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giovedì 27 gennaio 2022

Si assisteva spesso impotenti all'invio in Germania di centinaia di deportati


Rispetto a quanto afferma Renée Poznanski per il caso francese, in Italia non sembra si possa individuare una netta divisione tra i due ambiti d'azione da lei indicati: quello assistenziale e quello militare. Questi risultano intrecciati e quasi parte della stessa attività. Lo si è osservato già in alcune pagine della stampa clandestina, dove la scelta resistenziale era riconosciuta in chi imbracciava le armi e in chi aiutava ebrei e fuggiaschi a nascondersi e a evitare gli arresti.
E lo si riscontra anche a proposito dell'approccio che il movimento partigiano ha nei confronti delle più grandi strutture di concentramento nazifasciste. Il caso di Fossoli ben rappresenta quanto si sta dicendo e dimostra come l'interesse della Resistenza, dai vertici politici del CLNAI alle locali formazioni partigiane, si muovesse sia sul piano dell'aiuto agli internati nel campo (non solo ebrei, ovviamente) sia sulla prospettiva di organizzare operazioni militari verso quella struttura o che avessero in ogni modo lo scopo di agevolare la fuga dei deportati durante il loro viaggio di trasferimento. Nessuna delle due soluzioni escludeva l'altra: l'assistenza veniva portata avanti insieme ai progetti di intervento armato.
Leggendo le relazioni che i partigiani di zona scrivono sulla situazione del campo di Fossoli, si nota innanzitutto una conoscenza abbastanza approfondita di quella struttura: del suo funzionamento quotidiano; della divisione interna tra una parte sotto l'esclusiva gestione tedesca e una parte di gestione italiana; della tipologia degli internati, tra i quali numerosi ebrei destinati, come un gran numero di altri individui lì rinchiusi, alla deportazione in Germania; della repressione violenta al suo interno; delle modalità con le quali si approntava la partenza dei convogli di deportati <176. L'attenzione verso l’assistenza agli internati, sia per vie legali che clandestine, corrompendo ad esempio gli agenti di sorveglianza, si affianca al dibattito sulle possibilità di agire con la forza per liberare i detenuti, soprattutto coloro che erano destinati a imminente trasferimento <177. È un interesse, quello verso il campo di Fossoli, che coinvolge gruppi partigiani di differenti orientamenti politici, dalle Brigate Garibaldi alle formazioni del Partito d'Azione <178.
[...] Alcune di queste proposte, tuttavia, presupponevano il coinvolgimento di una tipologia di internati in grado di sfruttare determinate iniziative, preparati cioè a eventuali azioni rischiose come lo potevano essere ad esempio i prigionieri politici e gli antifascisti, già abituati alla vita clandestina e ai tentativi di fuga ed evasione da prigioni o carceri. La soluzione, più volte prospettata e in qualche caso messa in atto, di far trovare nei vagoni, grazie alla collaborazione dei ferrovieri, degli attrezzi utili ad agevolare la fuga dai treni in viaggio verso i lager, dipendeva dalla capacità dei deportati di saper poi sfruttare questi strumenti nei tempi e nei modi giusti <181. Una considerazione, questa, che va ad aggiungersi alle altre valutazioni, fatte di volta in volta, come ad esempio la possibile partecipazione e collaborazione della popolazione civile circostante il campo (che poteva accogliere e nascondere i fuggiaschi, oppure permettere di distrarre le autorità durante le fasi di carico dei treni). Nel mentre, si assisteva spesso impotenti all'invio in Germania di centinaia di deportati: «[...] un'altra partenza, e questa volta di ebrei (circa 750) ebbe luogo il lunedì, senza concorso di gente e senza che fosse possibile far qualcosa [...]» <182.
