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mercoledì 17 agosto 2022

La collaborazione tra la Questura di Como e i comandi tedeschi si evince anche dall’episodio dell’arresto dei coniugi Levi


Como era la città da cui più facilmente si poteva scappare da Milano in Svizzera. <281 I collegamenti erano ottimi e comunque la distanza era breve. <282 Ad esempio un rapporto per il consolato di Berna da parte di quello di Lugano, dell’ottobre 1943, informava che parecchi ebrei tedeschi che erano precedentemente fuggiti in Italia erano riusciti a sconfinare in Svizzera. <283 Il 10 dicembre 1943 un indignato Von Thadden scrisse al Capo del RSHA e, per conoscenza, ad Eichmann, per sapere in qual modo intendevano fermare “die illegale Auswanderung von Juden aus Italien nach der Schweiz.” [“L’emigrazione illegale degli ebrei dall’Italia verso la Svizzera”] <284 Per questo motivo i tedeschi misero in campo un intero AK con circa 70 uomini e con giurisdizione su tutta la zona della frontiera. <285 Lo Judenreferent era tale Anton Hölzl (n.1907), un Kriminaloberassistent e SS Hauptscharführer, che secondo quanto emerso al processo contro Boßhammer, si era distinto nella “chiusura delle frontiere.” <286 Qui, dopo la caduta di Roma, venne a lavorare Hans Clemens, <287 che aveva collaborato con l’ufficio VI di quell’AK. Gli uomini addetti alla sorveglianza erano della V sezione della Grenzwache [Guardia di Frontiera] della scuola di Innsbruck, assieme a riservisti e territoriali austriaci in addestramento nel Tirolo. <288
Allo stato delle ricerche, non ci sono altre notizie sui metodi seguiti da questo AK. L’unica informazione è quella riportata dal settimanale “Avanguardia”, il periodico delle SS italiane, che nel numero del 12 agosto 1944 raccontava l’arresto, a Ponte Tresa (in provincia di Varese), di cinque ebrei che avevano cercato di varcare il confine. “Ma improvvisamente si udì un rauco <<alto là!>> Dall’oscurità balzarono sul gruppo, che emozionato bisbigliava parole ebraiche, e chiesero i documenti. Dopo gli accertamenti delle relative indagini le guardie seppero subito con chi avevano a che fare e la marcia verso la <<libertà federale>> finì per tutti nelle carceri di Como.” <289
Per quanto riguarda i comandi italiani la Questura era agli ordini dei Capi della provincia Renato Celio (fino al 18 aprile 1944) e poi Franco Scassellati, che potevano contare sia sulla Guardia di Finanza che sulla Seconda Legione della GNR confinaria “Monte Rosa”, agli ordini di Marcello Mereu. Questi, nel dicembre 1943, poté mandare un rapporto al Questore dove rivendicava con orgoglio l’arresto di 58 ebrei dai primi di ottobre. <290
La milizia confinaria si distinse anche per la quantità di valute sequestrate agli ebrei in fuga.
