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mercoledì 2 febbraio 2022

Cercarono di ribaltare le accuse, utilizzando termini come forchetta e truffa per definire gli atteggiamenti comunisti


Manifesto del PCI (1953) - Fonte: www.manifestipolitici.it - immagine qui ripresa da Andrea Mariuzzo, Op. cit. infra

Manifesto della DC (1953) - Fonte: www.manifestipolitici.it - immagine qui ripresa da Andrea Mariuzzo, Op. cit. infra

Dal 1948, ma in modo più insistito dal 1950 alle elezioni del 1953, il tema morale su cui si concentrarono le campagne propagandistiche del PCI fu soprattutto quello relativo all’onestà degli uomini politici e dei parlamentari del campo avverso. Fin dal maggio del 1947 i manifesti e i giornali murali comunisti tratteggiavano l’immagine del nuovo governo senza partiti marxisti come di una compagine in stretto rapporto con il mondo del grande capitale finanziario: i prodotti di comunicazione politica della Sezione stampa e propaganda del 1947-1948 insistevano soprattutto sulle numerose cariche di carattere economico, nei consigli di amministrazione di imprese, aziende agrarie e banche, mantenute dai ministri dei governi De Gasperi; le critiche si concentravano da un lato sugli effetti distorsivi che questa concentrazione di interessi nelle persone dotate di potere decisionale poteva avere nella direzione dell’economia e delle finanze italiane, dall’altro, in maniera più immediata ed adeguata a suscitare l’indignazione di un pubblico non abbiente e non colto, sull’accumulo di stipendi e prebende contrapposto alla sana sobrietà del cittadino di medio reddito <500.
Dopo la conferma della maggioranza col voto del 18 aprile, il discorso già impostato sugli accumuli di cariche e di introiti non fu abbandonato, ma le critiche si fecero più definite, indicando le possibili conseguenze di una prolungata permanenza al potere degli stessi individui e degli stessi gruppi di interessi. Alla festa dell’Unità del 1949 uno degli stand di maggior successo (e maggiormente sorvegliati dalla polizia) fu quello dedicato alla Bottega degli scandali, nel quale erano rappresentati tramite illustrazioni esplicative alcuni casi di comportamento illecito di amministratori democristiani. Quegli stessi rapporti tra governanti e capitalisti, che nell’ottica comunista potevano essere interpretati come tratto distintivo di un “governo di classe”, iniziavano ad essere rappresentati come fonte di illegalità diffusa, di malversazioni e di appropriazioni indebite da parte di uomini politici che usavano il potere a vantaggio loro e di chi poteva permettersi di garantire ad essi cospicui guadagni <501.
L’anno successivo, a maggio, il problema dei dilaganti episodi di illecito finanziario da parte di «alti papaveri» democristiani divenne un caso di prepotente attualità sulle colonne dei giornali di sinistra, a causa delle rivelazioni dell’on. Viola, deputato democristiano che aveva denunciato in alcuni interventi giornalistici la diffusa pratica del malaffare nel suo partito, minacciando di accusare personalmente i responsabili. Sull’Unità gli editoriali e gli articoli di cronaca iniziarono a descrivere lo scandalo che stava montando come "uno degli episodi, forse il più clamoroso, di una catena di denunce contro la corruzione e l’affarismo che sono diventati caratteristica spiccata del regime clericale. Di giorno in giorno sempre nuovi individui sono entrati nel giro di affari che fa capo a Piazza del Gesù. E, come è logico, sono aumentate le omertà e le complicità nella consorteria". <502
L’atteggiamento dei vertici della DC era descritto come attento più a non prestare il fianco a critiche da parte dell’opposizione che a punire i colpevoli, secondo un codice di comportamento che Ingrao definì «camorristico», e che fu da lui sintetizzato nel sarcastico annuncio: «Iscritti al partito della Democrazia Cristiana, gerarchi clericali, uomini della maggioranza, galoppini, ministri: avanti, sicuri, verso la greppia, che sarete salvi […]!» <503. I giornali orientati a sinistra appoggiarono l’organo del PCI in questa campagna per un tema a cui la stampa filogovernativa dedicava, non a caso secondo i critici, scarsa attenzione.
