Quando appena giunti ad Ivrea ci si imbatte nei tratti di via Jervis si affronta, in tutta la sua completezza, il peculiare significato del concetto olivettiano, inteso in senso umano ed aziendale.
All’antica fabbrica di mattoni rossi si affianca, senza soluzione di continuità, la moderna e avvenieristica struttura che ha reso famosa e riconoscibile nel mondo l’azienda di produzione di macchine da scrivere. L’antico e il moderno, l’origine e il futuro, sono elementi che nella parabola olivettiana sovente, si incontrano quali momenti di raffronto e di sapiente ed equilibrata compresenza. L’essenza di questo continua “tradizione innovatrice” è racchiusa nel rapporto tra i principali attori di una famiglia in grado di caratterizzare le vicende sociali del Piemonte, dell’Italia e del panorama internazionale. Olivetti padre, Camillo ed Olivetti figlio Adriano furono protagonisti di un rapporto al contempo rigido e pieno di elementi positivi. La vicenda comunitaria non nasce nel 1947, con la fondazione del Movimento Comunità, essa ha origini più lontane e rappresenta solo uno dei numerosi punti di approdo che padre e figlio seppero tramandarsi nel corso degli anni. La famiglia Olivetti, capace di alimentare un flusso costante di idee e di proposizioni iniziò a conferire una determinata importanza al proprio nome operando all’interno di un ambito territoriale ben definito tra il nord del Piemonte e la Valle d’Aosta, il Canavese, e più dettagliatamente nel comprensorio della città di Ivrea. Tale luogo verrà richiamato molteplici volte durante la narrazione, e non potrebbe essere altrimenti data l’importanza strategica che la cittadina ha garantito al progetto “comunitario”. Ivrea o Ivreja, come amavano ed amano definirla nel dialetto locale gli autoctoni, è un centro cittadino situato a cinquantacinque chilometri da Torino ed è considerata la capitale storico-geografica del Canavese. Ai tempi della nascita di Camillo Olivetti era il capoluogo dell’omonimo circondario, uno dei cinque in cui era divisa la provincia di Torino. Durante il regime fascista, precisamente dal 1927 al 1945 Ivrea divenne invece punto di riferimento e centro nevralgico dell’esperienza della neo-costituita provincia di Aosta.
Al fine di apprezzare con maggiore completezza gli intenti e le finalità del progetto politico posto in essere dal Movimento Comunità, risulta imprescindibile affrontare, seppur in maniera breve, il percorso antecedente la formazione dei tratti essenziali di quella esperienza.
Samuel David Camillo, per tutti Camillo Olivetti <1, il padre di Adriano nacque il 13 Agosto del 1868 ad Ivrea. Non ebbe la fortuna di poter conoscere a fondo suo padre, Salvador Benedetto, in quanto egli morì un anno dopo la sua nascita.
La madre di Camillo, Elvira Sacerdoti, di origini modenesi, apparteneva ad una famiglia di banchieri che aveva sostenuto finanziariamente l’impresa dei Savoia per l’unificazione italiana. Ella decise di far crescere Camillo in collegio. Tale scelta fece maturare in lui un sentimento di distacco dal tipico clima familiare e, soprattutto, di avversità nei confronti del sistema scolastico-collegiale. Questi sintoni si sarebbero in seguito palesati nell’impostazione dei metodi educativi impartiti da Camillo ai suoi figli.
Camillo Olivetti maturando consapevolezza della propria indole, decise di intraprendere lo studio scientifico scegliendo la facoltà di scienze matematiche fisiche e naturali della scuola di applicazione tecnica di Torino (che a partire dal 1906, sarebbe stato denominato “Politecnico”) dove avrebbe conseguito il titolo di Ingegnere industriale. Comprese, sin da allora, come la conoscenza della lingua inglese fosse importante e, per tale ragione, decise di accettare il periodo di apprendistato che gli fu offerto da un’azienda del Regno Unito. Fu tale esperienza che gli spalancò le porte per giungere ad un’altra importante milestone che avrebbe segnato la sua vita. Il suo professore universitario di riferimento Galileo Ferraris, scopritore del campo magnetico rotante e ideatore del motore elettrico a corrente alternata, lo invitò ad accompagnarlo al Congresso dell’elettricità che si sarebbe svolto all’esposizione universale di Chicago nell’Illinois, in qualità di traduttore. Camillo, rimasto affascinato dal sistema statunitense e dalla sua avanguardia in campo scientifico, decise di rimanere negli U.S.A. dove divenne, per un breve periodo, dai primi giorni del novembre del 1893 ai primi giorni dell’aprile del 1894, assistente alla cattedra di ingegneria elettrica alla Stanford University in California a Palo Alto, proprio laddove si sarebbe sviluppata, nei decenni successivi, la “Silicon Valley”. Nel 1894, all’apice del suo apprendimento e delle potenzialità della sua carriera accademica, fu pervaso da un senso di patriottismo e decise di tornare in Italia. Da questa scelta nacque, l’anno successivo, l’edificio di mattoni rossi, primo tassello di una scala esponenziale di successi, originariamente immaginato quale fabbrica di strumenti di misurazione elettrica.
Nel 1907 l’estro di Camillo elaborò l’ipotesi di avviare la produzione di macchine da scrivere e fu così che, a partire dal 22 ottobre del 1908, giorno nel quale viene realizzata la prima macchina da scrivere a marchio Olivetti, prese avvio una produzione capace di raggiungere vette mondiali. Camillo non è stato però solo un ingegnere, uno studioso e un dirigente d’azienda. Difatti, colui che veniva definito uomo burbero ed austero, tipicamente ottocentesco nei modi e nelle forme ma che, in realtà, era incredibilmente svincolato dai tradizionalismi e dalle consuetudini del suo tempo <2, coltivò anche una forte passione per la politica.
Questo aspetto, unitamente a molti altri, seppur in taluni casi con differenti sfaccettature, avrebbe caratterizzato anche il percorso del figlio Adriano. Camillo era un socialista convinto: avverso ad ogni tipo di ingiustizia, e strenuo difensore di un rapporto paritario e solidale tra gli uomini. Quest’ultimo aspetto, in particolare, era il movente del particolarissimo rapporto che egli aveva con i lavoratori della sua azienda per i quali riusciva ad essere, contemporaneamente, maestro, amico e punto di riferimento. Amava inoltre conoscere ogni sfaccettatura delle vite dei suoi dipendenti. Epica è la vicenda di Domenico Burzio. Operaio, figlio di operaio, nato nel 1876 che la tenacia, la caparbietà e lo studio costante delle lezioni impartite da Camillo, che formò in proprio tutti i suoi operatori, divenne il primo direttore tecnico/capo-officina della Olivetti, nonché prezioso e fidatissimo amico e consigliere di Camillo. Questo atteggiamento garantì a Camillo Olivetti una notevole considerazione ed un profondo rispetto da parte di tutti, caratteristiche che assolutamente non si potevano ricondurre al suo ruolo di datore di lavoro.
