In quegli stessi mesi si intensificarono [da parte della Banda Madonna del Monte] le azioni di sabotaggio contro gli automezzi tedeschi accantonati e mimetizzati nei castagneti: approfittando dell’assenza di sorveglianza, o del riposo dei soldati di guardia, i patrioti «strisciando sul terreno si approssimavano con grande precauzione, tagliavano le gomme o asportavano altre parti» <1652. Quando poi i tedeschi, a scopo precauzionale, trasferirono i loro automezzi nelle vie dell’abitato, la banda interruppe tali proficui sabotaggi nel timore che il paese, con cotanta presenza di mezzi per le strade, divenisse obiettivo bellico di eventuali bombardamenti alleati, preferendo trasferirne l’attività lungo la strada Turanense <1653. Questa stessa via di comunicazione assunse grande rilevanza nel mese di maggio, durante il quale fu percorsa dall’intensissimo traffico di mezzi, truppe e salmerie tedesche in via di evacuazione in direzione Rieti <1654: approfittando dei frequenti mitragliamenti da parte di aerei alleati che gettavano scompiglio e morte tra nelle colonne tedesche, i partigiani della banda, nascostisi «in luoghi riparati da alte siepi, da rocce e da ponti […] piombavano sulle macchine ancora incolumi, le danneggiavano e quindi assalivano i tedeschi che tentavano di resistere» <1655. Il Laurenzi riferì anche di azioni di danneggiamento di ponti in località Pontone e Rionardo che portavano a depositi di automezzi e attrezzature tedeschi e di ostruzione delle strade di fortuna approntate dai tedeschi, con sbarramenti stradali, travi, massi di pietra e chiodi <1656.
Ai primi di giugno, giunta la notizia della liberazione della Capitale, i patrioti della banda abbandonarono ogni precauzione ed agirono apertamente contro le retroguardie tedesche sulla strada Bivio Petescia, in località Cese e lungo la strada per Collalto <1657, catturando numerosi prigionieri <1658, che furono poi consegnati agli Alleati che procedettero all’occupazione della frazione su loro diretta chiamata <1659. Il Laurenzi ed i suoi uomini furono quindi incaricati dagli Alleati - il maggiore Paggini specificò «assieme con gli insufficienti» carabinieri a svolgere servizio di ordine nella zona <1660 e di propria iniziativa eseguirono servizio di riparazione strade, segnalazione e bonifica delle numerose mine collocate dai tedeschi lungo la via Turanense <1661: operazioni queste ultime che costarono la vita al partigiano Antonio Barone ucciso dall’esplosione di uno degli ordigni <1662.
Nella vicina Pereto, fin da settembre 1943 iniziò l’attività di Antonio Camerlengo, che in licenza <1663 nel suo paese natio, alla data dell’armistizio, «nella confusione generale dei giorni successivi all’8/9/43 [decise] di mantener fede al mio giuramento di soldato schierandomi con ogni mezzo a disposizione contro i tedeschi» <1664. Come da lui stesso riferito, fin dalla fine di settembre lasciò il paese in seguito allo stanziarvisi di un contingente tedesco ed alle prime chiamate alle armi del governo repubblicano, per trasferirsi con i più fidati tra i suoi collaboratori alla macchia in montagna, da cui avrebbe potuto svolgere con maggior agio le sue progettate attività. Queste nei fatti si concretizzarono nell’assistenza ai prigionieri alleati affluiti nella zona, all’opera di propaganda antinazista ed antifascista presso i giovani del paese affinché non si presentassero ai bandi di leva repubblicani <1665 e negli atti di sabotaggio compiuti in gran numero soprattutto lungo la direttrice della S.S. n. 5 <1666. Per contro le azioni armate furono per sua espressa decisione evitate per quanto possibile, «poiché avevo notato che i tedeschi non eseguivano feroci rappresaglie per atti di sabotaggio in cui non ci scappasse il morto» <1667. Nel computo finale di tutte le attività compiute da Camerlengo ed i suoi collaboratori, si contarono: «Interruzioni telegrafiche: 13, Interruzioni telefoniche: 17; Autocolonne attaccate: 7; Automezzi danneggiati: 25; Motociclisti scalzati (calzature consegnate ai P.O.W.): 5; Altri tedeschi feriti: 8; Tedeschi probabilmente uccisi: 2; Armi asportate: automatiche 4, fucili 7, pistole 5» <1668.
