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domenica 7 agosto 2022

Felice si inserisce nel drammatico flusso di partenze che caratterizzò la regione friulana nell’immediato dopoguerra e per tutti gli anni Cinquanta


Felice all’imbocco degli anni Cinquanta è alle prese con una situazione lavorativa disperata: finite le scuole elementari riesce a frequentare la scuola serale di disegno mentre lavora con il padre alla bilancia. Tuttavia l’attività non consente la sopravvivenza della famiglia e per tale ragione, come molti coetanei nella sua stessa condizione, decide di cercare un impiego nel settore edile, specializzandosi come manovale. Impossibilitato, anche per le discriminazioni politiche subite, nel trovare un impiego anche solo stagionale decide di partire nel 1953 con una squadra di braccianti reclutati nella Bassa per recarsi in Francia, dove viene impiegato per qualche mese nella trebbiatura del grano.
Rientrato dopo un’esperienza di umiliante sfruttamento, parte nuovamente per Crotone l’anno successivo, per lavorare con una squadra questa volta di muratori. In seguito ad una seconda esperienza negativa, Felice fa ritorno a casa e, nuovamente selezionato per far parte di una squadra di muratori, torna nel 1955 in Francia e, questa volta, per fare ritorno solo nel 1976.
Con la sua esperienza di giovane disoccupato costretto all’emigrazione, Felice si inserisce nel drammatico flusso di partenze che caratterizzò la regione friulana nell’immediato dopoguerra e per tutti gli anni Cinquanta, agevolato dagli accordi internazionali che il governo sottoscrisse già nel 1946 con paesi come la Francia e il Belgio per inviare squadre di lavoratori che colmassero la crescente domanda di manodopera a bassa specializzazione che interessava i paesi d’oltralpe.
Sarebbero stati tra 1951 e 1955 quasi 9.000 i friulani che raggiunsero la Francia grazie a questi flussi migratori controllati e regolamentati dagli accordi internazionali, che interessarono soprattutto giovani provenienti dal comparto agricolo che vennero impiegati nel settore edile, come nel caso di Felice. <30
Le motivazioni di queste migrazioni, che provocarono la fuoriuscita dal Friuli di una media di circa 17.000 persone l’anno tra 1946 e il 1958, <31 erano da ricercarsi sia nell’oggettiva mancanza di domanda di manodopera all’interno dei centri urbani della regione ma anche nel bisogno espresso da molti giovani di migliorare le proprie prospettive di vita. Queste erano garantite all’estero da lavori non più saltuari, meglio retribuiti e che consentivano l’accumulo di risparmi che avrebbero permesso, a distanza di qualche anno, il rientro in patria, con la possibilità di acquistare un terreno o di costruire una casa. <32
È proprio con questa prospettiva di migrazione pluriennale mirata al rientro che Felice abbandona la casa paterna per inaugurare un nuovo capitolo della sua vita. La parola usata più spesso dal nostro narratore quando parla della sua esperienza è migliorarsi. L’emigrazione dunque, sebbene momento doloroso di distacco dalla famiglia, porta Felice ed entrambi i suoi fratelli per le strade del mondo con la prospettiva di creare altrove le condizioni per la propria realizzazione personale, simboleggiata dalla prospettiva dell’acquisto di un po’ di terra per farsi una casetta.
L’arrivo di Felice, giovane di Piancada, a Parigi è un turbinio di descrizioni che sembrano costruirsi secondo lo schema narrativo tipico del romanzo di formazione. Sorpresa e stupore si mischiano alla ritrosia nei confronti di un mondo che offre pericolose attrazioni, che tuttavia non distolgono il nostro protagonista dalla volontà di perseguire l’obiettivo di costruirsi una famiglia e di guadagnarsi da vivere onestamente. Il punto di osservazione di Felice questa volta è quello dello straniero in cerca di fortuna, che rimane impressionato dalla bellezza della grande capitale, ma che è al contempo ben consapevole della propria condizione di subalternità, che lo porta ad identificarsi con gli ultimi che abitano i sobborghi della città: così emigranti provenienti da tutto il mondo con alle spalle storie incredibili lo accompagnano nel difficile processo di integrazione all’interno della società francese.