Le stesse dinamiche si riscontrano nell'attenzione che il movimento partigiano presta verso un altro campo di concentramento sorto in Italia, in realtà in territorio sotto diretta amministrazione tedesca: il lager di Bolzano-Gries, nella zona Prealpi (Alpenvorland) <183. Dopo l'estate del '44, questa struttura sostituì Fossoli come terminale dal quale far partire i convogli di deportati, ebrei compresi <184 . Come per Fossoli, fu organizzato un servizio clandestino di assistenza per gli internati, che contemplava anche la predisposizione di piani per la loro fuga ed era parallelo a un'organizzazione per così dire “ufficiosa” tollerata dalle autorità del campo (e dunque sorvegliata). Il servizio clandestino era sia “interno” alla struttura che “esterno” al campo, e a sua volta si distingueva in tre tipologie: assistenza da parte politica, del clero oppure spontanea, proveniente ad esempio dalle famiglie e dai parenti dei singoli internati. L'opera di soccorso in ambito politico era gestita dal CLN di Milano e diretta in loco da Ferdinando Visco Gilardi, detto “Giacomo”, con l'aiuto di Renato Serra, i quali iniziarono la loro attività all'apertura del lager fino al dicembre del '44 (quando l'intero CLN di Bolzano e lo stesso Gilardi subirono l'arresto). La struttura organizzativa ricalcava quella del CLN: al loro fianco operava tra gli altri Franca Turra mentre, all'interno del campo, i referenti erano Ada Buffulini, Armando Sacchetta e Laura Conti. La comunicazione con l'esterno passava attraverso gli internati adibiti quotidianamente ai lavori forzati fuori del campo. Oltre a quelli predisposti dai CLN, c'erano altri canali assistenziali portati avanti da brigate e gruppi autonomi di zona o organizzate intorno alla figura di parroci e sacerdoti.
Spesso queste reti si sovrapponevano ed erano motivo di scontro con il CLN, il quale rivendicava un controllo esclusivo su questo tipo di attività (anche per considerazioni di ordine economico legate alla gestione dei fondi e delle risorse a disposizione) <185. Grazie ai contatti con i partigiani e il CLN locale, Raffaele Jona riuscì ad estendere anche a Bolzano la sua rete di assistenza e di invio di pacchi a favore degli ebrei internati, già attiva in alcuni carceri del nord come Torino e Milano <186.
In una relazione di metà dicembre 1944 inviata al Servizio Assistenza del Comando generale del Corpo Volontari della Libertà e compilata attraverso notizie fornite da un internato incognito, che dopo essere stato a San Vittore era stato trasferito in quel campo dal 24 ottobre al 13 novembre 1944, si parla anche degli internati di origini ebraiche: si riporta che sono contraddistinti da un triangolo giallo e sono «adibiti a lavori nell'interno del campo: sono destinati alla deportazione in campi per ebrei».
[...] Una breve riflessione va fatta anche per un altro importante campo di concentramento sorto in territorio italiano in quel periodo: la Risiera di San Sabba a Trieste. Questa struttura, come il lager di Bolzano, fu aperto in una zona sotto la diretta autorità tedesca, nella quale cioè l'amministrazione italiana era stata svuotata di qualsiasi potere: il Litorale Adriatico <190. L'ex stabilimento per la lavorazione del riso fu adibito dai nazisti a partire dall’inverno del 1943 come Polizeihaftlager, con lo scopo di rinchiudervi gli oppositori politici, i partigiani e i civili rastrellati dalla polizia tedesca, e come punto di partenza per la deportazione nei campi dell'Est Europa. La Risiera fu l'unico campo in Italia a disporre di un forno crematorio, che serviva alla liquidazione dei corpi dei detenuti uccisi al suo interno <191. Fu utilizzata dunque anche per rinchiudervi gli ebrei rastrellati nella regione e nel nord d'Italia, in attesa della loro deportazione ad Auschwitz. In base alla documentazione consultata, non risultano notizie riguardanti azioni della Resistenza nei confronti della Risiera, né reti assistenziali interne ed esterne come quelle presenti al campo di Bolzano. La studiosa Silva Bon afferma, in riferimento allo spoglio della stampa clandestina, che le forze locali della Resistenza non trattarono specificamente la questione ebraica né condannarono in maniera esplicita con articoli le violenze subite dagli ebrei in quel territorio: emergono soltanto accenni generali a ciò che stava accadendo, a testimonianza comunque dell'opposizione da parte dei partigiani alle forme di razzismo nazifascista <192. A proposito della Risiera di San Sabba, le uniche notizie di tentativi di salvataggio sono legate all'attività del vescovo di Trieste, monsignor Santin, il quale si adoperò presso le autorità tedesche per chiedere che venissero rilasciati alcuni internati (spesso sollecitato dai familiari del singolo arrestato). Si tratta dunque di azioni individuali e non organizzate <193. Va considerata del resto, la particolare situazione di quella zona, caratterizzata da uno stretto controllo da parte delle autorità del Reich e da pratiche repressive e persecutorie molto dure. Nonché bisogna valutare la complessità del locale movimento partigiano: sottoposto a violenta repressione, come detto, era inoltre diviso al suo interno a causa della questione del confine orientale e dei rapporti con i partigiani slavi <194. Un tema, quest'ultimo, che ha attirato nel tempo la maggiore attenzione degli storici <195.