Da questo momento, la critica alla disonestà democristiana divenne un elemento di primo piano nel discorso propagandistico comunista, attraverso la formazione di un lessico adeguato alla ripresa propagandistica con slogan e metafore visive, come dimostra il periodico richiamo di tali spunti proposto su Propaganda. Nel marzo del 1951, il sussidio per attivisti della Sezione stampa e propaganda propose proprio un numero speciale per risvegliare l’attenzione sul malaffare governativo, intitolandolo ancora La bottega degli scandali. Il contributo principale del fascicolo era un’ampia cronologia degli episodi di malversazione o di disonestà di cui si erano resi responsabili gli avversari del PCI, a partire dal caso Cippico del 1948 fino al caso Viola dell’anno prima <504. Anche gli altri interventi sistemarono e strutturarono, in un discorso coerente e spendibile in sede di mobilitazione politica, tutti i precedenti spunti relativi alle commistioni illecite tra esponenti del governo (e specialmente della DC) e potere economico. “Vogliono metter le mani dappertutto”, era l’immagine indubbiamente forte usata per descrivere il fatto che sin dai primi mesi dopo il 18 aprile la democrazia cristiana ha lanciato i suoi aderenti all’arrembaggio delle cariche e dei posti di responsabilità della vita del paese. Ciò non solo per assicurare ad essi lauti stipendi e onorari, ma anche per assicurarsi nelle mani le leve più importanti della vita nazionale. <505
La presenza di alcuni uomini di governo democristiani, come Mario Cingolani, Cesare Merzagora, Teresio Guglielmone, Giovanni Pollastrelli, Giuseppe Togni, nei consigli di amministrazione delle principali imprese italiane, era presentata come l’effetto di una vera e propria strategia illegale di concentrazione del potere <506.
"Attualmente 141 deputati DC ricoprono incarichi extra parlamentari, non compatibili con il mandato parlamentare. decine di deputati sono cioè presidenti, consiglieri, alti funzionari di imprese industriali, di banche, ecc. Non mancano neppure i collezionisti [che hanno cinque o sei incarichi] […]. Anche fra i senatori i democristiani contano circa 40 uomini con incarichi extra parlamentari di varia natura incompatibili con il mandato parlamentare". <507
La lettura in cui questi episodi erano inseriti era essenzialmente fedele alla matrice classista della proposta politica comunista, poiché la diffusione dell’illegalità nella classe dirigente era direttamente collegata all’assenza di “rappresentanti del popolo” al governo del paese:
"Gli scandali potranno terminare quando al Governo non ci saranno più gli uomini delle banche, degli agrari, ma i rappresentanti autentici del popolo". <508
La tornata delle amministrative del 1951-1952 fu il primo banco di prova per la sperimentazione di una campagna di comunicazione politica sulle ruberie democristiane, e per la prima sedimentazione del lessico propagandistico. Per il numero di Propaganda pubblicato nell’aprile 1952 in vista delle elezioni romane, si preparò un elenco di familiari e collaboratori degli amministratori locali filogovernativi, che avevano ricevuto aiuti e facilitazioni, contrapponendo tutto ciò alla retta ed oculata gestione delle risorse effettuata dal comune di Bologna, dove «i ricchi» subivano la maggiore pressione delle imposte municipali <509. Un mese dopo, a ridosso del voto, sull’Unità romana iniziarono ad apparire alcune vignette relative ai «divoratori», ovvero quei dirigenti dei partiti avversari la cui ingordigia era tale, che potevano essere rappresentati nell’atto di mangiarsi tutta l’Italia in mezzo ad uno sfilatino di pane <510.
