari sono contraddistinti da una situazione psicologica e sociale per cui il disordine e l’irrazionalità non possono che essere i principali elementi caratterizzanti lo sviluppo della società. Dunque, per utilizzare le parole di Mannheim, «si può così stabilire una certa correlazione sociologica tra il tipo di pensiero che si richiama ai gruppi organici e organizzati e un’interpretazione della storia coerentemente sistematica, come esiste, d’altra parte, una profonda affinità tra i gruppi socialmente disinseriti e poco integrati e un intuizionismo anti-storico. Più i gruppi organizzati si espongono a una crisi o a una rottura, più essi tendono ad abbandonare un concetto sistematico della storia e diventano sensibili all’imponderabile e al fortuito. Non altrimenti, appena i gruppi rivoluzionari, spontaneamente organizzati, diventano stabili, essi cominciano ad accogliere un’idea della storia e della società più ampia e coerente» <57. I gruppi organici considerano, dunque, la storia come una successione di eventi concatenati tra di loro; al contrario, i gruppi che si formano in particolari condizioni storiche ritengono che la storia sia un insieme di fatti svincolati l’uno dall’altro. Tali gruppi presentano anche un altro elemento di discordanza che riguarda il concetto di azione: mentre i gruppi stabili considerano l’azione come un mezzo per il perseguimento del proprio scopo, i gruppi rivoluzionari ritengono che essa sia pura tecnica politica, che non si inserisce nel più ampio contesto storico.
Per quanto riguarda la fase storica dell’avvento del fascismo, Mannheim ritiene che esso affondi le radici in un momento di debolezza della borghesia, i cui strumenti per porre rimedio ai conflitti di classe si sono rivelati inefficaci. Citando ancora lo studioso tedesco: «Sono i periodi in cui il progresso sembra venire meno per il presente e la crisi diventa acuta. Le relazioni e le differenze di classe si fanno aspre e anormali. La coscienza di classe delle parti in lotta si avvia a divenire confusa. In tali periodi è facile per certe formazioni prevalere, mentre si afferma la presenza della massa, avendo gli individui perduto o dimenticato le direttive che erano specifiche della loro classe. A questo punto, una dittatura diventa del tutto possibile. La visione fascista della storia e l’intuizionismo che è alla base dell’azione immediata finiscono col tramutare quella che era soltanto una situazione parziale in una concezione totale della società» <58.
Una volta conquistato il potere, il fascismo riduce il suo pensiero politico a una pura illusione, ritenendo che esso sia fondamentale fintantoché si dimostra capace di suscitare l’entusiasmo per l’azione, mentre perde tutta la sua utilità nel momento in cui si trasforma in uno strumento per la comprensione scientifica della politica. In quest’ottica, la storia viene concepita come un insieme di fatti sconnessi. L’idea di un processo storico fatto di avvenimenti tra loro concatenati finisce per diventare esclusiva dei gruppi sociali che sperano che il fascismo possa portare a un mutamento. È proprio da questa speranza che nascono utopie e idee di progresso. Tuttavia, una volta raggiunto il potere, l’utopia lascia il posto solo alla considerazione di scopi immediati. La conseguenza è che «l’idea di un processo e della assoluta comprensibilità della storia diventa pertanto un semplice mito» <59. Quest’idea viene rafforzata dal fatto che il fascismo, in realtà, non intende giungere ad un mutamento dell’ordine sociale, bensì il suo scopo è soltanto quello di sostituirsi alla vecchia classe dirigente, senza modificare l'assetto delle classi sociali.
