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domenica 12 dicembre 2021

Interessamento e preoccupazione per i fumetti da parte del partito comunista italiano nel decennio 1945-1955 (2)

 


[seguito di questo articolo]

Nel successivo numero di «Gioventù Nuova» (quello di maggio) interviene Giovannella Autuori, segretaria di una sezione romana della FGCI, testimoniando che circa il 90% delle iscritte alla sua sezione fino a qualche tempo prima leggeva e si appassionava alla stampa a fumetti. Stimolata dall’ampiezza del fenomeno e consapevole del pericolo che tali letture rappresentano - anche perché lei stessa, prima di diventare comunista, era stata appassionata lettrice della stessa stampa ed aveva incontrato parecchia difficoltà nello staccarsi dall’influenza e dalla mentalità che ne aveva ricevuto - la Autuori racconta di aver affrontato l’argomento in una riunione, spiegando alle sue ragazze che i fumetti facevano dimenticare l’odio verso gli sfruttatori ed indebolivano la personalità. Non riuscendo però a convincerle del tutto, si era ripromessa di studiare più approfonditamente la questione, addivenendo alla “scoperta” di un fattore importante per la comprensione del fenomeno, che era stato trascurato dalla Musu nel suo articolo: il fatto, cioè, che «il fascino fisico dei personaggi, uomini e donne, di Grand Hotel, ha grande presa sulle ragazze, le quali cercano di imitare anche nel loro modo di vestire, di truccarsi, di pettinarsi» le protagoniste.[142]
Il terzo intervento, quello di Rolando Cavandoli, comincia con il riprendere il giudizio di fondo espresso dai due articoli precedenti: i fumetti e le pubblicazioni similari danneggiano la salute morale e la coscienza sociale, sterilizzano il gusto letterario della gioventù, si ispirano ad interessi classisti, offrono una descrizione falsa della vita, inducono all’inerzia e, di conseguenza, vanno combattuti e condannati. [143] Ma, si chiede Cavandoli, una volta riusciti a convincere quanti leggono questo tipo di pubblicazioni cercandovi svago od evasione ad abbandonarne la lettura, cosa si risponderà alla loro richiesta di avere qualcos’altro in cambio? Ci sono giornali come «Pattuglia» e «Noi Donne», nota l’autore, ci sono validissime opere di contenuto «realistico e schietto», esistono lodevoli iniziative editoriali, romanzi, racconti di vita e novelle, tutte produzioni di grande «valore educativo» che i comunisti pongono «tra gli strumenti più validi per la costruzione di una morale democratica e moderna». Si tratta, tuttavia, di soluzioni ancora insufficienti che non intaccano la necessità di dar vita ad una diversa iniziativa editoriale, che, «senza sostituirsi alla missione formatrice del libro, ne completi l’efficacia e giunga là dove esso ancora non arriva, e al tempo stesso corrisponda ai bisogni e alle aspirazioni della gioventù». A parere di Cavandoli, insomma, resta aperto il problema centrale di una rivista o di un settimanale che, pur ispirandosi a una moralità democratica, adotti un linguaggio gradevole, snello e «conforme a non troppo esigenti gusti del pubblico cui sarà diretto», il quale, in massima parte, preferisce le «descrizioni rettilinee alle trame complesse e difficili, preferisce l’immagine diretta al capitolo scritto».[144]
Ci si trova di fronte, nel complesso, ad una serie di considerazioni importanti, che fanno intravedere la possibilità di una legittimazione strumentale dei fumetti. Tant’è vero che Cavandoli si preoccupa subito di mettere in chiaro che non esiste alcun dubbio sul fatto che i comunisti debbano «educare la gioventù ad un maggiore sforzo intellettuale», al fine di demolire anche i residui formali della cultura borghese, di cui anche il fumetto fa parte. E però, considerata la sua accessibilità per le ragazze ed i giovani meno assuefatti alla lettura, Cavandoli ritiene che il fumetto può essere transitoriamente utilizzato per rispondere al problema fondamentale di «dare un nuovo contenuto alla cultura per i giovani».[145] Diamo vita, dunque, ad una nuova pubblicazione che combatta l’influsso nocivo della letteratura e dei fumetti; serviamoci del fumetto, esorta infine Cavandoli, «ma serviamocene in modo da innestare in esso un contenuto che educhi alla conoscenza del mondo vero, alla lotta per la sua trasformazione».[146]
