venerdì 12 novembre 2021
Sulla Mostra di Picasso a Milano del 1953
Il primo grande banco di prova per Franco Russoli a Milano è la mostra su Picasso del 1953 a Palazzo Reale: si è scelto di approfondire questo tema perché grazie ad un importante ritrovamento documentario è stato possibile analizzare nel dettaglio le dinamiche metodologiche e politiche che sono alla base di una delle più rappresentative mostre organizzate nel secondo Novecento milanese.
Se la Wittgens si occupa dell’attività diplomatica e politica della mostra lascia al suo protégé la curatela del catalogo e l’ordinamento, un ruolo di primo piano che nei desideri della direttrice di Brera era necessario per recuperare quel pezzo di modernità che la seconda guerra mondiale aveva rubato all’Italia e a Milano.
Nel confronto con la mostra su Picasso che si era tenuta pochi mesi prima a Roma, con catalogo curato da Lionello Venturi, l’esposizione di Milano si caratterizza perché oltre ad esporre molte più opere e a rappresentare i primi periodi della sua produzione (blu, rosa e cubista), compie quel salto della critica che consacra definitivamente l’artista in Italia.
[...] Oggi una sezione, costituita prevalentemente dai testi di cui Russoli è autore, si conservata insieme all’archivio. Questo fondo è rappresentativo non solo degli interessi scientifici di Russoli, ma anche delle sue relazioni sociali. Spesso infatti i libri portano intitolazioni degli autori, come il catalogo della mostra di Picasso del 1953 con dedica “illustrata” del maestro catalano, le raccolte di acqueforti di Giacometti, caro amico, molti libri d’artista dedicati da Arturo Carmassi, dediche di Henry Moore, Ennio Morlotti, Graham Sutherland, Eugenio Montale, Enrico Baj, etc.
L’Archivio Russoli ha inoltre un importante fondo fotografico (cinque faldoni), in parte digitalizzato in occasione di questo elaborato, ma non ancora completamente riordinato.
[...]
2.1 Storicizzare un artista vivente
“Beati i tempi in cui si aveva il coraggio di andare in galera o al confino!”. <136
Fra le esperienze formative del giovane Franco Russoli, funzionario della Pinacoteca di Brera, i lavori intorno alla grande mostra di Picasso che si è tenuta a Palazzo Reale nell’autunno del 1953, giocano un ruolo fondamentale <137. L’evento, che per molti intellettuali e artisti ha il senso paradigmatico della politica culturale milanese di quegli anni, poteva essere infatti una buona palestra in cui si univano il desiderio di svecchiamento della cultura figurativa italiana, l’ambizione di una grande mostra che segnasse un punto nella storia dell’arte moderna e, non ultimo, uno slancio politico pienamente in sintonia con il passato antifascista di gran parte dei protagonisti di questa vicenda. A partire dal ruolo giocato dal senatore Eugenio Reale, esponente del partito comunista con un passato persino di prigionia, e vero cardine politico sia della rassegna milanese che di quella romana, tenutasi pochi mesi prima <138.
Picasso, a data 1953, non era più una novità, anzi in qualche modo la mostra chiude una stagione di tensioni “picassiane” da parte degli artisti delle generazioni più giovani, che attraverso di lui avevano trovato una propria via di rinnovamento stilistico e poetico. Al contempo la mostra di Milano faceva da controcanto alla grande rassegna che Palma Bucarelli aveva realizzato, sempre con un consistente intervento di Reale, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma nel maggio dello stesso anno, con una lunga introduzione di Lionello Venturi, che dava una lettura diversa da quella proposta dal comitato milanese <139.
L’arte di Picasso in Italia, fino a pochi anni prima era stata considerata da stigmatizzare, guardata ancora con sospetto da molti, anche progressisti, mentre in altri paesi era stata accolta più facilmente <140.
Nel dopoguerra il primo segnale di attenzione da parte dell’Italia nei confronti di Picasso era stata la partecipazione alla Biennale del 1948, durante la presidenza di Giovanni Ponti, e all’avvio del decennio di Rodolfo Pallucchini, Segretario Generale. <141
In quell’occasione Pallucchini aveva dovuto precisare la necessità di un recupero degli anni che la critica aveva perso con le restrizioni culturali imposte dai vari nazionalismi: «Era doveroso che la Biennale, “un des plus importants évènements de la vie artistique international” (B. Dorival, in “Les Nouvelles Littéraires” del 17-VI-48), riprendendo il suo cammino, rivendicasse l’onore di organizzare una mostra dove fossero presenti le grandi figure dell’arte europea da Picasso a Rouault, da Moore a Permeke, e fra questi, coloro che i nazisti avevano bollato come degenerati: da Kokoschka a Klee. Presentare le opere di tali maestri (né Picasso, né Braque, né Rouault erano mai stati esposti a Venezia) costituiva per la Biennale un’affermazione di libertà: finalmente cioè si permetteva al nostro pubblico di farsene un’idea, dandone un concreto giudizio». <142
Picasso aveva avuto un ruolo importante in quella prima Biennale dopo il conflitto, animata dal desiderio di rifondare le basi dell’arte moderna con un serio ripensamento delle avanguardie storiche. Le opere di Picasso esposte a Venezia nel 1948, nel padiglione centrale perché la Francia non aveva accettato di ospitarle nel proprio, erano diciannove. La volontà degli organizzatori era sceglierle all’interno della produzione ultima dell’artista a partire dal 1940, con una precisa idea di riscattare ciò che ci si era persi in tempo di guerra; erano inoltre visibili nel padiglione della Grecia le quattro opere della collezione Guggenheim <143.