[NOTE]
55 K. Mannheim, Ideologia e utopia, Il Mulino, Bologna, 1957
56 E. Saccomani, Le interpretazioni sociologiche del fascismo, Loescher Editore, Torino, 1977, p. 45
57 Ivi, pp. 45-46
58 Ivi, p. 47
59 Ivi, p. 49
Annalisa Coccia, Fascismo: un'analisi interpretativa, Tesi di laurea, Università LUISS "Guido Carli", Anno Accademico 2014/2015

Da anni lo studio del fascismo italiano ha ampliato notevolmente i propri orizzonti di riferimento e i campi di ricerca delle sue indagini. Dopo un prima stagione storiografica sorta nell’immediato dopoguerra e segnata tanto dai “dogmatismi” di matrice marxista quanto da analisi comprensibilmente legate ad una lettura politicizzata ed etica del fenomeno quale parentesi o debellata malattia <25 sciolta da una progressiva e lineare narrazione storica italiana, il fascismo è gradualmente tornato al centro del dibattito intellettuale sull’orma di importanti opere apparse fin dai primi anni Sessanta e di riflessioni che hanno sensibilmente riformato l’intero impianto storiografico su di esso costruito. I pionieristici lavori di Renzo De Felice sulla biografia mussoliniana e quelli di George L. Mosse sulle origini culturali del movimento nazionalsocialista in Germania <26, gli approcci filosofici, seppur differenti, di autori quali Augusto Del Noce <27 ed Ernst Nolte <28 e l’emergere di una problematica spesso trascurata - la possibile esistenza e consistenza di una cultura fascista - hanno contribuito nel corso di un decennio ad aprire prospettive di analisi e ricerche che lungo tutti gli anni Settanta, e arrivando ai giorni nostri, hanno radicalmente ripensato, tra mai sopite contestazioni e polemiche, gli assunti centrali di quei primissimi paradigmi interpretativi.
Superate le iniziali decifrazioni socio-economiche del movimento e le letture prettamente impositive del suo momentaneo - ma evidentemente non breve e circoscritto - successo, la storiografia ha progressivamente affrontato i vari aspetti di quella cultura tanto a lungo trascurata, certamente non definita e omogenea eppure viva ed eclettica; paradossale e contraddittoria ma non per questo priva di espliciti contenuti propri. Miti, credenze e valori - per riprendere il titolo dello studio di Pier Giorgio Zunino sopra citato -, idee e ideologie <29, politiche culturali e contributi intellettuali <30, simboli e rappresentazioni di quella che George L. Mosse ha racchiuso nella fortunata espressione di «nuova politica» <31 sono divenuti nel tempo inesauribili cantieri di ricerca, portando gli storici ad arricchire tanto la pura analisi delle strutture istituzionali dei fascismi tra le due guerre quanto la comprensione e giustificazione del sempre discusso consenso da cui furono effettivamente circondati. Mentre continuavano, quindi, a prosperare gli studi di matrice politica, rinvigoriti dalla sempre maggiore fortuna concessa al concetto di totalitarismo <32, le tematiche di stampo culturale passarono lentamente ad occupare una posizione centrale nel panorama storiografico rinfocolando il dibattito sulla natura religiosa e sacrale dei vari movimenti <33, affrontando l’estetica <34, le retoriche e i linguaggi <35 di cui si fecero portatori e riconsiderando, infine, il reale spazio occupato da tali fenomeni all’interno della narrazione storica novecentesca.
Affrancate le formulazioni dell’immediato dopoguerra fondate su una lettura essenzialmente reazionaria, retrograda, regressiva della politica e della cultura fasciste, gli studiosi hanno cominciato ad indagare i fili intercorsi tra fascismo e “modernità” europea, provando a ricostruire le sue molteplici radici spaziali e temporali, le assonanze e dissonanze con il coevo pensiero politico, artistico, economico, sociale, le peculiarità del suo essere nel tempo. Tanto la storiografia italiana quanto quella internazionale hanno iniziato a focalizzare le loro opere sui rapporti delineatisi tra i diversi movimenti e l’incedere della contemporaneità, accettando l’esistenza di una particolare tensione fascista nei confronti del tempo storico e assumendo, infine, nuovi paradigmi interpretativi al fine di decostruirla e analizzarla nella sua innegabile complessità.
Scartata l’ipotesi di poter comprendere il fascismo quale semplice «negatività storica» <36 è stato allora necessario costruire modelli di lettura che fossero in grado di ragionare sul fenomeno quale declinazione stessa della Storia novecentesca, espressione interna e consustanziale ai processi di modernizzazione europea e alle sue manifestazioni. Per tali ragioni, a partire dalla fine degli anni Ottanta e giungendo ai dibattiti del tempo presente, lo studio dei fascismi, e nel caso specifico del ventennio mussoliniano, ha virato verso analisi che tenessero in considerazione gli aspetti moderni/modernisti della sua cultura e della sua politica nonché i richiami diretti alle più radicali esperienze avanguardiste di inizio Novecento <37. Un approccio che negli anni si è diramato seguendo due strade non sempre convergenti, talvolta parallele eppure, a ben vedere, non prive di importanti punti di contatto.