Al pari di Giovannella Autuori, anche Giudiceandrea prende le mosse da una esperienza personale.[147] Accortosi della massiccia penetrazione della stampa a fumetti, egli racconta di aver tentato di moderarne la diffusione affrontando il problema in diverse riunioni. Di fronte alle notevoli e pervicaci resistenze incontrate si era persuaso della necessità prioritaria di conoscere più approfonditamente che cosa i giovani trovassero nei fumetti. Si era quindi deciso a comprarli e studiarli; una lettura istruttiva, che lo aveva aiutato a comprendere come le pubblicazioni a fumetti offrano ai giovani la «possibilità di sottrarsi alla ristrettezza di una vita monotona e priva di speranze, lanciandoli con la fantasia in un mondo di avventura», in una vita entusiasmante, felice, priva di preoccupazioni e problemi.[148] Viene così a crearsi nel lettore - afferma Giudiceandrea - una determinata forma mentis, un modo di vedere che si ispira alla morale e alle situazioni dei fumetti: il lettore arriva ad identificarsi nel personaggio del fumetto, tende ad assomigliargli in tutto, affronta le diverse situazioni con il suo spirito ed il suo modo di agire. Il danno arrecato alla personalità dei giovani dai fumetti è dunque formidabile ed i comunisti debbono studiare il modo di rimediarvi. La gioventù - conclude Giudiceandrea - ha bisogno di sognare e spesso legge le pubblicazioni a fumetti proprio perché le offrono la possibilità di sognare, senza preoccuparsi minimamente della loro qualità e del loro contenuto (anche perché sovente non ha neppure la preparazione necessaria per comprenderne la vera natura di classe).[149] L’errore dei comunisti è stato quello di aver lasciato alla reazione il monopolio dei fumetti. Bisogna dunque porvi rimedio, creando «dei giornali a fumetti che non contengano però del veleno».[150] Il problema all’ordine del giorno deve essere quello di «sostituire i fumetti dannosi con fumetti buoni», di dare ai giovani una valida alternativa rispetto all’esistente.[151]
Le questioni centrali venute fuori durante i circa otto mesi di una discussione utile ed interessante - afferma Giuliano Pajetta nell'articolo che chiude il dibattito - sono due: a) l’enorme diffusione tra le masse popolari, per colpa dei fumetti, di una letteratura deteriore che tende ad avvelenare larghi strati della gioventù; b) la necessità di non limitarsi alla critica e trovare un controveleno.[152] Riguardo al primo punto, Pajetta afferma essere ormai più che palese il tentativo delle classi dominanti di far penetrare la loro ideologia tra le classi oppresse per mezzo della carta stampata, del cinema, della radio, della musica, del teatro, della moda, della scuola e della chiesa. A suo parere, nel fumetto non è possibile (al contrario di quanto fa Marisa Musu) separare la forma dal contenuto e ritenere possibile, o peggio auspicabile, un fumetto comunista. Il fumetto - incalza Pajetta - non è una semplice illustrazione, è «un racconto abbreviato, impoverito, fatto solo di stupido e arido dialogo, la sua stessa forma corrisponde al miserabile contenuto che ha la letteratura borghese decadente di oggi, la “cultura” che la borghesia è disposta a dare ai giovani ai quali non assicura né un serio studio né una seria istruzione professionale, ai quali non può dare nessun ideale nazionale e sociale».[153] Riguardo al secondo punto, e cioè alla necessità di trovare una soluzione concreta, Pajetta ritiene che il problema non sia quello della presenza o meno di nuovi giornali o riviste (che già ne esistono in abbondanza), ma quello di far leggere i giovani. Migliaia di attivisti continuano a dire che bisogna combattere i fumetti e che bisogna leggere, ma quanti sono - si chiede polemicamente Pajetta - quelli che si adoperano realmente per far sì che i giovani leggano dell’altro, insieme o in alternativa ai fumetti? Eppure, egli suggerisce, si potrebbero facilmente organizzare letture collettive di romanzi e poesie o si potrebbero distribuirne le pagine più importanti e interessanti nei caseggiati o nei laboratori.[154] Qualche buon esempio - continua Pajetta - già esiste, ma si tratta purtroppo di iniziative individuali; bisogna entrare invece nell’ottica che, accanto e al pari dell’educazione e dello studio politico, questo tipo di iniziative debbono essere viste come un vero e proprio lavoro, tenace, paziente, da condursi con passione e slancio.[155]