Secondo una stima dello stesso Camerlengo furono all’incirca 300 gli ex prigionieri alleati evasi dai campi di concentramento <1669, che vennero tra il settembre ed il giugno riforniti di viveri <1670, indumenti <1671 e medicinali <1672. Alcuni tra essi vennero ricoverati in fienili e casolari nella zona, mentre la maggior parte vennero indirizzati prima personalmente dal Camerlengo verso il fronte di Sora, poi dal gennaio per interposta persona <1673 verso il fonte di Cassino e di Anzio. Fondamentale per la sua attività risultò l’apporto ed il sostegno prestato dai frati del Convento Maria Santissima dei Bisognosi <1674 situato su un monte a circa 5 km. a sud di Pereto, che per la sua ubicazione «era il passaggio obbligato per i numerosi prigionieri di guerra alleati affluenti da ogni luogo» <1675. Riferì il padre Guardiano del Convento, padre Doroteo Bertoldo, che per tutto il periodo di occupazione restò in continuo contatto con il Camerlengo, avendo modo di coadiuvarlo nell’assistenza ai prigionieri, di sottrarlo all’arresto in almeno un’occasione <1676, e di prestargli i locali del Convento per gli incontri con gli Ufficiali italiani fuggiti da Roma <1677. La prolungata attività del Convento non sfuggì all’attenzione delle spie al soldo dei tedeschi che quindi procedettero a più riprese a sopralluoghi e rappresaglie <1678, non riuscendo mai a sorprendervi «né prigionieri alleati, né il sottoscritto [il Camerlengo Antonio] né gli altri sbandati italiani, pur sapendo che lassù era un afflusso continuo di tal gente» <1679.
In contemporanea fin dalla fine di settembre furono avviate le azioni di sabotaggio: «interruzioni periodiche di linee di comunicazione tedesche nella Piana del Cavaliere <1680; posa di chiodi conficcati in apposite stecche di legno lungo la S.S. n° 5; disarmati, scalzati e malmenati vari portaordini tedeschi» <1681; a cui va aggiunta la sottrazione di armi dalla locale stazione dei CC.RR. <1682.
Dal gennaio 1944 le attività del Camerlengo si concentrarono soprattutto lungo la Tiburtina Valeria su cui notte tempo si era intensificato il traffico notturno di autocolonne tedesche. Giunti in zona cinque paracadutisti inglesi <1683, li accompagnò in diversi sopralluoghi di ricognizione nella galleria di Monte Bove ed ai ponti stradali e ferroviari presso Carsoli <1684; quindi approfittando delle frequenti incursioni aree della RAF «in vigilanza sulla zona <1685» e coadiuvato anche da un numero crescente di patrioti, intensificò le azioni di disturbo e sabotaggio. In più occasioni, le ultime due macchine delle autocolonne tedesche furono fatte oggetto di colpi di arma da fuoco, mirati alle gomme o ai motori, Su precisa disposizione del Camerlengo non vennero mai colpiti soldati tedeschi <1686.
Al contempo il capobanda si adoperò nel tentativo di recuperare un apparecchio ricetrasmittente mediante cui stabilire un collegamento diretto con il Comando alleato: l’occasione propizia parve presentarsi all’abbattimento di un caccia tedesco monoposto ad opera dell’aviazione alleata. Arrivato sul luogo con altri e constatato che il pilota illeso si era già dileguato e che la radio era intatta, il Camerlengo ed un prigioniero tedesco avevano iniziato a smontarla mentre i compagni si occupavano di asportare le mitragliatrici dalle ali. A breve però sopraggiunse con il favore della notte una pattuglia tedesca e temendo l’accerchiamento, il gruppo fu costretto a dileguarsi <1687.
Nel marzo, a seguito della più massiccia presenza di pattuglie tedesche nelle campagne e montagne della zona, il Camerlengo, che ormai poteva contare su un buon numero di collaboratori, differenziò le azioni: ai sabotaggi condotti ancora contro le autocolonne tedesche si aggiunsero azioni di sorveglianza del territorio, infiltrazioni di patrioti - presentatisi come guide - nelle file nemiche così da deviarne il campo di ricognizione lungo sentieri lontani dai ricoveri dei prigionieri <1688, e successivamente anche azioni di depistaggio <1689 nei confronti di reggimenti tedeschi appiedati, strategicamente indirizzati lungo la strada verso Rieti dove era più probabile che fossero sorpresi dalla «luminaria della morte» <1690.