Da una parte, infatti, determinate scuole storiografiche - su tutte quella italiana - hanno continuato a privilegiare interpretazioni mirate e conchiuse dei singoli movimenti tra le due guerre dissodando la cultura e l’ideologia fasciste nei loro aspetti distintivi, confrontandole con il concetto di modernità e dirigendo gran parte delle proprie attenzioni sui processi di sacralizzazione della politica e politicizzazione dell’estetica. Dall’altra, invece, a cavallo tra gli anni Ottanta e i primi anni Novanta, una consistente schiera di storici britannici e statunitensi ha strutturato un impianto analitico tendenzialmente comparativo dei fenomeni fascisti, fondato non tanto sul concetto di modernità quanto su quello - forse ancor più scivoloso e di ardua gestione <38 - di "modernism". Un impianto concettuale rimasto sostanzialmente ai margini del dibattito italiano <39 - spesso limitato a brevi e sporadici accenni critici - e che ha riscosso, invece, un enorme successo in Europa e oltreoceano in virtù delle tante ricerche condotte da storici dell’arte <40, della letteratura, dell’architettura <41 e del vasto consenso riservato, sin dalle prime opere, alle teorie proposte da Roger Griffin.
Fin dal 1991, quando venne pubblicato "The nature of Fascism" <42 - divenuto in breve tempo una delle pietre miliari della storiografia culturale anglofona sui movimenti fascisti - Griffin si è proposto di superare i confini nazionali dei vari fenomeni fascisti europei, analizzandoli in una prospettiva transazionale e aprendo un lungo percorso di ricerca recentemente culminato in un imponente volume dal titolo "Modernism and fascism: the sense of a beginning under Mussolini and  Hitler" <43. Pur avendo ampliato e rielaborato diverse interpretazioni fondanti nei suoi primissimi lavori, Griffin è rimasto nel tempo essenzialmente coerente con alcune osservazioni storiografiche di ampio respiro - due nello specifico - ininterrottamente presenti nella totalità della sua trentennale produzione. La prima è la teorizzazione di un "generic fascism" idealtipico, prodotto culturale di quella crisi fin de siècle che tanto avrebbe segnato il primo Novecento, risposta rivoluzionaria e modernista alla decadenza della ragione occidentale europea e all’avvento dei processi di modernizzazione e secolarizzazione nell’Europa del primo dopoguerra. La seconda è l’idea che il fascismo giochi una battaglia contro la cultura liberale, democratica e socialista sul terreno di una riconquista temporale, sulla creazione di un nuovo ordine del tempo all’interno della modernità in declino. Una visione rigenerativa della Storia che Griffin, e tanti altri sulla sua scia, hanno definito palingenetica, la quale accumunerebbe tutti i movimenti fascisti sorti in Europa tra le due guerre, figli della temporalizzazione dell’utopia e costruttori di una nuova speranza rivoluzionaria in grado di guidare la società verso nuovi e più ampi orizzonti capaci di riporre ancora una volta nelle mani dell’uomo il proprio destino. Per usare la definizione proposta dallo stesso Griffin:
"Fascism is a revolutionary species of political modernism originating in the early twentieth century whose mission is to combat the allegedly degenerative forces of contemporary history (decadence) by bringing about an alternative modernity and temporality (a ‘new order’ and a ‘new era’) based on the rebirth, or palingenesis, of the nation. […] Fascism can thus be interpreted on one level as an intensely politicized form of the modernist revolt against decadence. Its modernist dynamics in the inter-war period are manifested in the importance it attached to culture as a site of total social regeneration, its emphasis on artistic creativity as the source of vision and higher values, its adherence to the logic of ‘creative destruction’ (which in extreme instances could foster genocidal persecutions of alleged racial enemies), its conviction that a superseded historical epoch was dying and a new one was dawning, and the virulence of its attacks on materialism, individualism, and the loss of higher values allegedly brought about by modernity. They also condition the way it operates as a modern revitalization movement, the extreme syncretism of its ideology, and its draconian act designed to bring about the cleansing, regeneration, and sacralization of the national community, and create the new fascist man" <44.