A partire dall'autunno del 1944 l'approccio della Resistenza e del CLN alla questione cambia, anche a seguito dell'iniziativa presa dalle associazioni ebraiche di soccorso attive a livello internazionale e da quella presente in Italia, la Delasem. Le azioni di assistenza e di salvataggio fino a quel momento erano state frutto di iniziative quasi spontanee e, a quanto sembra, non di direttive generali: il più delle volte erano inserite nel complesso delle attività intese ad aiutare e liberare una tipologia più ampia di vittime della repressione nazifascista.
Dagli ultimi mesi del '44, invece, queste vennero ad assumere una forma più specifica ed esclusiva a favore proprio degli ebrei perseguitati.
Col passare dei mesi, l'attività del CLN si venne sempre più ad intrecciare con quella dei comitati di soccorso. Un primo “Comitato di soccorso per i deportati politici e razziali” nacque a Losanna nell'estate del 1944 per l'iniziativa soprattutto di emigrati politici in Svizzera e di ebrei provenienti dall'Italia. Si provò a far carico economico e politico del soccorso dei deportati e degli internati nei campi in Italia e nel Reich, rivolgendo un appello pubblico al Comitato Internazionale della Croce Rossa il 28 luglio 1944: in esso si presentava la situazione in Italia, si chiedeva di insistere presso le autorità nemiche per salvare e esonerare dalla deportazione i non abili al lavoro (bambini, vecchi, malati, donne) e di occuparsi maggiormente dell'assistenza di coloro che erano già internati. Tra gli obiettivi del Comitato vi erano dunque la sospensione delle deportazioni, la possibilità per i delegati della Croce Rossa di effettuare delle visite nei campi, l'autorizzazione per gli ebrei internati di emigrare in Palestina e il trasferimento immediato in Svizzera di coloro che non potevano lavorare (i costi dell'accoglienza sarebbero stati a spese del Comitato). Si provò anche a prendere contatti con il governo di Salò e con le autorità tedesche al fine di sospendere le deportazioni e trasferire sempre in Svizzera un certo numero di internati dal campo di concentramento di Bolzano. Tuttavia, a un anno dalla creazione di questo Comitato, gli stessi responsabili ammettevano che non erano stati raggiunti risultati soddisfacenti per varie cause, quale ad esempio l'opposizione del governo tedesco a qualsiasi trattativa o le evoluzioni degli ultimi mesi di guerra <196.
A favore degli ebrei perseguitati, soprattutto gli stranieri, aveva svolto la sua attività di soccorso la Delasem, la Delegazione assistenza emigranti dell'Unione delle Comunità israelitiche italiane, nata nel 1939 nell’Italia ancora non entrata in guerra con lo scopo di prestare aiuto agli ebrei stranieri scappati nella penisola per sfuggire alle persecuzioni in Germania e in Europa <197. Dopo l’8 settembre i suoi membri furono ricercati dalle autorità nazifasciste, ma questa associazione ebraica proseguì la sua opera in clandestinità, riuscendo a salvare la vita non solo di migliaia di ebrei stranieri, ma anche di non pochi ebrei italiani ridottisi in povertà a seguito del sequestro e della confisca da parte dello Stato dei loro beni <198.
[...] In una prima fase di attività i contatti con le formazioni partigiane furono, a quanto sembra, frutto di iniziative spontanee e individuali, mentre un considerevole sostegno fu trovato, anche per motivi di sicurezza, negli istituti religiosi cattolici, che ospitarono spesso e volentieri le sedi delle “cellule” clandestine della Delasem <204. Proprio individui non ebrei diventarono i principali referenti delle operazioni di salvataggio, in quanto coloro che appartenevano alla cosiddetta “razza” ebraica erano troppo esposti ai rischi: si pensi a padre Benoit a Roma il quale rivestì un ruolo di primo piano collaborando con il delegato Delasem, l'ebreo Settimio Sorani <205. Proprio quest'ultimo, in una nota scritta vent'anni più tardi, riconobbe l'opera svolta dal Vaticano, dalla Croce Rossa internazionale e da alcuni elementi delle autorità italiane, senza i quali non sarebbe stato possibile fare niente <206.