Secondo una “notizia per il Duce”, del gennaio 1944, “Dalla Milizia Confinaria sono stati repertati a far data dalla seconda decade di Settembre u.s. ad oggi, gioielli e valute pregiate per un valore di oltre quindici milioni appartenenti ad ebrei che tentavano di espatriare (nominativi principali: Sacerdoti e famiglia; Foà, Levi, Ascoli, Ottolenghi). Detti valori furono tutti versati al Capo della Provincia di Como.” <291 Tamburini in persona si congratulò con Scassellati per la sua efficienza, “gratificandolo” con un vaglia di 100.000 lire. <292
Alcune fonti fasciste raccontano il modo in cui gli ebrei milanesi, o di altre parti d’Italia, venivano arrestati mentre tentavano la fuga via Como. A Milano esistevano svariate organizzazioni che aiutavano gli ebrei a rifugiarsi nella Confederazione. Una di queste era stata organizzata da Fernanda Wittgens, come detto, che contava una quindicina di collaboratori. La professoressa trovava rifugi temporanei, carte d’identità false e organizzava i viaggi verso la Svizzera. Il gruppo venne scoperto grazie ad un infiltrato della Questura di Como, un ebreo di nome Harry Nadelreich. Questi era stato arrestato da due agenti della Questura di Milano, che invece di portarlo in prigione gli avevano prima estorto dei soldi, e poi lo avevano “associato nelle loro attività criminose”, cioè andare a caccia di ebrei da ricattare. Il 3 giugno, a Como, Nadelreich venne nuovamente arrestato, assieme ai due poliziotti, probabilmente mentre era alla ricerca di fuggiaschi. Il Questore di Como decise però di utilizzarlo come infiltrato e lo mandò a Milano assieme ad un suo agente per capire come funzionava il sistema degli espatri clandestini. Qui Nadelreich si presentò alla professoressa Wittgens come ebreo in fuga, facendosi dare documenti falsi e un rifugio, in attesa della spedizione verso la Svizzera. In questo modo, Nadelreich riuscì a scoprire l’intera rete di complicità che venne smantellata dalla polizia alla fine di luglio 1944. Nel frattempo, sempre Nadelreich era riuscito a fare arrestare altri tre ebrei stranieri che vivevano a Como, sempre fingendosi un perseguitato per motivi razziali. <293 Uno dei complici della Wittgens era un prete del Duomo di Milano, Padre Giannantonio Agosti, che dava consigli su come scappare nel confessionale. Fu arrestato il 13 giugno dentro il suo confessionale proprio nel Duomo. <294
La collaborazione tra la Questura di Como e i comandi tedeschi si evince anche dall’episodio dell’arresto dei coniugi Levi, residenti a Milano. Guido Levi e la moglie Luigia, nell’ottobre del 1943 avevano progettato la fuga in Svizzera. Il Prefetto di Como, avutane notizia da “informatore attendibile”, li fece “cautamente vigilare” e diede ordine di arrestarli alla Milizia confinaria non appena avessero tentato l’espatrio, cosa che avvenne il 23 ottobre. “Secondo le disposizioni del Comando delle S.S. Grenzbefehlstelle West di Cernobbio (Como) - continua il rapporto del Prefetto - trattandosi di ebrei, la Milizia Confinaria ha provveduto alla loro consegna a quel Comando.” <295
Oltre a collaborare con i comandi nazisti, anche la Prefettura di Como continuava a disporre arresti e deportazioni. Il 27 gennaio 1944, il Capo della provincia, all’epoca Renato Celio, inviò un rapporto al Ministero dell’interno con l’elenco di 46 ebrei che “in ottemperanza alle disposizioni vigenti, sono stati recentemente internati nel Capo di Fossoli di Carpi.” <296
Erano numerosi gli istituti religiosi che aiutavano la fuga in Svizzera. Uno di questi era l’Istituto Palazzolo, diretto da certa Madre Donata, su indicazione del Cardinale Schuster. “L’arresto di alcuni ebrei a Como, che rivelarono l’indirizzo del loro precedente rifugio e fecero nomi, provocò l’arresto della Madre e la fine dell’opera. Quando i tedeschi effettuarono la perquisizione del Palazzolo, vi erano ancora 17 ebrei. Le suore riuscirono a farne nascondere alcuni fra le macerie, altri nell’ascensore fermato tra i due piani. Il giorno dopo le SS tornarono e scoprirono solo 3 donne ebree. Ne portarono via due, lasciarono la terza perché moribonda.” <297
