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giovedì 24 marzo 2022

Colti e ricettivi, i Pasinetti scrissero di letteratura, cinema e attualità per diverse testate


Il presente lavoro di ricerca consiste nella trascrizione e nel commento di 200 lettere tratte dal carteggio tra lo scrittore Pier Maria Pasinetti (1913-2006) e il fratello Francesco (1911-1949), regista e critico cinematografico. L’epistolario completo, composto di 397 missive, è il nucleo centrale del «Fondo P.M. Pasinetti», conservato presso l’Archivio «Carte del Contemporaneo» del Centro Interuniversitario di Studi Veneti (CISVe). La corrispondenza selezionata risale agli anni 1940-1942, periodo significativo soprattutto se si considera che le lettere viaggiano lungo l’asse Italia-Germania. In questo arco di tempo Francesco è insegnante presso il Centro sperimentale di cinematografia a Roma e Pier Maria è lettore all’Università di Gottinga in qualità di funzionario dell’Istituto italiano di cultura. È, per entrambi, un momento di rapida ascesa professionale e di consacrazione artistica: nel 1941 esce per i tipi Mondadori "L’ira di Dio", raccolta d’esordio dei racconti di Pier Maria e Francesco realizza il primo documentario commissionatogli dall’Istituto Luce.
La traiettoria di due giovani appartenenti alla colta borghesia veneziana impegnati nella letteratura, nel cinema, nel giornalismo e operanti nelle istituzioni dello Stato totalitario è paradigmatica del percorso di una generazione di artisti e pensatori le cui biografie intersecarono il fascismo e può chiarire il funzionamento del campo artistico nel ventennio. Ecco perché habitus, topologia sociale e campo di produzione sono al centro di questo studio. Utilizzando il carteggio come documento - oggetto d’interpretazione prima che strumento interpretativo - si è guardato agli interessi, alle relazioni, al ruolo e alla prassi artistica dei Pasinetti con l’intenzione di dare un contributo alle ricerche sul nesso tra cultura e fascismo. Indagare i riferimenti culturali, il lavoro nell’apparato statale, le relazioni con intellettuali ed esponenti politici coevi è un tentativo di esplicitare nelle biografie dei singoli poste in gioco e rapporti di forza alla radice di orientamenti complessivi.
[...] Sebbene funestata da dolorosi lutti familiari, la giovinezza di Francesco e di Pier Maria Pasinetti non fu priva di una agiata spensieratezza. Nati rispettivamente nel 1911 e nel 1913, persero la madre Maria Ciardi nel 1928 e il padre Carlo nel 1939, dovendo far fronte alla precoce scomparsa dei genitori sostenendosi vicendevolmente. Un destino amaro, che dovette però contribuire a consolidare il rapporto fraterno in un’intima amicizia. D’altro canto, nei ricordi dei due fratelli l’infanzia nella Venezia d’inizio Novecento è un’immagine fulgida: a metà strada tra tableau vivant e “bottega d’artista” <1, casa Pasinetti-Ciardi, con gli spettacoli di marionette di Francesco e Pier Maria, i dipinti del nonno Guglielmo e della zia Emma, i fairy tales della madre e gli umoristici aneddoti paterni non era solo un luogo di gioie e di svaghi, ma una culla del gusto e dell’intelletto <2. Emma Ciardi, in particolare, ebbe un notevole influsso sulla formazione dei nipoti, abituandoli giovanissimi a muoversi tra i colori del suo studio a San Polo, in cui facevano bella mostra specchiere antiche, stoffe pregiate, manichini con abiti settecenteschi e, naturalmente, i quadri per cui era corteggiata da gallerie internazionali <3. Sullo sfondo, la Prima Guerra Mondiale impensieriva più Carlo - primario all’Ospedale Civile - che i figli ancora piccoli, i quali ne serbarono un ricordo avventuroso piuttosto che traumatico <4.
La tranquilla estrazione borghese consentì ai due ragazzi di coltivare le proprie inclinazioni. Indirizzati a una cultura umanistica, frequentarono il liceo classico Foscarini e, in seguito, l’elitaria via universitaria fu scontata. Entrambi scelsero la facoltà di Lettere a Padova, assecondando con piani di studio diversi le relative vocazioni: nel 1933 Francesco discusse una tesi di storia del cinema, summa di un’indagine critica da tempo condotta su quotidiani locali; nel 1935 Pier Maria presentò una dissertazione su James Joyce, esito di una ricerca svolta tra Oxford e Dublino <5. Scelte poco ortodosse, in fondo, tra i curricula letterari dell’accademia italiana, certo incoraggiate da una educazione eclettica e liberale.
