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domenica 16 gennaio 2022

Approccio al tema dei reati di opinione


Pare utile, a questo punto, svolgere una panoramica generale sulle fattispecie di apologia e istigazione di cui all’art. 414 c.p.: in una prospettiva di teoria generale del reato, l’indagine sulla loro natura, portata ed operatività, in rapporto quasi sincretico con il diritto costituzionalmente sancito (art. 21 Cost.) alla libera manifestazione del pensiero, potrà essere un utile esercizio ermeneutico per comprendere se i caratteri generali che ad esse si ascrivano possano essere applicati anche al caso in cui la suddette fattispecie operino in un terreno scosceso qual è quello del terrorismo e in presenza di situazioni di alterità culturale. Il contesto sociale multiculturale, il pluralismo ideologico e politico delle democrazie liberali, le trasformazioni sociali, economiche e culturali sono infatti i fattori che in massima parte influenzano la vita giuridico-processuale delle fattispecie codicistiche d’opinione, alveo al quale ascrivere i reati codificati all’art. 414 commi 1 e 3 c.p.
Manifestazione pubblica di idee, pericolosità in concreto, prevenzione, sicurezza, ordine pubblico: queste le parole chiave attorno alle quali ci si muoverà, verificando se le fattispecie di apologia ed istigazione a commettere atti terroristici siano compatibili con la tutela della libertà fondamentale di manifestazione del pensiero, specie ove quest’ultimo attenga a “culture altre” e sia espressione di una specifica appartenenza etnico-sociale.
5.1. Sviluppi storici e approdi giurisprudenziali pre e post costituzionali sul tema dell’incriminazione delle manifestazioni di pensiero nei “reati di opinione”
Rispetto alle fattispecie delittuose di cui al codice Zanardelli <103, atte a criminalizzare forme di manifestazione del pensiero, l’affine categoria presente nel codice Rocco, anch’esso di matrice pre-costituzionale, si muove su una linea di continuità <104. Sebbene il contesto giuridico fascista, volto alla tutela in via prevalente dell’ordine pubblico, chiuso al pluralismo ed al confronto dei valori e delle idee, contrario ai principi della libertà e della sicurezza individuale, costituisca la culla delle elaborazioni penalistiche trasfuse all’interno del codice del 1930, non pare strano che in realtà le suddette fossero in nuce e addirittura fossero state già compiutamente elaborate dai governi del periodo precedente di matrice liberale. Le ragioni per le quali tali riflessioni non erano riuscite ad attecchire nell’allora vigente codice penale erano da rinvenire nella presenza di invadenti forme di opposizione politica e sociale e di meccanismi efficaci idonei a dar voce alle minoranze <105. A riprova, però, della conciliante accettazione da parte delle esperienze liberali anteriori (ed altresì successive <106) alla codificazione “in salsa fascista” dei reati di opinione, si consideri che è solo nel 2006, con la legge di riforma n. 85 <107, che si è intervenuti per tentare di fornirne una veste più moderna: così dimostrando come nell’arco di tempo dall’avvenuta costituzionalizzazione della libertà di manifestazione del pensiero al primo tentativo di riformare la materia dei reati di opinione, la permanenza della rilevanza penale di matrice fascista di opinioni, idee e pensieri non fosse malvista nemmeno allo spirito neoliberale del Paese <108.
