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sabato 20 novembre 2021

Sui Monuments Men in Italia

Fonte: art. il Post cit. infra

1.3 Gli Alleati e la salvaguardia del patrimonio artistico italiano
Per la ricchezza del suo patrimonio artistico e la durata della guerra combattuta sul territorio nazionale, l’Italia fu uno dei paesi coinvolti nel conflitto che subì i danni maggiori.
Lo sbarco degli Alleati in Italia fu molto importante non solo per le sorti del conflitto ma anche per quelle del patrimonio culturale italiano.
Il 23 giugno 1943 fu istituita dal presidente degli Stati Uniti d'America Franklin Delano Roosvelt (1882-1945) la “American Commission for the Protection and Salvage of Artistic and Historical Monuments”, nota in seguito come Commissione Roberts.
Da parte inglese invece il 9 maggio 1944, per merito del primo ministro inglese Winston Churchill (1874 - 1965), fu fondato il Comitato britannico per la restituzione di opere d'arte, archivi ed altro materiale in mano nemica <66.
I due comitati promossero insieme l'attività della Sottocommissione monumenti, belle arti ed archivi (“Sub-Commission on Monuments, Fine Arts and Archives”) sul campo. Era composta sia da ufficiali inglesi che americani e si trattava per lo più di direttori di musei, curatori, artisti, archivisti, educatori, bibliotecari e architetti che si offrivano volontari per salvare il ricco patrimonio europeo, soprannominati in seguito “Monuments Men <67” o “Aggiustaveneri <68”.
Il loro compito consisteva nel fornire supporto durante la pianificazione delle operazioni militari, con il fine di evitare ai principali edifici storici e oggetti di valore storico e artistico danni dovuti a bombardamenti o azioni dell'artiglieria.
Appena un paese era liberato, questi funzionari e ufficiali entravano al seguito delle truppe e intervenivano in un'azione di primo soccorso dei monumenti colpiti, per impedire che venissero ulteriormente danneggiati <69 e in seguito compilavano elenchi dei danni che erano stati provocati.
Le relazioni redatte da questi ufficiali riguardavano anche le principali opere, pubbliche e private, trafugate dall'esercito tedesco <70 e sarebbero servite in tempo di pace alle forze alleate per poter procedere alla restituzione ai legittimi proprietari.
La Sottocommissione operò in Italia dal mese di ottobre del 1943 fino al gennaio del 1946 ed è possibile distinguere tre fasi nella sua azione <71.
La prima si colloca fra il luglio 1943 e il maggio 1944, dopo il bombardamento di Montecassino e alla vigilia della presa di Roma, interessando le regioni meridionali fino alla Capitale.
La seconda fase inizia con la presa di Roma nel giugno del 1944 e lo sfondamento della Linea Gotica alla fine di aprile 1945 e che quindi interessò soprattutto le regioni centrali.
Infine la terza fase che comprende il periodo tra il 25 aprile 1945 e la chiusura degli uffici della sottocommissione in Italia nel 1946, riguardò la vasta zona dell'Italia settentrionale, l'area più martoriata dai bombardamenti.
[NOTE]
66 Coccoli 2011, pag. 175.
67 Edsel 2014.
68 Dagnini Brey 2010.
69 Rassegna dell'attività del governo militare alleato e della commissione alleata in Italia 1950, pag. 84.
70 Mignemi 2007, pag. 80.
71 Eadem, pag. 179.
Licia Pedrinolli, La protezione e la tutela dei beni culturali in Trentino durante la Seconda Guerra Mondiale, Tesi di Laurea, Università Ca' Foscari Venezia, Anno Accademico 2014/2015