Nel maggio, con la sopraggiunta progressiva ritirata tedesca, fu possibile per il Camerlengo abbandonare la cautela fino ad ora utilizzata, per condurre infine azioni armate contro le retrovie nemiche <1691 lungo la tratta Carsoli-Colli di M. Bove <1692, riuscendo in un caso, complice una «forte pioggia», ad asportare da una carretta una cassa con tre mitragliatrici Breda , «senza che le due “mummie”, che chiudevano la colonna, passate ad un certo momento avanti con il conducente, si avvedessero di nulla» <1693. Nel frattanto nei paesi, la popolazione «cominciò a digrignare i denti» e così fascisti e repubblichini sbandati vennero regolarmente disarmati, e tedeschi razziatori «si sono visti presi a sassate e schioppettate e, inseguiti hanno dovuto rilasciare il bestiame catturato» <1694.
[NOTE]
1652 Comando Divisionale tedesco n. 357.
1653 Il 6 marzo asportate 4 moto sulla strada Turanense in località Madonna delle Grazie; l’11 di aprile distrutte 2 moto ed in camion su stesso tratto stradale. Cfr. ivi, relazione cronologica di Laurenzi Carlo.
1654 Cfr. ivi, relazione di Laurenzi Carlo del giugno 1944.
1655 Dette incursioni si svolsero in località Madonna, Casalecchie, Pontone, ed «in queste stesse circostanze venivano tolti ai cadaveri nemici i documenti di cui erano in possesso […]. Alcuni di questi documenti esistono ancora, altri vennero consegnati a suo tempo al Comando Alleato quando nel giugno fu invitato ad occupare la zona», ibidem.
1656 In seguito a dette azioni furono danneggiati un gran numero di automezzi (cfr. ivi, relazione cronologica di Laurenzi Carlo) ed i tedeschi in precipitosa ritirata furono costretti ad abbandonare mezzi, carburante, compressori e vario altro materiale che poi fu consegnato dalla banda alle Autorità Alleate «o utilizzato, previo permesso, per utilità pubblica», ivi, relazione di Laurenzi Carlo del giugno 1944.
1657 Cfr. ibidem.
1658 Oltre una ventina, tra cui sette di loro catturati sulla strada di Cese il 9 giugno 1944, e 19 cecoslovacchi fatti prigionieri in località Macchie della Chiesa il 10 giugno 1944. Cfr. ivi, relazione cronologica di Laurenzi Carlo.
1659 Il Laurenzi specifica che una volta liberata la zona, si provvide a mettersi in comunicazione con gli Alleati che inviarono solo un graduato e due soldati su di una camionetta per prendere possesso della frazione dintorni. Cfr. ivi, relazione di Laurenzi Carlo del giugno 1944.
1660 Cfr. ivi, dichiarazione del maggior Paggini.
1661 Cfr. ivi, relazione cronologica di Laurenzi Carlo.
1662 L’episodio è controverso tanto che il Barone non ha avuto il riconoscimento di caduto per la lotta di Liberazione. Riferì in un secondo tempo il Laurenzi che «a rigore di termini e per essere obiettivo fino allo scrupolo, dichiaro che il caduto Barone Antonio il giorno della sua morte era stato scaglionato con altri partigiani lungo la strada carrozzabile Rieti Carsoli per indicare alle truppe di passaggio alleate quale fosse la zona minata. Da indagini da me espletate coscienziosamente dopo la contestazione di codesta Commissione, sembra che in effetti il Barone Antonio si fosse allontanato dal suo servizio», ivi, missiva di Laurenzi Carlo alla Commissione, del 6 giugno 1946.
1663 Come specificato dallo stesso Camerlengo trattavasi di una «licenza di un mese per la lunga permanenza in mare (in servizio ininterrotto dal 938)», ivi, Banda Madonna del Monte, relazione di Camerlengo Antonio.
1664 Ivi, dichiarazione di Camerlengo Antonio.
1665 Cfr. ivi, dichiarazione del parroco di Pereto don Felice Balla, del 13 febbraio 1947. Al fine di prevenire possibili arresti dei renitenti, il Camerlengo provvide in un secondo ed in concorso con l’ex Commissario Prefettizio, a trafugare e nascondere le liste di leva. Cfr. ivi, relazione e atto notorio presso il comune di Pereto del 9 febbraio 1947 di Camerlengo Antonio.
1666 Cfr. ivi, relazione di Camerlengo Antonio.
1667 Ibidem.
1668 Ivi, supplemento alla relazione dell’attività partigiana della banda del 15 settembre 1944.
1669 A cui si assommarono i molti soldati russi a cui prestò sostegno dopo essere riuscito a farli disertare dalle truppe tedesche. Cfr. ivi, relazione di Camerlengo Antonio.