Nessun dubbio circa la compatibilità delle suddette figure nel loro primo nucleo codicistico con l’ordinamento allora vigente: illustre dottrina <109, infatti, le riconduce ai delitti di lesa maestà, direttamente confliggenti, pertanto, con valori propri di uno Stato-nazione; un’impostazione, questa, certamente coerente con l’ottica stato-centrica fascista, fondata su valori precisi, determinati e facilmente individuabili, sì da rendere di altrettanto agevole identificazione le espressioni di opinioni o giudizi idonei a destabilizzare tale quadro valoriale. Dopo l’entrata in vigore della Costituzione, la suddetta categoria è apparsa presso gli studiosi incoerente rispetto al nuovo assetto democratico <110 che, nella sua struttura liberale e pluralista, rende difficile l’identificazione di valori chiari, univoci, inequivocabilmente condivisi ed accettati. Sì da non essersi mai arrestato il dibattito atto ad evidenziare profili di dubbia costituzionalità delle suddette figure, per lo più mantenute nella loro essenza originaria nel passaggio dallo Stato fascista e quello liberal-democratico. Qual è stato, in questo contesto, l’approccio della giurisprudenza al tema dei reati di opinione tra periodo pre e post costituzionale? Senza voler discutere di “fascistizzazione” della magistratura, pare però opportuno osservare che in relazione a tale categoria normativa le pronunce del periodo successivo all’entrata in vigore del codice Rocco sono state caratterizzate da un’estremizzazione dell’incriminazione penale. Che si sia trattato di una tendenza naturale lo dimostrerebbe il fatto che, come già affermato, l’approccio repressivo dopo il 1930 nei confronti del dissenso ideologico sia stato nei fatti identico a quello precedente, proprio di un ordinamento, quindi asseritamente “liberale” <111. A differenza della dottrina, la giurisprudenza si mostrò intenzionata a continuare a percorrere la strada della stringente repressione in relazione alle fattispecie di opinione <112, senza di fatto mutare la precedente impostazione <113, e riproponendo, quindi, modelli già rodati in epoca liberale. Un assetto, per vero, mantenutosi intatto fino agli anni ’70, ove si rinvengono sentenze in tema di istigazione <114 atte a valorizzare il profilo del pericolo in astratto, a prescindere dalla commissione del fatto-reato <115. Un approccio idoneo ad estendere il più possibile la tutela penale a fatti espressione di un’opinione contrastante con il sistema valoriale vigente e rigidamente predeterminato. Per vero, va evidenziato che il ricorso alla formula “reati di opinione” in sé, come categoria normativa, è fuorviante: partendo dalla considerazione per cui una classe di tal fatta e con tale denominazione non è rintracciabile nel corpus normativo del codice penale <116, si può altresì osservare che con essa si fa riferimento ad una congerie di reati spesso molto diversi l’uno dall’altro, accomunati esclusivamente dall’esternazione di un’opinione, di una valutazione, di una manifestazione in chiave critica di un giudizio su un certo oggetto. A tale nozione, infatti, afferiscono fattispecie criminose codicistiche di stampo politico commesse contro la personalità interna ed internazionale dello Stato (in specie, gli articoli 272, 278, 279, 290, 291, 292, 299 c.p.), figure normative di delitti contro le confessioni religiose (articoli 403, 404, 406 c.p.) e i delitti contro l’ordine pubblico (artt. 414 e seguenti c.p.) <117. La difficoltà di delineare una categoria unitaria e di immaginarla come sempre uguale a se stessa nasce della forte influenza che le fattispecie ad essa afferenti ricevono da tre ordini di fattori: i) il contesto sociale in cui i fatti si verificano (e, ai fini che qui rilevano, l’eventuale differente contesto in cui le opinioni “nascono” e “maturano” e a cui sono legate sul piano del loro contenuto); ii) il pluralismo ideologico e politico proprio delle democrazie liberali; iii) le trasformazioni culturali, economiche e sociali che interessano ciascuno degli ordinamenti coinvolti dal fenomeno del multiculturalismo. Tanto rende le fattispecie in esame profondamente instabili, indeterminate sul piano della tipicità e a rischio di inoffensività rispetto ai singoli contesti storico-culturali in cui le stesse abbiano a manifestarsi. Si osservi anzitutto la scelta di fornire dei “reati di opinione” una nozione indeterminata sul piano concettuale: l’opzione in tal senso pare coerente con la necessità di non stringere il campo dell’incriminazione a contenuti specifici e rendere “vive” le suddette fattispecie nel mutevole sfondo sociale in cui esse possono operare. Sembra però una scelta poco felice, se rapportata al substrato di principi che informano la materia penale ed alle garanzie che essi costituiscono per i singoli. L’indeterminatezza concettuale si propaga, infatti, sulle tipologie di comportamento normalmente riconducibili alle suddette fattispecie, sì da rendere incerta la norma per i destinatari del precetto, poco chiare le condotte con essa sanzionabili ed evidentemente attuale il rischio dell’incriminazione di comportamenti inoffensivi. È chiaro che parlare dell’incriminazione dell’opinione significa ritenere che per l’ordinamento esistano parole “troppo pericolose” da sentire, idee “potenzialmente dannose” perché siano diffuse. Il problema centrale, a questo punto, è il seguente: quali i parametri per stabilire la dannosità di un’opinione? Vi è chi sostiene che la condotta illecita propria dei reati di opinione presenti un contenuto di disvalore, tale da giustificare il ricorso alla sanzione penale, tutte le volte in cui si sostanzi nella manifestazione di un contro-valore che si oppone a valori meta-individuali diffusi sul piano statuale o comunque condivisi dalla maggioranza dei consociati <118. Come poter stabilire quando operi in concreto l’incriminazione dell’opinione manifestata dal singolo nei termini anzidetti?