Fonte: art. il Post cit. infra

Nell’autunno del 1943 il capitano Edward Croft-Murray sbarcò a Trapani, in Sicilia. Era un ufficiale diverso dalle altre decine di migliaia di uomini che dal 10 luglio di quell’anno erano sbarcati sulla stessa spiaggia. Le sue armi erano taccuini, matite e guide Baedeker. Aveva 36 anni, quindi era abbastanza anziano per gli standard dell’esercito. Nella vita civile, che aveva lasciato pochi anni prima, era un curatore della sala delle stampe del British Museum, oltre che un collezionista di strumenti musicali antichi. Croft-Murray, con i suoi taccuini, era il primo ufficiale del “Monuments, Fine Arts, and Archives Program” (MFAA) a sbarcare in Italia. Il suo compito, insieme a quello di altri 26 ufficiali che sarebbero arrivati in Italia prima della fine della guerra, era proteggere, ristrutturare e recuperare il patrimonio artistico italiano in zona di guerra.
[...] Mano a mano che nuovi territori venivano liberati, sarebbe stato possibile intervenire per preservare i monumenti danneggiati e mettersi a caccia del patrimonio artistico rubato. Così, nell’autunno del 1943, alle truppe che combattevano al suolo vennero affiancati gli uomini del MFAA. Erano architetti, bibliotecari, archeologi e storici dell’arte, americani e inglesi in parti uguali. Il loro compito era effettuare gli interventi di “primo soccorso” nei confronti delle opere storiche danneggiate e, contemporaneamente, sensibilizzare le truppe sull’importante di tutelare il patrimonio artistico. In breve divennero noti come Monuments Men, gli uomini dei monumenti.
Nella pratica le cose furono molto più difficili di come sembravano sulla carta e molte delle difficoltà arrivarono dagli stessi eserciti alleati. I Monuments Men facevano parte della AMGOT, cioè quella branca delle forze alleate che si doveva occupare di gestire il governo civile nei territori occupati. Gli AMGOT, ovviamente, non erano molto amati dagli altri soldati: non dovevano combattere sul fronte, non dovevano marciare nel fango o restare nelle trincee al freddo. Arrivavano solo dopo la fine della battaglia, occupavano i palazzi più belli della città e cominciavano a riorganizzare la vita civile (da qui il modo ironico con cui veniva interpretata la sigla: Aged Military Gentlemen on Tour, “anziani gentiluomini militari in vacanza”). Tra gli AMGOT, i Monuments Men erano considerati ancora più alieni dai soldati di prima linea, anche perché in prima linea li vedevano spesso: a bordo di vecchie automobili, mentre raggiungevano colonnelli e generali e ordinavano loro di non bombardare questo o quest’altro monumento storico.
Le prime operazioni che i Monuments Men fecero in Sicilia furono una specie di paradigma per tutto il resto della guerra. La campagna di Sicilia era stata particolarmente dura. Molte città, soprattutto sulla costa, erano state pesantemente danneggiate dai combattimenti e decine di tetti di chiese e di palazzi storici erano stati distrutti dall’artiglieria. C’erano due ordini di problemi da affrontare. Il primo era evitare altri danni. Il sole dell’estate e poi le piogge dell’autunno rischiavano di dare il colpo di grazia ai mosaici, alle statue e alle opere d’arte contenute nei palazzi scoperchiati. Il secondo problema era che per permettere la ricostruzione era fondamentale raccogliere i cocci, in senso letterale: bisognava mettere insieme i pezzi degli affreschi crollati, delle colonne e dei mosaici, catalogarli e ordinarli in attesa del restauro futuro.
I Monuments Men dovettero affrontare questi compiti tra un numero incredibile di difficoltà. La più grossa, naturalmente, era che c’era una guerra in corso. La priorità degli alti comandi era fornire risorse alle truppe di prima linea e questo significava che c’erano pochi veicoli e benzina da risparmiare per i Monuments e le loro attività. Ad esempio, per buona parte della campagna di Sicilia il capitano Mason Hammond, professore di latino ad Harvard, fu costretto a girare su una vecchissima automobile Balilla italiana. Nonostante queste difficoltà, i Monuments, con l’aiuto dei soprintendenti alle belle arti e di gruppi di operai italiani, riuscirono a mettere in sicurezza decine di siti e a iniziare la ricostruzioni di monumenti importantissimi che sembravano ormai perduti, come la Cattedrale di Palermo.
[...] Il lavoro dei Monuments non era tutto adrenalina, schivare pallottole e salvare dipinti perduti. Gran parte dei loro compiti furono lunghi ed estremamente noiosi, come ad esempio raccogliere frammenti di un soffitto crollato o compilare lunghe liste di opere d’arte smarrite e ritrovate. In circa due anni di guerra, i Monuments, insieme ai soprintendenti e agli operai italiani, cominciarono i lavori di conservazione e di restauro in più di 700 siti diversi. Inoltre rintracciarono e riportarono nei musei migliaia di opere d’arte. Oggi la loro memoria viene tutelata da una fondazione che ha un sito internet ricco di documenti.
Finita la guerra, tutti i Monuments abbandonarono la carriera militare e ritornarono alla loro vita civile, a volte raggiungendo anche posizioni importanti nel mondo accademico e museale dei loro paesi. Come scrive lo Smithsonian, le loro memorie e le loro relazioni si tingono di malinconia quando arrivano a raccontare il momento del loro addio all’Italia. Ma non tutti se ne andarono per sempre. Il tenente Frederick Hartt, storico dell’arte che insegnava a Yale e aveva studiato con il grande Erwin Panofsky, ritornò a Firenze nel 1966 per aiutare i suoi amici conosciuti in tempo di guerra a salvare libri e opere d’arte dall’alluvione. Come molti altri Monuments, alla sua morte Hartt venne seppellito a Firenze, nel cimitero di Porte Sante, nell’abbazia di San Miniato.
Redazione, I Monuments Men in Italia, il Post, 22 dicembre 2013 