Una vera e propria formalizzazione dei rapporti di collaborazione con il CLN avvenne a partire dall'autunno 1944, a seguito della proposta avanzata da Valobra (sollecitato dalle associazioni ebraiche internazionali) di inserire esplicitamente anche l'assistenza e il salvataggio degli ebrei tra gli obiettivi della Resistenza: un lavoro che avrebbe beneficiato dei finanziamenti provenienti dal Joint <207.
[...] A partire dalla fine di novembre '44 cominciò dunque un intenso scambio di messaggi tra la Delegazione in Svizzera e il comando generale del CVL per discutere costantemente, tra le altre cose, anche dell'assistenza agli ebrei (in ogni Rapporto risultava adesso una voce riguardante tale questione): uno dei nodi fondamentali era quello relativo ai fondi a disposizione, dal momento che l’attività di ricerca di informazioni e di assistenza richiedeva uno sforzo economico specifico e ulteriore a quello già sostenuto per tutti coloro che risultavano bisognosi dell'opera di aiuto da parte del CLNAI.
[...] L'assistenza e il salvataggio degli ebrei furono quindi inseriti ufficialmente tra gli obiettivi della Resistenza grazie a una sollecitazione esterna: la questione ebraica assunse da questo momento in poi una specificità in ciò che concerne le iniziative concrete a favore degli ebrei.
Fino a quel momento, cioè, il movimento di Resistenza era consapevole del carattere razziale e quindi in qualche modo unico della persecuzione antiebraica, come confermano le prese di posizione e l'attività legislativa del CLNAI, ma non sembra avere una specifica ed esclusiva attenzione per gli ebrei nell'ambito dell'assistenza e del salvataggio. Al contrario di quello che avveniva ad esempio per i prigionieri politici, i quali avevano alle loro spalle l'interessamento diretto dei loro compagni di partito, gli ebrei erano parte di un gruppo che comprendeva tutte le vittime civili del nazifascismo, da assistere e aiutare di fronte alla repressione e alla violenza del nemico. Fanno eccezione le iniziative di singolo individui o gruppi partigiani, oppure l'attività delle reti di soccorso ebraico, che si appoggiavano, come abbiamo visto, anche alle locali formazioni armate.
Tutte le successive comunicazioni interne al CLN e quelle con le associazioni di assistenza ebraica sono dunque influenzate da questo cambiamento dell’autunno ‘44: per certi versi sembra aprirsi una progressiva distanza tra movimento di Resistenza ed organizzazioni ebraiche, quasi come se ognuno di questi due attori, ormai ufficialmente riconosciutisi, intendesse perseguire anche fini di parte.
[...] una significativa sintesi sull'attività, militare e non, delle formazioni partigiane a favore degli ebrei dopo l’8 settembre la si ritrova in un rapporto “confidenziale” datato 23 febbraio 1945 e firmato dal generale Bianchi, addetto militare del governo del Sud e responsabile dei rapporti tra governo italiano, Legazione italiana in Svizzera, Forze alleate e Resistenza (delegazione del CLNAI in Svizzera) <216. Questi riporta di aver ricevuto la visita, nel luglio 1944, di Vittorio Valobra, responsabile appunto della Delasem in Svizzera, e di Salvatore Donati, delegato della stessa associazione, nonché di un rappresentante del Congrès juif Mondial di Ginevra. Queste personalità avevano richiesto di far inserire tra gli obiettivi della Resistenza italiana anche la liberazione degli ebrei dai campi di concentramento e dai luoghi di detenzione <217. Il generale Bianchi, interessando il Comando supremo italiano per avere istruzioni, comunicava di aver risposto: «ho precisato che, ad ogni modo, le possibilità pratiche di aiuto come quelle richieste possono essere valutate solo dalle formazioni della resistenza responsabili in posto [...]» <218. Era qui ribadita in pieno l'importanza delle iniziative locali.