Sia che si guardi agli sviluppi della storiografia nazionale sul ventennio mussoliniano, quindi, sia che si ripercorrano le evoluzioni dei modelli proposti dalla storiografia anglofona, è innegabile che negli ultimi anni sia sorto un vasto interesse per le modalità, le espressioni e le tensioni storiche presenti all’interno dei movimenti fascisti, per quell’insieme di elementi recentemente sintetizzato dal «Journal of Modern European History» nella formulazione di "Fascist Temporalities" <45. Elementi che le varie scuole hanno ripetutamente messo a confronto con categorie interpretative esterne o quantomeno inglobanti il fenomeno stesso - su tutte modernità e modernismo - riducendo, forse, la misura delle differenziazioni interne e preferendo strutturare canoni generali e interpretazioni tendenzialmente omogeneizzanti invece di sezionare l’oggetto nelle sue pluralità e specificità.
Da questo punto di vista, chi scrive crede che la nozione di regime di storicità - e più generalmente di storicità - possa permettere di agire su tali pluralità e specificità senza il bisogno di farle coincidere o rientrare in una determinata struttura concettuale, di muoversi non al di sopra della commistione di queste esperienze ma all’interno di essa, di analizzare le narrazioni e le rappresentazioni prodotte dal ventennio fascista come espressioni eterogenee, non di rado conflittuali e in continuo movimento di un più generale afflato temporale: quello dell’Era fascista.
Evitando, come ricorda François Hartog, di «rivendicare alcun punto di vista dominante» e affinando le riflessioni precedentemente proposte, l’idea è di riportare alla luce le categorie e i concetti attraverso cui sono andate articolandosi e diffondendosi lungo vent’anni di regime le speranze, le utopie e le illusioni di un presente radicalmente politico, conscio della necessità di doversi rapportare con le dimensioni del tempo storico e fiducioso tanto di poter redimere il passato della nazione quanto di doverne dirigere il fulgido avvenire.
Chiarito l’approccio e delimitati a grandi linee l’oggetto di studio e la diversa prospettiva da adottare nei suoi confronti, non rimane, allora, che introdurre il terreno di ricerca prescelto per lo svolgimento di tali indagini. Terreno che risulti parimenti circoscrivibile e strutturalmente definito, politico ma non palesemente propagandistico, portato intrinsecamente a interrogare la Storia ma anche capace di evolversi in caso di transizioni significative quali furono, inequivocabilmente, quelle che segnarono il contesto italiano tra le due guerre. Condizioni che, per non poche ragioni che andranno man mano dipanandosi, paiono particolarmente assimilabili al campo della cultura architettonica italiana.
[NOTE]
25 Su parentesi e malattia, il riferimento è naturalmente a B. Croce, Scritti e discorsi politici (1943-1947), 2 voll., Laterza, Bari 1963, passim, che così si espresse in diverse occasioni tra il novembre 1943 e il marzo 1947. Per una lettura della formulazione crociana il rimando obbligatorio è a R. De Felice, Le interpretazioni del fascismo, Laterza, Roma-Bari 2012 [Bari 1969], pp. 29 e sgg. e ancora Id., Il fascismo. Le interpretazioni dei contemporanei e degli storici, Laterza, Roma-Bari 2008 [1970], pp. 391 e sgg. Ancora prima di Croce, aveva già parlato di «malattia morale» e «deviazione» anche Thomas Mann in un celebre racconto dal titolo Mario e il mago del 1929, incentrato su una «tragica esperienza di viaggio» dello scrittore nell’Italia fascista: «Gli adulti, quando intervenivano, badavano più a sentenziare e a rivendicare principi che a conciliare; si udivano frasi sulla grandezza e sul prestigio d’Italia, frasi non serene e perturbatrici. Noi vedendo i nostri due piccoli tirarsi indietro sorpresi e perplessi, faticammo a fare loro comprendere, in una certa misura, codesto stato di cose: quella gente, spiegammo, stava attraversando una malattia, per così dire: non molto fastidiosa ma necessaria». T. Mann, Mario e il mago, in Cane e padrone, Disordine e dolore precoce, Mario e il mago, Mondadori, Milano 2011, p. 150.