Da questo periodo in poi il riferimento, verbale o grafico, alle funzioni alimentari come metafora della ruberia trovò terreno fertile nella comunicazione propagandistica di sinistra. Non si trattava di un accostamento nuovo, dal momento che la metafora dell’ingordigia di cibo per indicare ingordigia di prebende e denaro era un elemento classico dell’umorismo politico fin da tempi antichi. I primi segnali di una ripresa di questi stilemi di stampo satirico nella comunicazione grafica si ebbero negli ultimi numeri del Don Basilio, all’inizio del 1950; in una illustrazione, ad esempio, un vulcano a tante bocche era connotato come «democristiano» <511. Con il caso Viola, sull’Unità, si videro i primi frequenti trasferimenti della metafora alimentare nel linguaggio verbale, con il riferimento insistito all’«assalto alla greppia», per descrivere in tono colorito il comportamento degli esponenti della DC <512.
Il momento in cui queste suggestioni e questi riferimenti metaforici trovarono una sistemazione organica fu la campagna che, per tutta la prima metà del 1953, vide impegnati il PCI ed il PSI contro l’applicazione della nuova legge elettorale. Nei lunghi mesi di attività propagandistica dalla discussione della legge in Parlamento fino alle elezioni, i redattori del Taccuino del Propagandista avevano impostato i numeri monografici sull’opposizione alla “truffa” con argomentazioni riprese dalla stampa di partito; per loro la «volontà di difendere ad ogni costo il regime di sfruttamento e di privilegio» della DC era la ragione fondamentale per cui si era arrivati alla correzione maggioritaria della legge elettorale <513.
Con l’inizio del 1953 i deputati democristiani iniziarono ad essere contrassegnati nelle vignette da una forchetta, con la quale avrebbero mangiato il più possibile; a febbraio, tale elemento era già usato correntemente nel linguaggio verbale, con un redazionale ben evidenziato, che fin dal titolo identificava i parlamentari che la DC avrebbe avuto grazie alla “truffa” con «380 forchette» <514. Due mesi dopo, Davide Lajolo individuava proprio nella greppia e nella forchetta gli elementi distintivi dell’atteggiamento democristiano, gli obiettivi per cui ci si mostrava pronti a strumentalizzare il sentimento religioso:
"I democristiani che vogliono farla da padroni con la prepotenza, che vogliono tutti i posti alle greppie e tenerli nel nome di Dio, […] hanno cominciato a fare della difesa delle loro forchette un duello di religione". <515
Nel frattempo, i riferimenti linguistici al tema delle forchette e del loro utilizzo si erano moltiplicati, divenendo una sorta di abitudine per i lettori e finendo per essere riprese nella comunicazione grafica dei manifesti. Gli attribuiti visivi tipici dell’ingordigia alimentare, come la grassezza, erano ormai un aspetto sempre presente nella rappresentazione caricaturale del deputato democristiano, non solo sull’Unità ma anche nelle vignette dell’Avanti!. In altri disegni le tre punte di una grande forchetta sostenuta da De Gasperi formavano lo scudo della DC, con al centro la parola “Pastas” in luogo di “Libertas” <516, o lo scudo vedeva la propria croce formata da forchetta e coltello, mentre il cartiglio centrale riportava la parola “Pappatas” <517, o la posata era vista come il pennone da cui sventolavano le bandiere dei partiti centristi, quasi a rappresentare il carattere distintivo della loro proposta politica <518. Alcuni slogan del giornale erano poi divenuti materiale per volantini, come «In cabina i forchettoni non ti vedono. Vota contro la corruzione» (chiaramente modulato sul guareschiano «Dio ti vede…» del 1948), e «Se sei onesto vota contro le forchette» <519.
Più in generale, l’utilizzo di un simbolo metaforico concreto e diffuso nella quotidianità, come la forchetta, permise ai grafici del PCI di elaborare una serie di messaggi più vari e più immediati, rispetto alla solennità delle scelte grafiche del 1948. Ad essere utilizzati furono soprattutto gli stilemi della comunicazione pubblicitaria, ben conosciuti agli elettori. Il manifesto che rappresentava i notabili democristiani, da De Gasperi a Scelba, intenti a trasportare grosse posate sulle spalle, ad esempio, riprendeva l’impostazione del manifesto pubblicitario di una nota marca di posate, mentre il diretto riferimento alle funzioni alimentari come metafora del malaffare politico portò la Sezione stampa e propaganda a diffondere un manifesto in cui si invitavano i “forchettoni” ad aiutare la digestione con il Cynar <520.
