La copertina di un fumetto del 1951 - Fonte: Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM) |
Perché tanto interessamento e tanta preoccupazione per i fumetti da parte di Berlinguer e del gruppo dirigente della FGCI e del Partito, verrebbe quasi da chiedersi, pensando in modo superficiale alla situazione economica dell'Italia del primo decennio di vita repubblicana. La ragione è semplice. In primo luogo perché quando in quegli anni si parla dei fumetti non si pensa soltanto alle pubblicazioni a fumetti così come le conosciamo noi oggi, ma alla molteplicità dei giornali e delle riviste (con o senza illustrazioni) destinati ai ragazzi ed alle ragazze: dai fumetti veri e propri, ai fotoromanzi, ai fotofilm, alla letteratura destinata all’infanzia ed alle ragazze, ai giornali umoristici o pornografici e ad altro ancora. In secondo luogo perché nel decennio 1945-1955, anche in ragione del costo accessibile a strati sociali a basso reddito, della agevole fruibilità e della carica di evasione di cui è portatrice (una funzione lenitiva rispetto alla difficile quotidianità), questa gamma di pubblicazioni destinate ai ragazzi ed alle ragazze - lette molto spesso, come nel caso dei fotoromanzi e dei fotofilm, anche dalle sorelle maggiori, dalle mamme e dalle zie - gode di larga diffusione. «Bisogna pensare - spiega lo studioso di letteratura popolare Ermanno Detti parlando in particolare dei fotoromanzi - che nei primi anni Cinquanta, soprattutto in provincia, i cinema non c’erano. E poi il prezzo del biglietto era troppo alto: 150, 200 lire, quando la giornata lavorativa di un operaio era di 1200 lire. Un fotoromanzo, invece, costava appena 25 lire e poteva essere letto a più riprese da tutta la famiglia».[126]
L'interessamento del gruppo dirigente giovanile del PCI, sempre attento ai dati delle vendite, trova dunque alimento anche nelle dimensioni di massa che il fenomeno va costantemente assumendo. Un aspetto del problema spesso richiamato negli articoli e negli interventi che si occupano della questione dei fumetti. Su «Gioventù Nuova» dell’aprile 1950, dopo aver affermato che quello dei fumetti è un argomento che interessa indubbiamente «grandi masse della gioventù e rispecchia una realtà che sarebbe sciocco e nocivo ignorare», Marisa Musu sottolinea con preoccupazione che in Italia vengono pubblicati (esclusi i settimanali per ragazzi) ben 24 giornali a rotocalco e a fumetti, per un totale di quasi tre milioni di copie vendute alla settimana e più di sei milioni di lettori, almeno il 60% dei quali giovani.[127] Lo stesso Enrico Berlinguer, evidenziando l’imponenza e la gravità del fenomeno in un rapporto al Comitato Centrale della FGCI del 30 ottobre 1952, avverte che sommando le vendite delle pubblicazioni che «direttamente e indirettamente avvelenano l’infanzia e l’adolescenza con ideologie irrazionali miranti a deprimere la coscienza dei giovani» e di quelle destinate alle donne ed alle ragazze (ugualmente ispirate «alle più deteriori concezioni del mondo») si raggiungono ormai quasi sette milioni di copie vendute.[128]
Tre anni dopo, nel novembre 1955, all’interno di una lunga analisi della situazione dei circoli giovanili comunisti, Alessandro Curzi e Piero Pieralli riportano invece alcune cifre sulla situazione di Lucento, popoloso quartiere operaio della periferia torinese. «L’orientamento delle letture della gioventù di Lucento - scrivono i due dirigenti della FGCI - risulta chiaramente dalla graduatoria della diffusione della stampa periodica: al primo posto, con 200 copie, si trova il settimanale Intrepido, seguito da Grand Hotel, Annabella, Calcio illustrato; 66 giovani acquistano Avanguardia e 20 ragazze Noi Donne».[129]
Nel partito, uno dei primi a lanciare l’allarme per la diffusione di questo tipo di letteratura deteriore fra gli operai è Lucio Lombardo Radice, sul numero di «Vie Nuove» del 6 ottobre 1946. Tra i lavoratori, egli scrive, è purtroppo «molto diffusa la produzione letteraria scadente, insignificante, inintelligente: i giornaletti per bambini all’americana con i “fumetti” e le più pacchiane ed idiote e mostruose avventure; la stampa sportiva di ogni qualità; i canovacci di films da poche lire. Le donne lavoratrici, in un certo senso, leggono più degli uomini […] ma quali disastrose letture! I romanzetti d’amore più falsi e melensi; e poi una vastissima letteratura novellistica pseudoborghese, rappresentata da decine e decine di pubblicazioni come Grand Hotel, Intimità, Liala che sono diffusissime».[130] Alla fine del 1953 l'allarme ricompare in un articolo di Jucci Lorini sul «Quaderno dell’attivista»: tra giornali a fumetti e a rotocalco si stampano in Italia circa cinque milioni di copie settimanali, con una diffusione continuamente in crescita, soprattutto nelle zone industriali. «Tutti dobbiamo riconoscere - ella scrive - che mentre solo una parte di operaie, di lavoratrici legge la stampa democratica, una parte notevole di esse, invece, legge costantemente la stampa a fumetti».[131]
