Quando il nuovo corso della Dc fanfaniana prende avvio alla guida della Spes c'è Rumor, a cui succedono Forlani, Magrì e Malfatti: tutti aderenti alla corrente di Iniziativa democratica. Proprio in questo periodo esce la serie dei Cinegiornali Spes, il cui primo numero, non a caso, si apre con un intervento di Fanfani che espone i punti salienti del congresso napoletano del 1954, mentre nell'ultimo, interamente dedicato all'assemblea nazionale del 1955, il segretario viene mostrato intento a salutare e stringere le mani dei convenuti dopo aver pronunciato il suo discorso. La breve stagione del “protagonismo” fanfaniano ha inizio nel 1958, con un manifesto elettorale <142 a sfondo azzurro nel quale il leader aretino avanza a figura intera su una strada bianca, con un braccio proteso davanti a sé e l'altro appoggiato a un fianco, nella postura tipica di chi intenda rivolgersi agli interlocutori in maniera informale. In alto, a destra, si profila il ritaglio del volto di De Gasperi che osserva il cammino del suo successore: ovviamente, con questo espediente grafico la Spes vuole indicare una perfetta continuità di orientamenti nella guida del partito e del paese, tuttavia l'immagine suggerisce (per quanto involontariamente) anche una palese antinomia fra il contegno austero dell'uno e l'atteggiamento confidenziale dell'altro. E uno spazio notevole Fanfani occupa anche nel citato Progresso senza avventure, dal momento che tutto il montato del documentario fa da contrappunto al fluviale discorso elettorale pronunciato dal candidato.
All'indomani delle elezioni, la Spes prosegue in questa direzione di netta personalizzazione con Buon lavoro, Italia! <143 (1959), documentario realizzato allo scopo di riepilogare l'operato dei primi mesi di attività del governo presieduto da Fanfani che costituisce un autentico monumento del decisionismo del segretario aretino. All'inizio, viene rievocato il successo elettorale del 18 aprile 1948 e quello, più recente, del 25 maggio 1958, instaurando nuovamente un parallelismo fra De Gasperi e Fanfani, che ne raccoglie il lascito nel segno della continuità del “buongoverno” democristiano. La cerimonia d'insediamento al Quirinale sancisce poi l'ufficialità dell'investitura popolare ricevuta da Fanfani, l'eroe di un'ennesima epopea nazionale. Allo sfarzo istituzionale delle immagini del giuramento alla presenza di Gronchi, subito si contrappone la tensione di quelle relative alla situazione internazionale contrassegnata dalla crisi irachena e dalla perenne minaccia sovietica. Fanfani, che è anche titolare del dicastero della Farnesina, dà prova di grande acume diplomatico adoperandosi per la difesa degli interessi strategici dell'Italia nel Mediterraneo e, allo stesso tempo, per una risoluzione pacifica delle ostilità. La sua ferma condotta gli guadagna in breve tempo la stima di tutti i più importanti Capi di Stato occidentali, incontrati in rapida successione, a dimostrazione del ruolo internazionale di primo piano finalmente ricoperto dall'Italia (e malgrado la campagna stampa strumentalmente denigratoria portata avanti da «L'Unità»). Dalla lotta alla disoccupazione al miglioramento dello stato sociale e al piano decennale per la pubblica istruzione, la gestione della politica interna appare non meno promettente. Nel corso del cortometraggio, l'ininterrotto commento dello speaker assume quasi il tono di una “chanson de geste” mentre Fanfani appare sempre in campo medio o lungo, inserito in un più ampio contesto internazionale nel quale si muove con la disinvoltura corporea di un primus inter pares. Solo nel finale, assiso alla sua scrivania e un poco inclinato in avanti quasi a volersi proiettare oltre lo schermo, Fanfani prende direttamente la parola per ricapitolare con orgoglio, nel suo eloquio fluente e ritmato, il bilancio di un semestre di governo. La visione trionfalista proposta da Buon lavoro, Italia! elude, scontatamente, i dissidi interni alla compagine democristiana e governativa. Probabilmente, il principale intento propagandistico del documentario è proprio quello di minimizzare la portata di questa conflittualità endogena, anteponendo ad essa i risultati conseguiti dal nuovo interprete della volontà nazionale, ma viene accidentalmente diffuso proprio allorquando Fanfani si vede costretto a rassegnare le dimissioni (gennaio 1959), risultando quindi inservibile al fine prestabilito.
Come detto, nei confronti della fisicità del leader e della sua rappresentazione, in questo cortometraggio si segna uno scarto rispetto alla consuetudine: laddove, nel caso di De Gasperi, il risalto dato all'eccezionalità biografica serve anche a rimediare alla freddezza della sua gestualità e alla limitatezza del suo registro espressivo, qui è possibile indugiare a fini persuasivi sul carisma che promana dalle azioni e dalle parole di Fanfani.