26 Tutti compresi all’interno degli anni ’60 sono: R. De Felice, Storia degli ebrei in Italia sotto il fascismo, Einaudi, Torino 1961; Id., Mussolini il rivoluzionario: 1883-1920, Einaudi, Torino 1965, e Id., Le interpretazioni del fascismo, cit. Per quanto riguarda Mosse mi riferisco a George L. Mosse, Le origini culturali del Terzo Reich, il Saggiatore, Milano 2008 [ed. originale con il titolo The crisis of German Ideology, 1964]. Sempre racchiusi negli anni Sessanta sono, inoltre, E. Weber, Varieties of Fascism. Doctrines of Revolution in the Twentieth Century, Van Nostrand, New York 1964, e The nature of Fascism, edited by Joseph S. Woolf, Random House, New York 1968.
27 Per la posizione di Del Noce si vedano su tutti: A. Del Noce, L’epoca della secolarizzazione, Giuffrè, Milano 1970, e Id., Il suicidio della rivoluzione, Aragno, Torino 2004.
28 In particolare E. Nolte, Il fascismo nella sua epoca. I tre volti del fascismo, Sugarco, Milano 1993 [1963].
29 Su tutti E. Gentile, Le origini dell’ideologia fascista (1918-1925), il Mulino, Bologna 2011 [Laterza, 1975]. Opere dello stesso periodo - evitando di entrare nelle rispettive e singole validità - sono: Edward R. Tannenbaum, L’esperienza fascista. Cultura e società in Italia dal 1922 al 1945, Mursia, Milano 1974; Anthony J. Gregor, L’ideologia del fascismo, Edizioni del Borghese, Milano 1974 [1969]; Arno J. Mayer, Dynamics of counterrevolution in Europe, 1870-1956. An analytic framework, Harper & Row, New York 1971; Fascism: a reader’s guide. Analyses, interpretations, bibliography, edited by W. Laqueur, University of California, Berkeley-Los Angeles 1976; ma anche il già citato: Z. Sternhell, Nascita dell’ideologia fascista, cit., e dello stesso autore, Né destra né sinistra. L’ideologia fascista in Francia, Baldini & Castoldi, Milano 1997 [1983].
30 Per limitarsi ad alcuni esempi comparsi tra gli anni Settanta e i primi anni Novanta: L. Mangoni, L’interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo, Laterza, Bari 1974, e Id., Il Fascismo, in Letteratura italiana, a cura di A. Asor Rosa, vol. I. Il letterato e le istituzioni, Einaudi, Torino 1982, pp. 530-533; E. Garin, Intellettuali italiani del XX secolo, Editori Riuniti, Roma 1974; Philip V. Cannistraro, La fabbrica del consenso. Fascismo e mass media, Laterza, Bari 1975; M. Ciliberto, Intellettuali e fascismo: saggio su Delio Cantimori, De Donato, Bari 1977; Matrici culturali del Fascismo. Seminari promossi dal Consiglio regionale pugliese e dall’Ateneo barese nel trentennale della liberazione, Università di Bari. Facoltà di Lettere e Filosofia, Bari 1977; M. Isnenghi, Intellettuali militanti e intellettuali funzionari. Appunti sulla cultura fascista, Einaudi, Torino 1979; G. Turi, Il fascismo e il consenso degli intellettuali, il Mulino, Bologna 1984; Fascism and Culture, edited by Jeffrey T. Schnapp and B. Spackman, numero monografico della «Stanford Italian Review», 8/1-2, 1990; Cultura e fascismo. Letteratura, arti e spettacolo di un Ventennio, a cura di M. Biondi e A. Borsotti, Ponte delle Grazie, Firenze 1990; R. Ben Ghiat, Fascism, Writing, and Memory: The Realist Aesthetic in Italy, 1930-1950, in «The Journal of Modern History», 67/3, settembre 1995, pp. 627-665; A. Scotto di Luzio, L’appropriazione imperfetta. Editori, biblioteche e libri per ragazzi durante il fascismo, il Mulino, Bologna 1996; S. Luzzatto, La cultura politica dell’Italia fascista, in «Storica», 12/1998, pp. 57-80.
31 Il riferimento è naturalmente a George L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1815-1933), il Mulino, Bologna 2012 [1975], passim.
32 Senza entrare nel merito di un dibattito ampio e complesso com’è quello sul concetto di totalitarismo, rimando direttamente all’efficace sintesi recentemente offerta da E. Traverso, Totalitarismo. Storia di un dibattito, Ombre Corte, Verona 2015.