Il rapporto di Bianchi continuava con la citazione di una serie di messaggi scambiati con varie “formazioni patriottiche” dell'Italia del nord sulla possibilità di condurre azioni che portassero alla liberazione degli ebrei dai campi di concentramento. Le risposte che pervennero dalle varie regioni sono molto diverse l'una dall'altra e soprattutto rendono bene l'idea di come tutto dipendesse dalla situazione di guerra in ciascuna zona. Dal Veneto, ad esempio, fu riferito che il campo provinciale di Vò Vecchio era stato chiuso e che era impossibile per i partigiani attaccare un grande campo di concentramento creato in località Villafranca - viste anche le difficoltà di proteggere gli internati che fossero riusciti ad evadere. Questo campo non era un luogo di detenzione specifico per ebrei: in questo caso si vede come i partigiani continuino a ragionare a livello di assistenza generale a tutti coloro che sono nelle mani dei tedeschi. In Piemonte, secondo quanto comunicato al Bianchi nell'autunno '44, non esistevano campi. Interessante è la situazione che riguardava la Lombardia: anche qui si dice che non erano presenti campi (ottobre 1944), ma il «comando interessato informava di aver agevolato fino a quell'epoca in tutti i modi (ricovero, accompagnamento alla frontiera, passaggio di frontiera) a varie diecine [sic] di ebrei passati in Svizzera» <219. In Emilia Romagna, infine, le formazioni partigiane non avevano potuto attaccare il grande campo di Fossoli di Carpi, in quanto le bande erano tutte dislocate in montagna o in zone lontane <220.
A fine settembre, intanto, il Comando Supremo rispondeva al Bianchi che era già in atto la collaborazione tra le formazioni della Resistenza e gli ebrei del Nord e che comunque «verranno emanate disposizioni alle formazioni in questione per la liberazione di elementi ebraici dai campi di concentramento da effettuare subordinatamente alle esigenze delle varie zone ed alle situazioni particolari» <221. Tenendo cioè sempre presente le reali possibilità e le priorità della lotta in quel periodo di guerra partigiana.
Raccolte queste informazioni, il generale Bianchi concludeva la sua relazione riassumendo quanto era stato fatto. Dalle sue parole emerge ancora una volta l'importanza delle iniziative prese dal basso, dalle singole formazioni partigiane, senza che vi fossero cioè direttive specifiche dai vertici (almeno per la maggior parte del periodo di lotta preso in analisi): un'osservazione che conferma quanto detto finora, ovvero che il movimento di Resistenza inserì per molti mesi, almeno fino all'interessamento del Joint, il salvataggio degli ebrei e l'opera di assistenza a loro favore all'interno di una più generale attività destinata a una tipologia più ampia di vittime della repressione nazifascista.
[NOTE]
176 Archivio INSMLI, Fondo CLNAI, periodo clandestino, b. 3, fasc. 6 “Attività interna del Clnai (Pratiche segreteria)”, sottofasc. 12 “Fossoli”, “Situazione del campo di concentramento di Fossoli”, 15 giugno 1944.
177 Cfr. L. Picciotto, L'alba ci colse come un tradimento cit., pp. 78-88.
178 C. Silingardi, Una provincia partigiana. Guerra e Resistenza a Modena, 1940-1945, FrancoAngeli, Milano 1998, pp. 161-168.
181 «[...] Così stando le cose ritenni che l'unica cosa possibile da farsi fosse quella di mettere in condizione i detenuti di fuggire dal treno. Su questo punto avevo avuto la sera prima opportuni suggerimenti da Maurizio. Se non ché l'introduzione delle “seghette” nel campo, oltre alla difficoltà in sé della cosa, non era forse neppure consigliabile, soprattutto a causa della probabile esistenza di spie fra i detenuti e per l'impossibilità di sapere con certezza chi dei tremila detenuti sarebbe partito. Ritenni quindi meglio mettere le seghette nei vagoni stessi [...]», Ivi, “A Maurizio. 2° relazione”, 30 giugno 1944. La reale capacità da parte dei detenuti di sfruttare queste situazioni è confermata anche dalle parole di Massimo Ottolenghi, partigiano ebreo piemontese, durante un colloquio telefonico avuto con lui nel marzo del 2012. Egli ha raccontato la vicenda di un suo personale amico, arrestato con la madre e caricato dalle autorità nazifasciste su un treno diretto alla deportazione: durante il viaggio, alcuni detenuti erano riusciti ad agevolare una fuga grazie ad alcuni arnesi e ferri lasciati dai ferrovieri nei vagoni, ma lui non si mosse perché la madre non se la sentiva (o non era in grado) di fuggire.