Come aveva commentato Marchiori «Sarebbe assurda la pretesa di esaurire la personalità di Picasso studiando una ventina di opere esposte al padiglione italiano e altre quattro della collezione Guggenheim. Queste opere rappresentano alcuni momenti della storia dell’artista: e soltanto due possono essere considerate fondamentali: Uomo con la pipa (1911) e la Pesca notturna ad Antibes (1939)». <144
Era in ogni caso più importante per gli organizzatori che Picasso partecipasse, che non con quali opere lo facesse, in primo luogo per cancellare i brutti anni recenti, e in secondo luogo per ripagare il maestro catalano del rifiuto che aveva ottenuto da parte della Biennale del 1905. <145
Picasso a partire da questa partecipazione a Venezia nel 1948 sarà il filo conduttore di molte manifestazioni fiorite negli anni a venire, nonchè una presenza costante nelle Biennali successive; come ad esempio quella del 1950, in cui giocano un ruolo significativo Douglas Cooper e Giulio Carlo Argan, il cui peso crescente nella cultura italiana stava dando già esiti importanti, di concerto con il ruolo centrale della figura di Lionello Venturi, unanimemente riconosciuto dalla cultura italiana come un simbolo di antifascismo. <146
Nonostante le critiche che ancora si alzavano nei confronti dell’artista è proprio la Biennale di Venezia ad aprire le danze quindi per una rivalutazione dell’arte di Picasso in Italia, un processo che ha il suo apice nelle grandi mostre di Roma e Milano del 1953 che consacrano definitivamente l’operato dell’artista nella nostra penisola. <147
Anche per Russoli questi sono anni cruciali: quando nel 1953 inizia questa avventura, da tre anni ormai lavora in Pinacoteca, dove la Wittgens lo coltiva come suo successore, prendendone il posto alla direzione di Brera alla dipartita della studiosa nel 1957.
Merita dunque ripercorrere la cronaca degli eventi che hanno portato alla realizzazione di questa grande mostra, anche prima del grande e inaspettato exploit finale con il prestito di Guernica accordato da Picasso stesso non molto prima dell’inaugurazione della mostra, perché sebbene Russoli non sia che un tassello, seppur importante, di questa storia, salvo poi scrivere un lungo e impegnato saggio per il catalogo, questa mostra costituisce un presupposto fondamentale per la sua successiva esperienza milanese. È anche possibile intravedere un affettuoso passaggio di testimone, se si vuole, in una lettera non datata in cui la Wittgens gli scrive, facendo riferimento alle complicazioni che il comitato aveva dovuto affrontare nel corso dell’organizzazione della mostra: “tra dieci anni lei scriverà i Paralipomeni picassiani” <148.
L’arrivo a Milano di Franco Russoli nell’autunno del 1950 si caratterizza quindi per il sodalizio con la direttrice di Brera, che da subito lo vuole al proprio fianco quasi volesse crescere il proprio ideale successore alla direzione, che diventerà urgente quando nel 1955, una malattia che la porterà alla morte nel 1957, la obbligherà a lasciare la direzione della Soprintendenza alle Gallerie e ai Monumenti a Gian Alberto Dell’Acqua, dedicandosi esclusivamente alla Pinacoteca con Russoli vicedirettore. <149
La mostra di Picasso del 1953 è un’occasione quindi per analizzare il rapporto di discepolato instaurato con la direttrice che lascia un segno forte nel giovane studioso. È qui che prende corpo il Russoli sensibile ai temi della tutela, come aveva imparato da Ragghianti, ma longhiano di approccio e attento alla divulgazione come gli aveva insegnato il suo maestro Marangoni; e nasce qui, tutto sommato, il direttore che arriva negli anni Settanta a chiudere la Pinacoteca, che riesce ad ottenere l’acquisto di Palazzo Citterio, che non si risparmia e che lentamente abbandona il suo status di storico dell’arte per diventare sempre di più l’uomo di Brera, al completo servizio del museo.
La Wittgens riesce bene in questo scopo, segna la via della “grande Brera” e Russoli la segue con intelligenza, aggiornandola; la mostra su Picasso è quindi l’occasione per approfondire il delicato passaggio di consegne tra la direttrice di Brera e il suo futuro direttore.
