Nell’ottica delle attività collettive weberiane, i singoli rivestono un’importanza fondamentale poiché da essi è pretesa la massima partecipazione alla vita comunitaria, anche in forma di prestazioni fisiche che possono portare alla morte, sia degli estranei che dei membri stessi, in modo da difendere gli interessi dell’intera comunità.
Nello specifico della comunità politica «l’agire comunitario si svolge nel riservare “un territorio” (non necessariamente un territorio costante e rigidamente delimitato, ma anche uno delimitabile di volta in volta in qualche maniera) e l’agire in questo ambito degli uomini che vi si trovano in modo stabile o anche temporaneo, mediante la disponibilità alla violenza fisica, e cioè normalmente anche alla violenza delle armi, alla dominazione (Beherrschung) ordinata da parte dei membri (ed eventualmente ad acquistare per loro territori ulteriori). <37»
I vincoli derivanti dalla dominazione, osserva Weber, non sono certo esclusivi delle comunità politiche, considerando che «anche l’obbligo di vendetta di sangue del clan, il dovere del martirio nelle comunità religiose, la comunità di ceto con un “codice d’onore”, molte comunità sportive, e soprattutto ogni comunità creata allo scopo dell’appropriazione violenta di beni economici estranei, in genere includono le stesse estreme conseguenze. <38»
Si deduce dunque che la politica non può prescindere dalla violenza, anzi trae forza da essa, agendo non in base ad uno scopo, come altre forme di agire sociale, ma in base al suo mezzo che è costituito, appunto, dalla forza fisica. La dicotomia tra potere e violenza è sottolineata anche dalla «forte pregnanza del termine nella lingua tedesca, che si presta perfettamente a sottenderne il carattere ambivalente: Gewalt è, nello stesso tempo, violence e power, violenza e potere. Tale parola non si limita, quindi, a connotare la violenza stricto sensu, investendo un campo d’azione più vasto: essa non concerne solo la violenza vera e propria, seppur esercitata nella dimensione pubblica, statale, ma la violenza-potere nel suo complesso, nell’intreccio problematico di tali elementi.» <39
Il legame tra politica e violenza, infatti, è associato da Weber, oltre che alla politica internazionale e alle guerre, soprattutto ai membri della comunità politica e, quindi, allo Stato, la forma più moderna del gruppo politico. Scrive Weber: «per Stato si deve intendere un’impresa istituzionale di carattere politico in cui e nella misura in cui l’apparato amministrativo avanza con successo una pretesa di monopolio della coercizione fisica legittima in vista dell’attuazione degli ordinamenti» <40, ovvero una comunità politica che, grazie all’uso della forza, riesce a tramutarsi in autorità istituzionale. Il carattere monopolistico infatti è l’elemento che più definisce lo Stato: è escluso qualunque altro fulcro di potere sociale concorrente, l’unico potere autorizzato è quello statale, il cui compito è fornire regole e protezione alla società disarmata. Il concetto di potenza (Macht) indica precisamente «la possibilità, che un uomo o una pluralità di uomini possiede, di imporre il proprio volere in un agire di comunità anche contro la resistenza di altri soggetti partecipi di questo agire» <41, ovvero il principio di prevaricazione e di comando sugli altri, ciò che impone il potere di un gruppo o di un leader e il successivo mantenimento delle gerarchie. La violenza dunque non è ristretta alla politica internazionale o ad eventi di guerra, ma è il mezzo principale dell’esercizio del potere sui membri dell’intera comunità politica. A questo punto Weber spiega in che modo il potere venga riconosciuto come legittimo: all’origine del consenso è necessaria “la potenza di fatto dell’imposizione”, ovvero quel «minimo di volontà di obbedire, cioè un interesse (interno o esterno) all’obbedienza» <42 da parte dei dominati, che, a sua volta, trae la sua forza in una «intesa di legittimità» <43, basata sul riconoscimento soggettivo della validità della norma a cui si obbedisce. Asserito che la politica è il dominio della forza, Weber introduce la distinzione tra “etica dei principi” (Gesinnungsethik) e tra “etica della responsabilità” (Verantwortungsethik): «la prima è un’etica assoluta, di chi opera solo seguendo principi ritenuti giusti in sé, indipendentemente dalle loro conseguenze. La seconda è l’etica veramente pertinente alla politica.» <44