Camillo fece seguire all’originaria passione anche un diretto attivismo in campo politico promuovendo un settimanale chiamato «Azione Riformista», dai chiari ideali e propositi socialisti. Inoltre decise di candidarsi alle elezioni del consiglio comunale di Ivrea, nelle tornate del 1894 e del 1904, venendo eletto in entrambe le occasioni. Singolare fu il caso della prima elezione, quella del 1894. Subito dopo essere eletto, Camillo decise di dimettersi in quanto, a detta sua, su di lui non confluirono voti esclusivamente di matrice socialista. Va sottolineata anche l’esperienza di «Tempi Nuovi», quotidiano che si mise in luce per l’azione di contrasto agli ideali autoritari del fascismo. Evidentemente l’azione fu considerata troppo spavalda al punto tale da essere oggetto di una spedizione punitiva da parte di squadre fasciste. Ed è proprio nel tentativo di fuga dalle ritorsioni dell’esperienza finale del fascismo mussoliniano, la Repubblica Sociale Italiana, che il 4 dicembre del 1943 le già precarie condizioni fisiche di Camillo si aggravarono ulteriormente portandolo al decesso. Per comprendere ancor meglio chi fosse stato Camillo Olivetti e cosa avesse significato per la sua comunità e quanto per essa si era immolato riportiamo una precisa e al contempo profonda descrizione sugli attimi conclusivi della sua esistenza.
"Il giorno in cui fu trasportato al cimitero pioveva; ma da Ivrea, dai borghi vicini, dai vari luoghi del canavese si erano arrampicati su per la serra, fino a Biella, i suoi operai, i suoi fedeli. Erano arrivati con ogni mezzo, i più in bicicletta, con gran fatica e grande rischio. I tedeschi già davano la caccia ai partigiani, razziavano uomini, minacciavano intere popolazioni. Il piccolo cimitero israelitico di Biella poteva diventare un luogo di massacro, il recarvisi una sfida temeraria; ma esso si popolò, quel giorno, di uomini silenziosi, a capo scoperto, sui cui volti la pioggia cancellava inutilmente le lacrime" <3.
L’uomo che si è fatto da sé <4, nonostante l’appartenenza al ceto benestante, è sempre rimasto dalla parte dei più deboli partecipando finanche ai moti del pane di Milano del 1898. Il suo lascito più grande però rimarrà, indubbiamente, quell’edifico di mattoni rossi che, negli anni a seguire, avrebbe dato vita ad una delle più grandi esperienze industriali italiane ed internazionali. Per Adriano il padre Camillo ha rappresentato un punto di riferimento importante, un maestro di vita, e il primo alimentatore della formulazione del pensiero comunitario. Adriano Olivetti <5 nacque ad Ivrea l’11 aprile 1901, all’interno di una combinazione di risvolti ed ideali in un duplice vortice di suggestioni ed esperienze che però non diventeranno mai dogmi: l’ebraismo socialista del padre ed il cristianesimo protestante valdese della madre Luisa Revel. Camillo le chiese di sposarla dopo averla vista per appena due volte.
Camillo, sulla base della sua educazione troppo severa, scelse per i figli un percorso che consentì loro di rimanere “creativi” il più possibile e contemporaneamente lontani dalla mondanità. Difatti decise di avviarli alla formazione scolastica primaria solo all’età di 8 anni e con lezioni impartite dalla madre che aveva il diploma di maestra. Il primo test nei confronti di Adriano, quello che oggi chiameremmo probing o colpo di sonda, Camillo decise di farlo nel 1914 quando portò in azienda per alcune settimana un appena tredicenne Adriano. Il rifiuto da parte del giovane Adriano fu netto e totale, quell’esperienza si sarebbe rivelata un fallimento tanto da portarlo a scrivere alcuni anni dopo
"Nel lontano agosto 1914, avevo allora tredici anni, mio padre mi mandò a lavorare in fabbrica. Imparai così ben presto a conoscere e odiare il lavoro in serie una tortura per lo spirito che stava imprigionato per delle ore che non finivano mai, nel nero e nel buio di una vecchia officina. Per molti anni non rimisi piede nella fabbrica, ben deciso che nella vita non avrei atteso all’industria paterna. Passavo davanti al muro di mattoni rossi della fabbrica vergognandomi della mia libertà di studente, per simpatia e timore di quelli che ogni giorno, senza stancarsi, vi lavoravano". <6
Era quindi maturata in lui la volontà di discostarsi dalle orme del padre.
In realtà, quella esperienza, si sarebbe rivelata di prioritaria importanza in quanto Adriano avrebbe compreso successivamente quanto fosse importante, al fine di espletare incarichi di livello superiore, conoscere la meticolosità del lavoro manuale dell’operatore di produzione. Ed in effetti tale insegnamento, una volta raggiunti i vertici dell’azienda, sarebbe stato implementato come vera e propria politica di inserimento lavorativo per i nuovi assunti, anche per i neo laureati. Così testimoniava Francesco Novara che incontrando Olivetti nell’estate del 1955 riceveva una proposta interessante
"Se si assumono tutti o quasi tutti laureati per il livello direttivo, e diplomati per l’intermedio, si hanno in azienda tre strati, tre mondi di provenienza sociale diversa e con mentalità diversa: questo creerebbe barriere alla comunicazione e alla comprensione. E alla cultura dell’impresa sono necessarie tutte le forme di esperienza. Quindi si deve promuovere quanto possibile dall’interno e dall’esterno assumere principalmente d’avanguardia […] se lei accetta di collaborare con noi sarebbe necessario, poiché oggi stiamo sviluppando soprattutto gli stabilimenti che lei, come tutti i laureati, cominci svolgendo un lavoro operaio, perché la vita di lavoro in fabbrica la si conosce solo facendone esperienza diretta". <7
Adriano, unitamente alla coltivazione della sua passione nei confronti del giornalismo, che lo portò a collaborare con diverse riviste del Canavese, studiava presso la facoltà di Ingegneria meccanica e chimica industriale al politecnico di Torino. Terminati gli studi nel 1924 e dopo un iniziale apprendistato in fabbrica, Camillo organizzò per il figlio un soggiorno studio negli U.S.A. al fine di consentirgli di apprendere al meglio la lingua inglese e le tecniche industriali più avanzate.