182 Ivi, p. 3. A proposito delle fughe di ebrei durante il tragitto verso Auschwitz, si veda L. Picciotto, L'alba ci colse come un tradimento cit., pp. 92-96.
183 Cfr. Istituto veneto per la storia della Resistenza, Tedeschi, partigiani e popolazioni nell’Alpenvorland (1943-1945). Atti del convegno di Belluno, 21-23 aprile 1983, Marsilio, Venezia 1984; L. Baratter, Le Dolomiti del Terzo
Reich, Mursia, Milano 2005; A. Di Michele, R. Taiani (a cura di), La zona d'operazione delle Prealpi nella seconda guerra mondiale, Fondazione Museo storico del Trentino, Trento 2009.
184 Cfr. C. Giacomozzi, L’ombra del buio: lager a Bolzano 1945-1995, Bolzano 1996; L. Happacher, Il Lager di Bolzano, Arti Grafiche Saturnia, Trento 1979.
185 Per una ricostruzione del servizio di assistenza al campo di Bolzano-Gries si veda: D. Venegoni, Uomini, donne e bambini nel lager di Bolzano. Una tragedia italiana in 7809 storie individuali, Mimesis, Milano 2004, pp. 388; 392-393; L. Happacher, Il Lager di Bolzano cit., pp. pp. 69-71; 73-84.
186 M. Sarfatti, Raffaele Jona ed il soccorso agli ebrei cit., pp. 55-74 (in particolare, pp. 71-72).
190 Cfr. G. Bresadola Banchelli, Politiche amministrative, strutture della repressione e propaganda nella zona d'operazione Litorale adriatico, in S. Bugiardini (a cura di), Violenza, tragedia e memoria della RSI, Carocci, Roma, 2006, pp. 249-275. Sulla zona d'occupazione del Litorale adriatico si veda ad esempio E. Collotti, Il litorale adriatico nel Nuovo Ordine Europeo, 1943-1945, Vangelista, Milano 1974; K. Stuhlpfarrer, Le zone d'operazione Prealpi e Litorale adriatico, 1943-1945, Libreria Adamo, Gorizia 1979.
191 E. Apih, Risiera di San Sabba. Guida alla Mostra storica, Comune di Trieste: Civici musei di storia e arte, Trieste 2000; M. Coslovich, I percorsi della sopravvivenza: storia e memoria della deportazione dall'Adriatisches Kustenland, Mursia, Milano 1994; F. Folkel, La Risiera di San Sabba, BUR, Milano 2000.
192 S. Bon, Gli ebrei a Trieste. 1930-1945 cit., p. 352.
193 Ivi, pp. 349-350.
194 È proprio dei partigiani sloveni l'unico documento che si è ritrovato sul tema: si tratta di un volantino di denuncia della Resistenza slovena (bilingue), pubblicato nel mese di agosto 1944 e dal titolo “Macello degli ebrei a Trieste”, all'interno del quale si trova una breve descrizione della sorte degli ebrei nella Risiera. Documento riprodotto in E. Apih, Risiera di San Sabba cit., p. 130.
195 Cfr. ad esempio R. Spazzali, … L'Italia chiamò. Resistenza politica e militare italiana a Trieste. 1943-1945, Editrice goriziana, Gorizia 2003; L. Felician, F. Forti, V. Leschi, S. Spadaro (a cura di), La Resistenza patriottica a Trieste 1943-1945, Editrice Goriziana, Gorizia 2009.
196 Si veda M. Sarfatti, Il “Comitato di soccorso per i deportati italiani politici e razziali” di Losanna (1944-1945), in “Ricerche storiche. Rivista quadrimestrale del Centro piombinese di Studi Storici”, v. IX, n. 2-3, maggio dicembre 1979, pp. 463-483. Tentativo citato anche in K. Voigt, Il rifugio precario cit., vol. II, pp. 459-461.
197 Sulla storia e l'attività della Delasem: S. Sorani, L’assistenza ai profughi ebrei in Italia 1933-1941 cit.; S. Antonini, L'ultima diaspora. Soccorso ebraico cit.; Id., Delasem: storia della più grande organizzazione ebraica cit. Si veda anche M. Sarfatti, Gli ebrei nell'Italia fascista cit., pp. 295-308; K. Voigt, Il rifugio precario cit., vol. II, pp. 491-511. Per l'analisi di un caso locale, quello toscano, si veda F. Cavarocchi, L'organizzazione degli aiuti. Le reti ecclesiastiche e la DELASEM, in E. Collotti (a cura di), Ebrei in Toscana cit., vol. I, Carocci, Roma 2007, pp. 329-393. Sulla vicenda del salvataggio di ragazzi e bambini ebrei nascostisi in Italia da vari paesi europei, si veda K. Voigt, Villa Emma. Ragazzi ebrei in fuga 1940-1945, La Nuova Italia, Firenze 2002.