Deane Keller accanto alla Primavera di Botticelli riportata a Firenze nel 1945 dal deposito nel castello di Montegufoni - Fonte: art. Pde cit. infra

[...] La missione si faceva più dura in Italia, dove era come “combattere in un museo”.
In Italia il lavoro era più difficile, perché il patrimonio artistico era molto di più. Ma ciò non impedì ai Monuments Men, sbarcati dapprima in Sicilia, di ricostruire importanti monumenti, come la Cattedrale di Palermo. Il primo ufficiale a sbarcare in Italia fu Edward Croft Murray, il più apprezzato perché “rideva e gesticolava come un italiano”.
L’operazione in Sicilia rappresentò un paradigma che si estese al resto d’Italia, composto da due momenti essenziali: evitare altri danni e raccogliere i cocci. La risalita dell’Italia continentale fu lunga e difficile, poiché i  tedeschi avevano fortificato la città di Montecassino - in una posizione strategica per raggiungere Roma - e le montagne circostanti. A Montecassino c’era una delle più importanti biblioteche dell’Occidente, fondata da Benedetto da Norcia nel VI secolo, e un’importante collezione di opere d’arte, ma i soldati anglo-americani non riuscirono a evitare la distruzione del Museo.
Anche in Toscana c’era molto lavoro da fare: vennero ritrovate diverse statue di Michelangelo impacchettate nel garage della Villa di Torre a Cona, poco lontano da Firenze, e dipinti degli Uffizi e della Galleria di Palazzo Pitti ritrovati nel castello di Montegufoni. [...]
admin, Chi erano i Monuments Men, i soldati che salvarono l’arte dalla guerra, Ultima voce, 30 settembre 2020

Rodolfo Siviero davanti alla Danae di Tiziano, trafugata da Cassino nell’ottobre 1943, recuperata da Siviero nel 1947 - Fonte: Francesca Bottari, art. cit. infra

Rodolfo Siviero (Guardistallo-Pisa, 24 dicembre 1911 - Firenze, 26 ottobre 1983) è stato il più esperto cacciatore di opere d’arte e beni culturali. Un monument man italiano di straordinaria abilità, cui si deve il recupero di centinaia di capolavori depredati dai nazisti in Italia dal 1938 al 1945 e dispersi o trafugati dal dopoguerra alla sua morte, nel 1983. Ma pochi conoscono la storia di Siviero, malgrado abbia poi ricoperto la carica di ministro plenipotenziario e sia stato protagonista di rocamboleschi recuperi, puntualmente riportati dalle cronache italiane. La sua figura sembra, infatti, aver subito uno strano offuscamento post mortem, anche a causa di un’esistenza condotta all’insegna della segretezza e della doppiezza, oltre che di una pervicace ostilità verso ogni appartenenza politica, aspetto che gli ha procurato scarse simpatie trasversali.
Non a caso Rodolfo Siviero nasce come spia. Dal 1937 alla fine del ’38 il giovane toscano, allora intenzionato a fare il giornalista e sostenuto da diverse personalità del Regime fascista, è inviato dal SIM in missione segreta in Germania. A far cosa? Tuttora appare impossibile ricostruirne con precisione l’incarico; la sua stessa testimonianza, raccolta in alcuni diari e poi tramandata nella scarsa bibliografia, appare vaga e contraddittoria. Forse anche in ragione del fatto che, una volta tornato in Italia, la sua adesione giovanile al Fascismo si esaurisce, fino a condurlo sul fronte opposto, quello per il quale Siviero passa alla storia.
In tempo di guerra, a Firenze, egli infatti organizza e dirige un nucleo clandestino che in collaborazione con gli alleati e i partigiani svolge una rischiosa attività spionistica, grazie alla quale, subito dopo la liberazione, buona parte del patrimonio esportato ha fatto ritorno in Italia. Un’enorme quantità di opere d’arte e oggetti vari di alto valore storico - oltre che archivi, biblioteche, preziosi documenti - giacevano ancora, dopo la guerra, nei nascondigli o nelle raccolte private del Reich. Per quasi trent’anni il detective, poi divenuto funzionario dello Stato italiano con un incarico speciale, ha perseverato con successo nella sua ricerca. [...]
Francesca Bottari, Rodolfo Siviero, il monument man italiano, Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, 22 luglio 2016 