Adriano, durante la permanenza negli Stati Uniti, rimase colpito dalle teorie di Ford e queste, insieme all’influenza del pensiero di Gobetti, gli diedero al suo ritorno in Italia, nel gennaio del 1926, la volontà di riavvicinarsi all’azienda di famiglia per realizzarne una nuova concezione. Camillo, non appena Adriano rientrò dagli U.S.A. decise di presentare il figlio a tutti i dipendenti dell’azienda nel “Salone dei duemila”. Quel gesto sancì ufficialmente l’inizio della carriera gestionale di Adriano.
In breve tempo la Olivetti di Ivrea avrebbe visto nascere, dentro di sé, l’organizzazione scientifica del lavoro, tipica delle teorie tayloriste, che portò l’azienda ad essere tra i pionieri dell’implementazione di alcuni settori chiave dell’economia industriale attuale come, ad esempio, la divisione tempi e metodi, la gestione delle risorse umane, la sociologia industriale e la sezione ricerca e sviluppo. Adriano attuò la sua svolta a partire dal 1927 basandola sul calcolo fondamentale che aveva formulato e, nel quale, si enunciava che il rendimento di ogni operaio poteva essere superiore di oltre un terzo rispetto alle valutazioni standard mediante una migliore organizzazione della produzione.
«Prima di essere una istituzione teorica, la Comunità fu vita» <8 e se il primo tassello di questa importante costruzione che fu la comunità olivettiana fu la fabbrica, esso fu certamente un modello esemplare. Adriano comprese che il fine di un’azienda non poteva e non doveva limitarsi al mero profitto economico bensì il dovere di un’azienda, degna di tale definizione, doveva estendere i propri confini alla realtà territoriale nella quale persisteva e, soprattutto, rivolgersi alla società civile ivi presente.
La creazione degli asili nido aziendali e delle mense, l’introduzione di un servizio autobus per trasportare i dipendenti dai paesi limitrofi ad Ivrea, l’organizzazione delle colonie estive, la realizzazione delle casse mutue e delle residenze per i lavoratori, sono solo alcuni esempi della concezione aziendale marchiata Olivetti. Un concept incredibilmente innovativo per quel periodo storico e che, ancora oggi, viene raramente messo in atto, a causa della esasperata corsa ai tagli ai bilanci delle aziende del settore privato, derivanti dalle crisi economico finanziare susseguitesi negli anni recenti e dalla volontà di generare, costantemente, esclusivamente maggiori profitti.
Al tal scopo va menzionato l’esempio della fondazione dedicata a Domenico Burzio, destinata a potenziare l’assistenza diretta a favore dei dipendenti e, come disse Camillo Olivetti «a garantire all’operaio una sicurezza sociale al di là del limite delle assicurazioni, in Italia ancor troppo ristretto» <9.
Quando, nel 1922, il già precario sistema politico liberal-democratico italiano vennero venne decisamente messo in crisi dall’avvento al potere di Mussolini e del fascismo, Adriano aveva soli ventuno anni. E’, probabilmente, proprio la sua giovane età, con le relative percezioni sensoriali maggiormente instabili, a portare Olivetti ad avere un rapporto col regime mussoliniano che si può definire quantomeno controverso. Durante i primi anni del regime, nonostante tale rapporto non si sia mai palesato in maniera netta, vi fu un atteggiamento di prudenza da parte di Adriano che, certamente, non voleva significare chiusura. Quando però, il 10 giugno del 1924, il regime commissionò il rapimento e l’uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti anche Olivetti iniziò ad avvertire la portata ed il pericolo dell’ideal-tipo professato dal Partito Nazionale Fascista. La vera svolta nei rapporti con il fascismo viene confermata però da un altro episodio che passerà alla storia: la fuga di Filippo Turati dalle milizie del regime. Adriano Olivetti si ritrovò coinvolto nell’episodio visti i suoi forti legami con la famiglia Levi. Difatti, dal 1923 al 1924, durante il servizio militare ebbe modo di consolidare un’amicizia che sarebbe poi perdurata negli anni a venire con il compagno di studi universitari Carlo Levi. Successivamente Adriano avrebbe preso in sposa, come prima moglie, Paola Levi sorella di Carlo, di cui diventò quindi anche cognato. Il 2 dicembre del 1926 scattò l’operazione. Fu proprio Adriano Olivetti, in accordo con Carlo Rosselli, Ferruccio Parri e Sandro Pertini a portare Turati presso la prima tappa del percorso, ossia la casa della famiglia Levi a Torino. Tale vicenda viene anche descritta da Natalie Ginzburg, sorella di Gino e Paola Levi, in un tratto di Lessico Famigliare:
"[…] aveva gli occhi spaventati (Adriano), risoluti e allegri; gli vidi, due o tre volte nella vita quegli occhi. Erano gli occhi che aveva quando aiutava una persona a scappare, quando c’era un pericolo e qualcuno da portare in salvo" <10.
Successivamente, sia il matrimonio con Paola che insofferente al provincialismo piemontese lo convinse a spostarsi a Milano dove rimasero dal 1931 al 1934, sia la contemporanea assunzione di sempre maggiori responsabilità all’interno dell’azienda, raggiunta con la nomina a direttore generale, avrebbero portato Adriano ad una distensione dei rapporti con il sistema mussoliniano, fino ad arrivare, nel 1933, alla richiesta ed ottenimento, il 31 luglio <11, della tessera per l’adesione formale al P.N.F.
Già dopo pochi mesi i fiduciari del regime descrivevano, in un promemoria indirizzato alla direzione centrale, la particolare situazione della famiglia Olivetti legata al mondo ebraico per parentato e, in particolare, della posizione di Adriano nei confronti del fascismo:
"Sebbene di recente iscritto al Partito, l’Adriano Olivetti non sembra abbia una adeguata comprensione del movimento fascista e dimostri molto attaccamento al Regime. Si ha piuttosto l’impressione che egli abbia chiesta la iscrizione per evidenti ragioni di opportunità, avendo un’azienda che ha necessità di essere tutelata e sostenuta dal governo". <12
Oltre alle evidenti convenienze che poteva ottenere per la sua azienda, il tesseramento fu in parte dovuto all’incontro con gli architetti Luigi Figini e Gino Pollini, corrispondenti diretti di Le Corbusier in Italia e punta più avanzata del Razionalismo, stile architettonico che anche il regime aveva deciso di detenere, quantomeno inizialmente, come dottrina ufficiale. La notoria passione per il design, l’architettura moderna e la pianificazione urbanistica, fu proprio in quegli anni che vide la luce il “Piano Territoriale della Valle d’Aosta, 1933-1937”, portarono Adriano a sostenere la figura di Mussolini, tanto da richiedere più volte un incontro privato.
