Powered By Blogger

lunedì 31 gennaio 2022

In Italia, quindi, i primi approcci con il giallo avvennero attraverso le traduzioni di opere straniere


Quando una legge fascista impose la presenza del 20% d’autori italiani in qualsiasi collana di letteratura, scegliendo chi dovesse confrontarsi con Wallace e Van Dine, nel 1931 Mondadori scelse Varaldo, che non poteva certo esser indifferente a una tipologia di romanzo che reinventava la tradizione dell’avventura e riformulava le tecniche dell’intrattenimento, un’opportunità per gli scrittori e una delizia per i lettori. Mondadori già nel novembre 1929 gli chiese qualche riga promozionale sulla letteratura poliziesca e sulla neonata collana «gialla», sicuro che lui, a differenza d’altri, non ne fosse «dispregiatore», ma anzi particolarmente predisposto come «i letterati inglesi che fanno le migliori feste a Wallace» <9.
L’ammiratore però divenne presto autore e uscì "Il sette bello", che nell’aprile del 1931 inaugurò la tradizione del «giallo» all’italiana, e che oggi sarebbe ancora godibile (qualcuno lo riprendesse in mano) <10. La narrazione in prima persona, come da tradizione anglosassone, è qui riproposta cinque volte con i diversi punti di vista dei protagonisti: centrale (anche perché terzo) è quello del commissario Ascanio Bonichi, prima Giovanni Révere, studente per comodità, che apre il romanzo, e Maddalena Terzi, studentessa di medicina detta “Maud”, poi altri due giovani come il bersagliere Biondo Biondi e il pittore Giacomo Serra.
Ispirato probabilmente da un personaggio realmente esistito, un funzionario della stazione di Ventimiglia che col suo arrivo rese più sicuro quel caotico crocevia, Ascanio Bonichi, il primo detective italiano, baffuto e bonario, è decisamente differente dal Philo Vance di Van Dine, che è quasi un dandy, cultore dell’arte e studioso di psicologia, un Superuomo (Van Dine era un appassionato di Nietzsche), mentre il personaggio di Varaldo non ha doti particolari, è nei fatti un uomo medio. Decisamente differente anche dal Mr. Reader di Wallace, un investigatore trasandato abbastanza criminale per riuscire a interpretare e prevedere le mosse dei veri criminali, mentre Bonichi non ha la ben che minima dannazione e s’ispira piuttosto a un altro illustre detective, non nascondendo la propria «passione per Sherlock Holmes e i travestimenti classici di quel pioniere della deduzione» (Varaldo 1936a: 108).
Andrea Camilleri in qualche occasione ha confessato come senta “un vago odore” di "Pasticciaccio" davanti alle pagine dedicate a Bonichi, ma qui, forse per fortuna, non si ha lo spazio per districare una matassa tanto intricata e delicata anche se la mescolanza di codici linguistici (raffinato e romanesco, specialistico e popolare, francese e dialetto) darebbe qualche conforto in più al confronto fra due romanzieri così sproporzionatamente diversi come Varaldo e Gadda che solo scriverli sulla stessa riga fa tremare i polsi.
[NOTE]
9 Lettera di Arnoldo Mondadori ad Alessandro Varaldo del 10 novembre 1929 (FAAM).
10 Il romanzo nel giro di un decennio sparì dalla circolazione, vi tornò nel 1977 nei “GIM” Mondadori e nel 2006 con un’edizione a cura di Francesco De Nicola per De Ferrari.