Questa differenziazione comporta che «nessuna etica può determinare in quale occasione e in quale misura lo scopo moralmente buono “giustifica” mezzi ambigui e connessioni moralmente pericolose.» <45
L’uomo politico weberiano deve pertanto saper abbracciare entrambe le etiche poiché esse sono antitetiche ma si completano a vicenda, e solo congiunte formano il vero uomo, quello che può avere la "vocazione per la politica". <46
Per comprendere il lungo processo di istituzionalizzazione del potere e la dinamica che ha portato alla formazione degli Stati moderni, Weber inizia ad analizzare le relazioni di potere tra i singoli individui, cioè i “gruppi di potere” e i “gruppi politici”. I primi sono definiti semplicemente come «collettività i cui membri sono sottoposti, in virtù di un ordinamento, a relazioni di potere» <47, mentre i secondi acquistano maggiore importanza attraverso «la sussistenza e la validità degli ordinamenti che, entro un dato territorio, vengono garantiti continuativamente mediante l’impiego e la minaccia di una coercizione fisica da parte dell’apparato amministrativo» <48; da questi gruppi e dal loro agire comunitario violento è iniziato il processo di “statalizzazione” degli Stati oggi esistenti e da noi conosciuti.
[NOTE]
37 M. Weber, Economia e società, Edizioni di comunità, Milano, 1961, Vol. I, p. 189.
38 Ibid., p. 192.
39 L. Basso, L’ambivalenza della Gewalt in Marx ed Engels. A partire dall’interpretazione di Balibar, Università degli studi di Padova.
40 M. Weber, Economia e società, Edizioni di comunità, Milano, 1961, Vol. I, p. 53.
41 M. Weber, Economia e società, Edizioni di comunità, Milano, 1961, Vol. IV, p.28.
42 M. Weber, Economia e società, Edizioni di comunità, 1961, Vol. I, p. 207.
43 F. Ferraresi, Genealogie della legittimità. Città e Stato in Max Weber, Rivista “Società Mutamento Politica”, 2014, n.9, p. 147.
44 M. Toscano, Introduzione alla sociologia, Franco Angeli, Milano, 2006, p.156. 45 V. Lanternari, Ecoantropologia: dall'ingerenza ecologica alla svolta etico-culturale, Edizioni Dedalo, Bari, 2003, p.157.
46 V. Lanternari, Ecoantropologia: dall'ingerenza ecologica alla svolta etico-culturale, Edizioni Dedalo, Bari, 2003, p.157.
47 M. Weber, Economia e società, Edizioni di comunità, Milano, 1961, Vol. I, p. 59.
48 Ibid., p. 60.
Bruna Carnevale, Max Weber: le origini della società moderna occidentale, Tesi di Laurea, LUISS Guido Carli, Anno accademico 2017/2018
Nello specifico della comunità politica «l’agire comunitario si svolge nel riservare “un territorio” (non necessariamente un territorio costante e rigidamente delimitato, ma anche uno delimitabile di volta in volta in qualche maniera) e l’agire in questo ambito degli uomini che vi si trovano in modo stabile o anche temporaneo, mediante la disponibilità alla violenza fisica, e cioè normalmente anche alla violenza delle armi, alla dominazione (Beherrschung) ordinata da parte dei membri (ed eventualmente ad acquistare per loro territori ulteriori). <37»
I vincoli derivanti dalla dominazione, osserva Weber, non sono certo esclusivi delle comunità politiche, considerando che «anche l’obbligo di vendetta di sangue del clan, il dovere del martirio nelle comunità religiose, la comunità di ceto con un “codice d’onore”, molte comunità sportive, e soprattutto ogni comunità creata allo scopo dell’appropriazione violenta di beni economici estranei, in genere includono le stesse estreme conseguenze. <38»