[...] Ormai sicura delle sue capacità, per la mostra di Picasso, gli conferisce un ruolo di primo piano, all’interno di quella che è stata, per molti dei suoi protagonisti, una delle esperienze più esaltanti di quegli anni. La Wittgens tiene molto alla riuscita dell’evento sia per volontà di celebrare il più grande artista vivente che per caratterizzare Milano come una città internazionale, ed è convinta che Russoli sia la persona giusta a cui affidare la redazione e introduzione del catalogo e la “regia critica” della mostra in fase di allestimento <153: «Quel catalogo l’ho strappato per lei a Carrieri, Valsecchi, De Micheli, De Grada ecc.» gli scrive in una lettera nella quale esprime chiaramente il proprio punto di vista sulla mostra romana del pittore presentata da Venturi <154; lei invece si occuperà degli aspetti diplomatici di un’operazione così complessa sul piano dei prestiti e del mantenimento di equilibri fra i diversi attori chiamati in causa, lasciando a Russoli un più accurato esame dei contenuti prettamente storico artistici dell’esposizione. <155
Evidentemente si era resa conto che la sola strada per dare alla mostra milanese un taglio e uno slancio che nell’edizione romana le sembrava assente era di dare fiducia a un giovane studioso e affidare a lui la redazione di un testo che potesse avviare un processo di storicizzazione della figura di Picasso, ancora così controversa per la critica, o almeno rileggerne il percorso con uno sguardo nuovo, capace di conciliare, come si vedrà, un’adesione all’insegnamento longhiano e una applicazione dello stesso a temi che invece Longhi disapprovava, come già era accaduto per la tesi sui Macchiaioli. <156
Tutto questo non sarebbe stato possibile se avesse ceduto il catalogo a uno dei critici più affermati sulla piazza milanese, che animavano il dibattito dalle colonne della stampa periodica, anche se avrebbero potuto avanzare qualche diritto di prelazione dovuto a lunghi anni trascorsi nella Parigi bohemien dello stesso Picasso, come Raffaele Carrieri, o aver scritto in piena guerra la prima monografia in italiano su Picasso, come il piccolo libro, con molte riproduzioni dagli studi preparatori per Guernica, che Mario De Micheli aveva pubblicato per le edizioni di “Pattuglia” su sollecitazione di Giovanni Testori. <157
Oltre alla volontà di celebrare la grandezza di un artista come Picasso, la Wittgens tiene alla mostra per la modernità nella quale può proiettare la città di Milano, e di cui Picasso diventa simbolo, ribadita anche nella presentazione al catalogo, firmata da Caio Mario Cattabeni, assessore alla ripartizione educazione del Comune di Milano, di cui però si conserva il manoscritto di pugno della Wittgens con correzioni di Russoli: «Confidiamo […] che il pubblico saprà sottolineare il significato culturale della manifestazione, in quanto essa assolve quell’esigenza di conoscere il proprio tempo a cui l’uomo moderno non può sottrarsi proprio perché la modernità è essenzialmente, nel nostro secolo, intensificazione dei valori di conoscenza, della vita intellettuale dell’uomo». <158
Il periodo per Milano era fortunato dal punto di vista delle esposizioni: c’era stata nel 1951 la mostra su Caravaggio di Roberto Longhi (1951), a cui Russoli aveva collaborato <159, e subito dopo quella su Van Gogh (1952), che aveva avuto un successo di pubblico enorme. Il consistente ricavato ottenuto dalla mostra di Caravaggio, dava alla Wittgens una disponibilità finanziaria che in un primo tempo, come scrive ad Eugenio Reale, pensa di utilizzare per Picasso. <160 Ma anche l’esposizione di Van Gogh costituiva un modello da seguire, come scrive in una lettera a Russoli stesso, almeno per quanto riguarda l’allestimento di Luciano Baldessari, che nel caso di Picasso è stato invece affidato all’architetto Portaluppi. <161 Ma, soprattutto, nei primi anni Cinquanta si era verificato un raro momento di dialogo e collaborazione tra la Soprintendenza, il Comune e l’Ente Manifestazioni Milanesi: un rapporto destinato a logorarsi precocemente, le cui prime avvisaglie si percepiscono già durante i lavori alla mostra del 1953, ma che si incrineranno del tutto negli anni Sessanta, sfociando in una schermaglia sempre più aspra ed esplicita. <162 L’esposizione romana non era ancora stata inaugurata quando, il 24 aprile 1953, Fernanda Wittgens prende i primi accordi per portare le opere di Picasso da Roma a Milano con Eugenio Reale. <163
La mostra, stando ai documenti della Soprintendenza milanese, sarebbe dovuta passare sull’Isola di San Giorgio a Venezia, sede della fondazione per la Cultura e la Civiltà italiana voluta dal conte Vittorio Cini in memoria del figlio Giorgio, di cui tuttavia non si trovano ulteriori riscontri se non in una lettera del luglio di quell’anno, da cui l’ipotesi lagunare risulta già accantonata. <164
Del resto, la questione si rivelava non semplice, perché già a maggio di quell’anno si avvertono evidenti segnali di attrito fra il Presidente dell’Ente Manifestazioni Milanesi, Luigi Morandi, e la Wittgens, tanto che quest’ultima si era dimessa dal Comitato Scientifico, come si viene a sapere da una lettera che Reale scrive a Russoli nel maggio del 1953, mettendo a rischio la stessa realizzazione della mostra a Palazzo Reale: «Per le ragioni sulle quali siamo tutti d’accordo, Ella, la prof. Wittgens ed io, Morandi ci farà perdere del tempo ma non acconsentirà a rimandare la Mostra del Libro. <165 Io sarei dunque dell’opinione, se Menichetti troverà sufficientemente adatti i locali del nuovo padiglione, di fare lì la Mostra in ottobre. Se viceversa non li troverà sufficienti, insistere per Palazzo Reale e…fare la mostra solo a Venezia. Ne verrà fuori una polemica ma la colpa non sarà stata nostra». <166
Il problema di fondo riguardava gli spazi in cui alloggiare la mostra: nelle intenzioni del comitato, infatti, si voleva realizzare un’esposizione più grande di quella romana, con un arco cronologico più ampio che includesse i periodi rosa, blu e la stagione cubista dell’artista, e che non si concentrasse soltanto sulla produzione degli ultimi trent’anni come era stato a Roma, dandone quindi un’immagine molto diversa. Da qui era nata l’esigenza di ottenere una sede non solo grande, ma istituzionale all’altezza della situazione, come solo Palazzo Reale poteva offrirne in città.