Una situazione, quella di Olivetti della quale Sergio Ristuccia prova a dare una definizione probabilmente molto vicina alla realtà
"Si può anche supporre che Olivetti sia caduto nell’illusione degli intellettuali fascisti di sinistra, nella specie degli architetti e cultori di urbanistica che pensavano di poter contare su talune iniziali propensioni del fascismo verso l’architettura razionalista moderna e verso una nuova cultura delle città" <13.
L’incontro con il duce finalmente avvenne nel maggio del 1936. Durante l’udienza concessa, Mussolini, poco attento e molto restio all’ascolto delle proposte olivettiane, deluse in toto le aspettative dell’imprenditore di Ivrea. A rimarcare ciò, sarebbe arrivata di lì a poco la scelta del regime di passare dall’impostazione razionalista al recupero della maestosità dell’architettura classica, con l’intento di garantire il necessario sfarzo al ricostituito impero d’Italia. Si avviava una nuova fase di allontanamento tra Olivetti e le tesi del fascismo. Tuttavia, un altro episodio poco noto, ma che ebbe un diffuso impatto mediatico quando fu reso noto, vide Olivetti accostato al regime noto che vede. Durante le trattative per la formazione del governo Fanfani II, nell’estate del 1958, «Il secolo d’Italia» <14, giornale vicino alla destra nazionale, criticò le scelte assunte da Olivetti. Nella critica venne svelato, con tanto di prove fotografiche, la notizia di un incontro presso l’azienda di Ivrea tra Olivetti e i fiduciari locali del duce. Olivetti venne definito camerata, «la camicia nera del governo Fanfani», ma la cosa che più impressionò fu proprio l’immagine che ritraeva l’episodio. Durante la visita del segretario federale torinese agli stabilimenti, avvenuta nel 1941, Adriano Olivetti indossava la divisa nera del regime <15. Questo accaduto non è stato sino ad ora riportato dalla storiografia olivettiana e si configura come un altro tassello del particolare rapporto tra l’uomo di Ivrea e la dittatura mussoliniana. Si può ipotizzare che la divisa militare fu indossata con lo scopo di accogliere i visitatori e di accaparrarsene una benevola fiducia. Certo l’impatto con l’immagine di Olivetti è abbastanza forte ma altrettanto forte sarebbe stata la ritrosia dell’uomo di Ivrea nell’opporsi alla limitazione della democrazia imposta durante il ventennio di dominio del partito fascista.
Adriano, compresa la brutalità delle forze dell’Asse durante il secondo conflitto mondiale, disgustato dalla politica opprimente del regime, decise di sostenere l’attività degli alleati, esponendosi in talune circostanze, a situazioni ad elevato rischio. E’ tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio del 1943 che, in Svizzera, prese i primi contatti con l’Office of Strategic Services il servizio segreto statunitense, la futura C.I.A. Olivetti si presentò all’incontro come referente di quattro gruppi di opposizione antifascista e richiese delucidazioni in merito al trattamento che gli Alleati avrebbero riservato all’Italia. Successivamente Adriano avrebbe conosciuto il coordinatore dell’O.S.S., di istanza a Berna Allen Dulles, il fratello di John Foster Dulles che, successivamente, sarebbe divenuto segretario di stato americano.
[NOTE]
1 Per una biografia completa di Camillo Olivetti si veda LAURA CURINO, GABRIELE VACIS, Camillo Olivetti alle radici di un sogno, Ipoc editore, Milano, 2015.
2 Cfr. CHIARA RICCIARDELLI, Olivetti una storia, un sogno ancora da scrivere. La sociologia del lavoro nell’esperienza italiana, Franco Angeli, Milano, 2001, p. 14.
3 Estratto da una lettera di LIBERO BIGIARETTI in BRUNO CAIZZI, Gli Olivetti, Utet, Torino, 1962, pp. 54-57.
4 VALERIO OCHETTO, Adriano Olivetti. La biografia, Comunità Editrice, Roma/Ivrea, 2013, p. 18.
5 Per un approfondimento sulla vita di Adriano Olivetti si veda la biografia di Valerio Ochetto, Adriano Olivetti. La biografia, cit.
6 Estratto di una lettera di Adriano Olivetti in V. OCHETTO, Adriano Olivetti. La biografia, cit., p. 26.
7 FRANCESCO NOVARA, Un lavoro a misura d’uomo, in (a cura di) STEFANO SEMPLICI, Un’azienda e un’utopia. Adriano Olivetti 1945 - 1960, Il Mulino, Bologna, 2001 pp. 75-76.
8 ADRIANO OLIVETTI, Città dell’Uomo, Edizioni di Comunità, Torino, 2001, p. XXVI.
9 A. OLIVETTI, in (a cura di) ALBERTO SAIBENE, Il mondo che nasce. Dieci scritti per la cultura, la politica, la società, Comunità editrice, Roma-Ivrea, 2014, p. 13.
10 NATALIE GINZBURG, Lessico famigliare, Einaudi, Milano, 1963, p.75.
11 Nota fiduciaria siglata 711, cioè redatta da Pieri Novelli Adelina, Cfr. MAURO CANALI, Le spie del regime, Il Mulino, Bologna, 2004. Archivio Centrale dello Stato, Roma, d’ora in poi ACS, Fondo Ministero dell’Interno, direzione generale di pubblica sicurezza (1861-1981), divisione polizia politica, fascicoli personali, b. 916, fasc. Ing. Adriano Olivetti.
12 Ibidem.
13 SERGIO RISTUCCIA, Costruire le istituzioni della democrazia. La lezione di Adriano Olivetti, politico e teorico della politica, Marsilio editore, Venezia, 2009, p. 225.
14 La camicia nera del governo Fanfani, Il secolo d’Italia, n. 160, 1958, p.1. Archivio Fondazione Adriano Olivetti, Roma, d’ora in avanti AFAO, Fondo Massimo Fichera, articoli, 1958, b. 2.