Gli sviluppi della campagna incentrata sulla lotta ai “forchettoni” e alle “mangerie” governative non furono limitati alla propaganda grafica, ma trovarono espressione in ogni aspetto della comunicazione politica del PCI. All’inizio di maggio L’Unità presentò organicamente, in ordine alfabetico, temi e protagonisti della polemica sull’accumulo di cariche e prebende da parte dei deputati della DC, nel "Dizionario della greppia" <521, mentre ogni lunedì l’ultima pagina era dedicata all’esposizione di materiale satirico adatto al recupero propagandistico, raccolto sotto il titolo di Il forchettone del lunedì. Il materiale era incentrato sull’invettiva ad personam, attraverso l’elencazione e la derisione di alcuni parlamentari democristiani particolarmente “ingordi” nell’accumulo delle cariche politiche ed economiche e dei rispettivi stipendi. Si trattava dell’applicazione della direttiva impartita, nella sua circolare alla Sezione stampa e propaganda del febbraio 1953, da Pajetta:
"Io credo che dobbiamo riuscire a battere l’avversario creando degli slogan, delle categorie. […] Dobbiamo creare, ad esempio, la categoria del Guglielmone; dobbiamo pubblicare la fotografia di Guglielmone e di tutti gli altri che hanno molti incarichi e dire; questo ha tanti incarichi e guadagna tanto, quest’altro… Dobbiamo creare una situazione per cui quando parla un DC la gente debba dire: è un Guglielmone anche lui". <522
Negli elenchi di parlamentari “cumulisti”, coloro cioè che accumulavano posti direttivi nel settore pubblico e privato, tra loro teoricamente incompatibili e tutti molto ben retribuiti, il senatore Guglielmone figurava in prima fila, e con il suo primato di sedici cariche dirigenziali in aziende che vantavano concessioni statali era stato definito una volta «il re delle forchette» <523. Il suo nome fu poi ripreso su scala locale, come ad esempio in un volantino prodotto dal PCI toscano in cui l’impiegato fiorentino Teresio Guglielmone "tiene a far sapere di non aver nulla in comune con Teresio Guglielmone noto forchettone DC speculatore multimilionario, arraffatore di cariche e prebende, tipico rappresentante dei mangioni della greppia democristiana". <524
Il terreno delle critiche alla corruzione, alle ruberie, all’ingordigia della compagine governativa centrista costituì l’humus in cui trovò un significato pregnante uno dei sintagmi più noti e caratteristici nella storia della propaganda politica italiana: quello di legge truffa. Il termine iniziò ad essere applicato con una certa frequenza negli ultimi due mesi del 1952, dapprima in ambiente socialista: negli editoriali e nelle cronache parlamentari dell’Avanti!, la proposta di legge elettorale iniziò subito ad essere chiamata «“truffa” clericale», con le virgolette che presto sparirono dal sostantivo, e in poche settimane il termine «legge truffa» soppiantò altri sintagmi sinonimi, tutti orientati a caratterizzare la legge come un furto, come «legge ruba-seggi» o legge dei «ladri di seggi».