Si deduce dunque che la politica non può prescindere dalla violenza, anzi trae forza da essa, agendo non in base ad uno scopo, come altre forme di agire sociale, ma in base al suo mezzo che è costituito, appunto, dalla forza fisica. La dicotomia tra potere e violenza è sottolineata anche dalla «forte pregnanza del termine nella lingua tedesca, che si presta perfettamente a sottenderne il carattere ambivalente: Gewalt è, nello stesso tempo, violence e power, violenza e potere. Tale parola non si limita, quindi, a connotare la violenza stricto sensu, investendo un campo d’azione più vasto: essa non concerne solo la violenza vera e propria, seppur esercitata nella dimensione pubblica, statale, ma la violenza-potere nel suo complesso, nell’intreccio problematico di tali elementi.» <39
Il legame tra politica e violenza, infatti, è associato da Weber, oltre che alla politica internazionale e alle guerre, soprattutto ai membri della comunità politica e, quindi, allo Stato, la forma più moderna del gruppo politico. Scrive Weber: «per Stato si deve intendere un’impresa istituzionale di carattere politico in cui e nella misura in cui l’apparato amministrativo avanza con successo una pretesa di monopolio della coercizione fisica legittima in vista dell’attuazione degli ordinamenti» <40, ovvero una comunità politica che, grazie all’uso della forza, riesce a tramutarsi in autorità istituzionale. Il carattere monopolistico infatti è l’elemento che più definisce lo Stato: è escluso qualunque altro fulcro di potere sociale concorrente, l’unico potere autorizzato è quello statale, il cui compito è fornire regole e protezione alla società disarmata. Il concetto di potenza (Macht) indica precisamente «la possibilità, che un uomo o una pluralità di uomini possiede, di imporre il proprio volere in un agire di comunità anche contro la resistenza di altri soggetti partecipi di questo agire» <41, ovvero il principio di prevaricazione e di comando sugli altri, ciò che impone il potere di un gruppo o di un leader e il successivo mantenimento delle gerarchie. La violenza dunque non è ristretta alla politica internazionale o ad eventi di guerra, ma è il mezzo principale dell’esercizio del potere sui membri dell’intera comunità politica. A questo punto Weber spiega in che modo il potere venga riconosciuto come legittimo: all’origine del consenso è necessaria “la potenza di fatto dell’imposizione”, ovvero quel «minimo di volontà di obbedire, cioè un interesse (interno o esterno) all’obbedienza» <42 da parte dei dominati, che, a sua volta, trae la sua forza in una «intesa di legittimità» <43, basata sul riconoscimento soggettivo della validità della norma a cui si obbedisce. Asserito che la politica è il dominio della forza, Weber introduce la distinzione tra “etica dei principi” (Gesinnungsethik) e tra “etica della responsabilità” (Verantwortungsethik): «la prima è un’etica assoluta, di chi opera solo seguendo principi ritenuti giusti in sé, indipendentemente dalle loro conseguenze. La seconda è l’etica veramente pertinente alla politica.» <44
Questa differenziazione comporta che «nessuna etica può determinare in quale occasione e in quale misura lo scopo moralmente buono “giustifica” mezzi ambigui e connessioni moralmente pericolose.» <45
L’uomo politico weberiano deve pertanto saper abbracciare entrambe le etiche poiché esse sono antitetiche ma si completano a vicenda, e solo congiunte formano il vero uomo, quello che può avere la "vocazione per la politica". <46
Per comprendere il lungo processo di istituzionalizzazione del potere e la dinamica che ha portato alla formazione degli Stati moderni, Weber inizia ad analizzare le relazioni di potere tra i singoli individui, cioè i “gruppi di potere” e i “gruppi politici”. I primi sono definiti semplicemente come «collettività i cui membri sono sottoposti, in virtù di un ordinamento, a relazioni di potere» <47, mentre i secondi acquistano maggiore importanza attraverso «la sussistenza e la validità degli ordinamenti che, entro un dato territorio, vengono garantiti continuativamente mediante l’impiego e la minaccia di una coercizione fisica da parte dell’apparato amministrativo» <48; da questi gruppi e dal loro agire comunitario violento è iniziato il processo di “statalizzazione” degli Stati oggi esistenti e da noi conosciuti.