33 M. Berezin, Making the fascist self: the political culture of interwar Italy, Cornell University Press, Ithaca-London 1997; ma, soprattutto, E. Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione politica nell’Italia fascista, Laterza, Roma-Bari 2009 [1993], e successivamente Id., Le religioni della politica. Fra democrazie e totalitarismi, Laterza, Roma-Bari 2007. Aspetto, quest’ultimo, che ha riscosso negli anni un incredibile successo sancito, già nel 2000, dalla nascita di una rivista espressamente dedicata alla problematica delle religioni politiche: «Totalitarian Movements and Political Religion», dal 2011 pubblicata col titolo «Politics, Religion & Ideology».
34 Limitandosi ad alcune opere in grado di offrire una prospettiva di carattere generale e rimandando per testi più specifici alle pagine successive: F. Tempesti, Arte nell’Italia fascista, Feltrinelli, Milano 1976; Annitrenta. Arte e cultura in Italia, Mazzotta, Milano 1982; L. Malvano, Fascismo e politica dell’immagine, Bollati Boringhieri, Torino 1988; Italian Art in the Twentieth Century. Painting and Sculpture 1900-1988, edited by E. Braun, Prestel Verlag, Munich-London 1989; I. Golomstock, Arte totalitaria nell'URSS di Stalin, nella Germania di Hitler, nell'Italia di Mussolini e nella Cina di Mao, Leonardo, Milano 1990; Fascism, Aesthetics, and Culture, edited by Richard J. Golsan, University Press of New England, London-Hanover 1992; Fascism Aesthetics, numero monografico del «South Central Review», 5/1988; Art and Power: Europe under the Dictators, 1930-45, edited by D. Ades, Thames and Hudson, London 1995; Jeffrey T. Schnapp, 18BL. Mussolini e l’opera d’arte di massa, Garzanti, Milano 1996; The Aesthetics of Fascism, numero monografico del «Journal of Contemporary History», 31/2, aprile 1996; Fascist Visions. Art and Ideology in France and Italy, edited by M. Affron and M. Antliff, Princeton University Press, Princeton 1997; Marla S. Stone, The Patron State. Culture & Politics in Fascist Italy, Princeton University Press, Princeton 1998; A. Russo, Il fascismo in mostra, Editori Riuniti, Roma 1999; M. Cioli, Il fascismo e la ‘sua’ arte. Dottrina e istituzioni tra futurismo e Novecento, Olschki, Firenze 2011, e, infine, F. Benzi, Arte in Italia tra le due guerre, Bollati Boringhieri, Torino 2013.
35 Cfr. La lingua italiana e il fascismo, a cura di E. Leso, Consorzio Provinciale pubblica lettura, Bologna 1977; G. Klein, La politica linguistica del fascismo, il Mulino, Bologna 1986; B. Spackman, Fascist virilities. Rhetoric, Ideology, and Social Fantasy in Italy, University of Minnesota Press, Minneapolis-London 1996; G. Fedel, Il linguaggio politico nel Novecento: il caso di Benito Mussolini, in Saggi sul linguaggio e l’oratoria politica, Giuffrè, Milano 1999, pp. 111-157; S. Falasca Zamponi, Lo spettacolo del fascismo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003 [1997], e Id., Of Storytellers and Master Narratives: Modernity, Memory, and History in Fascist Italy, in States of Memory: Continuities, Conflicts, and Transformations in National Retrospection, edited by Jeffrey K. Olick, Duke University Press, Durham-London 2003, pp. 43-71; A. Simonini, Il linguaggio di Mussolini, Bompiani, Milano 2004 [1984]; E. Golino, Parola di Duce. Il linguaggio totalitario del fascismo e del nazismo: come si manipola una nazione, Rizzoli, Milano 2010, e Credere, obbedire, combattere. Il regime linguistico nel Ventennio, a cura di F. Foresti, Pendragon, Bologna 2003.