Le ricchezze che Felice acquisisce dall’esperienza dell’emigrazione sono molte. Innanzitutto quelle umane. Incontrare il mondo intero a Parigi gli consente di ragionare secondo orizzonti più ampi, allontanandosi dagli schematismi impostigli dalla situazione politica italiana e imparando a guardare con maggiore criticità alle dinamiche del conflitto socio/politico.
Nonostante un processo di integrazione lento e inficiato dal razzismo frequentemente subìto in quanto italiano, sono poi diversi gli amici che Felice riesce a farsi nel corso della sua vita lavorativa, caratterizzata da cambiamenti continui volti al miglioramento della propria situazione. Egli inoltre assapora per la prima volta il gusto di essere artefice del proprio destino: la possibilità di crescere professionalmente, di centrare i propri obiettivi, di perseguire i propri sogni e di veder trasformata la fatica e il duro lavoro in concrete occasioni di realizzazione.
Ad affiancarlo nel corso della sua dura ma costruttiva esperienza di migrante è Yvette, ragazza francese con alle spalle un passato fatto di lutti e privazioni, che come lui sogna un futuro fatto di normalità e serenità per la propria famiglia. Con lei Felice corona il sogno di sposarsi e di dividere la propria vita di lavoratore con una donna onesta al proprio fianco, capace di sostenerlo nella continua rincorsa dei propri sogni.
L’esperienza francese costituisce per Felice inoltre una concreta occasione per uscire, attraverso un impegno lavorativo costante e senza sconti, dalla propria critica condizione economica di partenza. Come la maggioranza dei migranti infatti, dopo aver sistemato la propria famiglia in una casa che rispondesse alle sue esigenze, Felice mandò per tutto l’arco di tempo passato in Francia, sotto forma di rimesse, denaro ai propri genitori rimasti in Italia, il quale venne investito, nel corso degli anni Sessanta, nell’acquisto di terreni e nella costruzione di una casa, alla quale Felice lavorò durante le vacanze estive, che ogni anno venivano trascorse in Italia.
Anche in questo caso la vita di Felice si presenta come paradigma di fenomeni più ampi: il flusso delle rimesse, particolarmente consistente dal Belgio e dalla Francia, <33 aveva infatti innescato in regione processi economici virtuosi.
Le famiglie rimaste a casa, quasi sempre ormai autosufficienti grazie alla partenza dei numerosi figli, erano infatti in grado di investire i soldi delle rimesse nell’acquisto o nella ristrutturazione di immobili e di beni durevoli, <34 che concretamente cambiarono e migliorarono le condizioni di vita di aree endemicamente povere come quelle della Bassa Friulana o del Friuli collinare, avviandole alla modernizzazione.
È in questo quadro, profondamente mutato rispetto a quello del dopoguerra che matura in Felice e in migliaia di italiani sparsi per il mondo la decisione del rientro. Se i flussi migratori avevano subito una consistente decrescita all’imbocco dei primi anni Sessanta è infatti alla fine di quel decennio che si registrano i primi importanti mutamenti nel rapporto tra partenze e ritorni.
Nel 1969 per esempio, in Friuli a fronte delle 6.552 partenze si registrarono 8.347 rimpatri, segnando una netta inversione di tendenza rispetto ai trend migratori del decennio precedente. Tra 1969 e 1979 sarebbero state dunque 60.343 le persone che rientrarono in Friuli dopo anni di esperienze lavorative all’estero, le quali si erano rivelate cruciali anche per lo sviluppo economico delle stesse aree di esodo. <35
Felice torna in Italia spinto da una serie di fattori: la salute che gli impedisce di portare avanti la propria attività in proprio di levigatura del marmo, il desiderio recondito di riallacciare i rapporti con la famiglia lontana, con la quale comunque i legami non si erano mai spezzati, la speranza di finire i suoi anni nella terra natia, nella quale poteva tornare, finalmente, a testa alta, fiero delle conquiste ottenute durante gli anni passati in Francia.