[NOTE]
37 M. Weber, Economia e società, Edizioni di comunità, Milano, 1961, Vol. I, p. 189.
38 Ibid., p. 192.
39 L. Basso, L’ambivalenza della Gewalt in Marx ed Engels. A partire dall’interpretazione di Balibar, Università degli studi di Padova.
40 M. Weber, Economia e società, Edizioni di comunità, Milano, 1961, Vol. I, p. 53.
41 M. Weber, Economia e società, Edizioni di comunità, Milano, 1961, Vol. IV, p.28.
42 M. Weber, Economia e società, Edizioni di comunità, 1961, Vol. I, p. 207.
43 F. Ferraresi, Genealogie della legittimità. Città e Stato in Max Weber, Rivista “Società Mutamento Politica”, 2014, n.9, p. 147.
44 M. Toscano, Introduzione alla sociologia, Franco Angeli, Milano, 2006, p.156. 45 V. Lanternari, Ecoantropologia: dall'ingerenza ecologica alla svolta etico-culturale, Edizioni Dedalo, Bari, 2003, p.157.
46 V. Lanternari, Ecoantropologia: dall'ingerenza ecologica alla svolta etico-culturale, Edizioni Dedalo, Bari, 2003, p.157.
47 M. Weber, Economia e società, Edizioni di comunità, Milano, 1961, Vol. I, p. 59.
48 Ibid., p. 60.
Bruna Carnevale, Max Weber: le origini della società moderna occidentale, Tesi di Laurea, LUISS Guido Carli, Anno accademico 2017/2018
[...] a dispetto della retorica sul “conservatore Max Weber”, si potrebbe dire con una battuta che egli si schiera contro il proletariato perché quest'ultimo è ancora troppo borghese. A ben guardare esso condivide, in fondo, gli stessi obiettivi filistei di arricchimento e di redenzione privata e ringhiosa della piccola borghesia; non tutti, certamente: la volontà di lotta di molti lavoratori è indubitabile, come pure la radicale estraneità al mondo della pura teoria marxista e delle avanguardie che la incarnano. Però i leaders etico-intenzionali della lotta di classe non possono illudersi e devono essere sempre lucidamente consapevoli che nella massa ci saranno sempre opportunisti: gente a cui non interessa abolire il dominio dell'uomo sull'uomo, ma diventare dominatore; non cambiare il mondo, ma cambiare la propria singolare collocazione in esso, diventando un vincente. In questo contesto i sogni di accesso a un mondo finalmente umano rischiano di essere solamente uno schermo etico dei nostri peggiori istinti
[...] Quella di Weber è una petizione pragmatica: non solo è sicuramente possibile “cambiare l'uomo”, ma proprio questo obiettivo, con il suo correlato conseguente del cambiamento del mondo, costituisce una politica degna di questo nome. Ciò però non giustifica l'illusione di poter cambiare uomo e mondo nel magma della rivoluzione e delle barricate. Questa ingenuità è, per Weber, una colpa politica, denota immaturità. Per questo, nella complexio oppositorum che ogni politico di professione dovrebbe incarnare - tra etica dell'intenzione e etica della responsabilità, tra passione e razionalità - ci deve essere anche la voglia, il desiderio, la sacrosanta fede di cambiare l'uomo e costruire un mondo nuovo, unita alla consapevolezza lucida e “senza riguardi” del materiale umano con cui, al momento, ha a che fare.
Mirko Domenico Alagna, Immagini del mondo e forme della politica in Max Weber, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Trento, Anno accademico 2010/2011
[...] Quella di Weber è una petizione pragmatica: non solo è sicuramente possibile “cambiare l'uomo”, ma proprio questo obiettivo, con il suo correlato conseguente del cambiamento del mondo, costituisce una politica degna di questo nome. Ciò però non giustifica l'illusione di poter cambiare uomo e mondo nel magma della rivoluzione e delle barricate. Questa ingenuità è, per Weber, una colpa politica, denota immaturità. Per questo, nella complexio oppositorum che ogni politico di professione dovrebbe incarnare - tra etica dell'intenzione e etica della responsabilità, tra passione e razionalità - ci deve essere anche la voglia, il desiderio, la sacrosanta fede di cambiare l'uomo e costruire un mondo nuovo, unita alla consapevolezza lucida e “senza riguardi” del materiale umano con cui, al momento, ha a che fare.