[NOTE]
103 Si fa riferimento, in questa sede, alle fattispecie delittuose di opinione collocate nel titolo relativo ai delitti “contro la sicurezza dello Stato”, all’istigazione a delinquere, all’apologia, all’incitamento alla disobbedienza della legge e all’incitamento all’odio tra le diverse classi sociali (per queste ultime, gli artt. 246 e 247 c.p. prev). Per un più preciso riferimento alle fattispecie ascritte alla presente categoria, si rinvia a FIORE, I reati di opinione, cit., p. 27 e ss.; ALESIANI, I reati di opinione, cit., p. 31 e ss.; FAZIO - VIAZZI, Istigazione a delinquere e apologia di reato nella giurisprudenza dall’unità ad oggi, in Politica del diritto, 1972, n. 3-4., p. 536 e ss.
104 Si deve dare atto però dell’autoreferenziale posizione assunta nella Relazione del Guardasigilli al Re, ove si legge che “Il Progetto riflette, soprattutto in questo Titolo, principi completamente opposti, come completamente opposta è la concezione fascista dello Stato rispetto a quella demo-liberale, che dominò la nostra vita politica e in conseguenza anche la nostra legislazione, durante parecchi decenni prima della Marcia su Roma” (Ministero della Giustizia e degli Affari di Culto, Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, V. Progetto definitivo di un nuovo codice penale con la relazione del Guardasigilli, on. Alfredo Rocco, Parte II, Relazione sui libri II e III del Progetto, Roma 1929, p. 7).
105 Su tali strumenti propri delle democrazie liberali sorte a cavallo tra otto e novecento si veda CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, I. Introduzione al diritto costituzionale italiano (Gli ordinamenti giuridici - Stato e Costituzione - Formazione della Repubblica), II ed., Padova 1970, pp. 118-119; LANCHESTER, Gli strumenti della democrazia. Lezioni di diritto costituzionale comparato, Milano 2004, pp. 81 ss.; BURATTI, Dal diritto di resistenza al metodo democratico. Per una genealogia del principio di opposizione nello stato costituzionale, Milano 2006, spec. p. 156 e ss. e p. 173 e ss.; ID., Dal diritto di resistenza alla tutela costituzionale del dissenso politico, in NANIA-RIDOLA, I diritti costituzionali, II ed., Torino 2006, p. 495 e ss.; CALAMANDREI, Il fascismo come regime della menzogna, Roma-Bari, 2014, p. 15 e ss..