1670 Acquistati inizialmente alla borsa nera a spese dello stesso Camerlengo, e poi con il concorso economico di un partigiano facoltoso e di collette organizzate per i vari quartieri del paese: 3 q.li di grano, 1q. di granturco, 2 q. di patate, un vitellino da latte e mezzo maiale per farne salsicce. Cfr. ibidem.
1671 Soprattutto scarpe nuove ed usate fondamentali nel rigido inverno abruzzese, «crudo e precoce», ibidem.
1672 Non pochi gli ex prigionieri definiti «malaticci» che richiesero cure e farmaci. Ibidem.
1673 Nelle persone dell’ufficiale postale, sergente Ciprani, e del tenente di aviazione Nocella Carlo. Cfr. ibidem.
1674 Cfr. ivi, dichiarazione del padre Guardiano Doroteo Bertoldo del 3 febbraio 1946.
1675 Ibidem.
1676 L’episodio è testimonio dall’atto di notorietà presso il Comune di Oricola del 10 febbraio 1947 su dichiarazione del Camerlengo: «nel mese di ottobre 1943, durante l’occupazione tedesca fui ricercato presso il convento “Madonna del Monte de Bisognosi”, sfuggii a sicura cattura perché avvisato in tempo dal Padre Guardiano del Convento. I tedeschi per rappresaglia sfasciarono le porte del convento, spararono sulla legnaia e nella stalla e portarono via generi alimentari dal convento», ivi, atto di notorietà di Camerlengo Antonio.
1677 Secondo quanto dichiarato del padre Guardiano: «spesso il Convento aveva l’aspetto di un quartiere generale e di un campo di smistamento: ed Ufficiali italiani e di tutte le nazioni unite, prigionieri di tutte le lingue isolati ed a gruppi a tutti venivano forniti da me viveri per il viaggio verso il fronte ed i più malandati anche di numerosi capi di biancheria e di altri vestiari», ivi, dichiarazione del padre Guardiano Doroteo Bertoldo del 3 febbraio 1946.
1678 Il padre Guardiano descrisse nel dettaglio gli esiti di tali incursioni: in un’occasione «mi portavano via viveri, mi uccidevano a raffiche di mitra le galline, puntando le armi spesso anche in faccia a me»; mentre in un’altra dopo insulti, minacce e vari atti di vandalismo «mi portarono via papere, galline e prosciutti»; e ancora: «mi portarono via, dopo averlo mitragliato un maiale già grasso», oltre a vari capi di scarpe e biancheria. Inoltre, vi fu la periodica spogliazione «di quanto la pietà dei fedeli gli aveva elargito», ibidem. L’intensa attività tedesca contro il Convento fu testimoniata anche dal Camerlengo secondo cui i religiosi dovettero subire a più riprese distruzioni, rapine di viveri e bestiame da cortile. Cfr. ivi, relazione di Camerlengo Antonio.
1679 Ibidem.
1680 Sia telegrafiche che telefoniche. Cfr. ivi., sintesi dell’attività della banda.
1681 Ivi, relazione di Camerlengo Antonio.
1682 Entrarono nella Caserma «dai tetti per una finestra di dove pochi minuti prima erano riusciti a fuggire il brigadiere e due carabinieri (gli altri tre carabinieri, due dei quali, Sbaraglia e Pietrini, si dimostrarono in seguito zelantissimi nazi-fascisti, non avevano aderito la sera precedente al mio invito di disciogliere la caserma e mettere a mia disposizione le relative armi e munizioni)», ibidem. Il Parroco di Pereto don Felice Balla, testimone indiretto dell’azione, specificò che i patrioti penetrarono nella Caserma «passando dalla finestra del mio sacrestano e sui tetti», ivi, dichiarazione di don Balla del 13 febbraio 1947.
1683 Quattro paracadutisti al comando di un maresciallo. Cfr. ivi, relazione di Camerlengo Antonio.
1684 Cfr. ibidem.
1685 Ibidem.
1686 Cfr. ibidem.
1687 Cfr. ibidem.
1688 Cfr. ibidem.
1689 «Più di qualche volta sono riuscito a far bere delle grosse “balle” agli ufficiali d’alloggio che precedevano in macchina la truppa: dicevo che il bosco era stato scoperto dall’aviazione alleata che vi aveva fatto strage di “poveri camerati” fin dalla notte scorsa», ibidem.