Alessandro Ferraro, Muy señor nuestro Alessandro Varaldo. La ricognizione nel mondo spagnolo e portoghese per riscoprire un autore italiano di successo ma dimenticato, Cuadernos de Filología Italiana, 2012, vol. 19

Il caso del giallo italiano presenta sin dagli esordi delle caratteristiche originali, riconducibili in primo luogo ad un diverso sviluppo dell'assetto politico ed economico sociale della nazione rispetto al mondo anglosassone. Innanzitutto lo sviluppo industriale tardivo e geograficamente disomogeneo dell'Italia che ha naturalmente ritardato il costituirsi di una classe borghese come in Inghilterra, in Francia, negli Stati Uniti, principale fruitrice della letteratura d'intrattenimento <58. Dal punto di vista strettamente culturale e letterario, sono ormai riconosciuti come deterrenti per lo sviluppo di una letteratura rappresentativa delle esigenze e dei gusti del popolo il peso della tradizione umanistica e l‘incapacità di dialogo tra classe intellettuale e popolare. Probabilmente però la scarsa divulgazione che conobbe il giallo in Italia all'inizio del '900 è imputabile allo stigma di inferiorità letteraria con cui veniva liquidato il genere, condizione che spinse per molto tempo, dagli anni '30 ai '70, al fenomeno del "giallo di contrabbando" <59. Con questa espressione si intende che i giallisti italiani preferivano pubblicare con pseudonimi stranieri, per una sorta di vergogna sociale data dal basso prestigio letterario di cui godeva il genere e, di conseguenza, per concedersi una maggiore libertà espressiva.
Tuttavia vanno ricordate, dalla seconda metà del Novecento, le eccezioni rappresentate da scrittori colti formatisi nell'epoca fascista, come Gadda e Sciascia. Mentre però Sciascia svilupperà la linea del poliziesco come forma stabile dei suoi romanzi, Gadda sceglie di cimentarsi col genere in un'opera che resterà incompiuta, "Quer pasticciaccio brutto di via Merulana" (1957). È chiaro in questo caso, però, che l'autore utilizza gli strumenti del giallo per giungere ad una narrazione complessa, consapevole che l'orizzonte ludico e d'intrattenimento non è l'unico possibile per il genere <60, così come avverrà successivamente anche per Sciascia.
Il pregiudizio sull'inferiorità letteraria del genere non era condiviso solo in Italia ma trovava diversi baluardi anche in autori e intellettuali stranieri; R.A. Freeman, ad esempio, non nascondeva il proprio disprezzo definendo il poliziesco "un prodotto di scrittori rozzi e assolutamente incompetenti, destinato a fattorini, commesse e, insomma, a un pubblico privo di cultura e di gusto letterario" <61.
In Italia, quindi, i primi approcci con il giallo avvennero attraverso le traduzioni di opere straniere ed è importante sottolineare come il poliziesco, in questa fase, rappresentasse una delle poche finestre attraverso cui mantenere contatti con le culture straniere. Un ruolo importante, nella fase precedente all'immissione dei romanzi nel mercato editoriale, fu svolta dalla collana "Il romanzo mensile" pubblicata sul "Corriere della Sera". Le pubblicazioni della collana, che si svolsero dal 1908 al 1945, permisero la diffusione delle opere di Poe e Doyle. La prima volta invece che venne pubblicato un poliziesco in Italia fu nel 1929 con "La strana morte del signor Benson" di S.S. Van Dine, inaugurando un‘apposita collana Mondadori, i Libri Gialli. Il giallo delle copertine giunse per estensione a definire tutto il genere. Il successo del romanzo di Van Dine fu replicato nelle pubblicazioni che seguirono nel giro di un anno, quali "La fine dei Greene" sempre di Van Dine, "Il castigo della spia" di E. Wallace, "La casa della freccia" di A.W. Mason e "La dama di compagnia" di M.A. Belloc Lowndes, toccando le vette delle 40000 copie vendute. La riuscita della collana fu dovuta in particolar modo alla qualità delle traduzioni, così come suggerito ad Arnoldo Mondadori da Luca Montano, curatore ed ideatore della collana, che lamentava le ragioni della scarsa diffusione del romanzo in Italia proprio nelle cattive traduzioni <62.