15 Ibidem.
Giuseppe Iglieri, Il Movimento Comunità. Il partito di Adriano Olivetti, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, Anno accademico 2016-2017
All’antica fabbrica di mattoni rossi si affianca, senza soluzione di continuità, la moderna e avvenieristica struttura che ha reso famosa e riconoscibile nel mondo l’azienda di produzione di macchine da scrivere. L’antico e il moderno, l’origine e il futuro, sono elementi che nella parabola olivettiana sovente, si incontrano quali momenti di raffronto e di sapiente ed equilibrata compresenza. L’essenza di questo continua “tradizione innovatrice” è racchiusa nel rapporto tra i principali attori di una famiglia in grado di caratterizzare le vicende sociali del Piemonte, dell’Italia e del panorama internazionale. Olivetti padre, Camillo ed Olivetti figlio Adriano furono protagonisti di un rapporto al contempo rigido e pieno di elementi positivi. La vicenda comunitaria non nasce nel 1947, con la fondazione del Movimento Comunità, essa ha origini più lontane e rappresenta solo uno dei numerosi punti di approdo che padre e figlio seppero tramandarsi nel corso degli anni. La famiglia Olivetti, capace di alimentare un flusso costante di idee e di proposizioni iniziò a conferire una determinata importanza al proprio nome operando all’interno di un ambito territoriale ben definito tra il nord del Piemonte e la Valle d’Aosta, il Canavese, e più dettagliatamente nel comprensorio della città di Ivrea. Tale luogo verrà richiamato molteplici volte durante la narrazione, e non potrebbe essere altrimenti data l’importanza strategica che la cittadina ha garantito al progetto “comunitario”. Ivrea o Ivreja, come amavano ed amano definirla nel dialetto locale gli autoctoni, è un centro cittadino situato a cinquantacinque chilometri da Torino ed è considerata la capitale storico-geografica del Canavese. Ai tempi della nascita di Camillo Olivetti era il capoluogo dell’omonimo circondario, uno dei cinque in cui era divisa la provincia di Torino. Durante il regime fascista, precisamente dal 1927 al 1945 Ivrea divenne invece punto di riferimento e centro nevralgico dell’esperienza della neo-costituita provincia di Aosta.
Al fine di apprezzare con maggiore completezza gli intenti e le finalità del progetto politico posto in essere dal Movimento Comunità, risulta imprescindibile affrontare, seppur in maniera breve, il percorso antecedente la formazione dei tratti essenziali di quella esperienza.
Samuel David Camillo, per tutti Camillo Olivetti <1, il padre di Adriano nacque il 13 Agosto del 1868 ad Ivrea. Non ebbe la fortuna di poter conoscere a fondo suo padre, Salvador Benedetto, in quanto egli morì un anno dopo la sua nascita.
La madre di Camillo, Elvira Sacerdoti, di origini modenesi, apparteneva ad una famiglia di banchieri che aveva sostenuto finanziariamente l’impresa dei Savoia per l’unificazione italiana. Ella decise di far crescere Camillo in collegio. Tale scelta fece maturare in lui un sentimento di distacco dal tipico clima familiare e, soprattutto, di avversità nei confronti del sistema scolastico-collegiale. Questi sintoni si sarebbero in seguito palesati nell’impostazione dei metodi educativi impartiti da Camillo ai suoi figli.
Camillo Olivetti maturando consapevolezza della propria indole, decise di intraprendere lo studio scientifico scegliendo la facoltà di scienze matematiche fisiche e naturali della scuola di applicazione tecnica di Torino (che a partire dal 1906, sarebbe stato denominato “Politecnico”) dove avrebbe conseguito il titolo di Ingegnere industriale. Comprese, sin da allora, come la conoscenza della lingua inglese fosse importante e, per tale ragione, decise di accettare il periodo di apprendistato che gli fu offerto da un’azienda del Regno Unito. Fu tale esperienza che gli spalancò le porte per giungere ad un’altra importante milestone che avrebbe segnato la sua vita. Il suo professore universitario di riferimento Galileo Ferraris, scopritore del campo magnetico rotante e ideatore del motore elettrico a corrente alternata, lo invitò ad accompagnarlo al Congresso dell’elettricità che si sarebbe svolto all’esposizione universale di Chicago nell’Illinois, in qualità di traduttore. Camillo, rimasto affascinato dal sistema statunitense e dalla sua avanguardia in campo scientifico, decise di rimanere negli U.S.A. dove divenne, per un breve periodo, dai primi giorni del novembre del 1893 ai primi giorni dell’aprile del 1894, assistente alla cattedra di ingegneria elettrica alla Stanford University in California a Palo Alto, proprio laddove si sarebbe sviluppata, nei decenni successivi, la “Silicon Valley”. Nel 1894, all’apice del suo apprendimento e delle potenzialità della sua carriera accademica, fu pervaso da un senso di patriottismo e decise di tornare in Italia. Da questa scelta nacque, l’anno successivo, l’edificio di mattoni rossi, primo tassello di una scala esponenziale di successi, originariamente immaginato quale fabbrica di strumenti di misurazione elettrica.
Nel 1907 l’estro di Camillo elaborò l’ipotesi di avviare la produzione di macchine da scrivere e fu così che, a partire dal 22 ottobre del 1908, giorno nel quale viene realizzata la prima macchina da scrivere a marchio Olivetti, prese avvio una produzione capace di raggiungere vette mondiali. Camillo non è stato però solo un ingegnere, uno studioso e un dirigente d’azienda. Difatti, colui che veniva definito uomo burbero ed austero, tipicamente ottocentesco nei modi e nelle forme ma che, in realtà, era incredibilmente svincolato dai tradizionalismi e dalle consuetudini del suo tempo <2, coltivò anche una forte passione per la politica.
Questo aspetto, unitamente a molti altri, seppur in taluni casi con differenti sfaccettature, avrebbe caratterizzato anche il percorso del figlio Adriano. Camillo era un socialista convinto: avverso ad ogni tipo di ingiustizia, e strenuo difensore di un rapporto paritario e solidale tra gli uomini. Quest’ultimo aspetto, in particolare, era il movente del particolarissimo rapporto che egli aveva con i lavoratori della sua azienda per i quali riusciva ad essere, contemporaneamente, maestro, amico e punto di riferimento. Amava inoltre conoscere ogni sfaccettatura delle vite dei suoi dipendenti. Epica è la vicenda di Domenico Burzio. Operaio, figlio di operaio, nato nel 1876 che la tenacia, la caparbietà e lo studio costante delle lezioni impartite da Camillo, che formò in proprio tutti i suoi operatori, divenne il primo direttore tecnico/capo-officina della Olivetti, nonché prezioso e fidatissimo amico e consigliere di Camillo. Questo atteggiamento garantì a Camillo Olivetti una notevole considerazione ed un profondo rispetto da parte di tutti, caratteristiche che assolutamente non si potevano ricondurre al suo ruolo di datore di lavoro.