198 M. Sarfatti, Gli ebrei nell'Italia fascista cit., p. 302.
204 S. Zuccotti, Il Vaticano e l'olocausto in Italia, B. Mondadori, Milano 2001, pp. 265-299.
205 ACDJC, CDXLVI-7, Delasem, Dettagli sull’attività di assistenza agli ebrei nascosti a Roma 1943-1944, Relazione di padre Benoit, febbraio 1945. Su padre Benoit si vedano anche i recenti: S. Zuccotti, Pere Marie Benoit and Jewish rescue: how a French priest together with Jewish friends saved thousands during the Olocaust, Indiana University Press, Bloomington 2013; G. Cholvy, Marie-Benoit de Bourg d’Ire, 1895-1990: itineraire d’un fils de Saint Francois, juste des nations, Edition du Cerf, Paris 2010.
206 Ivi, CDLVII, Estratto di una nota di Settimio Sorani, ex direttore della Delasem a Roma inviata alla Signorina Eloisa Ravenna (Segretario del Centro di Documentazione ebraica) il 19 luglio 1966.
207 Cfr. Y. Bauer, American Jewry and the Olocaust. The American Jewish Joint Distribution Committee 1938-1945, 1981, p. 292. Si vedano anche O. Handlin, A continuing task. The American Jewish Joint Distribution Committee, 1964; Beith Hatefuzoth, The Nahum Goldmann Museum of Jewish Diaspora (a cura di), To Save the World. The American Jewish Joint Distribution Committee (AJJDC). 1914-1984, 1984.
216 Cfr. P. Secchia, F. Frassati, La Resistenza e gli Alleati cit., pp. 104-105 (nota 105).
217 ACDJC, Italie, CDLVII, “Confidenziale. Azione della resistenza italiana a favore degli elementi ebraici dei campi di concentramento”, 23 febbraio 1945. Pochi mesi dopo, nelle Note sulla riunione tenuta il 25 ottobre 1944 tra rappresentanti del CLNAI e rappresentanti inglesi in Lugano, al punto 11 si legge: «Da parte I. [inglese?] si richiedono informazioni sui campi di concentramento in Italia con specificazione della nazionalità dei detenuti, nomi comandanti e capi-campo, località ecc. Questi ultimi vengono forniti dai presenti in parte con riserva di avere dati precisi da Milano», in P. Secchia, F. Frassati, La Resistenza e gli alleati cit., pp. 102-107. Non è chiaro però se si riferisce alla possibile richiesta ricevuta dal generale Bianchi. Una dinamica simile interessò anche i comandi della Resistenza francese. Il 26 gennaio del 1944, il commissariato all'Interno di Algeri ricevette una richiesta da parte del Congresso ebraico mondiale, nella quale venivano poste alcune domande: se le organizzazioni della Resistenza francese potessero inviare periodicamente delle informazioni riguardo la situazione degli ebrei in Francia; potessero prendere in considerazione la possibilità di collaborare con questa organizzazione ebraica per far uscire gli ebrei dalla Francia oppure aiutarli a nascondersi; potessero facilitare l'esodo dei bambini ebrei, nonché tenere alto il morale delle persone che li nascondevano affinché, seppur minacciati, queste non li consegnassero ai tedeschi. Nello stesso periodo, il commissario agli Affari esteri ricevette un rapporto da un delegato del Congresso ebraico mondiale per la Spagna e il Portogallo (Isaac Weissman), datato novembre 1943, nel quale venivano descritti in maniera dettagliata gli arresti e le deportazioni di bambini ebrei dalla Francia dal mese di agosto 1942. Cfr. R. Poznanski, Propagandes et persécutions cit., pp. 15-17. Cfr. anche M. Baudrot, Le mouvement de Résistence devant la pérsécution des juifs cit., pp. 265-295.