36 E. Gentile, La modernità totalitaria, Introduzione a Le origini dell’ideologia fascista (1918-1925), cit., p. 8. Com’è noto, la lunga Introduzione venne redatta da Gentile - non a caso - nel 1996 in occasione della ristampa del volume per la casa editrice bolognese il Mulino. Più recentemente, e in virtù del consenso ricevuto dalla formulazione gentiliana, quest’ultima è divenuta il titolo di un volume curato dallo stesso Gentile: Modernità totalitaria. Il fascismo italiano, a cura di E. Gentile, Laterza, Roma-Bari 2008. Per un’analisi di lungo raggio del dibattito italiano sorto intorno a tali tematiche rimando invece ad A. De Bernardi, Una dittatura moderna. Il fascismo come problema storico, Mondadori, Milano 2001.
37 Per una rapida ma coerente panoramica storiografica degli ultimi quindi anni rimando ad A. Tarquini, Storia della cultura fascista, il Mulino, Bologna 2011, pp. 40-47. Utile, infine, anche il riferimento alla vastissima bibliografia offerta da Richard J. B. Bosworth, The Italian Dictatorship. Problems and Perspectives in the Interpretation of Mussolini and Fascism, Arnold, London 1998.
38 È evidentemente impossibile approcciare in poche pagine un tema complesso e ancora oggi fortemente dibattuto com’è quello della natura e dei confini del concetto di modernism, tanto pregnante da aver suggerito, fin dal 1994, la nascita di una rivista interamente dedicata a tali tematiche ossia «Modernism/Modernity», oggi pubblicata dalla John Hopkins University Press. Pur non volendo, quindi, affrontare approfonditamente la questione, è necessario almeno rilevare quanto tale dibattito continui ad essere percorso, a giudizio di chi scrive, da non poche ambiguità di fondo dovute ad un utilizzo fortemente estensivo del concetto su diversi ambiti - letteratura, arte, architettura e, infine, politica - tale da snaturarne il suo originario, o meglio, i suoi originari significati. Per una riflessione su tali problematiche si veda Susan S. Friedman, Definitional Excursions: The Meanings of Modern/Modernity/Modernism, in «Modernism/Modernity», 8/3, 2001, pp. 493-513; ma anche, più generalmente, Modernism 1914-1939. Designing a New World, edited by C. Wilk, V&A Publications, London 2006; D. Ayers, Modernism. A Short Introduction, Blackwell, Oxford 2004; J. Goldman, Modernism. 1910-1945, Palgrave Macmillan, London 2004.
39 Una prima ragione di tale marginalizzazione è evidentemente la consolidata tendenza storiografica italiana ad identificare con il concetto di modernismo quel movimento riformista interno alla chiesa cattolica conscio di doversi confrontare con la “modernità” europea e operante a cavallo tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX. Facendo riferimento soltanto alla più recente produzione si vedano ad esempio: Il modernismo in Europa, a cura di M. Guasco, Morcelliana, Brescia 2007; Il modernismo in Italia e in Germania, a cura di M. Nicoletti e O. Weiss, «Annali dell’istituto storico italo germanico in Trento. Quaderni», 79, il Mulino, Bologna 2010; G. Vian, Il modernismo. La Chiesa cattolica in conflitto con la modernità, Carocci, Roma 2012. Secondariamente - e venendo al tema specifico - una seconda ragione è da ricercarsi nella innegabile preferenza italiana ad un approccio nazionale verso l’oggetto di studio fascismo, approccio chiaramente ridimensionato dalla prospettiva “modernista” più propensa a letture transazionali del fenomeno.
40 Citando solo alcuni dei saggi e delle opere apparsi negli ultimi trent’anni: Walter L. Adamson, Modernism and Fascism: the politics of culture in Italy, 1903-1922, in «The American Historical Review», 95/2, 1990, pp. 359-390; Id., The Language of Opposition in Early Twentieth-Century Italy: Rhetorical Continuities between Prewar Florentine Avant-Gardism and Mussolini’s Fascism, in «Journal of Modern History», 64/1992, pp. 22-51; Id., Avant-garde Florence. From modernism to fascism, Harvard University Press, Cambridge-London 1993; Id., The Culture of Italian Fascism and the Fascist Crisis of Modernity. The Case of «Il Selvaggio», in «Journal of Contemporary History», 30/4, 1995, pp. 555-575; Id., Avant-garde modernism and Italian Fascism: cultural politics in the era of Mussolini, in «Journal of Modern Italian Studies», 6/2, 2001, pp. 230-248; A. Hewitt, Fascist Modernism. Aesthetics, Politics, and the Avant-Garde. 1919-1945, Stanford University Press, Stanford 1993; M. Antliff, Fascism, Modernism, and Modernity, in «The Art Bulletin», 84/1, 2002, pp. 148-169; E. Braun, Mario Sironi: arte e politica in Italia sotto il fascismo, Bollati Boringhieri, Torino 2003 [Originariamente Mario Sironi and Italian Modernism. Art and politics under fascism]; Donatello among the Blackshirts. History and Modernity in the Visual Culture of Fascist Italy, edited by C. Lazzaro and Roger J. Crum, Cornell University Press, Ithaca-London 2005; J. Champagne, Aesthetic modernism and masculinity in fascist Italy, Routledge, London-New York 2013.