Trovare una soluzione al problema dei fumetti (o, quanto meno, una efficace azione di contrasto) rappresenta, fin dai primi momenti di vita della FGCI, una delle preoccupazioni di Berlinguer e dei dirigenti giovanili comunisti. Le condanne e le invettive - di questo sono persuasi tutti - non servono, e spesso si dimostrano persino controproducenti; tantomeno si può sperare che sia sufficiente il solo formulare delle richieste al Governo.[132] Un po’ per scelta, un po’ per necessità, la strada imboccata - anche considerando che non sono pochi i giovani e le ragazze iscritti all'organizzazione giovanile comunista che leggono abitualmente le pubblicazioni a fumetti - è quella di intraprendere tutte quelle iniziative che possano servire a sensibilizzare le giovani generazioni (e l’intera opinione pubblica) sulla gravità e sulla vastità del fenomeno.
Il momento culminante di questo impegno e di questa mobilitazione è rappresentato dall’attuazione di una vera e propria campagna contro la stampa a fumetti, che prende avvio con il “Mese della stampa giovanile democratica” per l’anno 1950 e che si concretizza nel fatto che parecchie Federazioni aprono sui loro giornali un dibattito sui fumetti, organizzano conferenze, referendum e processi.[133] I toni, i contenuti ed, evidentemente, anche i risultati delle iniziative prese alla periferia non soddisfano però a pieno il centro dirigente della FGCI: non sempre e dovunque - scrive la Redazione di «Gioventù Nuova» nell’aprile 1950 - si è affrontato l’argomento nei giusti termini.[134] Viene quindi deciso di aprire il dibattito direttamente sulle colonne dell'organo centrale di stampa, con la non recondita speranza che ciò serva a chiarirsi le idee e, contemporaneamente, a dare il giusto orientamento alle federazioni ed ai militanti. Per tutto il 1950 si susseguono quindi su «Gioventù Nuova» gli interventi di semplici iscritti e di responsabili locali e nazionali dell’organizzazione giovanile, in un dibattito reale,[135] che mette in luce (senza condanne e ramanzine) una importante diversità di posizioni sull'argomento. Vale dunque senz'altro la pena di compiere una ampia disamina degli articoli più significativi.
La prima ad intervenire è la dirigente delle ragazze comuniste, Marisa Musu, la quale, prendendo spunto da alcune delle iniziative attuate durante il “Mese” sostiene che uno dei più gravi errori commessi è stato quello di impostare la polemica contro i fumetti essenzialmente sul loro essere una forma d’espressione che addormenta la fantasia e lo spirito di iniziativa del lettore, impigrendolo ed imprigionandolo in schemi fissi.[136] A suo parere, invece, la campagna della FGCI contro la stampa a fumetti avrebbe dovuto essere centrata contro la morale diffusa da queste pubblicazioni, contro i temi e gli argomenti da esse trattati e non contro la forma fumetto in quanto tale;[137] anche in considerazione del fatto che, altrimenti, non sarebbe stato spiegabile né accettabile il largo utilizzo dei fumetti in pubblicazioni quali «Pattuglia» o «Noi donne». I fumetti - sostiene Marisa Musu - non possono essere considerati una nuova forma letteraria (tant’è che in URSS neppure esistono!), ma come la forma di espressione adottata dalla borghesia per rivolgersi alla grande maggioranza dei giovani, ai quali essa nega anche la minima possibilità di cultura.[138] Il problema, dunque, non è tanto quello di elogiare o condannare i fumetti, ma quello politico di agire concretamente per modificare alle radici la situazione che li ha fatti sorgere, lottando affinché i giovani abbiano una nuova cultura, cercando nel concreto di avvicinarli alla lettura (attraverso corsi popolari, biblioteche, conferenze culturali, ecc.) e, non ultimo, «adottando noi stessi i fumetti nei casi in cui riteniamo che posano validamente aiutarci a farci intendere da masse popolari a cui difficilmente arriveremmo con forme più elevate di propaganda».[139]