Mirko Domenico Alagna, Immagini del mondo e forme della politica in Max Weber, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Trento, Anno accademico 2010/2011
Maximilian Carl Emil Weber, più comunemente noto come Max Weber, è sicuramente uno dei fondatori della sociologia così come oggi noi la conosciamo e la studiamo <165: l’intera sua opera, infatti, è caratterizzata dal tentativo di razionalizzazione e sistematizzazione dei concetti chiave della disciplina nelle sue varie declinazioni (politica, religiosa, economica, amministrativa etc.).
Il testo fondamentale (e postumo) a cui fare riferimento parlando di Weber è senza ombra di dubbio Economia e società (1922): Aron lo definisce “un trattato di sociologia generale [il cui] oggetto è la storia universale. Ma non è storico, il suo scopo è di rendere le diverse forme di economia, diritto, potere e religiosità inserendole in un unico sistema concettuale” <166.
È in questa sede che il sociologo tedesco tratta in modo più approfondito le categorie di comunità e società, la quale viene definita, nel lessico weberiano, associazione.
Secondo Tramma, “è a Max Weber che si deve la sistemazione delle identità e delle differenze tra comunità e società che, per molti aspetti, può considerarsi definitiva, cioè entrata stabilmente e concordemente nel vocabolario delle scienze sociali” <167.
Anche se nell’opera citata il legame con il precedente lavoro di Tönnies è esplicito, non vanno sottovalutate le differenze: per Weber, una relazione sociale “deve essere definita comunità se, e nella misura in cui la disposizione dell’agire sociale poggia - nel caso singolo o in media o nel tipo puro - su una comune appartenenza soggettivamente sentita (affettiva o tradizionale) dagli individui che ad essa partecipano” <168. Al contrario, “deve essere definita associazione se, e nella misura in cui la disposizione dell’agire sociale poggia su una identità di interessi, oppure su un legame di interessi motivato razionalmente (rispetto al valore o rispetto allo scopo)” <169. Le divergenze fra gli ideali <170 di comunità e di associazione sono, come già anticipato, sostanziali: se è vero che entrambi si riferiscono alla relazione umana, che entrambi vengono analizzati a partire dall’agire sociale <171 e dalle motivazioni su cui quest’agire si basa, è vero anche che entrando proprio nel merito di quest’ultimo aspetto è possibile cogliere il criterio distintivo fondamentale. Da un lato, infatti, vi è una comune appartenenza soggettivamente sentita; dall’altro, invece, un legame di interessi motivato razionalmente: per Weber, quindi, come già in parte per Tönnies, sarebbe la classica contrapposizione fra sentimento e ragione il cuore del tema. È chiaro, comunque, che nelle relazionalità concrete, materiali, le caratteristiche di associazione e di comunità tendono a mescolarsi, a contaminarsi: “la grande maggioranza delle relazioni sociali” scrive Weber, “ha […] in parte il carattere di una comunità, e in parte il carattere dell’associazione” <172.
Solo in questo modo si riesce a spiegare il Beruf <173, un’altra delle categorie chiave del sociologo tedesco. Cosa esiste di più razionalmente orientato di una impresa moderna, tutta protesa al profitto? Eppure, fa notare Weber, alla sua base sta il Beruf, il concetto di occupazione, di professione, che nella cultura protestante è fortemente legato al sentirsi assegnato da Dio un incarico ben preciso e personale da compiere, una missione da realizzare nella propria vita: il sentimento e la ragione, pertanto, traendo le somme, non sono poi così distinti nella concretezza della quotidianità.
Un successivo aspetto da rimarcare è il carattere disincantato, volutamente oggettivo, della riflessione di Weber, che fa decadere definitivamente ogni presunzione aprioristica di bontà assoluta del raggruppamento comunitario: “anche nelle comunità di carattere intimo è del tutto normale ogni effettiva oppressione nei confronti degli individui psicologicamente più deboli” <174; anzi, viene da dire, la rende, se voluta, anche più agevole.