Camillo fece seguire all’originaria passione anche un diretto attivismo in campo politico promuovendo un settimanale chiamato «Azione Riformista», dai chiari ideali e propositi socialisti. Inoltre decise di candidarsi alle elezioni del consiglio comunale di Ivrea, nelle tornate del 1894 e del 1904, venendo eletto in entrambe le occasioni. Singolare fu il caso della prima elezione, quella del 1894. Subito dopo essere eletto, Camillo decise di dimettersi in quanto, a detta sua, su di lui non confluirono voti esclusivamente di matrice socialista. Va sottolineata anche l’esperienza di «Tempi Nuovi», quotidiano che si mise in luce per l’azione di contrasto agli ideali autoritari del fascismo. Evidentemente l’azione fu considerata troppo spavalda al punto tale da essere oggetto di una spedizione punitiva da parte di squadre fasciste. Ed è proprio nel tentativo di fuga dalle ritorsioni dell’esperienza finale del fascismo mussoliniano, la Repubblica Sociale Italiana, che il 4 dicembre del 1943 le già precarie condizioni fisiche di Camillo si aggravarono ulteriormente portandolo al decesso. Per comprendere ancor meglio chi fosse stato Camillo Olivetti e cosa avesse significato per la sua comunità e quanto per essa si era immolato riportiamo una precisa e al contempo profonda descrizione sugli attimi conclusivi della sua esistenza.
"Il giorno in cui fu trasportato al cimitero pioveva; ma da Ivrea, dai borghi vicini, dai vari luoghi del canavese si erano arrampicati su per la serra, fino a Biella, i suoi operai, i suoi fedeli. Erano arrivati con ogni mezzo, i più in bicicletta, con gran fatica e grande rischio. I tedeschi già davano la caccia ai partigiani, razziavano uomini, minacciavano intere popolazioni. Il piccolo cimitero israelitico di Biella poteva diventare un luogo di massacro, il recarvisi una sfida temeraria; ma esso si popolò, quel giorno, di uomini silenziosi, a capo scoperto, sui cui volti la pioggia cancellava inutilmente le lacrime" <3.
L’uomo che si è fatto da sé <4, nonostante l’appartenenza al ceto benestante, è sempre rimasto dalla parte dei più deboli partecipando finanche ai moti del pane di Milano del 1898. Il suo lascito più grande però rimarrà, indubbiamente, quell’edifico di mattoni rossi che, negli anni a seguire, avrebbe dato vita ad una delle più grandi esperienze industriali italiane ed internazionali. Per Adriano il padre Camillo ha rappresentato un punto di riferimento importante, un maestro di vita, e il primo alimentatore della formulazione del pensiero comunitario. Adriano Olivetti <5 nacque ad Ivrea l’11 aprile 1901, all’interno di una combinazione di risvolti ed ideali in un duplice vortice di suggestioni ed esperienze che però non diventeranno mai dogmi: l’ebraismo socialista del padre ed il cristianesimo protestante valdese della madre Luisa Revel. Camillo le chiese di sposarla dopo averla vista per appena due volte.
Camillo, sulla base della sua educazione troppo severa, scelse per i figli un percorso che consentì loro di rimanere “creativi” il più possibile e contemporaneamente lontani dalla mondanità. Difatti decise di avviarli alla formazione scolastica primaria solo all’età di 8 anni e con lezioni impartite dalla madre che aveva il diploma di maestra. Il primo test nei confronti di Adriano, quello che oggi chiameremmo probing o colpo di sonda, Camillo decise di farlo nel 1914 quando portò in azienda per alcune settimana un appena tredicenne Adriano. Il rifiuto da parte del giovane Adriano fu netto e totale, quell’esperienza si sarebbe rivelata un fallimento tanto da portarlo a scrivere alcuni anni dopo
"Nel lontano agosto 1914, avevo allora tredici anni, mio padre mi mandò a lavorare in fabbrica. Imparai così ben presto a conoscere e odiare il lavoro in serie una tortura per lo spirito che stava imprigionato per delle ore che non finivano mai, nel nero e nel buio di una vecchia officina. Per molti anni non rimisi piede nella fabbrica, ben deciso che nella vita non avrei atteso all’industria paterna. Passavo davanti al muro di mattoni rossi della fabbrica vergognandomi della mia libertà di studente, per simpatia e timore di quelli che ogni giorno, senza stancarsi, vi lavoravano". <6
Era quindi maturata in lui la volontà di discostarsi dalle orme del padre.
In realtà, quella esperienza, si sarebbe rivelata di prioritaria importanza in quanto Adriano avrebbe compreso successivamente quanto fosse importante, al fine di espletare incarichi di livello superiore, conoscere la meticolosità del lavoro manuale dell’operatore di produzione. Ed in effetti tale insegnamento, una volta raggiunti i vertici dell’azienda, sarebbe stato implementato come vera e propria politica di inserimento lavorativo per i nuovi assunti, anche per i neo laureati. Così testimoniava Francesco Novara che incontrando Olivetti nell’estate del 1955 riceveva una proposta interessante
"Se si assumono tutti o quasi tutti laureati per il livello direttivo, e diplomati per l’intermedio, si hanno in azienda tre strati, tre mondi di provenienza sociale diversa e con mentalità diversa: questo creerebbe barriere alla comunicazione e alla comprensione. E alla cultura dell’impresa sono necessarie tutte le forme di esperienza. Quindi si deve promuovere quanto possibile dall’interno e dall’esterno assumere principalmente d’avanguardia […] se lei accetta di collaborare con noi sarebbe necessario, poiché oggi stiamo sviluppando soprattutto gli stabilimenti che lei, come tutti i laureati, cominci svolgendo un lavoro operaio, perché la vita di lavoro in fabbrica la si conosce solo facendone esperienza diretta". <7
Adriano, unitamente alla coltivazione della sua passione nei confronti del giornalismo, che lo portò a collaborare con diverse riviste del Canavese, studiava presso la facoltà di Ingegneria meccanica e chimica industriale al politecnico di Torino. Terminati gli studi nel 1924 e dopo un iniziale apprendistato in fabbrica, Camillo organizzò per il figlio un soggiorno studio negli U.S.A. al fine di consentirgli di apprendere al meglio la lingua inglese e le tecniche industriali più avanzate.