Sarebbe azzardato e parziale ritenere che nel poliziesco si annidassero elementi di resistenza alla politica culturale di regime, ma indubbiamente servì a introdurre ossigeno in un ambiente culturale doppiamente appesantito da formule e stilemi datati e dalle direttive di regime. È interessante notare anche come il fenomeno del giallo abbia inaugurato più in generale i meccanismi della letteratura di consumo, tra cui la pubblicità e l'attenzione alla confezione editoriale. E infatti, la necessità di arrivare ad un pubblico di lettori più trasversale e ampio rese indispensabile un nuovo tipo di comunicazione, meno letterario, più improntato all‘effetto che alla descrizione <63.
Bisognerà aspettare qualche anno, il 1931, per la pubblicazione di un giallo scritto da un autore nazionale, Alessandro Varaldo che si fa pioniere del genere italiano con "Il sette bello" nella collana "Gialli Italiani" Mondadori. Indubbiamente influiscono sulla nascita del giallo nazionale le politiche fasciste e le direttive del Minculpop (Ministero della Cultura Popolare) che impongono la presenza di almeno il 20% di titoli italiani sui prodotti di diffusione editoriale: provvedimento preso per evitare che un'eccessiva inclinazione esterofila potesse oscurare la risorse intellettuali della nazione.
A tal proposito è d'interesse vedere che la collana fu sottoposta a restrizione e censura, con il ritiro dal mercato di diverse copie, nel 1941, adducendo a pretesto proprio considerazioni di ordine morale: il casus belli venne fornito da una rapina ai danni di una cameriera commesso da una banda di giovani. Trattandosi di incensurati, sicuramente dilettanti del crimine, l'architettura del crimine sembrò suggerita dalla trama di qualche racconto poliziesco <64. Quest'episodio, sicuramente marginale e pretestuoso, ha una certa rilevanza se osservato sotto la prospettiva della relazione tra racconto del crimine e realtà. Quella che oggi appare come un'ingenuità, la credenza di un influsso diretto tra libro e conseguenze sociali, mostra quanto la subordinazione della cultura ai principi della morale e dell‘educazione ribaltasse i termini della questione: ossia della scrittura come espressione del contesto sociale e politico e non viceversa <65.
L'applicazione del principio autarchico alla dimensione culturale produce in qualche modo una forzatura, per cui il genere in Italia registra una nascita artificiale <66. La lettura del poliziesco italiano data da Guagnini sottolinea che la genesi del giallo non rispose principalmente ad esigenze culturali e orizzonti d‘attesa dei fruitori, ma fu il risultato di un esperimento nato principalmente per il desiderio di colmare una lacuna editoriale che avrebbe permesso di competere con le culture europee (Inghilterra, Francia) e americana. È interessante notare un duplice atteggiamento che il fascismo mostrò nei confronti del giallo, perché se da una parte ne favorì la diffusione e dall‘altra lo tenne sempre sotto sorveglianza, intercettandone una potenziale minaccia per l'ordine pubblico. L'ambiguità di posizione assunta dal fascismo può essere ricondotta a quella natura duplice, rivoluzionaria e conservatrice <67 che se da una parte guardava alla modernità e al nuovo, dall'altra richiedeva la subordinazione del contenuto artistico all'ideologia del regime. Per tali ragioni il poliziesco trovava sì spazio, perché rappresentante del nuovo, ma allo stesso tempo paventava il rischio di mettere in discussione le istituzioni e l'autorità. Il terreno liminare in cui si trovava il giallo e i vari momenti in cui si incrinarono le simpatie del fascismo viene ben sintetizzato dall'anamnesi del periodo che riporta in un articolo della Repubblica Alberto Tedeschi, direttore all‘epoca della collana dei Gialli Mondadori. L'autore riporta che fino a quando sussisteva nei romanzi la netta separazione tra bene e male non vi furono difficoltà con il regime, ma i problemi sopraggiunsero in un secondo momento: «Le limitazioni vennero dopo. Un giorno arrivò l'ordine di non parlare di suicidi. […] Così per amore del Giallo, quando capitava l'occasione mi mettevo al tavolino e trasformavo i suicidi in incidenti stradali o in accidentali cadute, dalla finestra. […] Poi a un dato momento, diede nell'occhio che alcuni romanzi polizieschi, specialmente americani, presentavano criminali di origine italiana […] Il regime intervenne una terza volta, in nome della cultura nazionale, imponendo la pubblicazione di un Giallo italiano almeno ogni quattro o cinque stranieri <68».