Ma c’è una successiva e sostanziale novità nel pensiero di Weber: razza, sangue, etnia, genetica, tradizioni etc. non fanno una comunità, non necessariamente almeno, neanche nel caso in cui siano sorretti da un generico sentire condiviso: “solamente quando essi [gli individui] orientano in direzione reciproca il proprio atteggiamento sulla base di questo sentimento” scrive l’Autore, “sorge una relazione sociale tra loro, e non solo di ognuno con l’ambiente circostante; e solamente in quanto tale relazione viene a documentare una comune appartenenza da essi sentita, sorge una comunità” <175.
Nell’ottica weberiana, se tale relazione, se tale comunità, si orienterà al capitalismo più sfrenato o alla rivoluzione sociale, all’espressione religiosa o al genocidio etnico, è solo un dato secondario, quantunque sicuramente non superfluo.
[NOTE]
167 Sergio Tramma, Pedagogia della comunità. Criticità e prospettive educative, Franco Angeli, Milano, 2009, p. 38.
168 Max Weber, Economia e società. Teoria delle categorie sociologiche, Edizioni di Comunità, Torino, 1999, p. 38.
169 Max Weber, Economia e società. Teoria delle categorie sociologiche, Edizioni di Comunità, Torino,
1999, p. 38.
170 Rimarcare con forza questo punto è fondamentale: l’intento di Weber è quello di costruire dei modelli ideali che aiutino nella lettura dei fenomeni sociali e non quello di dividere la socialità umana in due parti.
171 Secondo Ferraresi l’analisi della relazionalità umana a partire dall’agire sociale è alla base del pensiero weberiano. Cfr. Furio Ferraresi, Il fantasma della comunità. Concetti politici e scienza sociale in Max Weber, Franco Angeli, Milano, 2003, p. 362.
172 Max Weber, Economia e società. Teoria delle categorie sociologiche, Edizioni di Comunità, Torino, 1999, p. 39.
173 Cfr. Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, RCS, Milano, 1997, p. 101-114.
174 Max Weber, Economia e società. Teoria delle categorie sociologiche, Edizioni di Comunità, Torino, 1999, p. 39.
175 Max Weber, Economia e società. Teoria delle categorie sociologiche, Edizioni di Comunità, Torino, 1999, p. 40.
Manlio Chiarot, Cum-munus… Contributi per una comunità orientata pedagogicamente, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Padova, 2011
Il testo fondamentale (e postumo) a cui fare riferimento parlando di Weber è senza ombra di dubbio Economia e società (1922): Aron lo definisce “un trattato di sociologia generale [il cui] oggetto è la storia universale. Ma non è storico, il suo scopo è di rendere le diverse forme di economia, diritto, potere e religiosità inserendole in un unico sistema concettuale” <166.
È in questa sede che il sociologo tedesco tratta in modo più approfondito le categorie di comunità e società, la quale viene definita, nel lessico weberiano, associazione.
Secondo Tramma, “è a Max Weber che si deve la sistemazione delle identità e delle differenze tra comunità e società che, per molti aspetti, può considerarsi definitiva, cioè entrata stabilmente e concordemente nel vocabolario delle scienze sociali” <167.
Anche se nell’opera citata il legame con il precedente lavoro di Tönnies è esplicito, non vanno sottovalutate le differenze: per Weber, una relazione sociale “deve essere definita comunità se, e nella misura in cui la disposizione dell’agire sociale poggia - nel caso singolo o in media o nel tipo puro - su una comune appartenenza soggettivamente sentita (affettiva o tradizionale) dagli individui che ad essa partecipano” <168. Al contrario, “deve essere definita associazione se, e nella misura in cui la disposizione dell’agire sociale poggia su una identità di interessi, oppure su un legame di interessi motivato razionalmente (rispetto al valore o rispetto allo scopo)” <169. Le divergenze fra gli ideali <170 di comunità e di associazione sono, come già anticipato, sostanziali: se è vero che entrambi si riferiscono alla relazione umana, che entrambi vengono analizzati a partire dall’agire sociale <171 e dalle motivazioni su cui quest’agire si basa, è vero anche che entrando proprio nel merito di quest’ultimo aspetto è possibile cogliere il criterio distintivo fondamentale. Da un lato, infatti, vi è una comune appartenenza soggettivamente sentita; dall’altro, invece, un legame di interessi motivato razionalmente: per Weber, quindi, come già in parte per Tönnies, sarebbe la classica contrapposizione fra sentimento e ragione il cuore del tema. È chiaro, comunque, che nelle relazionalità concrete, materiali, le caratteristiche di associazione e di comunità tendono a mescolarsi, a contaminarsi: “la grande maggioranza delle relazioni sociali” scrive Weber, “ha […] in parte il carattere di una comunità, e in parte il carattere dell’associazione” <172.