Adriano, durante la permanenza negli Stati Uniti, rimase colpito dalle teorie di Ford e queste, insieme all’influenza del pensiero di Gobetti, gli diedero al suo ritorno in Italia, nel gennaio del 1926, la volontà di riavvicinarsi all’azienda di famiglia per realizzarne una nuova concezione. Camillo, non appena Adriano rientrò dagli U.S.A. decise di presentare il figlio a tutti i dipendenti dell’azienda nel “Salone dei duemila”. Quel gesto sancì ufficialmente l’inizio della carriera gestionale di Adriano.
In breve tempo la Olivetti di Ivrea avrebbe visto nascere, dentro di sé, l’organizzazione scientifica del lavoro, tipica delle teorie tayloriste, che portò l’azienda ad essere tra i pionieri dell’implementazione di alcuni settori chiave dell’economia industriale attuale come, ad esempio, la divisione tempi e metodi, la gestione delle risorse umane, la sociologia industriale e la sezione ricerca e sviluppo. Adriano attuò la sua svolta a partire dal 1927 basandola sul calcolo fondamentale che aveva formulato e, nel quale, si enunciava che il rendimento di ogni operaio poteva essere superiore di oltre un terzo rispetto alle valutazioni standard mediante una migliore organizzazione della produzione.
«Prima di essere una istituzione teorica, la Comunità fu vita» <8 e se il primo tassello di questa importante costruzione che fu la comunità olivettiana fu la fabbrica, esso fu certamente un modello esemplare. Adriano comprese che il fine di un’azienda non poteva e non doveva limitarsi al mero profitto economico bensì il dovere di un’azienda, degna di tale definizione, doveva estendere i propri confini alla realtà territoriale nella quale persisteva e, soprattutto, rivolgersi alla società civile ivi presente.
La creazione degli asili nido aziendali e delle mense, l’introduzione di un servizio autobus per trasportare i dipendenti dai paesi limitrofi ad Ivrea, l’organizzazione delle colonie estive, la realizzazione delle casse mutue e delle residenze per i lavoratori, sono solo alcuni esempi della concezione aziendale marchiata Olivetti. Un concept incredibilmente innovativo per quel periodo storico e che, ancora oggi, viene raramente messo in atto, a causa della esasperata corsa ai tagli ai bilanci delle aziende del settore privato, derivanti dalle crisi economico finanziare susseguitesi negli anni recenti e dalla volontà di generare, costantemente, esclusivamente maggiori profitti.
Al tal scopo va menzionato l’esempio della fondazione dedicata a Domenico Burzio, destinata a potenziare l’assistenza diretta a favore dei dipendenti e, come disse Camillo Olivetti «a garantire all’operaio una sicurezza sociale al di là del limite delle assicurazioni, in Italia ancor troppo ristretto» <9.
Quando, nel 1922, il già precario sistema politico liberal-democratico italiano vennero venne decisamente messo in crisi dall’avvento al potere di Mussolini e del fascismo, Adriano aveva soli ventuno anni. E’, probabilmente, proprio la sua giovane età, con le relative percezioni sensoriali maggiormente instabili, a portare Olivetti ad avere un rapporto col regime mussoliniano che si può definire quantomeno controverso. Durante i primi anni del regime, nonostante tale rapporto non si sia mai palesato in maniera netta, vi fu un atteggiamento di prudenza da parte di Adriano che, certamente, non voleva significare chiusura. Quando però, il 10 giugno del 1924, il regime commissionò il rapimento e l’uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti anche Olivetti iniziò ad avvertire la portata ed il pericolo dell’ideal-tipo professato dal Partito Nazionale Fascista. La vera svolta nei rapporti con il fascismo viene confermata però da un altro episodio che passerà alla storia: la fuga di Filippo Turati dalle milizie del regime. Adriano Olivetti si ritrovò coinvolto nell’episodio visti i suoi forti legami con la famiglia Levi. Difatti, dal 1923 al 1924, durante il servizio militare ebbe modo di consolidare un’amicizia che sarebbe poi perdurata negli anni a venire con il compagno di studi universitari Carlo Levi. Successivamente Adriano avrebbe preso in sposa, come prima moglie, Paola Levi sorella di Carlo, di cui diventò quindi anche cognato. Il 2 dicembre del 1926 scattò l’operazione. Fu proprio Adriano Olivetti, in accordo con Carlo Rosselli, Ferruccio Parri e Sandro Pertini a portare Turati presso la prima tappa del percorso, ossia la casa della famiglia Levi a Torino. Tale vicenda viene anche descritta da Natalie Ginzburg, sorella di Gino e Paola Levi, in un tratto di Lessico Famigliare:
"[…] aveva gli occhi spaventati (Adriano), risoluti e allegri; gli vidi, due o tre volte nella vita quegli occhi. Erano gli occhi che aveva quando aiutava una persona a scappare, quando c’era un pericolo e qualcuno da portare in salvo" <10.
Successivamente, sia il matrimonio con Paola che insofferente al provincialismo piemontese lo convinse a spostarsi a Milano dove rimasero dal 1931 al 1934, sia la contemporanea assunzione di sempre maggiori responsabilità all’interno dell’azienda, raggiunta con la nomina a direttore generale, avrebbero portato Adriano ad una distensione dei rapporti con il sistema mussoliniano, fino ad arrivare, nel 1933, alla richiesta ed ottenimento, il 31 luglio <11, della tessera per l’adesione formale al P.N.F.
Già dopo pochi mesi i fiduciari del regime descrivevano, in un promemoria indirizzato alla direzione centrale, la particolare situazione della famiglia Olivetti legata al mondo ebraico per parentato e, in particolare, della posizione di Adriano nei confronti del fascismo:
"Sebbene di recente iscritto al Partito, l’Adriano Olivetti non sembra abbia una adeguata comprensione del movimento fascista e dimostri molto attaccamento al Regime. Si ha piuttosto l’impressione che egli abbia chiesta la iscrizione per evidenti ragioni di opportunità, avendo un’azienda che ha necessità di essere tutelata e sostenuta dal governo". <12
Oltre alle evidenti convenienze che poteva ottenere per la sua azienda, il tesseramento fu in parte dovuto all’incontro con gli architetti Luigi Figini e Gino Pollini, corrispondenti diretti di Le Corbusier in Italia e punta più avanzata del Razionalismo, stile architettonico che anche il regime aveva deciso di detenere, quantomeno inizialmente, come dottrina ufficiale. La notoria passione per il design, l’architettura moderna e la pianificazione urbanistica, fu proprio in quegli anni che vide la luce il “Piano Territoriale della Valle d’Aosta, 1933-1937”, portarono Adriano a sostenere la figura di Mussolini, tanto da richiedere più volte un incontro privato.