Lo si evince da una animata lettera della Wittgens in cui riferisce a Morandi, ancora non convinto a cedere Palazzo Reale per la mostra, l’esito della spedizione di Russoli a Lione, dove ha incontrato Picasso ottenendo con gran fatica quei quindici o venti quadri necessari per ampliare la tappa milanese della mostra romana: "è tornato Russoli che Le darà un resoconto ampio non appena avrà un minuto di tempo perché ora stiamo “distillando” la materia del viaggio per accelerare le richieste dei prestiti. Abbiamo domandato immensamente per ottenere forse non più di 15 o 20 quadri ma sono più che sufficienti perché già la Mostra di Roma è stupenda come ha detto lo stesso Picasso (lo ha incontrato a Lione Russoli e si è espresso molto entusiasticamente nei riguardi della Mostra di Milano nei cui confronti è molto fiducioso: non gli è piaciuta invece la Mostra di Lione mentre è contento della Mostra di Roma <167) in sostanza, il lavoro di aggiunta è fatto soprattutto per accontentare gli elementi più difficili dell’Ente Manifestazione Milanese, ma noi sappiamo che già la Mostra di Roma impostata nel solenne ambiente di Palazzo Reale….sfonda". <168
A Roma la mostra ha un ordinamento voluto da Picasso stesso, una scelta che già dice molto sul punto di vista da cui si guarda la produzione dell’artista, in un percorso tematico-cronologico che comprende solo gli ultimi trent’anni di produzione e arrivando davvero alla più recente attività; i dipinti sono distribuiti nelle sale della mostra romana per tema, con l’indicazione dei limiti cronologici entro i quali quella determinata ricerca iconografica si è sviluppata (Nature morte 1938-1952, Tormenti e maledizioni 1940-1948, Paesaggi 1940-1952, Familiari 1948-1953 e così via).
Nella prefazione al catalogo, Venturi, precisa la natura dell’ordinamento e i motivi della scelta: “Questa mostra è l’effetto di un atto liberale di Picasso in omaggio al popolo italiano. Il lavoro degli ultimi suoi trenta anni, così vari e pieni di eventi, si manifesta qui in modo più completo che in qualsiasi altra esposizione. Il gran numero delle opere inedite o mai vedute dà a questa mostra un interesse particolare, accentuato dal fatto che Picasso in persona ha scelto le opere da inviare”. <169
Le opere giungono tutte dalla collezione dell’artista, e vengono inviate in due gruppi, quello delle produzioni più recenti proveniente da Vallauris, dove Picasso viveva in quel momento, e quelle del suo mercante parigino, Daniel-Henry Kahnweiler (1884-1979) della Galerie Louise Leiris e di Jaime Sabartès (1881-1968) amico e segretario di Picasso <170. A Roma sono esposti 136 dipinti, 32 sculture e 40 litografie, 39 ceramiche. Quella romana, quindi, era una mostra focalizzata su un Picasso “al presente”, il cui aspetto innovatore era mettere in mostra opere dipinte in tempi davvero recenti e con un forte impatto sulla società, che mostrava la continuità e la vitalità di un grande maestro fra guerra e dopoguerra, senza le evidenti intenzioni retrospettive dell’esposizione milanese <171: serviva Palazzo Reale, in fondo, perché Picasso veniva presentato come un nuovo Caravaggio e da trattare alla pari di questi. Per questo non erano sufficienti e adeguate sedi come la Villa Reale, in posizione decisamente più defilata, o addirittura la Permanente, come aveva proposto Morandi con grande sdegno della Wittgens <172. Il problema di fondo è che Picasso è il primo artista vivente a cui si volesse dedicare una mostra in una sede così impegnativa. Morandi infatti fa implicitamente notare a Russoli che il Padiglione d’Arte Contemporanea di via Palestro fosse una sede preposta a questo genere di manifestazioni, che non erano sufficienti ragioni di spazio per giustificare una sede come quella richiesta dalla Wittgens: "Sembra che lei ipotizzi ancora di poter contare su Palazzo Reale, scrivendomi che il Sen. Reale “vedrà di mettersi d’accordo”. Le ripeto, e la prego di chiarire bene questo punto, che, per quelli che sono i miei poteri, potrei cedere soltanto ad un’imposizione. La macchina per la manifestazione sul pensiero italiano è in moto e io ho ottenuto tali e così importanti adesioni da non poter pensare a rinviarla. Lei mi scrive che la Mostra di Pablo Picasso “non entra in via Palestro”. Non ho elementi sufficienti per esprimere un giudizio, ma dovrei dire che questa sua esclusione m’appare eccessiva. La Villa e il nuovo padiglione sono vasti e tali, mi sembra da poter accogliere una grande manifestazione. Comunque - e sempre come parere personale, quindi senza autorità tecnica - io penso che l’eventuale Mostra picassiana portata a Milano possa anche snellirsi (perdoni l’audacia del termine). Le dico così perché alcuni pareri giuntimi (fra questo non trascuro le colonne scritte da Leonardo Borgese sul Corriere della Sera) talune posizioni “problematiche”, per usare un suo termine, potranno forse non essere indispensabili <173: L.B. [Leonardo Borgese] ha scritto di dieci-venti quadri uguali. Per l’amor di Dio, non veda in queste mie considerazioni al di là di un semplice riportare". <174
A questo punto è la Wittgens a prendere in mano la situazione in prima persona, scrivendo al suo giovane assistente una lettera in cui lo raccomanda di tenersi estraneo a questa schermaglia, rendendosi evidentemente conto che era necessaria la sua autorità istituzionale per ottenere quel risultato.