Quest'opera di personalizzazione, però, rimane squisitamente politica e non giunge mai a coinvolgere la dimensione biografica (quel che, peraltro, non sarebbe privo di problematicità se si pensa ai suoi trascorsi vicini agli ambienti culturali fascisti).
Si tratta in ogni caso di una deviazione momentanea e, dopo le dimissioni di Fanfani, la Spes ripristina la consueta prassi, che persiste invariata anche nel momento in cui il politico aretino ritorna alla guida dell'esecutivo e per ben tre anni (1960-1963).
Per tutti gli anni sessanta e settanta, mentre il ricordo di De Gasperi continua a essere ravvivato e il suo mito alimentato, nessun'altra personalità democristiana assurge ad avere un peso simbolico paragonabile nell'economia della Spes. La lunga commemorazione in cui si traduce il cordoglio per la morte dello statista trentino rimane, infatti, un unicum, nemmeno il lutto riservato a Don Sturzo - che di De Gasperi può essere considerato il precursore - è oggetto di tanta costanza da parte della Spes.
Quando viene a mancare nell'agosto del 1959, la Spes prende commiato dal fondatore del Partito popolare e dell'organo ufficiale democristiano attraverso la diffusione di un sobrio manifesto, nel quale ne ricorda compostamente la «vita spesa per l'affermazione dell'ideale cristiano nella società» <144, e di un opuscolo contenente la traccia di un discorso da pronunciare nelle sezioni alla presenza delle autorità locali, in attesa di dedicare al defunto un più solenne tributo in autunno al Teatro Eliseo di Roma <145.
Naturalmente, se si tiene presente la difficile congiuntura che attraversa il partito di governo nell'estate del 1959, questo basso profilo appare tutto sommato comprensibile.
Anche in seguito, comunque, a livello iconico Sturzo non ritorna con una frequenza significativa nella propaganda della Spes, e nelle rare occasioni in cui accade è sempre affiancato a De Gasperi.
Non che ciò significhi un disconoscimento dell'importanza avuta dal sacerdote siciliano nella storia del movimento cattolico, semplicemente dalla sua memoria non originano narrazioni identitarie <146 e il suo lascito rimane esclusivo appannaggio di una più ristretta riflessione culturale e politologica.
Se nel lutto osservato per Sturzo la dimensione biografica è comunque percepibile, per quanto in misura indubbiamente contenuta, è invece del tutto assente in quello per Segni. Nel manifesto diffuso alla sua morte, nel 1972, un particolare effetto nel ritaglio del profilo fotografico conferisce, infatti, all'ex Presidente della Repubblica un'involontaria aurea fantasmatica, acuita dal bianco e nero, mentre il messaggio di accompagnamento non va oltre un tono genericamente sommesso <147 che replica quello del manifesto diffuso nel 1964, al tempo delle sue dimissioni dovute al peggioramento irreversibile di una grave trombosi cerebrale che lo aveva colpito qualche mese prima <148.
III.2 Immagini del partito cattolico
Come ricordato, durante la riorganizzazione strutturale della prima segreteria Fanfani la Spes realizza la serie dei Cinegiornali Spes che ha, tra i suoi specifici fini, anche quello di popolarizzare la struttura della Democrazia cristiana nelle sue varie articolazioni. Per questo motivo non si sofferma solo sui dirigenti nazionali, ma si propone di dare una certa visibilità anche ai responsabili provinciali e ai militanti di base. In particolare, nel terzo numero si vedono le immagini, dapprima, di una riunione pisana dei segretari periferici e, in seguito, di attivisti siciliani intenti a distribuire materiale informativo in piazza: a intervallare queste riprese sono puntualmente inserite quelle relative agli evidenti benefici recati nelle varie regioni italiane dall'accorta amministrazione democristiana, la cui azione è perfettamente sinergica fra centro e periferia.
Nel Cinegiornale Spes n. 4 viene invece attribuita speciale importanza ad un aspetto, ritenuto meno noto agli spettatori, della vita interna del partito: la redazione del quotidiano «Il Popolo». Si seguono le varie fasi della composizione di un singolo numero del giornale, che vengono illustrate passo per passo: dalle riunioni di redazione alla corrispondenza con gli inviati all'estero, dalla scrittura degli articoli all'assemblaggio del foglio in tipografia fino alla consegna nelle edicole. Il cortometraggio non fornisce esclusivamente nozioni di carattere tecnico, ma si apre con una rapida cronistoria del quotidiano (dalle sue origini come organo del Partito popolare alla censura e soppressione ad opera del fascismo fino alla sua rinascita come voce della Democrazia cristiana) che intende far capire come esso sia uno strumento imprescindibile nel dialogo fra il partito e i suoi elettori. Quest'ultimo punto rimane più un'aspirazione che un dato di fatto, e se è verosimile che fra le intenzioni del cortometraggio vi sia anche quella di stimolare un incremento nella vendita delle copie de «Il Popolo», qui è interessante osservare come la Spes si serva del quotidiano per condurre la sua opera di costruzione identitaria.