41 Su quest’ultimo ambito rimando per una ricognizione bibliografia e per un’analisi più approfondita al successivo capitolo.
42 R. Griffin, The Nature of Fascism, Routledge, London-New York 1993 [Originariamente Pinter, 1991]. Di recente definito da David D. Roberts - che pur non ne condivide i risultati conclusivi - come: «the most important work on the overall problem of fascism in any language over the past generation». Cfr. David D. Roberts, Myth, Style, Substance and the Totalitarian Dynamic in Fascist Italy, in «Contemporary European History», 16/2007, p. 2. A ribadire la fortuna di Griffin nel contesto storiografico anglofono - da cui si potrebbero ricavare centinaia di simili affermazioni - si veda la recente pubblicazione di un volume ad esso interamente dedicato e comprendente i maggiori scritti pubblicati dallo storico britannico. Cfr. A Fascist Century. Essays by Roger Griffin, edited by Matthew Feldman, Palgrave Macmillan, Basingstoke 2008. Per quanto riguarda l’Italia, l’opera di Griffin ha trovato spazio soprattutto tra i politologi. Si veda ad esempio: R. Griffin, Il nucleo palingenetico dell’ideologia del “fascismo generico”, in Che cos’è il fascismo? Interpretazioni e prospettive di ricerca, a cura di A. Campi, Ideazione, Roma 2003, pp. 97-122; mentre è stata spesso ignorata o trascurata dagli storici. A puro titolo esemplificativo basti osservare che nel recente Fascismo: itinerari storiografici da un secolo all’altro, numero monografico di «Studi storici», LV, 1/2014, pubblicato con l’intento di tracciare un bilancio storiografico degli studi sul fascismo italiano vent’anni dopo Il regime fascista: storia e storiografia, a cura di A. Del Boca, M. Legnani e Mario G. Rossi, Laterza, Roma-Bari 1995, non esiste riferimento né a Griffin né ad alcuna sua opera.
43 R. Griffin, Modernism and fascism: the sense of a beginning under Mussolini and Hitler, Palgrave Macmillan, Basingstoke, New York 2007. Descritto da Stanley G. Payne nella Preface alla raccolta collettanea di scritti precedentemente citata come: «the most important book to appear on the history of fascism in a decade or more». Cfr. Stanley G. Payne, Roger Griffin, Fascistologist, in A Fascist Century. Essays by Roger Griffin, cit., p. IX. Per uno dei pochissimi confronti in lingua italiana con l’opus magnus dello storico britannico si veda C. Fogu, Fascismo e stilizzazione del tempo, in «Storiografia», 17/2013, pp. 123-138.
44 R. Griffin, Modernism and fascism: the sense of a beginning under Mussolini and Hitler, cit., pp. 181-182.
45 Faccio riferimento a Fascist Temporalities, edited by F. Esposito, numero monografico del «Journal of Modern European History. Revue d’histoire euroéenne contemporaine», 13/1, 2015, di recentissima pubblicazione e totalmente incentrato su tali tematiche. Ad aprire il numero, evidentemente non a caso, è proprio un saggio di R. Griffin, Fixing Solutions: Fascist Temporalities as Remedies for Liquid modernity, pp. 5-23, mentre i restanti interventi sono di Joshua Arthurs, Ruth Ben Ghiat, Claudio Fogu e Raul Carstocea.

Giorgio Lucaroni, Architetture e linguaggi di Storia. Fascismo, storicità e cultura architettonica italiana tra le due guerre: 1919-1936, Tesi di dottorato, Università Ca' Foscari Venezia, 2018