Elementi come la mancanza di discernimento certo tra bene e male, la ridicolizzazione della polizia a favore dell'investigazione privata, il pessimismo di fondo che anticipa le tematiche noir già nel primo ventennio del '900, remavano contro lo spirito del regime, allungando delle ombre proprio laddove il fascismo propagandava rigore e autorevolezza.
La parabola dei Gialli Mondadori viene arrestata definitivamente nel 1943, in pieno conflitto, per poi riprendere nel 1946 con la collana Libri Gialli Nuova serie.
[NOTE]
58 È interessante comparare questo dato con quello del livello di alfabetizzazione in Italia che verso la metà dell'800 è tra i più bassi d'Europa e nettamente inferiore ai Paesi più avanzati del Nord Europa. La mancanza di scolarizzazione, quindi di persone in grado di leggere, comprova quindi la presenza di un largo strato popolare e la quasi inesistenza della classe borghese (anche qui, tuttavia va fatta distinzione tra Italia Settentrionale e Meridione dove gli analfabeti rappresentano quasi il 90% della popolazione totale). Cfr. Paolo Russo, L'educazione permanente nell'era della globalizzazione, Franco Angeli, Milano, 2001.
59 Loriano Machiavelli, Trieste 1985: dagli anni '30 ad oggi, in Il Giallo degli anni Trenta, Edizioni LINT, Trieste, 1988, p. 219.
60 L‘incompletezza dell‘opera è da addurre proprio alla crescente complicazione della struttura iniziale che finisce per aggrovigliarsi in nodi che in ultimo l'autore non riesce a sciogliere. La complicazione è parallela alla complessità della materia, in cui convergono molti più risvolti, come quella del matricidio, rispetto a un giallo classico. Cfr. V. Spinazzola, Misteri d'autore, Aragno, Torino 2010.
61 Citazione tratta da L'esordio dei Gialli Mondadori. Da fortunata scelta editoriale all'esplosione di un genere letterario, a cura di E. D'Alessio, http://www.oblique.it/images/formazione/dispense/esordio-giallimondadori.pdf.
62 Lettera di L. Montano a A. Mondadori, Verona, 25 settembre 1929 (Afaam, Fondo Arnoldo, busta 70), consultabile su www.anteremedizioni.it/files/Montano-Mondadori.pdf
63 È celebre, ad esempio, lo slogan sulle copertine Mondadori, "Questo libro non vi lascerà dormire", che calcando sull‘aspetto adrenalinico delle storie, promette di solleticare la fantasia del lettore.
64 L. Rambelli, Storia del giallo italiano, op. cit.
65 Vedremo nel prossimo capitolo come nella letteratura, e nella cultura, contemporanea prevalga invece un approccio ermeneutico alla realtà e come sia il romanzo ad assorbire la lingua e la forma della realtà.
66 Elvio Guagnini, “L'importazione di un genere” in Note novecentesche, Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 1979, p. 230.
67 Alessandra Tarquini, Storia della cultura fascista, Il Mulino, Bologna, 2011, p.92.
68 Alberto Tedeschi, Ma il vero colpevole sono io, La Repubblica, 1 aprile, 1979.
Lucia Faienza, Il paradigma poliziesco nel romanzo di non-fiction: continuità stilistiche, tematiche e narrative, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2017