Il Camposanto di Pisa in macerie - Fonte: art. Artonauti cit. infra

Nel luglio 1944 la Piazza dei Miracoli di Pisa - che ospita la famosa torre pendente - si trasformò in un campo di battaglia e rischiò di essere distrutta per sempre.
La causa dello scontro fu la presenza di una postazione di avvistamento tedesca asserragliata sulla torre pendente per sfruttarne l’altezza. Per fortuna la torre di Pisa non crollò mentre Duomo e battistero riportarono solo lievi danni. Al vicino Camposanto toccò invece una sorte diversa: il frammento di un ordigno fece scoppiare un incendo che devastò il tetto.
Lo storico cimitero di Pisa custodiva più di 1500 metri quadrati di affreschi di maestri del Trecento e del Quattrocento: una superficie superiore anche a quella della Cappella Sistina. Il tetto di piombo di sciolse, colando sugli affreschi: seccò l’intonaco facendoli cadere a terra, frantumati in milioni di pezzi. Come se non bastasse la distruzione del tetto espose le pareti affrescate agli agenti atmosferici per 5 settimane prima della liberazione della città.
Se gli affreschi non sono andati completamente perduti è merito di un lungo lavoro di conservazione e restauro durato fino ai giorni nostri e iniziato con Deane Keller. Questo Monuments Man capì fin da subito l’importanza di agire tempestivamente per salvare il Camposanto: per restituire ai pisani un pezzo della loro storia collettiva e per evitare agli alleati l’accusa di aver abbandonato questo tesoro alla distruzione. Keller lavorò per installare un tetto provvisorio che proteggesse il Camposanto e diede inizio al recupero dei singoli milioni di frammenti di affresco caduti dalle pareti.
La città di Pisa non ha dimenticato gli sforzi di Deane Keller, che oggi riposa nello stesso cimitero che ha contribuito a salvare. La sua lapide riporta la scritta Amicissimus ad amicos: “L’amico migliore è presso i suoi amici”.
Redazione, Deane Keller: il migliore amico del Camposanto di Pisa, Artonauti