Sostenuto dalla moglie Yvette, Felice dunque nel 1976 torna in Italia, poco dopo la tragedia del terremoto che aveva sconvolto il Friuli il 6 maggio.
Il Felice partito da Piancada ancora ragazzo e senza lavoro rientra profondamente cambiato: è un uomo sposato con due figlie, che ha respirato i ritmi di una grande capitale europea e conosciuto gente di ogni estrazione. Ma ad essere cambiata radicalmente è, assieme al resto dell’Italia, anche la sua Piancada.
Gli anni del boom avevano sconvolto gli assetti identitari, politici, economici e sociali di tutto il Paese, arrivando ad alterare in maniera significativa anche le aree più periferiche e provinciali. Anche in Friuli si innescarono importanti cambiamenti economici: le campagne erano andate incontro ad un progressivo spopolamento dovuto in parte all’emigrazione consistente ma anche alla nuova capacità attrattiva dei nuovi distretti industriali che, come nei casi Zanussi, Rex, Snaidero, Danieli, costituirono un volano economico per la regione. <36 D’altra parte però le campagne vennero interessate anche da consistenti fenomeni di urbanizzazione e dalla diffusione di piccole fabbriche e
stabilimenti, spesso a conduzione familiare, secondo la logica dell’industrializzazione diffusa che fece “toccare con mano” anche al Friuli il sogno del miracolo economico, facendo leva su una nuova generazione di piccoli imprenditori capaci di avviare sul territorio circuiti economici “virtuosi”. <37
La ricchezza che aveva investito il paese e un certo benessere diffuso avevano anche profondamente cambiato i modelli di integrazione e aggregazione sociale, polverizzato la società in chiave individualistica, proposto comportamenti in linea con la società dei consumi propria del Sogno Americano. <38
L’Italia nella quale torna Felice è dunque un paese che egli sembra non riconoscere più e il trauma del ritorno si assomma all’incomprensione e allo scontro con la modernizzazione che ha interessato e sconvolto la terra in cui è nato. Negli anni trascorsi in Francia, fatti di intensa attività lavorativa, Felice non aveva probabilmente colto fino in fondo i profondi cambiamenti che stavano sconvolgendo la società moderna a livello globale. La grande città aveva in qualche modo assorbito con il suo dinamismo la capacità di rendere evidenti gli effetti della modernità, i cui segni però si facevano molto stridenti in una realtà periferica come Piancada, soprattutto se il metro di paragone utilizzato è quello di Felice, che ricorre continuamente ai ricordi dell’infanzia per effettuare dei parallelismi tra il passato ed il presente. La Natura che gli era stata Madre negli anni dell’infanzia sembra dunque scomparsa: cementificazione
e urbanizzazione hanno sconvolto il naturale equilibrio tra uomo e ambiente e gli stessi uomini sembrano cambiati. Felice non ritrova gli amici, nel frattempo in buona parte emigrati, e rimane disorientato dalla scomparsa di una comunità che sembra aver completamente perso la sua capacità di costruire momenti di relazione e condivisione, come al tempo degli anziani che parlavano sotto le stelle o dei racconti nelle stalle durante i gelidi inverni della sua infanzia. Sembrano ai suoi occhi anche del tutto saltati quei meccanismi di intima solidarietà che avevano tenuto insieme le comunità anche nei momenti più bui della storia: le figlie prese in giro a scuola perché vestite con gli abiti tagliati e cuciti dalla madre sono una pericolosa spia del fatto che quel tessuto di relazioni che rendeva sopportabile un mondo di per sé duro ed ingiusto era del tutto venuto meno.
Disorientante per Felice anche il rapporto con lo Stato e le istituzioni. La burocratizzazione spinta che aveva interessato gli uffici, una nuova generazione di imprenditori e amministratori pubblici sempre più legata ai partiti politici dominanti, i meccanismi clientelari sempre più evidenti ed esclusivi tarano ogni passo del difficile reinserimento di Felice nel contesto lavorativo italiano.