Colti e ricettivi, i Pasinetti inventavano, mettevano su pagina e inscenavano storie dalla più tenera età e già prima di laurearsi quello che era un divertissement domestico diventò una professione. Scrissero di letteratura, cinema e attualità per diverse testate fino a ideare una «Gazzetta di poesia». Dal 1932 al 1940 «Il Ventuno» <6 - titolo della pubblicazione gravitante nell’orbita del GUF veneziano - trattò disparate questioni culturali, non senza la vivacità polemica che contraddistingueva molti periodici gufini e che pure non impensieriva più di tanto i quadri del regime. Tutto, in quei vitalissimi anni Trenta, faceva guardare al futuro con la gaia sfrontatezza di certi corsivi della rivista: poco più che ventenni entrambi guadagnavano cifre invidiabili con critiche e reportage; Francesco fondava il Cineclub veneziano e animava il Cineguf a livello nazionale, promuoveva il cinema a passo ridotto alla Mostra di Venezia e girava cortometraggi sperimentali, otteneva riconoscimenti ai primi Littoriali, sceneggiava film e commedie, dirigeva opere liriche e compilava una storia del cinema mondiale; Pier Maria scriveva corrispondenze dall’Inghilterra, attraversava l’Atlantico per studiare Hawthorne in Louisiana, frequentava gli scrittori Allan Seager e Robert Penn Warren, pubblicava racconti in inglese nella «Southern Review» e otteneva una borsa di studio per Berkeley. Acuti e disinvolti, fecero un ingresso sfavillante in società, distinguendosi per l’intelligenza, l’inventiva e il savoir faire. Da buoni veneziani, erano conversatori ironici e raffinati, per di più piacevano follemente alle donne.
La morte del padre e lo scoppio della guerra non ostacolarono il loro destino. Prossimi ai trent’anni godevano di lauti introiti, disponevano di proprietà tra Roma, Venezia e la campagna trevigiana, nonché di svariati dipinti di valore, avevano girovagato in lungo e in largo attraversando «diversissimi meridiani» <7 e le carriere professionali erano ben avviate.
Francesco si era stabilito da tempo nella Capitale per inseguire il sogno del cinema. Aveva lavorato presso l’Istituto per la cinematografia educativa e dal 1936 insegnava illuminazione e fotografia al Centro Sperimentale diretto da Luigi Chiarini, una meta cruciale: accanto alla consueta scrittura di testi per pellicole e palcoscenici, diresse una serie di documentari dalla diffusione nazionale per l’Istituto Luce e l’attività critica raggiunse piena maturità approdando su «Bianco & Nero», «Cinema», «Primato», riviste che orientavano il dibattito culturale italiano. Nonostante la prolificità, il giovane cineasta mantenne una certa irrequietezza. L’attività teorica lo oberava a scapito della pratica e i lungometraggi incoraggiati dalla politica non sempre combaciavano con le sue aspirazioni, al punto che non arrivò mai a realizzare un film a soggetto. A nulla valsero le relazioni con grandi produttori e con personalità in vista come Alessandro Pavolini, Giuseppe Bottai, Vittorio Mussolini.
Purtuttavia, proprio al Centro Sperimentale, in un clima fervente, euforico, spesso scanzonato, consolidò rapporti importanti. Con Alida Valli, per esempio, e con Carla Del Poggio, Luisella Beghi, Michelangelo Antonioni, Enrico Fulchignoni, o ancora con i fratelli Puccini e con Peppe De Santis, membri di quel “gruppo romano” che dovette avere qualche influenza nel suo avvicinamento al CLN. Perché se non è semplice ricostruire come e quando maturò nell’animo una ferma condanna del fascismo, da lui stesso sappiamo che fu in contatto con il Partito d’Azione dall’agosto 1943, che si occupò di stampa clandestina e che si preoccupò di preservare opere e attrezzature del Luce. Appoggiato dal Comitato di liberazione, nel 1945 istituì un ufficio tecnico per rimettere in piedi l’attività cinematografica e per creare a Venezia un polo di produzione alternativo a Roma, desiderio infranto che cullava da quando mosse i primi passi tra carrelli e bobine.