Già il 15 novembre del 1952 le circolari della Sezione nazionale stampa e propaganda del PCI parlavano di «legge truffa» rivolgendosi agli attivisti <525, ma la definizione tardò ad entrare in uso, anche a causa della minore decisione con cui i vertici del PCI si opposero inizialmente alla proposta, pensando di poter attenuare la correzione maggioritaria per via parlamentare <526. Da dicembre, e soprattutto nell’anno successivo, con l’approvazione della legge alla Camera, il Partito comunista impegnò nella propaganda contro la legge tutte le sue poderose strutture di comunicazione, adottando il sintagma “legge truffa” e diffondendolo con una intensità impressionante, fino a renderlo un elemento comune per definire la legge nel dibattito politico. Soprattutto nelle scelte di rappresentazione grafica, il profondo legame tra la campagna contro la “truffa” e quella contemporanea contro i “forchettoni” appariva chiaro: i voti che i partiti di governo intendevano “rubare”, con la correzione maggioritaria, erano rappresentati come soldi trafugati dai leader della maggioranza, o come portafogli sottratti dalle tasche degli elettori. Uno dei manifesti più noti, la finta locandina del film L’ultima truffa, i cui interpreti avevano i nomi storpiati dei principali leader centristi, e il cui protagonista era lo stesso De Gasperi che indossava una mascherina da ladro e scappava con la refurtiva, costituiva il punto più avanzato di una serie di esperimenti grafici che utilizzavano le stesse metafore <527. Simili scelte espressive non mettevano in evidenza soltanto il legame diretto tra la conservazione del potere governativo sottesa alla legge elettorale e il permanere del sistema di ruberie contro cui il PCI si scagliava; il collegamento era più profondo, e riguardava essenzialmente l’atteggiamento immorale e disonesto degli esponenti di governo, pronti a truffare i cittadini nel conteggio dei voti così come erano pronti al comportamento illegale quando potevano rimpinguare le loro finanze.
La SPES e il Civico cercarono di ribaltare le accuse, utilizzando termini come forchetta e truffa per definire gli atteggiamenti comunisti <528. Un manifesto della DC, ad esempio, definiva forchettoni proprio Nenni e Togliatti, presentati in alcune fotografie durante lauti pasti al ristorante; il commento alle immagini ricordava che grazie alle «illusioni» degli elettori «proletari» i leader di sinistra potevano permettersi «case principesche, locali di lusso, viaggi di piacere, cameriere, autisti, “segretarie”», con quest’ultima insinuazione ulteriormente rafforzata dal fatto che il segretario comunista fosse sempre ritratto in compagnia di Nilde Iotti <529. Sotto il titolo "Questa è una truffa", poi, si mostrarono alcune fotografie ufficiali sovietiche dei primi anni Cinquanta, modificate per far apparire Malenkov più vicino a Stalin in funzione legittimante <530, mentre un manifesto elettorale che riprendeva il confronto tra le parole del PCI in difesa della pace e le azioni di guerra del comunismo internazionale si intitolava proprio La pace truffa dei comunisti <531. Ma il fatto stesso che i propagandisti democristiani dovessero tenere in questa considerazione un’espressione coniata dagli avversari era segno dell’efficacia dell’opera di diffusione effettuata dai comunisti.
[...] Le più recenti acquisizioni critiche su questo complesso tema hanno messo in evidenza che la caratterizzazione dell’atteggiamento populista non sta tanto nella proposta ideologica, quanto nella presentazione al pubblico di uno “stile”, orientato essenzialmente alla svalutazione dei processi di selezione dei vertici istituzionali attraverso la delegittimazione di questi ultimi <535. Il passaggio, nel discorso propagandistico, dall’illegittimità all’illegalità come metro di giudizio di comportamento degli avversari al governo, rappresentava il segnale del tentativo di comunisti e socialisti di presentarsi, al di là delle procedure di rappresentanza, come unici interlocutori credibili per le cosiddette “forze sane” del paese <536. Questo spiegherebbe il successo che, nel corso dei decenni successivi, la critica all’onestà e alla moralità del governo trovò nella propaganda organizzata da forze di opposizione più nettamente antisistemiche, come l’universo delle “leghe” negli anni Ottanta e Novanta <537.
 

Supplemento a La Lotta, 24 maggio 1953, da usare come giornale murale - Fonte: www.manifestipolitici.it - immagine qui ripresa da Andrea Mariuzzo, Op. cit. infra

[NOTE]
500 Cfr. alcuni es. in ACS, DGPS, AA.GG.RR., 1947-1948, b. 29, K1B.
501 Cfr. G. Gozzini, R. Martinelli, Storia del PCI, vol. VII cit., pp. 466-467.
502 A. Coppola, “Gli scandali e il malcostume dilagano tra gli ‘alti papaveri’ democristiani”, L’Unità, 19/V/1950, p. 4.
503 “Il caso Viola”, L’Unità, 25/V/1950, p. 1.