Probabilmente furono gli arresti alla frontiera di Como a far scoppiare lo “scandalo” degli ebrei nascosti e fatti scappare in Svizzera esploso nell’agosto del 1944, quando una serie di operazioni di polizia portò alla luce la rete degli istituti religiosi. Giudei nei conventi di Milano, titolò a tutta pagina il settimanale delle SS italiane “Avanguardia”, il 12 agosto 1944, illustrando l’articolo con un disegno che raffigurava un crocifisso che si rivolgeva ad un gruppo di frati e monache con la frase “Perché proteggete chi mi ha crocifisso?” <298 Il giornale “Sveglia!”, di Milano, chiedeva invece di “colpire decisamente e duramente” i sacerdoti che nascondevano o facevano scappare gli ebrei. <299
A differenza di Roma, dove le irruzioni suscitarono la protesta pubblica dell’”Osservatore romano”, nella diocesi di Milano il cardinale Ildefonso Schuster decise di rispondere con una lettera privata indirizzata “alle supreme autorità” fasciste del capoluogo lombardo. In questa missiva il cardinale scrisse in maniera estremamente chiara che tutti i cristiani era obbligati a dare ospitalità agli ebrei, anche se ovviamente l’alto prelato parlava di coloro che erano bisognosi perché infermi o indigenti: “A tutti costoro [i religiosi arrestati] si attribuisce a debito l’opera della cristiana carità, da lor apprestata a dei poveri Israeliti, vecchi, infermi ed oppressi dalla più tetra miseria. Abbiamo già avuto più volte occasione di spiegare alle Supreme Autorità, che se l’esercizio di tale carità è un delitto, allora siamo rei tutti quanti i cristiani, anche i protestanti, perché è il Vangelo stesso di Cristo che ci fa obbligo di soccorrere i poveri, specialmente quelli che si trovano in estrema necessità.” <300
Anche in questo caso, è da sottolineare il fatto che il Cardinale si rivolgesse alle autorità italiane, e non a quelle tedesche, cosa che fa pensare che, come a Roma, fossero gli italiani ad essere impegnati nelle razzie nei conventi. <301
I religiosi non erano i soli a dare problemi alla Questura di Como. Anche la Guardia di Finanza, che doveva teoricamente controllare i confini con compiti di polizia economica, aveva un comportamento al limite del tradimento. <302 Il Commissario Capo Alfredo Pachino, responsabile per il Commissariato per i servizi di Frontiera di Como, scrisse una lettera indignata al Capo della Polizia denunciando la GdF che fingeva di ignorare “l’intenso traffico clandestino di corrispondenza e probabilmente anche di persone.” Tra gli esempi riportati dal funzionario, vi era quello di un finanziere che aveva fermato degli ebrei, e per questo motivo era stato trasferito per punizione dal suo superiore. <303 Offesissimo, il comandante della Guardia di Finanza rispose alle accuse inviando a sua volta al Capo della Polizia un prospetto con tutti gli arresti effettuati dal suo corpo “Nel tratto di frontiera italo-svizzera compreso fra il cippo 116-A (Rodero) e Pizzo Martello (Como)”. Gli arresti, avvenuti tra il febbraio ed il dicembre 1943, erano stati 76, dei quali 26 sono di persone di probabile origine ebraica. <304
Anche nel caso di Milano, insomma, come di quello di Roma, mentre i singoli collaboratori e i corpi armati nati durante la RSI si distinsero per la decisione con la quale perseguitavano gli ebrei, le forze di polizia “tradizionali” si contraddistinguevano per l’ambiguità del comportamento. E’ praticamente impossibile trarre delle conclusioni decise o tracciare una linea netta tra chi era costretto a cooperare, e faceva del suo meglio per evitare di arrestare gli ebrei, e chi invece collaborava con entusiasmo e convinzione. Ad ogni documento che fa pesare la bilancia da una parte, corrisponde immediatamente uno contrario.
E’ comunque evidente che, a Roma come in Lombardia, la Polizia e la Guardia di Finanza non erano dei corpi di cui i tedeschi, e neppure i fascisti, si potevano fidare. Corruzione, incapacità, paura, scarsa convinzione ideologica, “pietismo”, <305 vero e proprio antifascismo, erano le tare che contraddistinguevano poliziotti e finanzieri. Per questo motivo, anche a Como, il proliferare di corpi armati “politici” fu visto con favore dai tedeschi, che li utilizzarono largamente e spesso con successo.