Nei Cinegiornali Spes l'esposizione delle dinamiche e dei rituali di partito rimane tutto sommato frammentaria, rimanendo ben distante dalla compattezza con la quale il Pci viene rappresentato nei filmati comunisti <149.
Questo deficit di rappresentazione visuale dipende dagli assetti di un partito sprovvisto sia di un'ideologia definita che di una forte adesione militante, per cui gli sforzi dalla Spes nei Cinegiornali sono tutti tesi a indicare una meta ideale prefissata ma ancora da raggiungere.
Questa prospettiva, che è in linea con i postulati della centralizzazione fanfaniana, viene meno con l'inizio della segreteria Moro, durante la quale la Spes ritorna a presentare la Dc in termini più sfumati e a privilegiare il suo ruolo di esecutrice della volontà generale degli italiani.
È anche per questi motivi, se la più importante (e problematica) operazione che la Spes conduce sull'immagine del partito, nel 1963, rimane su un piano prettamente simbolico.
Sul finire degli anni sessanta, un cortometraggio rimette al centro la struttura partitica democristiana. Nel venticinquesimo anniversario della fondazione della Dc, Per il nostro domani <150 (1968) tenta di offrire un'immagine aggiornata del partico cattolico, ponendo l'accento sulla sua efficienza organizzativa e il suo radicamento territoriale. Una ripresa aerea del quartiere EUR plana sulla sede centrale (Palazzo Sturzo) della DC, inaugurata nel 1962, mentre lo speaker ne loda la modernità architettonica e la funzionalità. La cinepresa mostra quindi gli interni dell'edificio, dove i funzionari di partito attraversano ampi corridoi illuminati ed entrano in uffici dotati di tecnologia
innovativa per le comunicazioni. A fare da contraltare all'imponenza della sede centrale, le più modeste sedi periferiche e provinciali, grazie alle quali, però, il partito ha la possibilità di dialogare con i cittadini e recepire i loro bisogni più urgenti.
Come detto in precedenza, nel 1968 i giovani e le donne sono i due target cui la Spes si rivolge con inedita attenzione durante la campagna elettorale, e anche qui dedica a queste categorie uno spazio mostrando le immagini di un convegno del Movimento giovanile e di un congresso del Movimento femminile, recuperando lo stesso frasario retorico già impiegato negli altri due documentari di quell'anno.
Dopo questa parentesi, il focus si sposta sul vertice del partito, mostrando nello specifico una riunione della direzione centrale presso la sede democristiana di Via della Camilluccia. È questo il luogo dove prende forma il processo decisionale che guida il paese, processo reso visivamente dal fitto scambio orale fra Rumor e Moro a margine di una sessione. Seguendo una progressione circolare, Per il nostro domani si conclude facendo ritorno alla sede centrale all'EUR, dove le attività fervono sotto la vigile sorveglianza dei vicesegretari Piccoli e Forlani e le principali direttive vengono rese note ai cittadini dalla Spes di Gian Aldo Arnaud.
[NOTE]
141 G. Mammarella, Op. cit., pp. 235-236.
142 ASILS, Fondo Manifesti, Per conservare libertà all’Italia e garantirle nuovi progressi senza avventure, 1958.
143 ASILS, Fondo Audiovisivi, Buon lavoro, Italia, Spes, 1959, 15', b/n, 16 mm.
144 ASILS, Fondo Manifesti, Morte di Luigi Sturzo, 1959.
145 ASILS, Fondo Segreteria Politica, Circolare n. 1613 – 59 (6 SPES), 12 agosto 1959, sc. 102, f. 3.
146 Solo nel 1981, la Rai realizza uno sceneggiato ispirato alla biografia del sacerdote e politico. Don Luigi Sturzo, diretto da Giovanni Fago e interpretato da Flavio Bucci, è un prodotto illustrativo che non ha lasciato un particolare segno nella memoria televisiva.
147 ASILS, Fondo Manifesti, Morte di Antonio Segni, 1972.
148 Per una minuziosa ricostruzione della biografia politica e istituzionale del quarto Presidente della Repubblica si rimanda a: S. Mura, Antoni Segni. La politica e le istituzioni, Bologna, Il Mulino, 2017.
149 M. Palmieri, op, cit., p. 154.
150 ASILS, Fondo Audiovisivi, Per il nostro domani, Spes, 1968, 24’40’’, b/n-col., 16 mm.
Eddy Olmo Denegri, Il paese ideale. La propaganda politica della Spes e la comunicazione istituzionale del Servizio Informazioni (1945-1975), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Genova, Anno accademico 2019/2020