Vale la pena di leggerne un lungo tratto, perché ne emerge il piglio polemico che la questione stava prendendo e di come i rapporti fra enti fossero già sostanzialmente compromessi: "Caro Russoli, le ho telegrafato di non rispondere a Morandi perché voglio che lei sia al di fuori dell’incendio. […] Ho deciso che con Morandi seguo la tattica della verità. La lettera inqualificabile mandata a Lei, una mezza presa in giro con i paternalistici consigli e la citazione di Borgese (!!!) mi hanno fatto capire che forse nulla più è salvabile a Milano […] <175; ma se salvabile è qualcosa, è solo sulla forza! Sono partita allo sbaraglio. E ho mandato direttamente a Reale copia della mia terribile lettera a Morandi che è terribile perché è responsabile quanto lui gioca a far l’irresponsabile!!! Colpito in pieno per la faccenda antiquaria, ha reagito con due righe di minaccia dicendo che pagherò il fio della mia lettera! Il povero Portaluppi stasera soffre nel vedere Milano così lacerata <176! Io mi sento finalmente tranquilla. La Milano non ha, nella cultura, una persona seria e rispettabile che sappia cosa vuol dire l’impegno di una manifestazione di portata internazionale, Milano stia nella morta gora. Comunque Lei stia in disparte. Io sola posso giocare certe carte supreme. Io sola posso far capire che la bilancia tra Baroni-Cattebeni e me non si fa, e che non ci si attacca al progetto di Villa Reale quando è impossibile per favorire quella gente <177. Lei aspetti le decisioni del destino. […] Dunque stia in disparte. Reale è un grande politico e saprà come giocare. Lo avverta solo che Morandi ha reagito nel peggiore dei modi, con violenza e minaccia e che perciò deve stare attento nel colloquio col fratello <178. […] Beati i tempi in cui si aveva il coraggio di andare in galera o al confino! […] Oggi sento che il primo dovere è la coerenza come lo sentivo nella lotta antifascista. A costo di chiudersi nella solitudine certosina….a rivederci martedì sera! E mi raccomando, lasci me in trincea: è il diritto del più vecchio. Verrà l’ora per l’affermazione culturale e morale sua: per ora sia di riserva". <179
Come si vedrà tra poco, La Wittgens nega nella corrispondenza ufficiale l’aspetto più politico della mostra, che invece in questa lettera personale a Russoli esprime chiaramente; nella ricerca di scientificità e di non faziosità l’atteggiamento storicizzante nei confronti di Picasso aiutava la direttrice a prendere le distanze dall’aspetto in quel momento più scottante della questione, quello politico appunto, e consentiva di esporre opere scomode politicamente che a Roma non si erano potute esporre.
Allo stesso tempo però, nelle occasioni ufficiali, la direttrice si esprime diversamente: in una lettera a Bartolomeo Migone, Direttore Generale delle relazioni di Palazzo Firenze a Roma, dichiara con forza la “laicità” politica della mostra: “Per l’esposizione il dott. Russoli di cui Lei avrà certo apprezzato la profonda e geniale cultura Le avrà dato ampie spiegazioni. Ma io desidero confermarle l’assoluta laicità dell’iniziativa. Il prof. D’Ancona ha fatto cercare dipinti di Picasso per ampliare la Mostra di Roma, e cosa è risultato? Che solo in Italia mancano opere del Maestro: tutti i paesi d’Europa e d’America non solo li hanno nei musei ma in collezioni private. Non credo sia dubbio sull’anticomunismo della Svizzera e dell’America: ebbene le più importanti collezioni Europee di Picasso sono in Isvizzera, e una sola piccola città americana St. Louis ne possiede 150! Per non parlare dell’ammirabile collezione di Picasso che possiede il Museum Of Modern Art di New York che fiorisce all’ombra del mecenatismo del grande industriale Rockfeller. Insomma Picasso non è più un fatto politico per tutto il mondo civile, è un fatto di modernità. Milano ha lasciato che Roma scontasse sul terreno polemico sociale e politico la Mostra di Picasso, e la prende quindi come iniziativa di pura cultura che non può più essere rimandata perché il mondo ci giudicherebbe veramente dei provinciali […] e Russoli Le avrà chiarito come io sia stata fermissima nell’imporre che l’esposizione venisse a Milano dopo Roma e fuori di ogni atmosfera elettorale.” <180
Anche Paolo D’Ancona, Presidente del Comitato Esecutivo milanese, nella relazione finale alla mostra ribadiva quel tratto distintivo rispetto alla mostra romana, in cui l’approccio storicistico, tutto sommato, assumeva un valore ideologico preciso: “Se il Comitato Milanese ha voluto allargare di tanto la portata della Mostra, affrontando rischi e spese ben maggiori di quelli che avrebbe comportato la ripetizione della manifestazione romana - che pure era già notevolissima e che tanto successo aveva ottenuto - lo ha fatto perché questa prima esposizione monografica di un grande autore contemporaneo, acquista il peso e la validità scientifica di quelle dedicate ad artisti e a scuole dell’arte antica, perché insomma fosse veramente una iniziativa culturale, un problema posto in prospettiva storica, oltre che un avvenimento di assoluta attualità”. <181
A Milano le opere esposte sono quindi, secondo il volere degli organizzatori, in numero molto maggiore rispetto a Roma: 181 dipinti, 34 sculture, 39 ceramiche, 40 stampe e 35 libri illustrati. Arrivano invece in un secondo tempo altri 21 dipinti provenienti da New York, Barcellona e Mosca a cui è dedicata un’aggiunta al catalogo approntata sempre da Russoli <182; in totale Milano ottiene il prestito di ben 350 pezzi, 103 in più rispetto all’edizione romana.