Con questo articolo di Giuliano Pajetta si chiude un dibattito dal quale emerge chiaramente come il giudizio negativo sui fumetti e sulla loro funzione corruttrice e diseducativa, ripetutamente espresso da Enrico Berlinguer, sia in piena sintonia con l’opinione dominante nella FGCI e - vedremo più oltre - nel PCI. Semmai, quello che differenzia le argomentazioni di Berlinguer da quelle dei partecipanti al dibattito è il livello di analisi: mentre la condanna pronunciata dal Segretario della FGCI si fonda - e non va oltre! - su una analisi contenutistica, politica e ideologica (i fumetti strumento del capitalismo), l’analisi condotta da Marisa Musu, da Giuliano Pajetta e dagli altri dirigenti e militanti della FGCI coinvolge anche il piano estetico e quello psicologico dei bisogni del lettore e delle ricadute sulle sue aspettative e sul modo di leggere la realtà. Questo tipo di analisi conduce alcuni (Musu, Cavandoli e Giudiceandrea) ad operare anche una cauta distinzione tra contenuto e forma del fumetto ed a ritenere possibile, utile e necessario un loro utilizzo strumentale, in netto contrasto con l’opinione di Pajetta (e del Partito) che condanna, invece, il contenuto e la forma delle pubblicazioni a fumetti, scartando qualsiasi possibilità di un nuovo giornale a fumetti di matrice democratica e/o comunista.
Negli anni 1945-1955, sia da parte della FGCI che del PCI, dunque, è ferma e risoluta la condanna ufficiale e di principio dei fumetti. Per quanto riguarda l’organizzazione giovanile comunista, uno degli esempi più significativi di ciò, proprio per lo stretto legame che viene istituito tra i fumetti, il capitalismo, l’ideologia e l’educazione (e, più in generale, tra struttura e sovrastruttura) è rappresentato dal Piano della Sezione Centrale Cultura e Ricreazione della FGCI. «Nello sforzo di impedire alla gioventù il cammino della lotta per la rinascita nazionale e per il socialismo, - si scrive nella Premessa al Piano (datato 10 gennaio 1953) - l’imperialismo americano e la reazione italiana cercano di educare i giovani alla rassegnazione, alla sfiducia e alla passività, ovvero di farne docile strumento di una politica antipopolare e di guerra. A questo scopo l’istruzione e la cultura vengono negate alle grandi masse della gioventù o divengono strumento di parte al servizio dei nemici dei giovani. Perdura e si aggrava l’analfabetismo, degrada la qualificazione professionale e tecnica dei giovani lavoratori, permangono in crisi di mezzi e di contenuto la scuola, il libro, lo spettacolo, viene soffocata sotto la putrida “cultura” americana la gloriosa tradizione culturale italiana. Tutti i mezzi di penetrazione culturale e ideologica in mano alla reazione - scuole, stampa scritta ed a fumetti, radio, cinema, canzonette, oratori, ecc. - tendono a soffocare nei giovani ogni forma di pensiero critico, ad esaltare l’evasione dalla realtà, a diffondere la superstizione, ad inculcare la convinzione che nulla di fondamentale può mutare nel mondo e quindi a distruggere nei giovani la fiducia di potere con le loro forze, attraverso la ragione, la scienza e l’esperienza, attraverso la lotta, conoscere e risolvere i problemi dell’avvenire suo e della società, conoscere e trasformare il mondo».[156]
Già all’indomani della sconfitta elettorale del 18 aprile 1948 e dell’attentato a Palmiro Togliatti, del resto, l’Ufficio Nazionale Giovanile denuncia con forza il fatto che le forze reazionarie si servano per fini politici ed ideologici dei mezzi di comunicazione, di formazione, di informazione e di svago. «L’Azione Cattolica, i socialisti di destra e il movimento fascista - si legge nelle Direttive per il lavoro giovanile - servi diretti dell’imperialismo americano, speculando ignominiosamente sul sentimento di amore per la patria, per la libertà e il progresso, di cui è animata la nostra gioventù, servendosi di tutti i mezzi a loro disposizione (apparato dello Stato, cinema, scuola, stampa, sport, ecc.) tentano di nascondere di fronte alle masse giovanili gli scopi criminali della loro politica e di farle rivolgere contro le forze democratiche».[157]