1690 Ibidem.
1691 «[…] verso gli ultimi giorni dell’occupazione tedesca il tenente [Camerlengo Antonio] ed otto giovani s’erano appostati per massacrare i tedeschi che presidiavano Pereto. Fu per l’intervento del sottoscritto e specialmente di un nipote, anch’egli sacerdote che 18 tedeschi poterono partire incolumi da Pereto. L’intervento dei sacerdoti in quella occasione, fu determinato da desiderio di tutta la popolazione di non lanciare il paese nell’avventura di possibili rappresaglie proprio gli ultimi giorni della tirannia nazifascista», ivi, dichiarazione del Parroco di Pereto don Felice Balla del 13 febbraio 1947.
1692 Luogo di appostamento: tra il 175° e 76° km. da Roma. Cfr. ivi, relazione di Camerlengo Antonio.
1693 Ibidem.
1694 Ibidem.
Fabrizio Nocera, Le bande partigiane lungo la linea Gustav. Abruzzo e Molise nelle carte del Ricompart, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, Anno Accademico 2017-2018
Ai primi di giugno, giunta la notizia della liberazione della Capitale, i patrioti della banda abbandonarono ogni precauzione ed agirono apertamente contro le retroguardie tedesche sulla strada Bivio Petescia, in località Cese e lungo la strada per Collalto <1657, catturando numerosi prigionieri <1658, che furono poi consegnati agli Alleati che procedettero all’occupazione della frazione su loro diretta chiamata <1659. Il Laurenzi ed i suoi uomini furono quindi incaricati dagli Alleati - il maggiore Paggini specificò «assieme con gli insufficienti» carabinieri a svolgere servizio di ordine nella zona <1660 e di propria iniziativa eseguirono servizio di riparazione strade, segnalazione e bonifica delle numerose mine collocate dai tedeschi lungo la via Turanense <1661: operazioni queste ultime che costarono la vita al partigiano Antonio Barone ucciso dall’esplosione di uno degli ordigni <1662.
Nella vicina Pereto, fin da settembre 1943 iniziò l’attività di Antonio Camerlengo, che in licenza <1663 nel suo paese natio, alla data dell’armistizio, «nella confusione generale dei giorni successivi all’8/9/43 [decise] di mantener fede al mio giuramento di soldato schierandomi con ogni mezzo a disposizione contro i tedeschi» <1664. Come da lui stesso riferito, fin dalla fine di settembre lasciò il paese in seguito allo stanziarvisi di un contingente tedesco ed alle prime chiamate alle armi del governo repubblicano, per trasferirsi con i più fidati tra i suoi collaboratori alla macchia in montagna, da cui avrebbe potuto svolgere con maggior agio le sue progettate attività. Queste nei fatti si concretizzarono nell’assistenza ai prigionieri alleati affluiti nella zona, all’opera di propaganda antinazista ed antifascista presso i giovani del paese affinché non si presentassero ai bandi di leva repubblicani <1665 e negli atti di sabotaggio compiuti in gran numero soprattutto lungo la direttrice della S.S. n. 5 <1666. Per contro le azioni armate furono per sua espressa decisione evitate per quanto possibile, «poiché avevo notato che i tedeschi non eseguivano feroci rappresaglie per atti di sabotaggio in cui non ci scappasse il morto» <1667. Nel computo finale di tutte le attività compiute da Camerlengo ed i suoi collaboratori, si contarono: «Interruzioni telegrafiche: 13, Interruzioni telefoniche: 17; Autocolonne attaccate: 7; Automezzi danneggiati: 25; Motociclisti scalzati (calzature consegnate ai P.O.W.): 5; Altri tedeschi feriti: 8; Tedeschi probabilmente uccisi: 2; Armi asportate: automatiche 4, fucili 7, pistole 5» <1668.
Secondo una stima dello stesso Camerlengo furono all’incirca 300 gli ex prigionieri alleati evasi dai campi di concentramento <1669, che vennero tra il settembre ed il giugno riforniti di viveri <1670, indumenti <1671 e medicinali <1672. Alcuni tra essi vennero ricoverati in fienili e casolari nella zona, mentre la maggior parte vennero indirizzati prima personalmente dal Camerlengo verso il fronte di Sora, poi dal gennaio per interposta persona <1673 verso il fonte di Cassino e di Anzio. Fondamentale per la sua attività risultò l’apporto ed il sostegno prestato dai frati del Convento Maria Santissima dei Bisognosi <1674 situato su un monte a circa 5 km. a sud di Pereto, che per la sua ubicazione «era il passaggio obbligato per i numerosi prigionieri di guerra alleati affluenti da ogni luogo» <1675. Riferì il padre Guardiano del Convento, padre Doroteo Bertoldo, che per tutto il periodo di occupazione restò in continuo contatto con il Camerlengo, avendo modo di coadiuvarlo nell’assistenza ai prigionieri, di sottrarlo all’arresto in almeno un’occasione <1676, e di prestargli i locali del Convento per gli incontri con gli Ufficiali italiani fuggiti da Roma <1677. La prolungata attività del Convento non sfuggì all’attenzione delle spie al soldo dei tedeschi che quindi procedettero a più riprese a sopralluoghi e rappresaglie <1678, non riuscendo mai a sorprendervi «né prigionieri alleati, né il sottoscritto [il Camerlengo Antonio] né gli altri sbandati italiani, pur sapendo che lassù era un afflusso continuo di tal gente» <1679.