Un ulteriore difetto nella campagna contro i fumetti - continua Marisa Musu - è stato quello di ritenere sufficiente, per convincere i giovani, la sola denuncia del fatto che questo tipo di stampa è uno strumento in mano ai nemici guerrafondai della gioventù e della democrazia. Con la conseguenza, agendo in questo modo, di non essere riusciti a mostrare - come si sarebbe dovuto e potuto fare - le “ragioni sufficienti” per provare agli occhi di molti altri ragazzi che tali pubblicazioni sono uno strumento di lotta contro la gioventù. Eppure, sarebbe bastato mostrare (dimostrare) come l’obiettivo principale dei capitalisti sia quello di «portare i giovani fuori dalla realtà, in un mondo fantasioso, falso e irreale»,[140] per distoglierli dalla realtà nella quale vivono (con le fabbriche che chiudono, la carenza di alloggi, la disoccupazione che cresce) e per allontanarli dalla lotta per un mondo migliore, per il lavoro, la libertà e la pace. Non a caso - spiega la dirigente della ragazze comuniste - la quasi totalità dei personaggi dei giornali alla «Grand Hotel» sono prìncipi, duchi, marchesi, ammiragli, gioiellieri; in ogni caso: tutti ricchi, belli e con una vita avventurosa. Americana o cattolica, a fumetti o a rotocalco, questo tipo di stampa - conclude Musu - vuole portare i giovani ad evadere dalla realtà. Per il futuro, quindi, la campagna e la polemica contro la stampa a fumetti dovrà mirare anzitutto a far sì che i giovani non evadano dalla realtà; un risultato che si può ottenere anche cominciando a dar loro una speranza, mostrando che «contro questo mondo irreale, malato, contro la rassegnazione e l’individualismo i giovani democratici lottano, convinti [con le parole dell’Educazione comunista di Kalinin] che «un’esistenza ispirata ad un’idea, ad una vita piena di preoccupazioni sociali, tutta orientata verso lo scopo fissato, è la migliore, la più interessante delle esistenze che si possano concepire».[141]
[NOTE]
[125] Berlinguer Enrico, Relazione alla Conferenza Nazionale Giovanile del PCI (Roma, 22-24 maggio 1947), in Musu Marisa - Berlinguer Enrico, La lotta della gioventù per la democrazia, Roma, U.e.s.i.s.a., 1947, p. 20.
[126] Cit. da Gallozzi Gabriella, «E la Chiesa lanciò la Bibbia in rosa», in «l’Unità», 20 novembre 1996.
[127] Musu Marisa, Discutiamo sui fumetti, in «Gioventù Nuova», a. II, n. 4, aprile 1950, p. 25.
[128] Berlinguer Enrico, Conquistare i giovani alla lotta per l’indipendenza della Patria. Rapporto al Comitato Centrale della FGCI (30 ottobre 1952), in «l’Unità», 1 novembre 1952.
[129] Curzi Alessandro - Pieralli Piero, Problemi dell’organizzazione e dell’attività tra i giovani, in «Rinascita», n. 11, novembre 1955, p. 724.
[130] Lombardo Radice Lucio, Cosa leggono i lavoratori, in «Vie Nuove», 8 ottobre 1946, p. 8.
[131] Lorini Jucci, Cosa leggono le operaie?, in «Quaderno dell’attivista», n. 24, 16 dicembre 1953, p. 747. Lorini sottolinea anche come il basso costo di queste pubblicazioni faciliti una più ampia diffusione: giornali come «Annabella» o «Grand Hotel» offrono la possibilità di «evadere dalla grigia e difficile realtà di ogni giorno con poche decine di lire» (ibidem). Ad illustrazione e conferma di quanto detto, Jucci Lorini riporta anche alcuni dati raccolti in diverse fabbriche a maestranza femminile dislocate su tutto il territorio nazionale: «Alla Mazzonis di Torino, una fabbrica con 500 lavoratrici di cui 300 iscritte al Sindacato unitario, si diffondono 30 copie de l’Unità e 40 di Noi Donne, contro una diffusine di 300 copie di Grand Hotel, 200 di Bolero, 100 di Intimità, 100 di Sogno. A Salerno fra le 3000 operaie tessili, si diffondono oltre 750 copie soltanto di Grand Hotel, di fronte alla 30 copie di Noi Donne. Alla Cantoni di Castellanza, fabbrica tessile della provincia di Varese con circa 2.000 operaie, 7-8 lavoratrici su 10 leggono i giornali a fumetti, mentre l’UDI riesce a diffondere appena una ottantina di copie fra Noi Donne e Mimosa in fiore e il Sindacato 15 copie di Lavoro. Così avviene al cotonificio di Venezia dove si diffondono 35 copie di Noi Donne fra le 500 operaie che, in grande maggioranza, sono lettrici di Intimità e di Grand Hotel; alla Santagostino di Milano dove, su 850 operaie, si diffondono 60 copie di Noi Donne e 40 di Mimosa in fiore» (ibidem).