[...] La Storia, si sa, è fatta di storie. Alcune di queste sono spesso sommerse, in attesa di essere riscoperte. Identity Men, volume appena pubblicato da Skira, nasce proprio per riportare alla luce le storie dimenticate di tutte le persone che hanno difeso il patrimonio culturale italiano, anche rischiando la propria vita, durante la seconda guerra mondiale.
Donne e uomini che hanno contribuito a salvare e recuperare migliaia di opere d’arte in Italia, ma anche in altre nazioni europee occupate dalle armate naziste.
[...] I Monuments Men seguirono quindi l’avanzata delle truppe angloamericane lungo la Penisola e nel corso della loro missione entrarono in contatto con italiane e italiani, per la maggior parte funzionari pubblici, che condividevano lo stesso obiettivo.
Identity Men parte quindi dal racconto di questa vicenda, seguendo una sorta di itinerario storico alla scoperta di tutte le personalità che hanno avuto un ruolo fondamentale nella costruzione della nostra identità culturale. Dai Monuments Men agli Identity Men italiani, da Sir Leonard Woolley a Ettore Modigliani, da Fernanda Wittgens a Gian Alberto Dell’Acqua.
«Colpisce che a tutela del patrimonio identitario si siano impegnate in quegli anni persone che ricoprivano ruoli e responsabilità diversi» scrivono i curatori. «Funzionari dello stato fascista che temevano le conseguenze dell’avanzata in Italia degli Alleati e dell’arrivo della guerra; impiegati che opponendosi al regime cercavano di ostacolare le razzie spudorate degli occupanti tedeschi e anche dei fascisti; studiosi anglosassoni spinti dall’amore per la storia dell’arte italiana; militari alleati, americani in primis, che vedevano il loro impegno in Italia anche e soprattutto come una missione in difesa di una civiltà libera che promuoveva lo sviluppo dell’arte; alti prelati della Santa Sede che consideravano i monumenti, anche quelli non religiosi, come segno della “civiltà cristiana”; e infine tante donne, ausiliarie delle forze armate angloamericane o funzionarie delle soprintendenze e dell’amministrazione pubblica italiane, che a lungo sono state ignorate dalla storiografia ufficiale».
Identity Men è dunque un libro fatto di nomi, volti, voci ed esperienze. Di storie, dicevamo in apertura - umane, professionali e personali, spesso avventurose - che si intrecciarono con la grande Storia fino a sovrapporsi. Una lettura che ci spinge a riflettere sul concetto di un’identità portatrice di inclusione e collaborazione.
Redazione, Coloro che salvarono l’arte dalla guerra, Pde, 20 maggio 2021 
 
Accanto agli Stati, anche gruppi civili intrapresero iniziative per proteggere i monumenti culturali europei nelle aree che si trovavano sotto l’occupazione delle forze dell’Asse. Nel 1942, il Presidente dell’Archeological Institute of America, il presidente della College Art Association e i direttori del Metropolitan Museum of Art di New York e della National Gallery of Art di Washington si rivolsero ad Harlan F. Stone, Presidente della Corte Suprema degli Stati Uniti, con la proposta di istituire una commissione governativa per proteggere e salvare i monumenti storici e artistici europei; ebbero premura di contattare anche il Capo della Divisione per gli affari civili del Dipartimento della guerra, nonché il servizio dell’Intelligence aerea dell’esercito, per ottenere il loro supporto.
Durante la guerra, la Commissione avrebbe collaborato con l’esercito per proteggere le opere di valore culturale presenti nelle aree occupate dagli alleati e per compilare elenchi delle proprietà di cui si erano appropriate le Potenze dell’Asse. Dopo la guerra, la Commissione avrebbe dovuto sollecitare la restituzione in natura da parte delle Potenze dell’Asse per le opere che avrebbero potuto essere distrutte, compilare un elenco di opere equivalenti nei Paesi dell’Asse che potevano essere utilizzate come compensazione e sollecitare affinché le proprietà illecitamente sottratte fosse restituite.
Il Presidente Roosevelt approvò l’iniziativa e istituì la Commissione il 23 giugno 1943. A seguito delle richieste del Dipartimento della Marina alla Commissione di preparare mappe ed elenchi dei monumenti storici e culturali anche per le aeree in Estremo Oriente, la Commissione cambiò ufficialmente il suo nome in “The American Commission for the Protection and Salvage of Artistic and Historic Monuments in War Areas” (cosiddetta “Commissione Roberts”) <366.
366 Nel corso della guerra, la Commissione ha fornito alle forze armate oltre settecento mappe dei più importanti centri culturali situati nelle regioni sotto l’occupazione dei Paesi alleati e di quelli sotto le Potenze dell’Asse, sia in Europa che in Estremo Oriente, descritti negli appositi elenchi di accompagnamento. La Commissione ha inoltre preparato e distribuito elenchi e manuali ai funzionari del MFAA (Monuments, Fine Arts and Archives) sul campo, per aiutarli a preparare una lista ufficiale dei siti e monumenti da proteggere.
Angela Zavan, Il caso degli Internati Militari Italiani. Una «storia delle esperienze» tra arte, memoria e diritti negati, Tesi di Laurea, Università Ca' Foscari di Venezia, Anno Accademico 2019/2020