In contemporanea fin dalla fine di settembre furono avviate le azioni di sabotaggio: «interruzioni periodiche di linee di comunicazione tedesche nella Piana del Cavaliere <1680; posa di chiodi conficcati in apposite stecche di legno lungo la S.S. n° 5; disarmati, scalzati e malmenati vari portaordini tedeschi» <1681; a cui va aggiunta la sottrazione di armi dalla locale stazione dei CC.RR. <1682.
Dal gennaio 1944 le attività del Camerlengo si concentrarono soprattutto lungo la Tiburtina Valeria su cui notte tempo si era intensificato il traffico notturno di autocolonne tedesche. Giunti in zona cinque paracadutisti inglesi <1683, li accompagnò in diversi sopralluoghi di ricognizione nella galleria di Monte Bove ed ai ponti stradali e ferroviari presso Carsoli <1684; quindi approfittando delle frequenti incursioni aree della RAF «in vigilanza sulla zona <1685» e coadiuvato anche da un numero crescente di patrioti, intensificò le azioni di disturbo e sabotaggio. In più occasioni, le ultime due macchine delle autocolonne tedesche furono fatte oggetto di colpi di arma da fuoco, mirati alle gomme o ai motori, Su precisa disposizione del Camerlengo non vennero mai colpiti soldati tedeschi <1686.
Al contempo il capobanda si adoperò nel tentativo di recuperare un apparecchio ricetrasmittente mediante cui stabilire un collegamento diretto con il Comando alleato: l’occasione propizia parve presentarsi all’abbattimento di un caccia tedesco monoposto ad opera dell’aviazione alleata. Arrivato sul luogo con altri e constatato che il pilota illeso si era già dileguato e che la radio era intatta, il Camerlengo ed un prigioniero tedesco avevano iniziato a smontarla mentre i compagni si occupavano di asportare le mitragliatrici dalle ali. A breve però sopraggiunse con il favore della notte una pattuglia tedesca e temendo l’accerchiamento, il gruppo fu costretto a dileguarsi <1687.
Nel marzo, a seguito della più massiccia presenza di pattuglie tedesche nelle campagne e montagne della zona, il Camerlengo, che ormai poteva contare su un buon numero di collaboratori, differenziò le azioni: ai sabotaggi condotti ancora contro le autocolonne tedesche si aggiunsero azioni di sorveglianza del territorio, infiltrazioni di patrioti - presentatisi come guide - nelle file nemiche così da deviarne il campo di ricognizione lungo sentieri lontani dai ricoveri dei prigionieri <1688, e successivamente anche azioni di depistaggio <1689 nei confronti di reggimenti tedeschi appiedati, strategicamente indirizzati lungo la strada verso Rieti dove era più probabile che fossero sorpresi dalla «luminaria della morte» <1690.
Nel maggio, con la sopraggiunta progressiva ritirata tedesca, fu possibile per il Camerlengo abbandonare la cautela fino ad ora utilizzata, per condurre infine azioni armate contro le retrovie nemiche <1691 lungo la tratta Carsoli-Colli di M. Bove <1692, riuscendo in un caso, complice una «forte pioggia», ad asportare da una carretta una cassa con tre mitragliatrici Breda , «senza che le due “mummie”, che chiudevano la colonna, passate ad un certo momento avanti con il conducente, si avvedessero di nulla» <1693. Nel frattanto nei paesi, la popolazione «cominciò a digrignare i denti» e così fascisti e repubblichini sbandati vennero regolarmente disarmati, e tedeschi razziatori «si sono visti presi a sassate e schioppettate e, inseguiti hanno dovuto rilasciare il bestiame catturato» <1694.
[NOTE]
1652 Comando Divisionale tedesco n. 357.
1653 Il 6 marzo asportate 4 moto sulla strada Turanense in località Madonna delle Grazie; l’11 di aprile distrutte 2 moto ed in camion su stesso tratto stradale. Cfr. ivi, relazione cronologica di Laurenzi Carlo.