I milanesi quindi, oltre alla volontà di storicizzare e celebrare un artista come Picasso e compiere quindi un’operazione che fino al quel momento nessuno aveva fatto, vogliono fortemente fare una mostra che si differenzi da quella di Roma, per fare in modo di attirare oltre ad un nuovo pubblico anche quello che era già stato a vedere l’esposizione romana, persino i giornalisti avevano chiaramente detto che avendo già scritto moltissimo sulla prima tappa della mostra non avrebbero avuto motivo di dilungarsi ancora sulla sua edizione milanese. <183
[NOTE]
136 Fernanda Wittgens a Franco Russoli, 9 maggio 1953, in Archivio corrente, SBSAE, pos. 4/167, fasc. “Russoli”.
137 La mostra di Picasso a Milano è analizzata anche in CIMOLI 2007, pp. 108-115, che pubblica una selezione dei documenti qui presentati.
138 La mostra di Roma era rimasta aperta dal 5 maggio al 31 giugno, per un’analisi della mostra di veda: PICASSO 1937-1953. GLI ANNI DELL’APOGEO IN ITALIA 1998. Sulle mostra di Roma e di Milano si veda anche: BON VALSASSINA 2007, pp. 46-49.
139 VENTURI 1953.
140 Durante la guerra l’arte di Picasso era stata stigmatizzata in quanto considerata degenerata, per questo molti suoi dipinti erano stati alienati dalle collezioni dei musei ed erano finiti sul mercato svizzero. Per le reazioni del pubblico di fronte alle opere di Picasso in quegli anni basti guardare alle reazioni del pubblico illustrate sui giornali del 1953 con grande ironia, si veda: MATTIROLO 1998, pp. 169-173.
141 La commissione della XXIV Biennale di Venezia (1948) era così composta: Nino Barbantini, Roberto Longhi, Carlo Ludovico Ragghianti, Lionello Venturi, Felice Casorati, Carlo Carrà, Giorgio Morandi, Marino Marini e Pio Semeghini.
142 PALLUCCHINI 1949, p. 155.
143 Nel padiglione della Grecia erano esposte le opere di Picasso facenti parte della collezione Guggenheim: Il Poeta (1910), Lacerba (1914), Lo Studio (1928), Ragazze in battello (1937) e le acqueforti di Sogni e Menzogne di Franco (1937).
144 MARCHIORI 1948.
145 Il segretario generale della Biennale del 1905 aveva fatto togliere dal padiglione della Spagna un’opera di Picasso perchè ritenuta di un linguaggio artistico troppo innovativo.
146 ZAPPIA 2012, pp. 331-341.
147 SQUIZZATO 2014/2015, pp. 81-112.
148 Fernanda Wittgens a Franco Russoli, s.d., in Archivio corrente, SBSAE, pos. 4/167, fasc. “Russoli”.
149 ARRIGONI 2007, pp. 647-657.
153 In AFR, Curriculum Vitae di Franco Russoli, carte non riordinate; e anche in “Franco Russoli” presso Mibact – D.G.O – Archivio generale del personale sede di Oriolo Romano. La “regia critica” della mostra viene data con delega ufficiale del Presidente Paolo D’Ancona a Dell’Acqua e Russoli con una lettera inviata a Portaluppi, responsabile milanese dell’allestimento di Menichetti, che aveva realizzato quello di Roma, che doveva servire da esempio per quello milanese. L’allestimento non costituisce un problema a Milano, si ripropongono le stesse strutture e gli stessi materiali di Roma, molto sobrii, che lasciano lo spazio necessario alle opere per il confronto tra di loro. I dipinti sono montati su dei braccetti orientabili per facilitare il dialogo con le sculture al centro della sala. In una sola occasione ci sono frizioni tra il Comitato milanese e Menichetti ed è quando Guernica viene spostata all’interno della
sala della Cariatidi in una posizione meno di passagio che evitava il rischio che le persone toccassero l’opera, visto il “traffico” che c’era nella mostra, i documenti relativi alla diatriba tra Menichetti e D’Ancona si trovano in: Archivio corrente, SBSAE, pos.