504 pp. 17-21.
505 p. 10.
506 pp. 14-15.
507 p. 4.
508 p. 2.
509 Cfr. “Parenti, amici e clienti ‘sistemati’ a spese del Comune”, e “A Bologna pagano i ricchi”, Propaganda, 44, aprile 1952, pp. 3 e 5.
510 Cfr. ad es. 16/V/1952, p. 3.
511 V, 14, 2/IV/1950, p. 3.
512 A. Coppola, “Gli scandali e il malcostume…” cit.
513 Cfr. Taccuino del Propagandista, VI, 1, 15/I/1953, p. 14.
514 L’Unità, 26/II/1953, p. 1.
515 D. Lajolo, “La religione e la forchetta”, L’Unità, XXX, 10/IV/1953, p. 1.
516 9/IV/1953, p. 6.
517 Il manifesto è in ACS, DGPS, AA.GG.RR., 1953, b. 21, G1 A ag 1.
518 Via il regime della forchetta cit.
519 ACS, Manifesti di carattere politico - Elezioni politiche, b. 3.
520 Per approfondire queste considerazioni, cfr. E. Novelli, C’era una volta il PCI cit., pp. 84-93.
521 Lo stesso sussidio informativo per i propagandisti fu presentato, a partire dal n. VI, 13, 19/V/1953, pp. 32 e ss., sul Taccuino del propagandista.
522 “Problemi della propaganda” cit.
523 “Forchettoni dell’al di qua”, L’Unità, 21/V/1953, p. 6.
524 Cfr. D.G. Audino, G. Vittori, Via il regime della forchetta cit.
525 circolare n. 128, oggetto: Campagna per la proporzionale, 15/XI/1952, in ACS, MI, Gabinetto, Partiti Politici, b.69, fasc. 175 P 93.
526 Cfr. G. Quagliariello, La legge elettorale del 1953 cit., pp. 55 e ss.
527 Molto del materiale grafico in proposito è ora disponibile in Fu vera truffa? cit., passim, e cfr. ancora alcuni riferimenti in G. Quagliariello, op.cit., p. 121.
528 Alcuni suggerimenti in proposito furono pubblicati su Traguardo fin dal numero del 15/XII/1952 (pp. 5-11).
529 www.manifestipolitici.it.
531 www.manifestipolitici.it.
535 Gli interventi più acuti sulla natura del discorso politico populista sono sicuramente contenuti in Mots, 55, giugno 1998, n. speciale Discours populistes. Il tema del populismo, però, è stato oggetto negli ultimi anni di alcune elaborazioni originali, soprattutto dopo che alcuni risultati elettorali hanno riportato alla ribalta soggetti politici tradizionalmente definiti “populisti”: alcune considerazioni interessanti sono raccolte in Vingtième Siècle, 56, 1997, n. speciale Les populismes, e in Ricerche di Storia Politica, VII, 3, 2004, n. speciale Il populismo: una moda o un concetto?
536 Per ulteriori riflessioni su episodi come questo, che caratterizzarono il discorso politico delle sinistre marxiste in Italia nei primi anni di vita democratica, e sulla sostanziale scomparsa dei toni populisti con la maturazione del ruolo di opposizione “istituzionale” del PCI, cfr. M. Lazar, “Du populisme à gauche. Le cas français et italien”, Vingtième Siècle, 56, 1997, pp. 121-131.
537 Per un’esposizione documentata, e soprattutto ricca degli opportuni riferimenti per contestualizzare il tema nel più complesso sviluppo della comunicazione politica italiana, cfr. G. Monestarolo, “Roma ladrona. I manifesti delle leghe piemontesi dal 1978 al 1992”, in La politica sui muri cit., pp. 138-152.
 

Manifesto della DC (1953) - ACS - immagine qui ripresa da Andrea Mariuzzo, Op. cit. infra

Andrea Mariuzzo
, Comunismo e anticomunismo in Italia (1945-1953): strategie comunicative e conflitto politico, Tesi di perfezionamento in discipline storiche, Scuola Normale Superiore di Pisa, 2006