Per Felice quindi tutto è cambiato, ma la conclusione è amara: nonostante l’emigrazione gli avesse permesso di conquistarsi una posizione dignitosa e in linea con gli obiettivi fissati al momento della partenza, in Italia egli continua ad essere considerato un subalterno, escluso dai meccanismi clientelari, dalle amicizie altolocate e costretto a relazionarsi senza successo con funzionari che ai suoi occhi assumono il ruolo di autentici Azzeccagarbugli.
Anche la politica sembra averlo tradito. Gli anni passati all’estero gli avevano ovviamente impedito di essere aggiornato sulle evoluzioni politiche del quadro italiano ma nonostante questo Felice non aveva mai abbandonato la sua fede comunista e mai rinunciato ad esercitare il suo diritto di voto in Italia. Ma anche il PCI sembra essere cambiato, con le profonde difficoltà incontrate nel riuscire a tenere insieme le sue sezioni giovanili e non solo, che subiscono la dura competizione di altri soggetti aggregativi ben più attraenti. Felice fatica a comprendere le difficoltà imposte dal cambio di passo dei tempi e dunque anche le sue proposte politiche stentano ad essere comprese dagli altri,
che lo considerano fermo al 1950.
Dopo molti tentativi di reinserimento nel tessuto relazionale della propria comunità, tutti rappresentati da Felice come coronati dal fallimento, arriva dunque per lui il sostanziale ripiegamento nella propria dimensione privata e familiare che lo accompagna, non senza rancori, nella sua vita da pensionato.
Il Felice di oggi è un uomo sereno, appagato dalla consapevolezza delle proprie conquiste personali e dal ritmo della sua routine familiare.
[NOTE]
30 Javier P. Grossutti, Emigranti friulani dalla fine della guerra agli anni Sessanta, in Alberto Buvoli (a cura di) Il Friuli storia e società. Dalla guerra di Liberazione alla ricostruzione. Un nuovo Friuli, cit., pp. 415-444 e Francesco Micelli, Muratori friulani in Francia tra emigrazione stagionale e integrazione, in «Metodi&ricerche», n.1, 2001.
31 Elena Saraceno, Emigrazione e rientri. Il Friuli Venezia Giulia nel secondo dopoguerra, Il Campo, Udine, 1981; Per approfondimenti sui fenomeni migratori in Friuli cfr. Onorato Lorenzon, Piero Mattioni, L’emigrazione in Friuli, Udine, Amministrazione Provinciale di Udine, 1962; Ottorino Burelli, Ido Cibischino, Javier P. Grossutti, Buone fortune. L’emigrazione friulana nel secondo dopoguerra, Udine, Associazione culturale oltremare, 2011; Carlo Tullio Altan, Paolo Gaspari, Gli aspetti socio-culturali dell’esperienza migratoria nel Friuli del secondo dopoguerra, in «Storia contemporanea in Friuli», a.XVI, n.17, 1986; Elsa Kelly, Sandra Pizzolitto Pupatello, Roberta Zanet, La donna friulana nell’emigrazione del XX° secolo, EFASCE, Pordenone, 2003; Gian Carlo Bertuzzi, Francesco Fait, Un secolo di partenze e di ritorni = A century of comings and goings. 1866-1968, Udine, Forum, 2010;
32 E. Saraceno, Emigrazione e rientri, cit., p. 58.
33 J.P. Grossutti, Emigranti friulani dalla fine della guerra agli anni Sessanta, in Alberto Buvoli (a cura di) Il Friuli storia e società. Dalla guerra di Liberazione alla ricostruzione. Un nuovo Friuli, cit., p. 419.
34 E. Saraceno, Emigrazione e rientri, cit., pp. 62-64.
35 Ibidem, p. 88.
36 Marco Puppini, La grande trasformazione. Società ed economia in Friuli negli anni del boom economico, in Alberto Buvoli (a cura di) Il Friuli storia e società. Dalla guerra di Liberazione alla ricostruzione. Un nuovo Friuli, cit., pp. 228-238.
37 P. Ginsborg, Storia d’Italia, cit. pp. 280-283.
38 Ibidem, p. 340-348.
Felice Tollon - Irene Bolzon, Anche le cicale piangono. La storia di vita di Felice Tollon dalle lotte del Cormor all’emigrazione in Francia, KappaVu Sas, Udine, 2015