Una situazione, quella di Olivetti della quale Sergio Ristuccia prova a dare una definizione probabilmente molto vicina alla realtà
"Si può anche supporre che Olivetti sia caduto nell’illusione degli intellettuali fascisti di sinistra, nella specie degli architetti e cultori di urbanistica che pensavano di poter contare su talune iniziali propensioni del fascismo verso l’architettura razionalista moderna e verso una nuova cultura delle città" <13.
L’incontro con il duce finalmente avvenne nel maggio del 1936. Durante l’udienza concessa, Mussolini, poco attento e molto restio all’ascolto delle proposte olivettiane, deluse in toto le aspettative dell’imprenditore di Ivrea. A rimarcare ciò, sarebbe arrivata di lì a poco la scelta del regime di passare dall’impostazione razionalista al recupero della maestosità dell’architettura classica, con l’intento di garantire il necessario sfarzo al ricostituito impero d’Italia. Si avviava una nuova fase di allontanamento tra Olivetti e le tesi del fascismo. Tuttavia, un altro episodio poco noto, ma che ebbe un diffuso impatto mediatico quando fu reso noto, vide Olivetti accostato al regime noto che vede. Durante le trattative per la formazione del governo Fanfani II, nell’estate del 1958, «Il secolo d’Italia» <14, giornale vicino alla destra nazionale, criticò le scelte assunte da Olivetti. Nella critica venne svelato, con tanto di prove fotografiche, la notizia di un incontro presso l’azienda di Ivrea tra Olivetti e i fiduciari locali del duce. Olivetti venne definito camerata, «la camicia nera del governo Fanfani», ma la cosa che più impressionò fu proprio l’immagine che ritraeva l’episodio. Durante la visita del segretario federale torinese agli stabilimenti, avvenuta nel 1941, Adriano Olivetti indossava la divisa nera del regime <15. Questo accaduto non è stato sino ad ora riportato dalla storiografia olivettiana e si configura come un altro tassello del particolare rapporto tra l’uomo di Ivrea e la dittatura mussoliniana. Si può ipotizzare che la divisa militare fu indossata con lo scopo di accogliere i visitatori e di accaparrarsene una benevola fiducia. Certo l’impatto con l’immagine di Olivetti è abbastanza forte ma altrettanto forte sarebbe stata la ritrosia dell’uomo di Ivrea nell’opporsi alla limitazione della democrazia imposta durante il ventennio di dominio del partito fascista.
Adriano, compresa la brutalità delle forze dell’Asse durante il secondo conflitto mondiale, disgustato dalla politica opprimente del regime, decise di sostenere l’attività degli alleati, esponendosi in talune circostanze, a situazioni ad elevato rischio. E’ tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio del 1943 che, in Svizzera, prese i primi contatti con l’Office of Strategic Services il servizio segreto statunitense, la futura C.I.A. Olivetti si presentò all’incontro come referente di quattro gruppi di opposizione antifascista e richiese delucidazioni in merito al trattamento che gli Alleati avrebbero riservato all’Italia. Successivamente Adriano avrebbe conosciuto il coordinatore dell’O.S.S., di istanza a Berna Allen Dulles, il fratello di John Foster Dulles che, successivamente, sarebbe divenuto segretario di stato americano.
[NOTE]
1 Per una biografia completa di Camillo Olivetti si veda LAURA CURINO, GABRIELE VACIS, Camillo Olivetti alle radici di un sogno, Ipoc editore, Milano, 2015.
2 Cfr. CHIARA RICCIARDELLI, Olivetti una storia, un sogno ancora da scrivere. La sociologia del lavoro nell’esperienza italiana, Franco Angeli, Milano, 2001, p. 14.
3 Estratto da una lettera di LIBERO BIGIARETTI in BRUNO CAIZZI, Gli Olivetti, Utet, Torino, 1962, pp. 54-57.
4 VALERIO OCHETTO, Adriano Olivetti. La biografia, Comunità Editrice, Roma/Ivrea, 2013, p. 18.
5 Per un approfondimento sulla vita di Adriano Olivetti si veda la biografia di Valerio Ochetto, Adriano Olivetti. La biografia, cit.
6 Estratto di una lettera di Adriano Olivetti in V. OCHETTO, Adriano Olivetti. La biografia, cit., p. 26.
7 FRANCESCO NOVARA, Un lavoro a misura d’uomo, in (a cura di) STEFANO SEMPLICI, Un’azienda e un’utopia. Adriano Olivetti 1945 - 1960, Il Mulino, Bologna, 2001 pp. 75-76.
8 ADRIANO OLIVETTI, Città dell’Uomo, Edizioni di Comunità, Torino, 2001, p. XXVI.
9 A. OLIVETTI, in (a cura di) ALBERTO SAIBENE, Il mondo che nasce. Dieci scritti per la cultura, la politica, la società, Comunità editrice, Roma-Ivrea, 2014, p. 13.
10 NATALIE GINZBURG, Lessico famigliare, Einaudi, Milano, 1963, p.75.
11 Nota fiduciaria siglata 711, cioè redatta da Pieri Novelli Adelina, Cfr. MAURO CANALI, Le spie del regime, Il Mulino, Bologna, 2004. Archivio Centrale dello Stato, Roma, d’ora in poi ACS, Fondo Ministero dell’Interno, direzione generale di pubblica sicurezza (1861-1981), divisione polizia politica, fascicoli personali, b. 916, fasc. Ing. Adriano Olivetti.
12 Ibidem.
13 SERGIO RISTUCCIA, Costruire le istituzioni della democrazia. La lezione di Adriano Olivetti, politico e teorico della politica, Marsilio editore, Venezia, 2009, p. 225.
14 La camicia nera del governo Fanfani, Il secolo d’Italia, n. 160, 1958, p.1. Archivio Fondazione Adriano Olivetti, Roma, d’ora in avanti AFAO, Fondo Massimo Fichera, articoli, 1958, b. 2.
15 Ibidem.
Giuseppe Iglieri, Il Movimento Comunità. Il partito di Adriano Olivetti, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, Anno accademico 2016-2017