1654 Cfr. ivi, relazione di Laurenzi Carlo del giugno 1944.
1655 Dette incursioni si svolsero in località Madonna, Casalecchie, Pontone, ed «in queste stesse circostanze venivano tolti ai cadaveri nemici i documenti di cui erano in possesso […]. Alcuni di questi documenti esistono ancora, altri vennero consegnati a suo tempo al Comando Alleato quando nel giugno fu invitato ad occupare la zona», ibidem.
1656 In seguito a dette azioni furono danneggiati un gran numero di automezzi (cfr. ivi, relazione cronologica di Laurenzi Carlo) ed i tedeschi in precipitosa ritirata furono costretti ad abbandonare mezzi, carburante, compressori e vario altro materiale che poi fu consegnato dalla banda alle Autorità Alleate «o utilizzato, previo permesso, per utilità pubblica», ivi, relazione di Laurenzi Carlo del giugno 1944.
1657 Cfr. ibidem.
1658 Oltre una ventina, tra cui sette di loro catturati sulla strada di Cese il 9 giugno 1944, e 19 cecoslovacchi fatti prigionieri in località Macchie della Chiesa il 10 giugno 1944. Cfr. ivi, relazione cronologica di Laurenzi Carlo.
1659 Il Laurenzi specifica che una volta liberata la zona, si provvide a mettersi in comunicazione con gli Alleati che inviarono solo un graduato e due soldati su di una camionetta per prendere possesso della frazione dintorni. Cfr. ivi, relazione di Laurenzi Carlo del giugno 1944.
1660 Cfr. ivi, dichiarazione del maggior Paggini.
1661 Cfr. ivi, relazione cronologica di Laurenzi Carlo.
1662 L’episodio è controverso tanto che il Barone non ha avuto il riconoscimento di caduto per la lotta di Liberazione. Riferì in un secondo tempo il Laurenzi che «a rigore di termini e per essere obiettivo fino allo scrupolo, dichiaro che il caduto Barone Antonio il giorno della sua morte era stato scaglionato con altri partigiani lungo la strada carrozzabile Rieti Carsoli per indicare alle truppe di passaggio alleate quale fosse la zona minata. Da indagini da me espletate coscienziosamente dopo la contestazione di codesta Commissione, sembra che in effetti il Barone Antonio si fosse allontanato dal suo servizio», ivi, missiva di Laurenzi Carlo alla Commissione, del 6 giugno 1946.
1663 Come specificato dallo stesso Camerlengo trattavasi di una «licenza di un mese per la lunga permanenza in mare (in servizio ininterrotto dal 938)», ivi, Banda Madonna del Monte, relazione di Camerlengo Antonio.
1664 Ivi, dichiarazione di Camerlengo Antonio.
1665 Cfr. ivi, dichiarazione del parroco di Pereto don Felice Balla, del 13 febbraio 1947. Al fine di prevenire possibili arresti dei renitenti, il Camerlengo provvide in un secondo ed in concorso con l’ex Commissario Prefettizio, a trafugare e nascondere le liste di leva. Cfr. ivi, relazione e atto notorio presso il comune di Pereto del 9 febbraio 1947 di Camerlengo Antonio.
1666 Cfr. ivi, relazione di Camerlengo Antonio.
1667 Ibidem.
1668 Ivi, supplemento alla relazione dell’attività partigiana della banda del 15 settembre 1944.
1669 A cui si assommarono i molti soldati russi a cui prestò sostegno dopo essere riuscito a farli disertare dalle truppe tedesche. Cfr. ivi, relazione di Camerlengo Antonio.
1670 Acquistati inizialmente alla borsa nera a spese dello stesso Camerlengo, e poi con il concorso economico di un partigiano facoltoso e di collette organizzate per i vari quartieri del paese: 3 q.li di grano, 1q. di granturco, 2 q. di patate, un vitellino da latte e mezzo maiale per farne salsicce. Cfr. ibidem.