[NOTE]
281 Ovviamente Como, anche se la più importante, non era la sola città di confine attraverso la quale gli ebrei cercavano la fuga in Svizzera. Ad esempio il Capo della Provincia di Sondrio, Rino Parenti, il 14 dicembre 1943 informava il Ministero dell’interno dell’arresto di sei ebrei (quattro uomini e due donne), che si erano recati nella sua città per tentare di espatriare. Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’interno RSI, Direzione Genenerale di Ps., Divisione Affari Generali e Riservati, II Guerra Mondiale. Ebrei Internati, b.30. Tutti e sei gli ebrei furono uccisi ad Auschwitz.
282 Sono numerose le testimonianze nella sezione di audiovisivi dello Yad Vashem di ebrei che sono fuggiti, o hanno tentato di fuggire, in Svizzera passando per Como. Ad esempio Anna Abbiate Fubini, YVA file n.7421112; Emma Elbert, YVA file n.7423651. Secondo Renzo De Felice, gli ebrei fuggiti in Svizzera durante l’occupazione furono tra i 5 e i 6.000 Renzo De Felice, Introduzione a Nicola Caracciolo, Gli ebrei e l’Italia durante la guerra 1940-45, Bonacci, Roma, 1986, p.11.
283 YVA, Tr.3/967.
284 YVA, Tr.3/967.
285 Carlo Gentile - Lutz Klinkhammer, Gegen die Verbündeten von einst, cit., p.528. Nel saggio, Intelligence e repressione politica, Carlo Gentile cita Joesf ‘Sepp’ Vötterl, un capitano delle SS austriaco della divisione Leibstandarte Adolf Hitler, veterano di Russia, come comandante dei nuclei della SiPo-SD ai posti di confine.
286 YVA, Processo Boßhammer, p.27.
287 Landesarchiv NRW, Abteilung Westfalen, Münster, Q 234, 3032. In copia presso l’Archivio della Fondazione Museo della Shoah di Roma.
288 Renata Broggini, La frontiera della speranza. Gli ebrei dall’Italia verso la Svizzera 1943-1945, Mondadori, Milano, 1998, p.57.
289 Intermezzo notturno a Ponte Tresa, “Avanguardia”, 12 agosto 1944.
290 “E’ così che la corsa verso il confine degli ebrei, che con la fuga nell’ospitale terra elvetica - rifugio di rabbini - tentano di sottrarsi alle provvidenziali e lapidarie leggi fasciste, è ostacolata dalle vigili pattuglie della GNR che, indefessamente, su tutti i percorsi, anche i più rischiosi, con qualsiasi tempo e in qualsiasi ora, con turni di servizio volontariamente prolungati, vigilano per sfatare ogni attività oscura e minacciosa di questi maledetti figli di Giuda. Ebrei fermati nel territorio di questa Provincia ammontano, dai primi di ottobre a oggi, a cinquantotto.” Citato in Renata Broggini, La frontiera della speranza, cit., p.58.
291 Archivio Centrale dello Stato, Carte Barracu, b.3, “Notizia per il Duce” del 27 gennaio 1944.
292 Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno RSI, Gabinetto, b.13, telegramma di Tamburini a Scassellati del 21 giugno 1944.
293 Archivio centrale dello Stato, Ministero dell‘Interno, Direzione Generale di Ps, Divisione affari generali e riservati, b.10, rapporto del Questore di Como Lorenzo Pozzoli.
294 Dorina di Vita, Gli ebrei di Milano sotto l’occupazione nazista, cit., p.39.
295 Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Segreteria Particolare del Capo della Polizia RSI, b.38, rapporto del Prefetto di Como del 9 novembre 1943.
296 Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’interno RSI, Direzione Genenerale di Ps., Divisione Affari Generali e Riservati, II Guerra Mondiale. Ebrei Internati, b.11.