106 CASSESE, Lo Stato fascista, Bologna, 2010, p. 63.
107 Per una specifica analisi della citata legge di riforma del sistema dei reati di opinione, si vedano PULITANÒ, Riforma dei reati d’opinione?, ne Il corriere giuridico, 2006, n. 6, pp. 745-746; SPENA, Libertà di espressione e reati di opinione, in Riv. it. dir. proc. pen., fasc. 2-3, 2007, p. 689 e ss.; PELISSERO, Osservazioni critiche sulla legge in tema di reati di opinione: occasioni mancate e incoerenze sistematiche, in Dir. pen. e proc., 2006, n. 8, p. 960 e ss. (parte I), e n. 10, p. 1198 e ss. (parte II). Contesta come offensiva della qualificazione come “democratico” di uno Stato, il mantenimento intatto per più di 50 anni di fattispecie lesive della libertà di manifestazione del pensiero, cardine, come si dirà, di ogni sistema statuale che si attribuisca tale natura BURATTI, Dal diritto di resistenza al metodo democratico, cit., p. 182 e ss.; ID., Dal diritto di resistenza alla tutela costituzionale del dissenso politico, cit., p. 502 e ss..
108 Potrebbe cautamente sostenersi che la ragione di fondo sia da rinvenire nel fatto che da sempre per l’ordinamento è risultato particolarmente arduo assumere una posizione aperta e totalmente liberale rispetto a posizioni che siano espressione di minoranze sociali, etniche e culturali (si veda il caso della criminalizzazione delle pratiche di mutilazione genitali femminili all’art. 583-bis c.p., fortemente contestata in quanto centrata su una lettura “occidentale”, e come tale parziale e unilaterale, dei diritti (si veda, sul punto, BARTOLI, “Chiaro e oscuro” dei diritti umani alla luce del processo di giurisdizionalizzazione del diritto, in Riv. it. dir. proc. pen., fasc. 3, 2012, p. 794 e ss.). E questo anche propagandando una concezione pluralista dei valori e delle idee come proprium di ogni democrazia che ami indossare l’effige di Stato non totalitario o oppressivo.
109 FIORE, I reati di opinione, cit..
110 Lamenta l’assurda mancata abrogazione delle fattispecie delittuose incriminanti manifestazioni del pensiero lecite in una società democratica, tra le quali quelle di cui agli artt. 269, 270, 271, 272, 273, 274 c.p., CALAMANDREI, La Costituzione e le leggi per attuarla, Milano 2000, p. 57.
111 FIORE, I reati di opinione, cit., p. 36.
112 ALESIANI, I reati di opinione, cit., p. 47 e ss.; FIORE, I reati di opinione, cit., p. 16 e ss., pp. 28-29, p. 32 e ss; SBRICCOLI, Dissenso politico e diritto penale in Italia tra Otto e Novecento, Giuffrè, 1973, pp. 610-611.
113 Cass. Pen., sentt. 6 giugno 1894, 9 aprile 1895, 5 novembre 1898, 16 settembre 1901, 7 febbraio 1902, 3 dicembre 1926; si veda BOGNETTI, Il “pericolo” nell’istigazione all’odio di classe e nei reati comuni contro l’ordine pubblico, in Giur. Cost. 1974, n. 3, p. 1440.
114 Cass., Sez. 1, Sentenza n. 7246 del 24/11/1976; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 4993 del 22/11/1974.
115 HASSEMER, Rasgos y crISIS del derecho penal moderno, in ADPCP, 1992, p. 235 e ss..
116 E nonostante ciò non è mancato, da parte del legislatore, qualche riferimento generalizzato alla categoria nei termini anzidetti: si veda, ad esempio, la L. 24 febbraio 2006, n. 85 che ha introdotto una serie di modifiche al codice penale “in materia di reati di opinione" (in http://www.camera.it/parlam/leggi/06085l.htm).
117 PADOVANI, Bene giuridico e delitti politici. Contributo alla riforma del titolo I libro II c.p., in Riv. it. dir. proc. pen., 1982, p. 39. Ritiene che sia qualificabile come reato di opinione altresì la fattispecie extracodicistica della propaganda razzista, SPENA, Libertà di espressione e reati di opinione, cit., p. 734. La suddetta fattispecie, di cui all’art. 3, co. 1 lett. a) della l. 654/1975, di ratifica alla Convenzione di New York del 7 marzo 1966, come riformata con la L. 85/2006, sanziona “con la reclusione sino a tre anni chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.
Carla Cucco, La lotta al terrorismo tra prevenzione e repressione: una sfida ai diritti umani?, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Palermo, 2020