1671 Soprattutto scarpe nuove ed usate fondamentali nel rigido inverno abruzzese, «crudo e precoce», ibidem.
1672 Non pochi gli ex prigionieri definiti «malaticci» che richiesero cure e farmaci. Ibidem.
1673 Nelle persone dell’ufficiale postale, sergente Ciprani, e del tenente di aviazione Nocella Carlo. Cfr. ibidem.
1674 Cfr. ivi, dichiarazione del padre Guardiano Doroteo Bertoldo del 3 febbraio 1946.
1675 Ibidem.
1676 L’episodio è testimonio dall’atto di notorietà presso il Comune di Oricola del 10 febbraio 1947 su dichiarazione del Camerlengo: «nel mese di ottobre 1943, durante l’occupazione tedesca fui ricercato presso il convento “Madonna del Monte de Bisognosi”, sfuggii a sicura cattura perché avvisato in tempo dal Padre Guardiano del Convento. I tedeschi per rappresaglia sfasciarono le porte del convento, spararono sulla legnaia e nella stalla e portarono via generi alimentari dal convento», ivi, atto di notorietà di Camerlengo Antonio.
1677 Secondo quanto dichiarato del padre Guardiano: «spesso il Convento aveva l’aspetto di un quartiere generale e di un campo di smistamento: ed Ufficiali italiani e di tutte le nazioni unite, prigionieri di tutte le lingue isolati ed a gruppi a tutti venivano forniti da me viveri per il viaggio verso il fronte ed i più malandati anche di numerosi capi di biancheria e di altri vestiari», ivi, dichiarazione del padre Guardiano Doroteo Bertoldo del 3 febbraio 1946.
1678 Il padre Guardiano descrisse nel dettaglio gli esiti di tali incursioni: in un’occasione «mi portavano via viveri, mi uccidevano a raffiche di mitra le galline, puntando le armi spesso anche in faccia a me»; mentre in un’altra dopo insulti, minacce e vari atti di vandalismo «mi portarono via papere, galline e prosciutti»; e ancora: «mi portarono via, dopo averlo mitragliato un maiale già grasso», oltre a vari capi di scarpe e biancheria. Inoltre, vi fu la periodica spogliazione «di quanto la pietà dei fedeli gli aveva elargito», ibidem. L’intensa attività tedesca contro il Convento fu testimoniata anche dal Camerlengo secondo cui i religiosi dovettero subire a più riprese distruzioni, rapine di viveri e bestiame da cortile. Cfr. ivi, relazione di Camerlengo Antonio.
1679 Ibidem.
1680 Sia telegrafiche che telefoniche. Cfr. ivi., sintesi dell’attività della banda.
1681 Ivi, relazione di Camerlengo Antonio.
1682 Entrarono nella Caserma «dai tetti per una finestra di dove pochi minuti prima erano riusciti a fuggire il brigadiere e due carabinieri (gli altri tre carabinieri, due dei quali, Sbaraglia e Pietrini, si dimostrarono in seguito zelantissimi nazi-fascisti, non avevano aderito la sera precedente al mio invito di disciogliere la caserma e mettere a mia disposizione le relative armi e munizioni)», ibidem. Il Parroco di Pereto don Felice Balla, testimone indiretto dell’azione, specificò che i patrioti penetrarono nella Caserma «passando dalla finestra del mio sacrestano e sui tetti», ivi, dichiarazione di don Balla del 13 febbraio 1947.
1683 Quattro paracadutisti al comando di un maresciallo. Cfr. ivi, relazione di Camerlengo Antonio.
1684 Cfr. ibidem.
1685 Ibidem.
1686 Cfr. ibidem.
1687 Cfr. ibidem.
1688 Cfr. ibidem.
1689 «Più di qualche volta sono riuscito a far bere delle grosse “balle” agli ufficiali d’alloggio che precedevano in macchina la truppa: dicevo che il bosco era stato scoperto dall’aviazione alleata che vi aveva fatto strage di “poveri camerati” fin dalla notte scorsa», ibidem.
1690 Ibidem.
1691 «[…] verso gli ultimi giorni dell’occupazione tedesca il tenente [Camerlengo Antonio] ed otto giovani s’erano appostati per massacrare i tedeschi che presidiavano Pereto. Fu per l’intervento del sottoscritto e specialmente di un nipote, anch’egli sacerdote che 18 tedeschi poterono partire incolumi da Pereto. L’intervento dei sacerdoti in quella occasione, fu determinato da desiderio di tutta la popolazione di non lanciare il paese nell’avventura di possibili rappresaglie proprio gli ultimi giorni della tirannia nazifascista», ivi, dichiarazione del Parroco di Pereto don Felice Balla del 13 febbraio 1947.
1692 Luogo di appostamento: tra il 175° e 76° km. da Roma. Cfr. ivi, relazione di Camerlengo Antonio.
1693 Ibidem.
1694 Ibidem.
Fabrizio Nocera, Le bande partigiane lungo la linea Gustav. Abruzzo e Molise nelle carte del Ricompart, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, Anno Accademico 2017-2018