«Di fronte a noi - denuncia con preoccupazione Ugo Pecchioli nel rapporto presentato al Comitato Centrale della Federazione giovanile comunista nella riunione del 24-26 ottobre 1950 - sta un avversario potente, dotato di mezzi e preoccupato di non perdere il suo dominio sulla gioventù. I films e la stampa americana hanno propagandato l’ideologia degli imperialisti, sono penetrati con i loro falsi ideali nell’animo di molti giovani».[158] I giovani dei paesi occidentali, si afferma invece in uno schema di conferenza sulla vita e sulle conquiste della gioventù sovietica, sono ««avvelenati dalla “cultura” imperialista basata sulla menzogna, sulla pornografia, su una letteratura, un cinema, un’arte cosmopoliti e reazionari, che li spinge o alla rinuncia o allo spirito sciovinistico e di rapina».[159]
Anche la condanna del PCI è netta e reiterata. Dopo una fase iniziale (coincidente sostanzialmente con i primi due-tre anni del dopoguerra) nella quale si guarda con preoccupazione all’afflusso sul mercato editoriale italiano di fumetti, rotocalchi, racconti gialli, romanzi d’appendice e letture d’evasione di vario genere, la convinzione che queste pubblicazioni costituiscano un serio pericolo per la salute morale, politica ed esistenziale degli italiani si radica fortemente nella mentalità dei comunisti italiani. Al pari dei film hollywoodiani, l’accusa principale che viene mossa ai “fumetti” è quella di essere degli strumenti in mano al capitalismo ed alle forze reazionarie, per mezzo dei quali le classi dominanti tentano di addormentare e corrompere la coscienza degli italiani e, in particolar modo, delle giovani generazioni, delle donne e degli operai. Preoccupano, soprattutto, gli effetti politico-ideologici, il fatto che, per mezzo dei “fumetti”, vengano propagandati e diffusi ideali e modelli di vita e di comportamento di matrice borghese ed americana, del tutto antitetici rispetto a quelli comunisti. Preoccupa, altresì, il fatto che questi “narcotici intellettuali in libera vendita” ed a poco prezzo, sotto le vesti accattivanti dell’evasione e del divertimento, spingano alla rassegnazione e alla rinuncia, svolgano una potente opera di disgregazione della classe operaia e conducano silenziosamente alla accettazione passiva della esistente realtà sociale ed economica. Per Lucio Lombardo Radice, ad esempio, simili pubblicazioni hanno l’effetto di deviare, almeno in parte, l’insofferenza dei lavoratori e di attenuare la loro capacita di lotta. «Io ritengo fermamente - egli scrive - che la letteratura del tipo “romanzo d’appendice” (e ci metto dentro “fumetti” e gialli”, novelle d’amore e miti sportivi) abbia una forte influenza conservatrice».[160] Nel già citato articolo su che cosa leggono le operaie Jucci Lorini, invece, scrive che i “fumetti” sono molto più pericolosi dei giornali che difendono e sostengono apertamente gli interessi dei padroni, in quanto, «con la loro veste falsamente apolitica riescono ad ingannare ed a diffondere la ideologia avversaria profondamente contraria all’unità d’azione dei lavoratori».[161] Ed in altro punto dell’articolo, mettendo in evidenza come tali pubblicazioni rappresentino un serio ostacolo sulla via della emancipazione femminile, afferma: «La lotta per la conservazione delle vecchie idee, della vecchia mentalità, dei pregiudizi contro il diffondersi e l’affermarsi dei nuovi ideali di emancipazione e di progresso del socialismo, ha impegnato ed impegna fortemente i gruppi dirigenti della borghesia nazionale, della Chiesa e dell’imperialismo straniero che hanno messo a disposizione mezzi ingenti per la pubblicazione, tra l’altro, di una vasta serie di giornali e riviste femminili di diverse sfumature, ma tutte rispondenti all’unica linea di sviare l’attenzione delle donne dalle loro questioni e dai loro interessi reali, di esaltare la vita immorale dei ricchi, la teoria della inevitabilità e della necessità dei padroni e dei poveri».[162]