4/167, fasc. “Menichetti”, Paolo D’Ancona a Piero Portaluppi, 14 settembre 1953, in Archivio corrente, SBSAE, pos. 4/167, fasc. “D’Ancona”.
154 Fernanda Wittgens a Franco Russoli, 1 settembre 1953, in Archivio corrente, SBSAE, pos. 4/167, fasc. “Russoli”.
155 Fernanda Wittgens a Franco Russoli, 1 settembre 1953, in Archivio corrente, SBSAE, pos. 4/167, fasc. “Russoli”.
156 Si veda cap. 1.
157 Si veda: BRISON 2013, p. 293.
158 Presentazione manoscritta, Fernanda Wittgens e Franco Russoli, in Archivio corrente, SBSAE, pos. 4/167, fasc. “Pratica generale”. Il punto di vista della Wittgens è un punto di vista generazionale, che condivideva come abbiamo visto con Pallucchini, e tutta quella generazione che si era sentita “frenata” dalla guerra.
159 Russoli era stato coinvolto in realtà molto poco nell’organizzazione della mostra su Caravaggio, perchè era arrivato a Milano durante la sua preparazione e viene temporaneamente ospitato a dormire nei locali adibiti alla segreteria della mostra a Palazzo Reale, non avendo la Wittgens trovato soluzioni migliori: su Caravaggio pubblica: RUSSOLI 1951.V3; tiene anche una conferenza nel 1951 a Parigi all’Istituto Italiano di Cultura (in AFR, Curriculum, carte non riordinate) di cui si conserva il testo dattiloscritto (in AFR, Senza titolo, carte non riordinate). Per la mostra di Van Gogh scrive un articolo: RUSSOLI 1952.P3, pp. 64-65.
160 “Ma soprattutto prezioso è l’aiuto dell’On. Mazzali il quale ha dichiarato chiaramente che ci sono (poveri miei venti milioni accantonati dalla Mostra del Caravaggio!) oppure se non ci sono più si troveranno”, Fernanda Wittgens a Eugenio Reale, 20 giugno 1953, in Archivio corrente, SBSAE, pos. 4/167, fasc. “Senatore Reale”. L’allestimento a Roma era stato seguito da Gian Carlo Menichetti.
161 “Il paragone con Van Gogh è decisivo. Questo dovrebbe servire da metro per il suo incontro con Portaluppi che la cercherà arrivando lunedì mattino presto per rivedere con lei Picasso.”, Fernanda Wittgens a Franco Russoli, 9 maggio 1953, in Archivio corrente, SBSAE, pos. 4/167, fasc. “Russoli”.
162 La polemica sull’Ente Manifestazioni Milanesi arriva sulle pagine del Corriere della Sera negli anni Sessanta all’interno della polemica sulla crisi della cultura a Milano nella quale Russoli è sempre in prima linea: È in crisi la cultura a Milano? 1963a, p. 4; La discussione sulla cultura a Milano 1963b, p. 4; OTTONE 1963, p. 5; Secondo dibattito sulla crisi della cultura 1963c, p. 4. Su Russoli e le mostre milanesi degli anni Cinquanta si veda: LA GROTTERIA 2008, pp. 82-112.
163 MATTIROLO 1998, p. 154; GUTTUSO 1944.
164 La notizia si ricava da copia di una lettera, priva di firma, inviata dal Comitato organizzatore della mostra di Picasso a Roma a Luigi Morandi.: “Il Comitato Esecutivo della Mostra di Picasso, da me informato, prese atto della richiesta dell’E.M.M. [Ente Manifestazioni Milanesi] e si liberò da ogni impegno con la Società Europea di Cultura e con l’Ente della Biennale che ci avevano domandato di allestire la Mostra nell’isola di S. Giorgio”, lettera a Luigi Morandi, 6 luglio 1953, in Archivio corrente, SBSAE, pos. 4/167, fasc. “Pratica generale”.
165 L’Ente Manifestazioni Milanesi aveva organizzato a Palazzo Reale la Mostra del Libro e Luigi Morandi non voleva spostarla per lasciare spazio a Picasso: CIMOLI 2007, pp. 108-115.
166 In AFR, Corrispondenza con Eugenio Reale, 19 maggio 1953.
167 Russoli era andato all’inaugurazione della mostra del Museo di Lione dove aveva incontrato l’artista: JULLIAN 1953. La mostra francese di Picasso era più simile a quello che si intendeva fare a Milano che non a quello che era stato fatto a Roma: era infatti rappresentata la produzione che andava dal 1896 al 1953 compreso, per un totale di 179 opere (96 dipinti, 19 sculture, 28 disegni, 23 stampe e 12 ceramiche), comprese le stampe, ma mancavano le ceramiche. Il catalogo suddivide le opere nei diversi periodi: Les debouts (1896-1901), La période bleue et la période rose (1901-1906), Le cubisme (1907-1914), Cubisme et classicisme (1915-1925), Surréalisme et abstraction (1926-1935), La période expressionniste (1936-1943) e Les années recentes (1944-1953). Nel catalogo sono raccolti saggi, oltre che di René Jullian curatore della mostra e del museo che la ospita, di Jean Cassou, Daniel-Henry Kahnweiler e Christian Zervòs, tutti studiosi che hanno un ruolo nella raccolta delle opere per l’esposizione milanese come si vedrà più avanti.