218 ACDJC, Italie, CDLVII, “Confidenziale. Azione della resistenza italiana a favore degli elementi ebraici dei campi di concentramento”, 23 febbraio 1945, p. 1.
219 Ivi, p. 3.
220 Ibidem.
221 Ivi, p. 2. Si confronti la risposta italiana con quella che il comando francese di Algeri inviò al Congresso ebraico mondiale il 2 marzo 1944: «Le commissariat à l'Intérieur s'efforcera d'obtenir aussi fréquemment que possible des renseignements sur la situation des Israélites en France […] Les organisations de Résistance n'ont malhereusement pas les moyens pratiques d'assurer la sortie de France des Israélites. Les possibilités dans ce domaine sont, en effet, très limitées et sont, pour cette raison, forcément réservées pour le cas que justifient des motifs exceptionnels. Néanmoins, les services français ne perdent pas de vue la gravité du problème des enfants juifs. Des mots d'ordre sont donnés pour que la sécurité de ceux-ci soit assurée dans toute la mesure du possible», R. Poznanski, Propagandes et persécutions cit., pp. 15-16.
Matteo Stefanori, La Resistenza di fronte alla persecuzione degli ebrei in Italia (1943-1945), in Collana “Studi e ricerche della Fondazione CDEC”, Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano, 2015 

Anche la cultura o la posizione sociale sono ininfluenti al fine di comprendere la fisionomia del ‘salvatore’: ad assistere gli ebrei ci furono professori universitari così come analfabeti, capitani d’industria come Oskar Schlinder così come semplici muratori come Lorenzo Perrone, il salvatore di Primo Levi. Ci furono nobili come il Conte Alessandro Wiel e la moglie Luisa, ma anche bambinaie come Ida Brunelli, che alla morte della madre dei suoi protetti li difese come figli suoi (nonostante la ragazza avesse solo quindici anni) e lottò per trovare cibo sufficiente a sfamare quattro bocche in un momento storico in cui il cibo valeva più dell’oro.
Ci furono luminari come Carlo Angela (padre del famoso conduttore Piero Angela) direttore di una prestigiosa clinica psichiatrica, e contadini come Maria e Ciro Garibaldi, che salvarono nove membri di una famiglia ebrea nascondendoli in un rifiugio di montagna così impervio che solo i muli lo potevano raggiungere.
Ci furono partigiani eroici come Rinaldo Arnaldi e Lorenzo Spada, ma anche fascisti come i podestà Francesco Garofano e Ercole Piana.
Ci furono poi gesti di inventiva degni di un romanzo, in cui la stereotipata ‘arte dell’improvvisazione’ italica sembra avere davvero un fondo di verità: Fosco Annoni, militare di stanza a Leopoli, insieme ai suoi commilitoni salvò la giovane Klara Rosenfeld travestendola da soldato italiano (e poi affidandola alla sorella Tina). Giorgio Perlasca arrivò a fingersi diplomatico spagnolo per salvare più persone possibile. Gino Bartali approfittava dei suoi allenamenti estenuanti per trasportare da Assisi a Firenze documenti falsi per gli ebrei rifugiati nella regione. Vito Spingi nascose una famiglia di ebrei di dieci persone in un elegante appartamento romano, di proprietà di un fascista fuggito al Nord con Mussolini <227. Giorgio Nissim a Lucca e Luigi e Trento Brizi ad Assisi fabbricarono centinaia di carte di identità false, usando spesso carte di identità in bianco che venivano sottratte ad impiegati comunali particolarmente ‘distratti’ <228.
È esistita quindi una sorta di ‘propensione al bene’ che potremmo definire trasversale: capace di attraversare tutti i gruppi sociali, tutte le religioni e le ideologie politiche.
[NOTE]
227 Ironia della sorte: Spingi era un impiegato delle Ferrovie che era stato licenziato per attività antifasciste. Ormai sessantenne, aveva trovato come unico impiego quello di custode del palazzo in cui si trovava l’appartamento del fascista fuggito.
228 Tutti gli esempi sono tratti da Israel Gutman - Bracha Rivlin, (a cura di), I Giusti d’Italia, I non ebrei che salvarono gli ebrei, 1943-1945, Milano, Mondadori, 2006, p. 239.
Davide Spada Pianezzola, Le ragioni dei Giusti. Azioni, tecniche e motivazioni dei "Giusti" italiani durante la Seconda Guerra Mondiale, 1941-1945, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2013-2014