Solo in questo modo si riesce a spiegare il Beruf <173, un’altra delle categorie chiave del sociologo tedesco. Cosa esiste di più razionalmente orientato di una impresa moderna, tutta protesa al profitto? Eppure, fa notare Weber, alla sua base sta il Beruf, il concetto di occupazione, di professione, che nella cultura protestante è fortemente legato al sentirsi assegnato da Dio un incarico ben preciso e personale da compiere, una missione da realizzare nella propria vita: il sentimento e la ragione, pertanto, traendo le somme, non sono poi così distinti nella concretezza della quotidianità.
Un successivo aspetto da rimarcare è il carattere disincantato, volutamente oggettivo, della riflessione di Weber, che fa decadere definitivamente ogni presunzione aprioristica di bontà assoluta del raggruppamento comunitario: “anche nelle comunità di carattere intimo è del tutto normale ogni effettiva oppressione nei confronti degli individui psicologicamente più deboli” <174; anzi, viene da dire, la rende, se voluta, anche più agevole.
Ma c’è una successiva e sostanziale novità nel pensiero di Weber: razza, sangue, etnia, genetica, tradizioni etc. non fanno una comunità, non necessariamente almeno, neanche nel caso in cui siano sorretti da un generico sentire condiviso: “solamente quando essi [gli individui] orientano in direzione reciproca il proprio atteggiamento sulla base di questo sentimento” scrive l’Autore, “sorge una relazione sociale tra loro, e non solo di ognuno con l’ambiente circostante; e solamente in quanto tale relazione viene a documentare una comune appartenenza da essi sentita, sorge una comunità” <175.
Nell’ottica weberiana, se tale relazione, se tale comunità, si orienterà al capitalismo più sfrenato o alla rivoluzione sociale, all’espressione religiosa o al genocidio etnico, è solo un dato secondario, quantunque sicuramente non superfluo.
[NOTE]
167 Sergio Tramma, Pedagogia della comunità. Criticità e prospettive educative, Franco Angeli, Milano, 2009, p. 38.
168 Max Weber, Economia e società. Teoria delle categorie sociologiche, Edizioni di Comunità, Torino, 1999, p. 38.
169 Max Weber, Economia e società. Teoria delle categorie sociologiche, Edizioni di Comunità, Torino,
1999, p. 38.
170 Rimarcare con forza questo punto è fondamentale: l’intento di Weber è quello di costruire dei modelli ideali che aiutino nella lettura dei fenomeni sociali e non quello di dividere la socialità umana in due parti.
171 Secondo Ferraresi l’analisi della relazionalità umana a partire dall’agire sociale è alla base del pensiero weberiano. Cfr. Furio Ferraresi, Il fantasma della comunità. Concetti politici e scienza sociale in Max Weber, Franco Angeli, Milano, 2003, p. 362.
172 Max Weber, Economia e società. Teoria delle categorie sociologiche, Edizioni di Comunità, Torino, 1999, p. 39.
173 Cfr. Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, RCS, Milano, 1997, p. 101-114.
174 Max Weber, Economia e società. Teoria delle categorie sociologiche, Edizioni di Comunità, Torino, 1999, p. 39.
175 Max Weber, Economia e società. Teoria delle categorie sociologiche, Edizioni di Comunità, Torino, 1999, p. 40.
Manlio Chiarot, Cum-munus… Contributi per una comunità orientata pedagogicamente, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Padova, 2011