168 Fernanda Wittgens a Eugenio Reale, 30 luglio 1953, in Archivio corrente, SBSAE, pos. 4/167, fasc. “Senatore Reale”. Già il mese precedente però Eugenio Reale aveva avuto il via libera da Picasso stesso, che era andato a trovare nella sua casa di Vallauris, all’integrazione delle opere dei primi decenni per la mostra di Milano, Eugenio Reale a Fernanda Wittgens, 18 giugno 1953, in Archivio corrente, SBSAE, pos. 4/167, fasc. “Senatore Reale”.
169 VENTURI 1953, p. 11.
170 Il fatto che le opere fossero tutte di proprietà del pittore catalano aveva dato la possibilità a De Chirico di esacerbare la polemica lanciata sui giornali sulla mostra di Picasso, oltre che tacciando di “esterofilia” e “francofilia” gli organizzatori, suggerendo neanche troppo velatamente un’intenzione da parte del pittore di inviare in mostra le opere che non era riuscito a vendere: “La mostra di Picasso non è altro che uno dei soliti larvali tentativi di vendere da noi quello che non si può più vendere sui vecchi mercati”, in DE CHIRICO 1953, p. 13.
171 L’ultima produzione di Picasso, dagli anni Cinquanta in poi, rifletteva sull’arte stessa ripercorrendo stili, topoi pittorici e icnografie passate: DEL PUPPO 2013, pp. 27-33, e scheda 1.
172 Fernanda Wittgens a Franco Russoli, 9 maggio 1953, in Archivio corrente, SBSAE, pos. 4/167, fasc. “Franco Russoli”.
173 Leonardo Borgese dalle pagine del Corriere della Sera aveva giudicato molto negativamente già la mostra di Picasso a Roma, definendo l’artista come un personaggio mediatico dallo stile rozzo e “cromaticamente sordo”; BORGESE 1953, p. 3.
174 Luigi Morandi a Franco Russoli, 8 maggio 1953, in Archivio corrente, SBSAE, pos. 4/167, fasc. “Russoli”.
175 BORGESE 1953, p. 3
176 L’architetto Piero Portaluppi è il referente su Milano di Gian Carlo Menichetti, curatore l’allestimento romano, che doveva servire da esempio per quello milanese. L’allestimento non costituisce un problema a Milano, si ripropongono le stesse strutture e gli stessi materiali di Roma, molto sobrii, che lasciano lo spazio necessario alle opere per il confronto tra di loro. I dipinti sono montati su dei braccetti orientabili per facilitare il dialogo con le sculture al centro della sala. In una sola occasione ci sono frizioni tra il Comitato milanese e Menichetti ed è quando Guernica viene spostata all’interno della sala della Cariatidi in una posizione meno di passagio che evitava il rischio che le persone toccassero l’opera, visto il “traffico” che c’era nella mostra, i documenti relativi alla diatriba tra Menichetti e D’Ancona si trovano in: Archivio corrente, SBSAE, pos. 4/167, fasc. “Menichetti”.
177 Costantino Baroni è stato uno storico dell’arte milanese che si era occupato della ricostruzione del Castello Sforzesco e della Galleria d’Arte Moderna di Milano dopo i bombardamenti del 1943 (su Baroni è in uscita un intervento di Alessandro Rovetta dal titolo Costantino Baroni tra storiografia e museo, all’interno degli atti del convegno SISCA tenutosi a Perugia nel dicembre 2015 sulla “Critica d’arte e tutela in Italia”); Caio Mario Cattabeni è stato medico e uomo di cultura, e in quel momento partecipava al Comitato Esecutivo della mostra in quanto Assessore alla cultura del comune di Milano.
178 Rodolfo Morandi era un politico specializzato in economia che aveva partecipato alla Resistenza, tra il 1946 e il 1947 era stato Ministro dell’Industria e del Commercio.
179 Fernanda Wittgnes a Franco Russoli, 9 maggio 1953, in Archivio corrente, SBSAE, pos. 4/167, fasc. “Russoli”.
180 Fernanda Wittgens a Bartolomeo Migone, 3 luglio 1953, in Archivio corrente, SBSAE, pos. 4/167, fasc. “Pratica generale”.
181 Mostra di Pablo Picasso. Settembre – Dicembre 1953. Relazione del Presidente Prof. Paolo D’Ancona, in Archivio corrente, SBSAE, pos. 4/167, fasc. “Verbali Picasso”.
182 RUSSOLI 1953.V2. Guernica arriva il 4 settembre 1953: Modulo di prestito. Guernica, in Archivio corrente, SBSAE, pos. 4/167, fasc. “Brasile”. L’opera parte il 24 settembre per via aerea da New York e arriva a Milano il 3 ottobre passando per Zurigo. I nove dipinti provenienti da Mosca invece arrivano il 4 dicembre, quando si è ormai deciso di prorogare la mostra per l’intero mese di dicembre: in Comunicato stampa n. 8, in AFR, carte non riordinate.
183 Fernanda Wittgens a Eugenio Reale, 4 settembre 1953 in Archivio corrente, SBSAE, pos. 4/167, fasc. “Senatore Reale”.
Erica Bernardi, Per un profilo intellettuale di Franco Russoli (1923-1977), Tesi di Dottorato, Università Ca' Foscari, Venezia, Anno Accademico 2016/2017