Anche Pier Maria si faceva largo nel mondo "à bâtons rompus". Tornato dagli Stati Uniti, aveva audacemente rinunciato a un lettorato alla Sapienza propostogli da Mario Praz <8, si era trasferito a Berlino come insegnante d’italiano, tra il 1938 e il 1939, per poi tornare a Roma, dove aveva prestato servizio all’Istituto per le relazioni culturali con l’estero. Poi fu la volta di Gottinga e anche qui, accanto all’insegnamento della lingua, mantenne vivo il culto delle lettere, del teatro, della settima arte e delle belle donne. Perfettamente a suo agio nei salotti della borghesia tedesca, si fece ben volere da allieve, professori e diplomatici con cui trascorreva amene serate. Continuò a scrivere di cultura per le stesse riviste siglate da Francesco, in particolare «Primato», e fu attentissimo al dibattito intellettuale che ribolliva nelle pagine dei giornali italiani. Ma, proprio come per il fratello maggiore, l’attività pubblicistica e l’insegnamento non erano che occupazioni secondarie - talvolta distrazioni - rispetto a un suo febbrile desiderio: ritirarsi, magari da uomo sposato, nella placida campagna veneta e lì «fare dei libri» <9. Non si sposò mai Pier Maria, né realizzò il sogno agreste, troppo distante, in verità, dai suoi vezzi mondani. Però scrisse, questo sì, racconti e romanzi, ottenendo positivi riscontri dai suoi pari e cercando, né più né meno di tanti suoi colleghi, l’attenzione dei notabili. Ma la fortuna letteraria non fu eguale ai successi di carriera: nel 1942 ottenne un lettorato a Stoccolma, dove diresse l’Istituto di cultura italiana; il romanzo messo in cantiere nel 1941 - quando la sua prima raccolta di racconti stava per essere pubblicata - uscì nel 1959; nel frattempo, a guerra finita, era tornato in America, aveva conseguito un Ph.D. con René Wellek ed era diventato docente di letterature comparate alla UCLA. E, sempre in quegli anni, precisamente il 2 aprile 1949, aveva perso il fratello, colpito da un aneurisma aortico. Dopo "Rosso veneziano" - l’opera a lungo progettata - la produzione narrativa si intensificò, ma Pier Maria, che si poneva idealmente accanto a Vittorini e a Moravia <10, non giunse mai al successo immaginato, ricalcando in questo le sorti del fratello, che pur arrivato alla direzione del Centro Sperimentale non eguagliò gli ammirati modelli Clair, Pabst, De Sica.
Un’intima amicizia, si diceva all’inizio. Di essa rimane traccia in un fitto carteggio che si dipana lungo gli anni Trenta e Quaranta, scaturito dalla prolungata distanza dei due fratelli. Vi è la registrazione dello scorrere della giovinezza, tra ambizioni, difficoltà, successi e frustrazioni; c’è, soprattutto, un’affinità alimentata da un confronto continuo sui lavori personali e altrui. Un dialogo che riecheggia nelle pagine vistate dalla censura (impressionante, a immaginarlo, l’apparato di controllo) tra le cronache minute del quotidiano, talvolta amare, talvolta ricche di humour. Sfogliarle - e commentarle - richiede rispetto e cautela. Il rischio è appunto di mettere sullo stesso piano dettagli magari curiosi ma irrilevanti e questioni che possono dire qualcosa su posture e poetiche. C’è il rischio, insomma, di farsi sedurre dagli scartafacci e di leggere l’avantesto come un testo, giudicando corrivamente riflessioni parziali e private. Con le dovute precauzioni, considerare il punto di vista dei soggetti riflette l’idea di una antropologia che restituisca all’oggetto di studio la sua prospettiva. Questa sì pare rilevante per lo studioso interessato ai rapporti di forza sottesi alla produzione culturale.
[NOTE]
1 Vd. N. STRINGA, Guglielmo Ciardi & figli: una bottega d’arte a Venezia e nel Veneto tra ‘800 e ‘900, in «Le parentele inventate». Letteratura, cinema e arte per Francesco e Pier Maria Pasinetti, a c. di A. RINALDIN, S. SIMION, Roma-Padova, Antenore, 2011, pp. 335-342.
2 Cfr. Petite conversation vénitienne. Entretien de Pier Maria Pasinetti avec Jean-Marie Planes, Bordeaux, Éditions Confluences, 1996, pp. 32-34.
3 Cfr. M. ZERBI, Zi’ Emma. Emma Ciardi pittrice nei ricordi dei nipoti Francesco e Piemme Pasinetti, in «Le parentele inventate», cit., pp. 346-353.
4 Cfr. P.M. PASINETTI, Fate partire le immagini, a c. di S. TAMIOZZO GOLDMANN, Roma-Padova, Antenore, 2010, pp. 3-4.
5 Sulla formazione universitaria dei fratelli Pasinetti vd. M. REBERSCHAK, I fratelli Pasinetti alla ricerca della cultura, in «Le parentele inventate», pp. 89-99 e ID., Una cultura aperta, in La scoperta del cinema. Francesco Pasinetti e la prima tesi di laurea sulla storia del cinema, a c. di ID., Roma, Luce, 2002.
6 Vd. L. PIETRAGNOLI, «Il Ventuno», in La scoperta del cinema, cit., pp. 67-87.
7 P.M. PASINETTI, Il cielo in terra, in «Primato», I, n. 8, 1940, p. 4.
8 «Per l’anno 1938 autunno, se Lei non trova di meglio, Le proporrei di essere mio lettore qui a Roma. Pagan poco (456 lire al mese), ma c’è anche poco da fare, e sarebbe un principio. Che ne dice?», lettera di Mario Praz a Pier Maria, Roma, 4 ottobre 1937 (CISVe, Archivio «Carte del Contemporaneo», Fondo Pier Maria Pasinetti, Serie “Corrispondenza” [d’ora in avanti ACC/FPMP], coll. 60.10).
9 Lettera n. 177, del 19 febbraio 1942.
10 Cfr. lettera n. 167, del 21 gennaio 1942.
Nicola Scarpelli, Pier Maria - Francesco Pasinetti. Lettere scelte. 1940-1942, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Padova, 2016