[132] In un memorandum che le ragazze comuniste presentano al Governo nel primo dopoguerra, una delle misure richieste per il benessere delle ragazze italiane e per la protezione delle nuove famiglie è quella della «lotta contro il vizio, la corruzione, il delitto e la stampa immorale» (Musu Marisa, Relazione alla Conferenza Nazionale Giovanile del PCI (Roma, 22-24 maggio 1947), in Musu Marisa - Berlinguer Enrico, La lotta della gioventù per la democrazia, Roma, U.e.s.i.s.a., 1947, p. 60).
[133] Riferendo sulle ispezioni compiute, Michele Lelli scrive che in alcune sezioni del modenese sono stati organizzati dei «Processi ai fumetti» su schema fornito dalla Federazione (Relazione sulle ispezioni compiute dal compagno Lelli Michele (24 dicembre 1951), in APC, FGCI, carpetta II Olimpiadi Culturali della Gioventù 1951-52-53).
[134] Cfr. «Gioventù Nuova», a. II, n. 4, aprile 1950, p. 25.
[135] E cioè non preordinato, irregimentato od eterodiretto.
[136] Il tema dei fumetti era comparso per la prima volta sulle colonne della rivista diretta da Berlinguer già nel settembre-ottobre del 1949 in un articolo di Luciano Gruppi. All’interno di una più generale riflessione sui temi della morale sessuale, della emancipazione della donna, dell’imperialismo e della cultura occidentale, Gruppi infatti aveva scritto che uno degli aspetti più evidenti della putrefazione del mondo capitalistico è costituito dalla morale sessuale dominante, segnalando, ad esempio, le esasperazioni erotiche nei romanzi americani, le degenerazioni dei letterati lacchè dell’imperialismo (con il compiacimento di Sartre per la pederastia e l’onanismo), la degenerazione dei film americani e americaneggianti (con la loro sadica mescolanza di erotismo, rivoltellate e brutalità dei gangsters) e, infine, «l’erotismo dei romanzi a fumetti» (Gruppi Luciano, L’emancipazione della donna e la morale sessuale, in «Gioventù Nuova», a. I, n. 2-3, settembre-ottobre 1949, p. 15).
[137] E cioè contro la morale americana dell’individualismo senza scrupoli, secondo la quale le ragazze appartenenti alle classi subalterne possono conquistarsi un avvenire solo nel caso siano fortunate, giovani e belle o, ancora, «ci sappiano fare»; mentre per tutte le altre non c’è che la rassegnazione. A questa morale - scrive ancora la responsabile della Commissione ragazze - si allinea anche la stampa di ispirazione cattolica rivolta ai giovani (cfr. Musu, Discutiamo sui fumetti, cit. pp. 25-26, 28-29). Anche la Segreteria della FGCI (alla fine del 1949) condanna risolutamente la stampa per ragazzi dell’Azione Cattolica, accusandola di propagare l’odio contro i lavoratori ed i popoli liberi, di esaltare la violenza e di «portare alle stelle il corrotto modo di vivere americano» (cfr. «Pattuglia», 10 dicembre 1949).
[138] La scelta dello «strumento fumetto» è dettata dal fatto che la borghesia, stante l’elevata percentuale di analfabetismo di cui è prima responsabile, ritiene necessario, efficace e comodo rivolgersi alle masse giovanili con l’immagine piuttosto che con la scrittura (cfr. Musu, Discutiamo sui fumetti, cit., p. 26).
[139] Ivi, 26-27.
[140] Ivi, 27.
[141] Ivi, 30.
Alessandro Sanzo, Enrico Berlinguer e l'educazione dell'uomo. Il contributo alla “formazione integrale” dei comunisti italiani (1945-1956), Tesi di laurea, Università degli Studi di Roma "La Sapienza, Anno accademico 2000-2001, qui ripresa da wwww.cultureducazione.it
[continua]