I due articoli hanno anche il merito (contrariamente a quanto avviene in molti di coloro che si occupano delle questione dei “fumetti”) di mettere l’accento sulle ragioni di ordine psicologico che possono portare alla lettura ed alla vasta diffusione di questo genere di pubblicazioni anche tra gli strati operai della popolazione. Prima fra tutte, la necessità di evadere da una realtà percepita come insoddisfacente. «Perché - si chiede Jucci Lorini - le donne sono assidue lettrici dei giornali a fumetti? E perché tra le operaie questi hanno maggiori successi?». Risposta: «Nei giornali a fumetti la donna […] trova rispecchiati le sue speranze di ragazza che aspira ad una vita più facile di quella che conduce, i suoi sogni di sposa e di donna difficilmente realizzabili, ai quali però non può e non vuole rinunciare almeno nella fantasia. Annabella o Grand Hotel sono la possibilità di evadere dalla grigia e difficile realtà di ogni giorno con poche decine di lire».[163] Gli stessi concetti tornano nell’articolo di Lucio Lombardo Radice. «Secondo me, - egli scrive - l’operaio che legge la biografia da quattro soldi dell’asso del calcio, la dattilografa che divora avidamente in tram il romanzo dell’impiegata che sposa il capoufficio, il lavoratore che si distrae con infantili storie di avventure o col "giallo” sono mossi dal desiderio di uscire per qualche momento dal chiuso della propria miseria e delle proprie preoccupazioni, di trasferire in “eroi” ed “eroine” il proprio assillante desiderio di una vita più ricca e luminosa».[164]
La questione del legame-rapporto che intercorre tra la stampa periodica destinata alle donne e le difficoltà che si riscontrano nel processo di emancipazione femminile è un altro dei temi che compare abbastanza di frequente sulla stampa comunista. Le pubblicazioni che vanno da «Rider Digest» ai romanzi a fumetti - afferma Luciano Gruppi, uno di coloro che sono più attenti al tema - sono «uno degli ostacoli che trattengono le donne sulla via della loro emancipazione».[165] Molte riviste destinate alle donne, avverte Dina Rinaldi sul periodico «Vie Nuove», «conducono in modo sottile ed alle volte inavvertibile un tipo di propaganda velenosa, legando ogni parola e ogni loro immagine al tipico e falso moralismo borghese».[166]
Connessa al tema dell’emancipazione femminile, del modo sessista nel quale vengono rappresentate le donne nei “fumetti”, ed alla questione della morale è poi l’altra critica che i comunisti rivolgono a questo tipo di stampa periodica: quella di essere, in larga misura, oscena e volgare.[167] Non senza qualche accenno sessuofobico e puritano - e qualche motivo politico di carattere chiaramente strumentale - viene infatti costantemente denunciata l’esibizione che tali pubblicazioni fanno di parti anatomiche femminili, di indumenti succinti o intimi, di pose, atteggiamenti e comportamenti provocanti e volgari (e, dunque, immorali).[168]
Un’altra delle critiche e delle accuse rivolte ai “fumetti”, al cinema ed agli altri mezzi di comunicazione di massa è quella di essere degli strumenti propagatori di odio razziale, di violenza e di gangsterismo, con il non celato fine di educare-preparare la gioventù italiana ad una nuova tragica guerra di aggressione contro l’URSS, contro i paesi di nuova democrazia e contro i popoli che lottano per liberarsi dal giogo dell’imperialismo. Le pubblicazioni a fumetti, si afferma su «Noi Donne» dell’aprile 1951, rappresentano costantemente i negri, i cinesi e gli indiani come fossero dei ladri, dei traditori o delle spie, «razze inferiori, incapaci di controllarsi e progredire, mentre il baldo giovanotto americano e l’indomita ragazza sua innamorata stanno lì a figurare la razza superiore e dominatrice. Che altro è, questo, se non razzismo?».[169]
[NOTE]
[142] Autuori Giovannella, I personaggi dei giornali a fumetti, in «Gioventù Nuova», a. II, n. 5, maggio 1950, p. 25. A tal proposito, la Autuori riporta il caso di due sorelle iscritte ad una cellula della sua Sezione (entrambe belle ragazze, operaie e figlie di lavoratori) che si ritengono «sfortunate» in quanto ricevono dichiarazioni d’amore solo da ragazzi comunisti e da giovani operai del quartiere, non belli e non ricchi.
[143] Cavandoli, Rolando, 1950. Un nuovo periodico a fumetti?, in «Gioventù Nuova», a. II, n. 8-9, agosto-settembre 1950, pp. 26-28.
[144] Ivi, 26-27.
[145] Ivi, 28.
[146] Ibidem.
[147] Giudiceandrea G. B., Perché i giovani leggono i fumetti, in «Gioventù Nuova», a. II, n. 10, ottobre 1950, pp. 31-33.
[148] Ivi, 31.