297 Ivi, p.40.
298 La polemica contro la Chiesa cattolica era cominciata nel febbraio del 1944, come detto, dopo l’irruzione a San Paolo a Roma. Nel giugno 1944, “Brescia Repubblicana” aveva attaccato duramente il Vaticano commentando la notizia che il rabbino capo di Roma aveva pubblicamente ringraziato la Chiesa per l’aiuto dato agli ebrei durante l’occupazione (La riconoscenza degli ebrei per le autorità vaticane, “Brescia repubblicana”, 22 giugno 1944). Nel luglio del 1944 Mussolini riprese la polemica attaccando i preti cattolici che “si fanno, consciamente o meno, fautori dell’anarchia, del disordine, dell’opposizione alle leggi, del crimine. Cioè vanno contro l’insegnamento che la Chiesa, nella frase evangelica <<Date a Cesare>>, ha sempre professato.” Stato e Chiesa, “La Stampa”, 15 luglio 1944. Questo articolo comparve nella rubrica La nota della Corrispondenza Repubblicana, lo strumento con cui Mussolini, pur non firmando gli articoli, interveniva sulla stampa. Su Mussolini giornalista si dilungano per tutto il volume Giorgio Pini - Duilio Susmel, Mussolini. L’uomo e l’opera, Vol.IV, cit. Contro Schuster si scagliò anche il “Corriere della Sera”, che nel numero del primo ottobre 1944 aveva pubblicato un articolo intitolato Abramo e sua moglie, firmato da Goffredo Coppola. Il 10 ottobre successivo anche Farinacci, su “Regime fascista”, pubblicava un articolo dal titolo Abramo fa scuola, sempre contro Schuster.
299 Biancospino, Due palmi più giù, “Sveglia!”, 18 agosto 1944.
300 Archivio di Stato di Milano, Prefettura, Gabinetto, b.365, lettera di Ildefonso Schuster “alle supreme autorità” del 24 luglio 1944. Questo documento non venne citato tra quelli pubblicati dal cardinale nel suo libro Gli ultimi tempi di un regime, cit.
301 Schuster scrisse nuovamente a Mussolini il 30 ottobre 1944, lamentando il caos nella sua diocesi dovuto alla “dozzina di compagnie e squadre autonome”, e sottolineando che “sarebbe troppo lunga la lista dei nostri Parroci e Sacerdoti carcerati, schiaffeggiati, malmenati […].” Archivio Centrale dello Stato, Segreteria Particolare del Duce RSI, carteggio riservato, b.49, lettera di Schuster a Mussolini del 30 ottobre 1944. L’atteggiamento antifascista del clero, e delle gerarchie dell’Arcidiocesi, era talmente preoccupante che il prefetto di Milano preparava una “relazione mensile sul Clero” direttamente per Mussolini. I rapporti si trovano Archivio Centrale dello Stato, Segreteria Particolare del Duce RSI, Carteggio riservato, b.17.
302 Alcune testimonianze di ebrei che furono lasciati scappare in Svizzera dai finanzieri in Renata Broggini, La frontiera della speranza, cit., cap.III.
303 Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Segreteria particolare del Capo della Polizia RSI, b.29, rapporto di Alfredo Pachino al Ministero dell’Interno del 12 marzo 1944. Un altro episodio, riportato dal notiziario della Gnr, è quello del brigadiere della Gdf di Como che era stato sorpreso a mentre aiutava due “individui provenienti da Venezia” a scappare in Svizzera. Segreteria Particolare del Duce RSI, Carteggio riservato, b.5, “Relazione mensile” della Gnr di Como per il mese di aprile 1944.
304 Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Segreteria particolare del Capo della Polizia RSI, b.75.
305 Per i fascisti i “pietisti” erano coloro che, per motivi umanitari, aiutavano gli ebrei. Era un aggettivo negativo.
Amedeo Osti Guerrazzi, Tedeschi, Italiani ed Ebrei. Le polizie nazi-fasciste in Italia 1943-1945 in Pensare e insegnare la Shoah, attività e materiali, Assemblea legislativa. Regione Emilia-Romagna. Percorsi della memoria