[149] Da una angolazione diversa (politicamente più positiva), la centralità dei «sogni» nella vita delle ragazze era già stata messa in luce qualche anno prima da Marisa Musu (Cfr. Musu Marisa, Le ragazze sognano, in «Vie Nuove», a. II, n. 20, 18 aprile 1947 e Musu, Relazione alla Conferenza Nazionale Giovanile del PCI, cit.). Le ragazze italiane, siano esse operaie, contadine o studentesse - afferma Musu nei due scritti – sognano. Spesso sognano l’amore e il “Principe Azzurro”. Fermarsi a questo dato di fatto sarebbe però errato: dietro questi sogni si nasconde l’ansia di liberazione da un presente difficile, l’aspirazione a costruirsi una famiglia, «a un focolare sicuro, a una famiglia serena e sana, a una lavoro che sia benessere e tranquillità per loro e per i loro figli» (Musu, Le ragazze sognano, cit.).
[150] Giudiceandrea, Perché i giovani leggono i fumetti, cit., p. 32.
[151] Ibidem.
[152] Pajetta Giuliano, Conclusione del dibattito sui fumetti, in «Gioventù Nuova», a. II, n. 11-12, novembre-dicembre 1950, pp. 33-36.
[153] Ivi, 34.
[154] Oltre ai romanzi sovietici sulla costruzione del socialismo e sulla trasformazione della terra e degli uomini in URSS, vengono proposti: Come l’uomo divenne gigante, Le montagne e gli uomini, Come fu temprato l’acciaio, Giovane guardia, I giorni e le notti, Gioventù senza sole e le poesie di Majakovski (ivi, 35).
[155] Ivi, 36.
[156] Premessa al Piano della Sezione Centrale Cultura e Ricreazione della F.G.C.I. (Federazione Giovanile Comunista Italiana. Comitato Centrale. Roma, 10 gennaio 1953), in APC, FGCI, carpetta FGCI 1953. Il corsivo nella citazione è mio.
[157] Direttive per il lavoro giovanile. Risoluzione dell’Ufficio Nazionale Giovanile, in «Istruzioni e direttive di lavoro della Direzione del PCI a tutte le Federazioni», n. 15, luglio 1948, p. 5. Anche in questo caso il corsivo è mio.
[158] Pecchioli Ugo, La FGCI scuola di comunismo. Rapporto presentato alla riunione del Comitato Centrale della FGCI del 24-26 ottobre 1950, Roma, Edizioni “Gioventù Nuova”, 1950, p. 19. Il corsivo nel testo è mio.
[159] Vita e conquiste della gioventù dell’URSS (Schema di conferenza), supplemento al n. 9 de «Il Costruttore», settembre 1951, p. 7.
[160] Lombardo Radice, Cosa leggono i lavoratori, cit.
[161] Lorini, Cosa leggono le operaie?, cit. p. 748.
[162] Ivi, p. 747.
[163] Lorini, Cosa leggono le operaie?, cit. p. 747.
[164] Lombardo Radice, Cosa leggono i lavoratori, cit.
[165] Gruppi Luciano, Per una cultura popolare, in «Quaderno dell’attivista», n. 1, 1 gennaio 1954, p. 15.
[166] Rinaldi Dina, Per le riviste d’amore le donne italiane spendono 60 milioni la settimana!, in «Vie Nuove», n. 38, 26 settembre 1948, p. 6.
[167] Laura Ingrao, ad esempio, dopo aver ribadito - in un articolo sull’educazione dei sentimenti nella letteratura per l’infanzia - che i fumetti sono «strumenti di propaganda della vecchia classe dirigente», ne denuncia le «oscenità estetiche e morali» (Ingrao Laura, L’educazione dei sentimenti nella letteratura per l’infanzia, in «Gioventù Nuova», a. III, n. 4-5, aprile-maggio 1951, pp. 39-40).
[168] Cfr. Bellassai Sandro, La morale comunista. Pubblico e privato nella rappresentazione del PCI (1947-1956), prefazione di Aldo Agosti, Roma, Carocci, 2000, p. 121.
[169] Centopassi, Narcotici a 30 lire, in «Noi Donne», n. 13, 1 aprile 1951, p. 7.
Alessandro Sanzo, Enrico Berlinguer e l'educazione dell'uomo. Il contributo alla “formazione integrale” dei comunisti italiani (1945-1956), Tesi di laurea, Università degli Studi di Roma "La Sapienza, Anno accademico 2000-2001, qui ripresa da wwww.cultureducazione.it

[continua]